Consiglio di Stato, Sez. V, n. 71, del 13 gennaio 2013
Sviluppo sostenibile.Titolo idoneo per costruzione ed esercizio impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili
Per “titolo idoneo” non può intendersi, in base a principi di logica giuridica, solo il “permesso di costruire” perché detto art. 13 riguarda i contenuti minimi dell’istanza di autorizzazione unica ed è illogico pretendere, per principi di economia procedimentale, già il possesso di detto permesso quando ancora non è dato sapere se l’istanza sarà accolta o meno. Più propriamente “titolo idoneo” può essere inteso come disponibilità giuridica di una area che fosse potenzialmente idonea a consentire il rilascio del titolo edilizio necessario per la costruzione dell’impianto e delle opere connesse. Aggiungasi che, ex art. 12, comma 4 bis, del d. lgs. n. 387/2003, era consentito dimostrare anche nel corso del procedimento il possesso del titolo, sicché esso, già costituito dalla promessa di vendita, è stato poi nel caso di specie legittimamente sostituito da un contratto di affitto di fondi rustici, con produzione del secondo atto prima della adozione del provvedimento di autorizzazione unica. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00071/2014REG.PROV.COLL.
N. 06082/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6082 del 2012, proposto da:
Dante Ornella, in proprio e quale titolare della omonima impresa individuale agricola, Claudio Ornella, Angelo Ornella, in proprio e quale legale rappresentante della Ornella Automazione Costruzione Macchine Speciali s.r.l. e Bianca Rita Migotto, rappresentati e difesi dagli avv. Massimo Carlin e Federica Scafarelli, elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, alla via Giosuè Borsi n. 4;
contro
Comune di Zoppola, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Mattia Matarazzo e Mario Sanino, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, viale dei Parioli, n. 180;
Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Longo e Marcello Clarich, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, alla Piazza del Popolo n. 18;
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia 25 maggio 2012 n. 189/2012, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento prot. n. 808/15025, dd. 17.08.2011, a firma del Sindaco, avente ad oggetto "D.Lgs. n. 387/2003, art. 12. Autorizzazione unica per la costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentata da fonti rinnovabili in via Taviela, proponente: SOCIETA’ AGRICOLA ZOPPOLA BIOGAS SR.L", nonché delle varianti al P.R.G.C. n. 27 del 2007, n. 29 del 2008, n. 33 del 2010 e n. 37 del 2011, per quanto necessario e in relazione alla individuazione, in zona agricola, di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e relativi parametri e specifiche; inoltre dei motivi aggiunti, proposti per l’annullamento dell'atto di “ratifica” di detta autorizzazione unica, dd. 09.01.2012, prot. n. 247 del Comune di Zoppola;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l. e del Comune di Zoppola;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Viste le proprie ordinanze 11 settembre 2012 n. 3680 e 9 aprile 2013 n. 1929;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati M. Carlin, F. Scafarelli, M. Sanino e F. Longo;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in appello in esame i sigg.ri Dante Ornella, in proprio e quale titolare della omonima impresa individuale agricola, Claudio Ornella, Angelo Ornella, in proprio e quale legale rappresentante della Ornella Automazione Costruzione Macchine Speciali s.r.l., e Bianca Rita Migotto, che vivono e svolgono la loro attività in una area “a ridosso” della quale il Comune di Zoppola ha autorizzato la Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l. a realizzare un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili, hanno impugnato la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stato respinto il ricorso da essi proposto per ottenere l’annullamento degli atti autorizzativi di detto impianto, deducendo i seguenti motivi:
1- Violazione di legge. Violazione degli artt. 12 e 19 del d. lgs. n. 387/2003. Illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117 della Costituzione, dell’art. 21 della l.r. n. 24/2006. Errata motivazione e mancanza dei presupposti della sentenza impugnata.
Erroneamente nella sentenza impugnata è stato affermato, con riferimento ai primi due motivi di ricorso, che l’art. 19 del d. lgs. n. 387/2003, a dire dei ricorrenti, sarebbe stato inapplicabile nelle Regioni a Statuto speciale e che il primo motivo contestava la applicabilità di detto d. lgs. nell’ambito della Regione de qua, ad autonomia differenziata.
In realtà con il ricorso introduttivo del giudizio era stata dedotta la violazione dell’art. 12 del d. lgs. n. 387/2003 da parte del Comune (che non poteva rilasciare la autorizzazione unica ai sensi di tale norma, erroneamente richiamata nell’oggetto del provvedimento impugnato) che era incompetente a provvedere al riguardo, spettando il rilascio di detta autorizzazione alla Regione Friuli Venezia Giulia o alla Provincia da essa delegata.
2.- Violazione di legge, violazione dell’art. 4, comma 1, della l.r. n. 5/2007. Violazione della direttiva 2001/42/CE. Errata, illogica e ingiusta motivazione della sentenza impugnata. Travisamento dei fatti.
Il T.A.R. ha respinto il terzo motivo di gravame sulla base dell’errato presupposto che nel caso che occupa non rilevasse il P.O.C..
3.- Violazione di legge. Violazione degli artt. 7 e 21 nonies della l. n. 241/1990. Errata e carente motivazione.
Il provvedimento di convalida della autorizzazione unica, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento.
4.- Errata motivazione per violazione del d.m. 10.9.2010, Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Erroneamente il T.A.R. ha ritenuto che i ricorrenti avessero lamentato, con riguardo al sesto motivo di ricorso, la mancanza di un idoneo titolo in merito alla disponibilità dell’area dove avrebbe dovuto sorgere l’impianto.
5.- Violazione di legge. Violazione dell’art. 12 del d. lgs. n. 387/2003. Erronea motivazione.
La motivazione contenuta in sentenza con riferimento al settimo motivo di ricorso è erronea perché l’autorizzazione unica non può considerarsi quale variante allo strumento urbanistico.
Con memoria depositata il 31.8.2012 si è costituita in giudizio la Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l., che ha eccepito la inammissibilità e dedotto la infondatezza del gravame, concludendo per la reiezione.
Con memoria depositata il 7.9.2012 si è costituito in giudizio il Comune di Zoppola, che ha eccepito la inammissibilità della formulata istanza cautelare, per carenza di interesse e comunque per tardività, nonché del primo motivo di appello, per violazione dell’art. 104, comma 1, del c.p.a. in quanto sostanzialmente nuovo (essendo stata in primo grado dedotta la totale inapplicabilità dell’art. 12 del d. lgs. n. 387/2003 nella Regione de qua, mentre in appello è stato sostenuto che si intendeva contestare la mera incompetenza del Comune di cui trattasi a provvedere sulla richiesta di autorizzazione), con conseguente irrilevanza ed inammissibilità del sollevato dubbio di costituzionalità dell’art. 21 della l.r. n. 24/2006; inoltre ha dedotto la infondatezza del gravame, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o per la reiezione.
Con memoria depositata l’8.9.2012 la Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l. ha eccepito la inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per tardiva proposizione rispetto all’ultimo giorno di pubblicazione della gravata autorizzazione e per mancata impugnazione di atto presupposto (il verbale della conferenza dei servizi del 7.7.2011), nonché ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.
Con ordinanza 11 settembre 2012 n. 3680 la Sezione ha accolto, ai soli fini della sollecita definizione del giudizio nel merito, la proposta istanza cautelare.
Con memoria depositata il 19.2.2013 le parti appellanti, rappresentate e difese da nuovi difensori, evidenziato in particolare che allorché nel corso del giudizio viene in rilievo una questione di costituzionalità il Giudice è tenuto a sollevarla d’ufficio (con conseguente inconferenza della eccezione della difesa del Comune resistente circa la inammissibilità del relativo motivo perché proposto per la prima volta in appello), hanno sostanzialmente ribadito tesi e richieste.
Con ordinanza 11 settembre 2012 n. 3680 la Sezione ha disposto l’acquisizione, da parte del Comune di Zoppola, di copia autentica della autorizzazione Prot. 808/15025, dd. 17.08.2011, a firma del Sindaco del Comune di Zoppola, recante gli estremi di ogni avvenuta pubblicazione.
Con memoria depositata il 26.7.2013 il costituito Comune, premesso (in relazione alla eccezione del difensore delle parti appellanti che gli atti difensivi del Comune sarebbero viziati dalla sottoscrizione da parte del solo avv. Mattia Matarazzo) che detti atti recano la sottoscrizione anche dell’avv. Mario Sanino, ha ribadito tesi e richieste.
Con memoria depositata il 30.7.2013 la Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l. ha ribadito la fondatezza delle eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado per tardività, nonché tesi e richieste.
Con memoria depositata il 30.7.2013 le parti appellanti hanno evidenziato che, a seguito della disposta istruttoria, non è stato depositato anche l’estratto del BUR Friuli V.G. su cui pure doveva essere pubblicata la autorizzazione unica per cui è causa, nonché che nel referto di pubblicazione di detto atto sull’albo pretorio era asserito che l’affissione non faceva decorrere i termini per l’impugnativa; hanno inoltre dedotto che gli atti endoprocedimentali non dovevano essere autonomamente impugnati ed hanno ribadito la fondatezza della proposta questione di costituzionalità, sollevabile anche d’ufficio, oltre che delle ulteriori tesi e richieste.
Alla pubblica udienza del 15.10.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
DIRITTO
1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dai deducenti in epigrafe indicati (che vivono e svolgono la loro attività in una area “a ridosso” della quale il Comune di Zoppola ha autorizzato Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l. alla realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili) di annullamento della sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stato respinto il ricorso da essi proposto per ottenere l’annullamento degli atti autorizzativi di detto impianto.
2.- Innanzi tutto la Sezione ritiene di dover esaminare la eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio riproposta in appello dalla Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l. per tardiva proposizione rispetto all’ultimo giorno di pubblicazione della gravata autorizzazione e per mancata impugnazione del presupposto verbale della conferenza dei servizi del 7.7.2011.
La eccezione è infondata innanzi tutto perché nell’atto prot. n. 15250/11/UTC del 22.8.2011 (allegato alla autorizzazione unica di cui trattasi e depositato in copia a seguito della istruttoria disposta dalla Sezione), di trasmissione di copia del provvedimento per affissione, è espressamente indicato che “l’affissione non fa decorrere i termini per la impugnativa”; quindi, poiché al punto 19 della autorizzazione stessa era prevista la sua pubblicazione per estratto sul Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e poiché da pag. 310 di detto Bollettino n. 45 del 2011 (pure depositata in copia in giudizio in data 19.7.2013 dalle parti ricorrenti) risulta effettuata detta pubblicazione in data 9.11.2011, deve ritenersi che il ricorso introduttivo del giudizio, notificato in data 28.11.2011, sia stato tempestivamente proposto nei termini di decadenza previsti.
Anche la mancata impugnazione del verbale della conferenza dei servizi del 7.7.2011 non è idonea a comportare la inammissibilità del gravame, considerato che la determinazione conclusiva della conferenza di servizi, anche se di tipo decisorio, ha pur sempre carattere endoprocedimentale e presuppone quindi un successivo provvedimento finale con valenza effettivamente determinativa della fattispecie; di conseguenza, qualora alla conferenza di servizi segua un atto monocratico di recepimento da parte di un organo dell'ente al quale spetta la competenza finale a provvedere, quest'ultimo è l'atto conclusivo del procedimento al quale devono essere imputati gli effetti eventualmente lesivi (Consiglio di Stato, sez. V, 11 settembre 2013, n. 4507) e rispetto al quale sussiste l’onere di impugnazione immediata.
3.- Nel merito va osservato che con i primo motivo di appello è stato asserito che, con riferimento ai primi due motivi di gravame, il T.A.R. avrebbe distorto quanto sostenuto dalle parti ricorrenti.
In particolare nella sentenza impugnata sarebbe stato erroneamente affermato che l’art. 19 del d. lgs. n. 387/2003, a dire dei ricorrenti, sarebbe stato inapplicabile nelle Regioni a Statuto speciale e che il primo motivo avrebbe contestato la applicabilità di detto d. lgs. nell’ambito della Regione de qua, ad autonomia differenziata.
In effetti, con il ricorso introduttivo del giudizio sarebbe stata dedotta la violazione dell’art. 12 del d. lgs. n. 387/2003 da parte del Comune, che non poteva rilasciare la autorizzazione unica ai sensi di tale norma, erroneamente richiamata nell’oggetto del provvedimento impugnato, essendo incompetente a provvedere al riguardo, dal momento che il rilascio di detta autorizzazione spettava alla Regione Friuli Venezia Giulia o alla Provincia da essa delegata.
Infatti, secondo la giurisprudenza in materia, la competenza dei Comuni non potrebbe al riguardo derivare dall’art. 21 della l.r. Friuli V.G. n. 24/2006 (che attribuisce ad essi funzioni in materia) perché la Corte Costituzionale ha giudicato illegittima, per violazione dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, la creazione di competenza autorizzatoria a favore di detti Enti per tipi di impianti caratterizzati da determinate capacità di generazione.
Inoltre la Regione Friuli V.G. avrebbe competenza primaria in materia urbanistica e, tenuto conto del disposto dell’art. 19 del d. lgs. n. 387/2003 (secondo il quale gli interventi relativi ad impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’art. 2, comma 1, lettere b) e c), di detto d. lgs., da realizzare in area agricola devono essere previsti dal P.O.C. ai sensi dell’art. 40, comma 1, della l.r. n. 5/2007), dovrebbe ritenersi che la Regione o la Provincia siano gli Enti competenti a rilasciare la autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 del citato d. lgs.; tuttavia, quando l’impianto debba essere realizzato in una zona agricola della Regione suddetta, esso, in base a quanto previsto dal citato art. 19, dovrebbe essere individuato dal P.O.C. sulla base della legislazione regionale vigente.
E stata comunque dedotta la illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117 della Costituzione, dell’art. 21 della l.r. n. 24/2006.
3.1.- Osserva innanzi tutto la Sezione che con il primo motivo del ricorso introduttivo de giudizio di primo grado le parti ricorrenti avevano dedotto “Violazione del D.Lgs. 387/2003, art.19”, in quanto l’art. 12 del d.lgs. stesso non poteva trovare applicazione nel territorio della Regione di cui trattasi in considerazione di quanto disposto da detto art. 19, che fa salve le competenze delle Regioni a statuto speciale, con la conseguenza che il Comune non poteva ricorrere al procedimento autorizzatorio unico e invocare detta norma per consentire la realizzazione dell’impianto in zona agricola.
Coerentemente al riguardo, con la impugnata sentenza, è stata individuata la censura (nell’assunto che era stata contestata la applicabilità del d. lgs. n. 387/2003 nell’ambito regionale essendo quella in questione una Regione ad autonomia differenziata), sostenendone la infondatezza perché, laddove la Regione Autonoma non avesse emesso e non intendesse emettere norme applicative della Direttiva 2001/77/CE, avrebbe dovuto (ex art. 11, comma 8, della l. n. 11/2005) applicare le norme nazionali.
3.2.- Anche il secondo motivo di ricorso non conteneva le censure cui è fatto riferimento nel motivo di appello, se non la asserzione che era stato violato l’art. 40, comma 1, della l. r. n. 5/2007 (che prevede la individuazione mediante P.O.C. degli interventi in questione da effettuare in zona agricola) ed il generico ed indimostrato assunto che il Comune aveva rilasciato impropriamente l’autorizzazione impugnata “in quanto incompetente”.
3.3.- Dalle considerazioni in precedenza effettuate si evidenzia che è infondata la tesi delle parti appellanti che un primo grado era stata dedotta la violazione dell’art. 12 del d. lgs. n. 387/2003 da parte del Comune, perché poteva rilasciare la autorizzazione unica ai sensi di tale norma in quanto incompetente a provvedere al riguardo, spettando il rilascio di detta autorizzazione alla Regione Friuli Venezia Giulia o alla Provincia da essa delegata, e non potendo neppure derivare al riguardo la competenza dei Comuni dall’art. 21 della l.r. Friuli V.G. n. 24/2006, perché incostituzionale.
3.4.- Detta censura è da qualificare quindi come nuova e come tale inammissibile, incorrendo nel divieto di proposizione di nuove domande nel giudizio di appello ex art. 104, comma 1, del c.p.a. (Consiglio di Stato, sez. V, 22 maggio 2013, n. 2781).
Tanto comporta la impossibilità di valutazione, per difetto di rilevanza, della sollevata questione di legittimità costituzionale di detto art. 21 della l. r. n. 24/2006, nella parte in cui attribuiva ai Comuni della Regione Friuli V.G. le funzioni in materia di autorizzazioni relative alla installazione e all’esercizio degli impianti di cui trattasi.
Invero la questione di legittimità costituzionale non può essere sollevata d'ufficio quando non sussiste la rilevanza che essa deve necessariamente avere con riferimento al giudizio (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 5 giugno 2013, n. 560), potendo esso essere definito indipendentemente dalla risoluzione di essa questione.
Se è vero infatti che nel giudizio amministrativo la questione di legittimità costituzionale è sollevabile d'ufficio, ciò vale solo con riferimento alle censure la cui fondatezza può essere vista come rilevante, in quanto strumentale alla positiva definizione delle censure concretamente svolte in ricorso, mentre non può investire aspetti ulteriori che non siano stati ammissibilmente dedotti in controversia (Consiglio di Stato, sez. IV, 9 marzo 2012, n. 1349).
Del resto le stesse parti appellanti con memoria depositata il 30.7.2013 hanno asserito che il Giudice di merito può sollevare di ufficio la questione di costituzionalità quando la norma ritenuta incostituzionale abbia valenza decisiva ai fini del giudizio: il che nel caso di specie non è.
3.5.- In conclusione il motivo in esame è insuscettibile di assenso e la proposta questione di costituzionalità va dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.
4.- Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che il T.A.R., con riguardo al terzo motivo del ricorso introduttivo, ha ritenuto inconferente l’attivazione del procedimento di V.A.S. introdotto dalla Direttiva 2001/42/CE, sulla base dell’errato presupposto che nel caso che occupa non rilevasse il P.O.C., ammettendo tuttavia che la mancanza della V.A.S. avrebbe potuto rilevare nei confronti del P.O.C..
Tanto, considerato che l’impianto de quo avrebbe dovuto trovare “fondamento” all’interno di un P.O.C., conforterebbe la tesi dei ricorrenti.
4.1.- Osserva la Sezione che con il motivo del ricorso di primo grado in esame era stata dedotta la violazione della Direttiva 42/2001/Ce in quanto, per vagliare adeguatamente gli effetti di piani, quali il P.O.C., avrebbe dovuto essere preliminarmente effettuata una Valutazione Ambientale Strategica.
Al riguardo il T.A.R. (che aveva già osservato che era incondivisibile, con riferimento al secondo motivo di ricorso, la dedotta censura di impossibilità di autorizzazione di impianti del genere in zona agricola in assenza del P.O.C., perché in assenza della l. r. attuativa e del P.O.C. si applicava la normativa statale ed il vigente P.R.G., che consentivano la realizzazione degli impianti in questione in zona agricola) ha ritenuto che la V.A.S. è stata introdotta dalla Direttiva 2001/42/CE per valutare le conseguenze ambientali di piani e programmi; quindi avrebbe potuto rilevare nei confronti del P.O.C., ma non nei confronti della autorizzazione unica.
Tanto premesso, va respinta la censura in esame, basata, come già detto, sull’assunto che, dovendo l’impianto de quo trovare “fondamento” all’interno di un P.O.C., rilevava la mancanza della V.A.S. (che di esso deve valutare le conseguenze ambientali); ciò perché il Comune in questione non aveva predisposto il P.O.C. e in sua assenza, come condivisibilmente ritenuto dal primo Giudice, ben poteva essere comunque rilasciata (anche in assenza della V.A.S.) la autorizzazione unica in questione, trovando applicazione l’art. 12, comma 7, del d. lgs. n. 387/2003 (che consente la allocazione degli impianti di produzione di energia elettrica anche in zone classificate come agricole dai Piani urbanistici) e le disposizioni del Piano Regolatore vigente che pure lo permette.
In conclusione, solo se il Comune avesse all’epoca della domanda di autorizzazione unica adottato gli strumenti di pianificazione previsti dalla l.r. n. 5/2007 avrebbe dovuto essere effettuata prima del rilascio della autorizzazione stessa anche la Valutazione Ambientale Strategica; in difetto la censura in esame è in condivisibile di assenso, atteso che, stante la applicabilità, in assenza di adozione del P.O.C., della normativa nazionale cui sopra si è fatto cenno, neppure potrebbe sostenersi che in attesa della adozione di detto Piano gli impianti in questione non avrebbero potuto essere comunque assentiti, perché il procedimento di rilascio della autorizzazione unica avrebbe subito indeterminati rinvii, mentre il comma 4 del citato art. 12 del d. lgs. n. 387/2003 prevede che il procedimento al riguardo debba concludersi entro 90 giorni.
4.2.- Anche la censura in esame è quindi incondivisibile.
5.- Con il terzo motivo di appello è stato affermato che il provvedimento di convalida della autorizzazione unica, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, che avrebbe dovuto evidenziare le ragioni di pubblico interesse sottostanti alla adozione dell’atto e dare conto della volontà dell’Organo competente di condividere il contenuto della autorizzazione unica ed i sottostanti presupposti.
In difetto sarebbero stati violati i diritti al contraddittorio e alla partecipazione al procedimento dei ricorrenti.
5.1.- Osserva la Sezione che il primo Giudice non ha ritenuto di aderire alla giurisprudenza richiamata dai ricorrenti con i motivi aggiunti, secondo la quale l’atto di convalida del provvedimento impugnato è tale da provocare un immediato pregiudizio per gli interessati verso i quali deve essere garantito il rispetto delle garanzie partecipative. Ciò in quanto la disposizione volta a sanare il vizio di competenza, l’art. 6 della l. n. 249/1968, è stata considerata norma eccezionale e quindi non superata da norme generali successive, considerato altresì non si ravvisava quale utilità avrebbero tratto gli interessati dalla partecipazione ad un procedimento con il quale il Dirigente aveva fatto proprio un atto già emanato.
Neppure ha ritenuto il T.A.R che fosse necessario esplicitare il pubblico interesse ad esercitare detto potere correttivo attribuitole dalla legge in relazione ad uno specifico vizio, perché sussistente in “re ipsa”.
Al riguardo premette il Collegio che in via generale è sicuramente ammissibile la convalida di un atto nelle more del giudizio, in virtù delle disposizioni contenute nell'art. 21 nonies della l. n. 241/1990. D'altro canto, la disposizione contenuta nell'art. 6 delle l. n. 249/1968 (tuttora vigente e certamente compatibile con le disposizioni contenute nella l. n. 241/1990) consente la convalida o la ratifica degli atti viziati da incompetenza anche in pendenza di gravame, in sede amministrativa o giurisdizionale, anche di appello, con la sola esclusione dell'ipotesi che sia intervenuta una sentenza passata in giudicato.
Al Ciò posto, la Sezione condivide al riguardo l'avviso espresso dal primo Giudice in ordine alla sostanziale irrilevanza dell'omissione, non emergendo in alcun modo se e quale utilità le parti ricorrenti avrebbero potuto conseguire da un'eventuale partecipazione al procedimento di convalida.
Allo stato del procedimento amministrativo e giurisdizionale in atto al momento della adozione dell’atto di ratifica non sembra infatti che alcun elemento concreto avrebbe potuto derivare dalla formale comunicazione di avvio del procedimento di convalida della autorizzazione unica (Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 maggio 2010, n. 3121).
Quanto alla mancata indicazione del pubblico interesse sottostante alla adozione dell’atto di convalida osserva la Sezione che per effetto dell'art. 21 nonies della l. n. 241/1990 (che, al comma 2, stabilisce che “È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”) è consentito di convalidare il provvedimento annullabile non solo per incompetenza ma anche per aspetti sostanziali della funzione amministrativa e, conseguentemente, di addurre presupposizioni, giustificazioni e motivazioni ulteriori rispetto a quelle contenute nel provvedimento convalidato.
Nel secondo caso è necessaria la esplicita indicazione del pubblico interesse.
Nel primo caso invece il provvedimento di mantenimento in vita di provvedimenti affetti soltanto da un vizio di carattere formale, come quello di incompetenza, non necessita di particolare, dettagliata motivazione al riguardo (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 maggio 2009 n. 3371). Stante la “ratio” di detto art. 21 nonies, volta a mantenere in vita provvedimenti affetti da vizi solo formali, è infatti inutile (stante il principio di economia dei mezzi giuridici, anche processuali) la esternazione intesa a far percepire se, nell'emendare il vizio di incompetenza dell'organo privo di legittimazione, l'organo a legittimazione naturale all'adozione dell'atto l'abbia ratificato sotto la spinta di effettive esigenze a valenza pubblicistica, non sussistendo altre ragioni sottostanti all’adozione del provvedimento; la indicazione esplicita della sussistenza del pubblico interesse sarebbe quindi del tutto superflua, sussistendo il potere dovere del dirigente competente di sanare il provvedimento in questione.
Anche le censure in esame non sono quindi suscettibili di positiva valutazione.
6.- Con il quarto motivo di gravame è stato affermato che erroneamente il T.A.R. ha ritenuto che i ricorrenti avessero lamentato, con riguardo al sesto motivo di ricorso, la mancanza di un idoneo titolo in merito alla disponibilità dell’area dove avrebbe dovuto sorgere l’impianto (e al riguardo la sentenza impugnata non conterrebbe statuizioni).
In effetti era stata dedotta la mancata disponibilità dell’area al momento di presentazione della domanda e la mancanza dell’idoneo titolo (permesso di costruire) per la costruzione dell’impianto e delle opere connesse, che dovevano corredare l’istanza per il rilascio dell’autorizzazione unica, ai sensi del punto 13, comma 1, lettere c) e d), del D.M. 10 settembre 2010.
La società interessata aveva allegato alla istanza solo un atto notorio facente riferimento ad una promessa di vendita di una area, che peraltro non è pervenuta a buon fine perché è stato poi prodotto un contratto di affitto agrario.
6.1.- Osserva la Sezione che la disposizione sopra citata richiede che per la realizzazione degli impianti come quello di specie debba essere “…allegata la documentazione da cui risulti la disponibilità dell’area su cui realizzare l’impianto e delle opere connesse, comprovate da titolo idoneo alla costruzione dell’impianto e delle opere connesse…”
Per “titolo idoneo” non può intendersi, in base a principi di logica giuridica, solo il “permesso di costruire” perché detto art. 13 riguarda i contenuti minimi dell’istanza di autorizzazione unica ed è illogico pretendere, per principi di economia procedimentale, già il possesso di detto permesso quando ancora non è dato sapere se l’istanza sarà accolta o meno.
Più propriamente “titolo idoneo” può essere inteso come disponibilità giuridica di una area che fosse potenzialmente idonea a consentire il rilascio del titolo edilizio necessario per la costruzione dell’impianto e delle opere connesse.
Aggiungasi che, ex art. 12, comma 4 bis, del d. lgs. n. 387/2003, era consentito dimostrare anche nel corso del procedimento il possesso del titolo, sicché esso, già costituito dalla promessa di vendita, è stato poi nel caso di specie legittimamente sostituito da un contratto di affitto di fondi rustici (idoneo ad ottenere titoli abilitativi edilizia ex art. 21 della l.r. n. 19/2009), con produzione del secondo atto prima della adozione del provvedimento di autorizzazione unica.
Anche le censure in esame sono quindi incondivisibili.
7.- Con il quinto motivo di appello è stato dedotto che la motivazione contenuta in sentenza, con riferimento al settimo motivo di ricorso, sarebbe erronea perché l’autorizzazione unica non potrebbe considerarsi quale variante allo strumento urbanistico, non essendo di spettanza comunale, e perché comunque la pianificazione del territorio comunale avrebbe dovuto tradursi nella redazione di un P.O.C..
7.1.- Osserva in proposito la Sezione che l’art. 12, comma 3, del d. lgs. n. 387/2003 stabilisce che la autorizzazione unica “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico”, sicché è smentita la prima delle sopra riportate censure.
Quanto alla necessità della previa pianificazione mediante redazione del P.O.C., la Sezione non può che rimandare alle considerazioni in precedenza svolte circa la applicabilità della normativa statale del vigente P.R.G. ai fini del rilascio della autorizzazione unica, pur in assenza della l. r. attuativa delle Direttive comunitarie e del P.O.C..
Le censure in esame sono quindi insuscettibili di assenso.
8.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
9.- Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.
Pone in solido a carico delle parti appellanti, le spese e gli onorari del presente grado, liquidati nella complessiva misura di € 4.000,00 (quattromila/00), a favore del Comune di Zoppola e della Società Agricola Zoppola Biogas s.r.l. resistenti, con ripartizione interna in parti uguali, oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)