Presidente: Lupo E. Estensore: Squassoni C. Imputato: Forletti ed altri.
(Rigetta, App. Lecce, 20 Gennaio 2006)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Costruzione abusiva - Proprietario non formalmente committente - Responsabilità - Condizioni - Individuazione.
In tema di costruzione edilizia abusiva, il proprietario non formalmente committente risponde del reato edilizio, ex artt. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 e 110 cod. pen., allorché, a conoscenza dell'assenza del preventivo rilascio del permesso di costruire, abbia fornito un contributo causale che abbia agevolato la edificazione abusiva. (Nell'occasione la Corte ha ulteriormente precisato che il giudice deve verificare l'esistenza di comportamenti, che possono assumere sia forma positiva che negativa, dai quali si possa ricavare una compartecipazione anche solo morale nella altrui condotta illecita)
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    
			Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
			Dott. LUPO      Ernesto          - Presidente  - del 12/01/2007
			Dott. SQUASSONI Claudia          - Consigliere - SENTENZA
			Dott. FIALE     Aldo             - Consigliere - N. 00058
			Dott. FRANCO    Amedeo           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
			Dott. IANNIELLO Antonio          - Consigliere - N. 015178/2006
			ha pronunciato la seguente:
		 
			SENTENZA
			sul ricorso proposto da:
			1) FORLETTI ANTONIO, N. IL 07/06/1949;
			2) INGROSSO MARIA ADELE, N. IL 01/12/1954;
			3) DOLCE ROSARIA, N. IL 20/01/1952;
			avverso SENTENZA del 20/01/2006 CORTE APPELLO di LECCE;
			visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
			udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. 
			SQUASSONI CLAUDIA;
			Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO Gioacchino 
			che ha concluso per: inammissibile il ricorso.
			MOTIVI DELLA DECISIONE
			Con sentenza 17 marzo 2005, il Tribunale di Lecce sd Galatina ha 
			ritenuto Forletti Antonio, Ingrosso Maria Adele, Dolce Rosaria 
			responsabili del reato previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, 
			comma 1, lett. b (perché, nella loro qualità di proprietari del 
			suolo e committenti dei lavori, privi di permesso di costruire, 
			realizzavano due villette ed un vano isolato) e li ha condannati alla 
			pena di giustizia.
			La decisione del Tribunale è stata confermata dalla Corte di Appello 
			di Lecce con sentenza 20 gennaio 2006.
			Per giungere a questa conclusione, i Giudici di merito hanno 
			disatteso la prospettazioni, difensiva dei coniugi Forletti-Ingrosso 
			sulla loro estraneità alla abusiva edificazione; sul punto, hanno 
			rilevato come gli stessi, comproprietari del suolo, fossero 
			consapevoli di quanto si stava realizzando.
			La Corte ha ritenuto inconferente il permesso di costruire in 
			sanatoria L. n. 326 del 2003, ex art. 32, in quanto illegittimamente 
			rilasciato dal momento che le opere non erano state ultimate entra il 
			termine previsto (31 marzo 2003); all'epoca dello accertamento del 
			reato (28 novembre 2003), i lavori erano ancora in corso. 
			Per l'annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto 
			ricorso in Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione 
			di legge, in particolare, rilevando:
			- che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria era 
			legittimo perché i lavori erano terminati al rustico entro il 
			termine utile e le opere in fieri all'epoca del sopralluogo erano di 
			rifinitura: sul punto, i Giudici hanno concluso differentemente senza 
			indagare quale fosse l'attività edilizia espletata dopo il 31 marzo 
			2003;
			- che i coniugi Forletti-Ingrosso sono stati ritenuti responsabili 
			per la loro mera qualifica di comproprietari del suolo ed in mancanza 
			di prove sul loro contributo causale alla perpetrazione del reato;
			- che la demolizione del vano isolato deve essere equiparata 
			all'assenso a titolo di condono.
			Le deduzioni dei ricorrenti non sono meritevoli di accoglimento. 
			Per quanto concerne la prima censura, è il caso di rilevare come, in 
			tema di condono edilizio, spetti alla autorità amministrativa di 
			valutare la ricorrenza dei presupposti per la sanatoria nei loro 
			aspetti tecnici; compete, invece, al Giudice penale di verificare la 
			esistenza di tutte condizioni poste dalla legge per la estinzione del 
			reato.
			Pertanto, la concessione del permesso di costruire in sanatoria non 
			esautorava i Giudici di merito dall'accertare se i lavori siano stati 
			ultimati entro il termine dalla legge fissato per ottenere il 
			beneficio.
			Sul tema, i ricorrenti propongono censure prive della necessaria 
			concretezza che si pongono in insanabile contrasto con le emergenze 
			agli atti ed in particolare, con le foto scattate all'epoca della 
			accertamento del reato (che il Collegio è facoltizzato ad esaminare 
			trattandosi di verificare le condizioni di fatto per l'applicazione 
			di una causa di estinzione del reato); dalle foto risulta che le 
			opere, in data 29 novembre 2003, erano prive di copertura e, di 
			conseguenza, non terminate neppure con riferimento alla peculiare 
			nozione di ultimazione dei manufatti che la L. n. 47 del 1985, art. 
			31, comma 2 fornisce ai fini del condono.
			Relativamente alla seconda censura, va osservato come, secondo la 
			maggioritaria giurisprudenza di legittimità, le contravvenzioni 
			edilizie, realizzate con la costruzione di un manufatto, sono reati 
			propri dei soggetti, tra i quali non è annoverato il proprietario, 
			individuati dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29; tali soggetti 
			(committente, titolare del permesso di costruire, direttore dei 
			lavori) sono costituiti dal Legislatore garanti del rispetto dello 
			esercizio della attività edificatoria alla relativa normativa e soli 
			possono rispondere dei reati previsti dall'art. 44, lett. b e c. 
			Tale conclusione non collide con la possibilità dello estraneo - 
			cioè di colui che è privo delle qualifiche soggettive specificate 
			nel ricordato art. 29 - di fornire un contributo doloso alla altrui 
			abusiva edificazione secondo le regole generali sul concorso nei 
			reati. Non condivisibile è l'orientamento giurisprudenziale, 
			peraltro minoritario e non recente, secondo il quale il proprietario 
			della area può rispondere della contravvenzione edilizia per mera 
			connivenza con l'autore del reato; il proprietario non può essere 
			ritenuto responsabile, a sensi dell'art. 40 cpv. c.p., non esistendo 
			una fonte formale dalla quale fare derivare l'obbligo giuridico di 
			controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato. 
			Tale conclusione è confortata dalla previsione del D.Lgs. n. 152 del 
			2006, art. 192 che impone al proprietario del sito, oggetto di 
			abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, azioni ripristinatorie 
			solo nel caso in cui la violazione gli sia imputabile a titolo di 
			dolo o di colpa. Pertanto, il proprietario - estraneo alla esecuzione 
			delle opere e che non le abbia commissionate - potrà rispondere 
			della contravvenzione edilizia, a sensi del combinato disposto 
			dell'art. 110 c.p. e del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, 
			quando, edotto della mancanza del permesso di costruire, ha fornito 
			un contributo causale che abbia agevolato la abusiva edificazione. 
			A tale fine, i Giudici di merito devono verificare la esistenza di 
			comprovati comportamenti, che possono assumere forma negativa o 
			positiva, dai quali si possano ricavare elementi di una 
			compartecipazione, al livello materiale o morale, del proprietario 
			della area nella altrui condotta illecita (Cassazione Sezione terza, 
			sentenze n. 10284/2000, 17752/2001, 31130/2001, 18756/2003, 
			9536/2004, 24319/2004, 216/2005, 26121/2005, 32856/2006, 79/2006). 
			Tra gli elementi sintomatici del concorso del proprietario, la 
			giurisprudenza ha enucleato, ad esempio, la destinazione del 
			manufatto, i rapporti di parentela o affinità o coniugio con 
			l'esecutore dell'opera, la vigilanza nella esecuzione dei lavori, la 
			richiesta di provvedimenti abilitativi successivi, etc.. 
			Nella ipotesi in esame, non è condivisibile la prospettazione dei 
			ricorrenti secondo i quali la responsabilità è stata affermata in 
			base alla mera loro qualifica di comproprietari del suolo. La 
			situazione concreta nella quale si è svolta l'attività incriminata 
			conduce a condividere la conclusione dei Giudici di merito ad a 
			ritenere che, benché la sola Dolce Rosaria si sia dichiarata 
			responsabile del reato, anche i coimputati fossero concorrenti nello 
			abusivismo edilizio; numerosi elementi portano ad escludere che le 
			costruzioni siano state realizzate a loro insaputa e senza la loro 
			volontà.
			I coniugi Forletti avevano la disponibilità giuridica e di fatto del 
			suolo, erano notiziati della edificazione (avvenuta nel piccolo paese 
			ove abitavano ad opera di una prossima congiunta); inoltre, vari 
			accertati comportamenti (la mancata impugnativa della ordinanza 
			sospensiva dei lavori emessa nei loro confronti il 30 gennaio 2004 e 
			la richiesta di concessione edilizia in sanatoria del 7 marzo 2005 
			anche a loro favore) comprovano non solo che destinatali finali dei 
			beni fossero i Forletti, ma attestano una loro compartecipazione, 
			anche solo a livello morale, nella illecita edificazione. 
			Con la residua censura, i ricorrenti formulano una doglianza non 
			introdotta nei motivi a sostegno dello appello e che incorre nel 
			divieto di nuove deduzioni in Cassazione.
			P.Q.M.
			La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al 
			pagamento delle spese processuali.
			Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2007.
			Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2007
		
                    



