TAR Lazio (RM) Sez. I sent. 1028 del 3 marzo 2009
Rifiuti. Termovalorizzatori

Sentenza sul termovalorizzatore di Acerra (segnalazione Avv. M. Ballettta)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Prima
composto dai Magistrati:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Antonino SAVO AMODIO Consigliere rel.
Mario Alberto di NEZZA I Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 2567 del 2008 Reg. Gen., proposto dal Comune di Acerra, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Balletta, con il quale elettivamente domicilia in Roma, Via degli Scipioni n. 268/A (studio legale Petretti);
contro
- la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del rappresentante legale p.t., ed il Commissario per l’emergenza rifiuti in Campania p.t., rappresentati e difesi dall\'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
- la Regione Campania, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall\'avv. Alberto Armenante, con il quale elettivamente domicilia in Roma, Via Poli n. 29, presso l’Ufficio di rappresentanza della stessa;
con l’intervento ad opponendum
di FIBE S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Dell’Anno, Ennio Magrì e Giovanni Benedetto Carbone, con i quali elettivamente domicilia in Roma, Via Umberto Saba n. 54/c;
per l’annullamento
a) con il ricorso:
dell’art. 4 dell’O.P.C.M. 20 febbraio 2008 n. 3657, recante “Disposizioni urgenti per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e per consentire il passaggio alla gestione ordinaria”, pubblicata sulla G.U. 29 febbraio 2008 n. 51;
b) con la prima serie di motivi aggiunti:
dell’art. 5 commi 1 e 2 D.L. 23 maggio 2008 n. 90, recante “Disposizioni straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile”, pubblicato sulla G.U. 23 maggio 2008 n. 120;
c) con la seconda serie di motivi aggiunti:
dell’art. 5 commi 1, 2 e 2-bis D.L. 23 maggio 2008 n. 90, convertito in L. 14 luglio 2008 n. 123, pubblicato sulla G.U. 16 luglio 2008 n. 165;
visto il ricorso con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate e dell’interventore;
visti i motivi aggiunti;
visti gli atti tutti di causa;
nominato relatore il consigliere Antonino Savo Amodio e uditi, all’udienza del 17 dicembre 2008, gli avvocati come da relativo verbale;
ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F A T T O
Il Comune di Acerra espone che, con ordinanza del Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania (in seguito: il Commissario) 12 giugno 2000 n. 161, veniva approvata la localizzazione in esso di un impianto di termovalorizzazione di combustibile derivato dal rifiuti (CDR).
Con successiva ordinanza 23 maggio 2002 n. 184 veniva approvato il progetto esecutivo. Con il parere 9 febbraio 2005 il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio si esprimeva favorevolmente in ordine all’aggiornamento della compatibilità ambientale del termovalorizzatore, subordinando il suo assenso al rispetto di una serie di prescrizioni.
Quest’ultimo provvedimento era fatto oggetto di impugnativa giurisdizionale da parte dell’Ente locale, impugnativa che culminava con una sentenza di rigetto del T.A.R. Campania, I Sez., (n. 20691 del 2005), confermata in appello (sentenza n. 4935 del 2007).
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, in particolare con l’art. 4, si è provveduto ad autorizzare nell’impianto in questione il trattamento e lo smaltimento di rifiuti contraddistinti dai codici CER 191212, 190501 e 190503.
Avverso tale determinazione il Comune di Acerra ha proposto ricorso deducendo:
1) Violazione dell’art. 5 comma 2 L. 24 febbraio 1992 n. 225. Violazione della direttiva comunitaria 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti. Il provvedimento impugnato violerebbe l’art. 12 comma 1 della direttiva epigrafata, il quale prevede la previa pubblicità delle domande di autorizzazione per impianti di trattamento dei rifiuti.
Il vizio discenderebbe dal fatto che l’impugnato art. 4 avrebbe natura autorizzatoria e, quindi, prima della sua emanazione, avrebbe necessitato di una fase di consultazione degli interessati.
2) Ulteriore violazione dell’art. 5 comma 5 L. n. 225 cit., atteso che, applicandosi all’impianto de quo la parte IV del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152, che prevede un’autorizzazione unica alla costruzione e gestione di esso, e non essendo stata ancora emanata l’autorizzazione alla gestione, l’ordinanza avrebbe dovuto esplicitamente dichiarare di derogare alle disposizioni – segnatamente l’art. 210 - che prevedevano una siffatta autorizzazione.
3) Violazione dell’art. 3 L. 7 agosto 1990 n. 241, atteso che l’ordinanza impugnata, per prescrivendo il rispetto dei livelli di emissione inquinanti, non sarebbe il frutto di un’adeguata istruttoria.
Per giunta, tali livelli non sarebbero stati ancora fissati, avendo l’Amministrazione concesso la sola autorizzazione alla costruzione dell’impianto, priva, ratione materiae, delle suddette indicazioni.
4) Ulteriore violazione dell’art. 5 L. n. 225 cit., non essendosi tenuto conto delle prescrizioni rese con l’aggiornamento del parere di compatibilità ambientale rilasciato il 9 febbraio 2005.
5) Nullità per violazione della sentenza T.A.R. Campania n. 20691 del 2005, resa sul presupposto – dal quale ci si sarebbe illogicamente discostati – che l’impianto in questione non poteva essere utilizzato che per il CDR.
6) Violazione dell’art. 5 L. n. 225 cit., difettando l’ordinanza impugnata di un termine finale di efficacia.
Il Comune di Acerra, con una prima serie di motivi aggiunti, ha impugnato l’art. 5 commi 1 e 2 D.L. 23 maggio 2008 n. 90, che ha recepito, elevandolo al rango di norma primaria, il contenuto dell’ordinanza oggetto dell’atto introduttivo del giudizio.
A seguito della pubblicazione della relativa legge di conversione – 14 luglio 2008 n. 123 – ha esteso l’impugnativa a quest’ultima e, segnatamente, all’art. 5 commi 1, 2 e 2-bis, avverso i quali deduce:
1) Violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 9 della direttiva comunitaria 96/61/CE e agli artt. 2 e ss. della direttiva 85/337/CE. Violazione dell’art. 3 della Costituzione, atteso che la norma impugnata, nell’autorizzare il trattamento di ulteriori tipologie di rifiuti, comporterebbe una deroga al precedente parere di compatibilità ambientale, che contrasterebbe con le disposizioni recate dalle direttive epigrafate, che non prevederebbero forme di autorizzazione in deroga.
Trattandosi di una modifica di carattere sostanziale del progetto sottoposto all’aggiornamento del parere del 9 febbraio 2005, il procedimento di valutazione dell’impatto ambientale avrebbe dovuto essere interamente rinnovato.
In ogni caso, il progetto de quo non rientrerebbe in alcuno dei casi di esenzione dalla v.i.a. previsti dagli artt. 1 comma 5 e 2 comma 3 della direttiva 85/337/CE, non avendo neppure fornito il particolare procedimento partecipativo degli interessati previsto dalla seconda norma citata.
Il vizio discenderebbe dal fatto che l’impugnato art. 4 avrebbe natura autorizzatoria e, quindi, prima della sua emanazione, avrebbe necessitato di una fase di consultazione degli interessati.
2) Violazione degli artt. 11 e 117 Cost. in relazione ai principi codificati dall’art. 191 del Trattato U.E., degli artt. 3-bis e 3-ter D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152, risultando violato il principio della precauzione e dell’azione preventiva, della correzione in via prioritaria dei danni causati all’ambiente, codificati dalle disposizioni epigrafate.
3) Violazione dell’art. 117 Cost. in relazione agli artt. 12 comma 1 della direttiva 2000/76/CE e 15 D.L.vo 11 maggio 2005 n. 133, essendo totalmente mancata la preventiva fase di consultazione degli interessati.
4) Violazione degli artt. 11 e 117 Cost. in relazione agli artt. 15 comma 1 della direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 e 5 D.L.vo 18 febbraio 2005 n. 59, violazioni concernenti anch’esse la mancata acquisizione delle osservazioni del “pubblico interessato”.
5) Violazione dell’art. 117 Cost. in relazione alla direttiva 85/337/CE, alla direttiva 96/61/CE, atteso che l’impugnata autorizzazione, consentendo di conferire nell’inceneritore rifiuto tal quale, viola il parere di compatibilità ambientale reso nel 2005, pur dichiarando formalmente di averne tenuto conto.
6) Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. in relazione al giudicato formatosi sulla sentenza T.A.R. Campania n. 20691 del 2005, resa sul presupposto – dal quale ci si sarebbe illegittimamente discostati – che l’impianto in questione non poteva essere utilizzato che per il CDR.
7) Violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto l’efficacia dell’ordinanza impugnata travalicherebbe la data di cessazione del dichiarato stato di emergenza (31 dicembre 2009).
8) Violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 4 della direttiva 2000/76/CE, recepito dall’art. 4 comma 3 D.L.vo 11 maggio 2005 n. 133, in quanto l’autorizzazione impugnata non conterrebbe tutti gli elementi di cui alle norme rubricate in punto di controllo delle emissioni nell’atmosfera.
Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Commissario per l’emergenza rifiuti in Campania, i quali, in via preliminare, eccepiscono l’improcedibilità del ricorso, l’inammissibilità dello stesso, con riguardo all’impugnativa diretta di una norma primaria e per carenza di interesse, nonché la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale adombrata dal ricorrente.
E’ presente altresì la Regione Campania.
Ha proposto intervento ad opponendum la Soc. FIBE, eccependo l’improcedibilità del ricorso principale e l’inammissibilità dei motivi aggiunti per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo. Nel merito, controdeduce ai singoli motivi di doglianza.
Il Comune di Acerra ha depositato tre memorie difensive, con le quali, da un lato, eccepisce l’inammissibilità dell’intervento in giudizio della Soc. Fibe per tardività e per carenza di interesse, dall’altro, controdeduce alle eccezioni delle controparti, richiamando, nel merito, quanto esposto con il ricorso e con i motivi aggiunti.
Anche parte resistente ha depositato una memoria conclusionale, nella quale dà notizia della prosecuzione della procedura di scelta del gestore dell’impianto.
D I R I T T O
1) Vanno, in primo luogo, esaminate le due eccezioni di inammissibilità dell’intervento della Soc. Fibe, sollevate sotto il duplice profilo della tardività dello stesso e della carenza di interesse ad ottenere una sentenza di rigetto del ricorso.
L’intempestività dell’intervento è riferita, dal Comune di Acerra, al termine previsto dall’art. 22 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, atteso che, essendo stato notificato in data 25 settembre 2008, esso non avrebbe rispettato il termine a difesa - di venti giorni – rispetto all’udienza di trattazione, fissata per il giorno 8 ottobre 2008.
Il rinvio dell’udienza, su istanza dello stesso ricorrente, comporta il sostanziale superamento dell’eccezione, stante
Infondata, è, invece, la questione adombrata circa un difetto di interesse di Fibe a stare in giudizio.
In proposito, è sufficiente osservare che è lo stesso ricorrente ad ammettere che l’interventore ha l’obbligo di completare i lavori del termovalorizzatore: appare evidente che la circostanza appena riferita è sufficiente a radicare un interesse di mero fatto - di portata infinitamente minore rispetto alla titolarità di un interesse legittima – che legittima l’intervento adesivo dipendente.
2) Passando alle eccezioni sollevate da parte resistente e dalla Soc. Fibe, esse attengono:
a) all’inammissibilità dell’impugnativa per carenza di interesse, avendo il Comune dato conto dell’esistenza di un pregiudizio meramente potenziale derivante dal funzionamento dell’impianto di termovalorizzazione, a fronte di una giurisprudenza che consentirebbe di agire solo subordinatamente alla dimostrazione di un effettivo danno arrecato all’ambito territoriale di competenza;
b) all’improcedibilità del ricorso introduttivo, causata dalla sopravvenienza di una disposizione di legge, integralmente riproduttiva del contenuto dell’ordinanza impugnata, contenuto che, perciò stesso, avrebbe assunto il rango di norma primaria;
c) all’inammissibilità/improcedibilità dei motivi aggiunti, siccome proposti direttamente nei confronti di una norma di legge.
Palesemente infondata è l’eccezione di cui alla lett. a).
In proposito, è sufficiente osservare che il Comune agisce per l’annullamento di un atto di autorizzazione alla gestione dell’impianto in deroga alle prescrizioni contenute nel parere di compatibilità ambientale, precedentemente rilasciato.
L’Ente, in particolare, denuncia l’impossibilità dell’inceneritore di rispettare i parametri di emissione imposti dal suddetto parere e, ancor prima, dalla normativa comunitaria. Tale prospettazione risulta, inoltre, accompagnata dall’allegazione di un principio di prova di quanto affermato.
Appare evidente, pertanto, che, nella specie, sono già presenti i presupposti per portare all’attenzione del giudice amministrativo un atto potenzialmente lesivo della sfera di interesse (collettivo) dell’ente locale, risultando altresì del tutto logico e coerente che l’azione giudiziaria venga proposta ben prima dell’attivazione dell’impianto.
Nell’ordine logico di trattazione occorre quindi affrontare con priorità la questione di cui al punto c).
Come esposto nell’epigrafe e nella parte in fatto, il Comune di Acerra ha proposto una prima serie di motivi aggiunti, rivolti avverso l’art. 5 commi 1 e 2 del D.L. n. 90 cit., ed una seconda, avverso il medesimo art. 5, intanto convertito, con modificazioni, nella L. n. 123 cit..
Non vi sono dubbi, intanto, che i motivi aggiunti proposti avverso la decretazione d’urgenza, in disparte ogni considerazione circa la loro inammissibilità in radice (il che non è, per le considerazioni che si andranno a fare in prosieguo), sono comunque improcedibili, atteso che l’art. 5 del D.L. è stato convertito in legge, per giunta con modificazioni, sicché è il testo licenziato dal Parlamento che può essere sottoposto ad uno scrutinio di legittimità.
A questo punto si innesta la successiva e connessa questione, riguardante la possibilità che oggetto di impugnazione diretta sia una norma primaria.
Tale possibilità, invero, seppure, di regola, va esclusa in radice, nella specie assume una caratterizzazione particolare, a causa del contenuto e della natura di legge-provvedimento della disposizione in esame, sicché quella che, formalmente, appare essere un’impugnazione diretta della legge, in realtà ha il compito e la funzione di consentire di estendere la cognizione del giudice adito ad una norma sopravvenuta, al fine di provocarne l’intervento nei soli termini e limiti, in cui l’ordinamento lo consente: sollevare, ricorrendone le condizioni, il giudizio incidentale di costituzionalità.
In tale ottica, si comprende agevolmente la ratio sottesa ai contestati motivi aggiunti: ampliare, appunto, il thema decidendum e, nel contempo, assolvere all’onere di prospettare le ragioni di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità espressamente sollecitata dal Comune di Acerra.
A ciò deve aggiungersi che quest’ultimo deduce anche un contrasto della normativa primaria sopravvenuta con principi di rango comunitario, il che comporterebbe, in caso di condivisione delle prospettazioni attoree, la possibilità (e l’obbligo) del giudice di disapplicare le disposizioni interne per la prevalenza da riconoscere al diritto comunitario.
In conclusione, per quel che attiene ai profili di costituzionalità, il problema si risolve, quindi, nello stabilire se sussistano i due elementi – della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione – che consentono al Collegio di rinviare la norma di legge in questione al vaglio della Corte costituzionale.
Cominciando dalla rilevanza, deve essere disattesa la riferita eccezione di difetto di incidentalità [riferita sub b)].
La Sezione si è recentemente occupata di tale profilo con riguardo proprio ad una legge provvedimento (ordinanza 16 ottobre 2008 n. 1223), pervenendo a conclusioni che sono meritevoli di essere confermate in questa sede e che testualmente si trascrivono:
“L’emanazione delle ridette norme primarie rende allo stato improcedibile il ricorso, onde la rimozione di tale elemento sopravvenuto consentirebbe la riespansione del sindacato del giudice amministrativo sugli atti impugnati. Ciò che attesta l’incidentalità del giudizio di legittimità costituzionale rispetto a quello principale (v. da ultimo Corte cost. 2 luglio 2008, n. 241; quand’anche le norme in argomento potessero esser ricondotte alla categoria delle c.d. “leggi autoapplicative”, andrebbe comunque condiviso l’orientamento che propende per la possibilità di accedere al sindacato incidentale della Corte attraverso l’instaurazione di una lis ficta, rimanendo in tal caso rispettato il principio di necessaria pregiudizialità tra giudizio di costituzionalità e giudizio comune).”
“Questa Sezione ha avuto di recente modo di soffermarsi sulla configurazione del requisito della rilevanza nell’ipotesi di leggi-provvedimento.”
“Segnatamente, nella sentenza 21 aprile 2008, n. 3356, è stato affrontato il problema della “sindacabilità di una previsione legislativa, che, in quanto volta a disciplinare una concreta ed individuabile fattispecie, assume connotazione concretamente provvedimentale”, con la conseguenza che “una determinazione, in luogo di essere veicolata dall’adozione di un atto (provvedimento) amministrativo, si trova invece ad essere introdotta […] ad opera di un atto formalmente legislativo”.”
“Ricordato che la Corte costituzionale in linea di principio riconosce l’ammissibilità delle leggi-provvedimento (a fronte sia dell’insussistenza di una riserva di amministrazione sia dell’impossibilità di configurare per il legislatore limiti diversi da quelli, formali, dell’osservanza del procedimento di formazione delle leggi), la Sezione ha rilevato come il sistema delle garanzie di tutela giurisdizionale a fronte di tale categoria di atti normativi abbia trovato soluzione nell’elaborazione della Corte costituzionale, allorquando afferma che “i diritti di difesa del cittadino, in caso di approvazione con legge di un atto amministrativo lesivo dei suoi interessi, non vengono sacrificati, ma si trasferiscono, secondo il regime di controllo proprio del provvedimento normativo medio tempore intervenuto, dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale” (Corte cost. 16 febbraio 1993, n. 62). Il sistema di tutela segue cioè la natura giuridica dell’atto contestato, sicché la legge, ancorché avente contenuto di provvedimento amministrativo, può essere sindacata, previa intermediazione del giudice rimettente, esclusivamente dal suo giudice naturale (la Corte Costituzionale).”
“Si tratta di una ricostruzione concettuale che “valorizza la pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, ancor più incisivo di quello giurisdizionale sull’eccesso di potere; e finisce, quindi, per riconoscere al privato, seppur nella forma indiretta della rimessione della questione da parte del giudice amministrativo, una forma di protezione ed una occasione di difesa pari a (se non maggiore di) quella offerta dal sindacato giurisdizionale”.”
“Dal punto di vista dei rapporti tra i due giudizi, inoltre, se rimane ferma la centralità dell’apprezzamento del giudice comune in punto di non manifesta infondatezza, “assume, invece, connotazione decisamente depotenziata la (preliminare) valutazione in ordine alla rilevanza della questione (pure in linea di principio contemplata, ai fini in discorso, dall’ordinamento), in quanto essa, in presenza di leggi-provvedimento altrimenti insindacabili dal giudice di legittimità, è affatto intrinseca nell’esclusiva attribuzione alla Corte costituzionale dello scrutinio di legittimità della disposizione (formalmente) legislativa ma avente sostanza di atto amministrativo”. E ciò in quanto “se è vero che il sistema di tutela segue la natura giuridica dell’atto contestato […], allora – necessariamente – la rilevanza della questione finisce per dimostrarsi […] in re ipsa, pena, altrimenti, un ‘vuoto’ di tutela direttamente confliggente con i postulati costituzionali di cui agli artt. 24 e 113”.”
Accertata la rilevanza della questione, occorre passare ad esaminarne la non manifesta infondatezza, affrontando, congiuntamente ad essa, anche i denunciati profili di contrasto con i principi comunitari, al fine della disapplicazione della normativa interna.
A) Con il primo motivo di doglianza si denuncia la violazione degli artt. 3 e 117 Cost. in relazione all’art. 9 della direttiva comunitaria 96/61/CE e agli artt. 2 e ss. della direttiva 85/337/CE.
Si assume, in particolare, che la norma impugnata, nell’autorizzare il trattamento di ulteriori tipologie di rifiuti, avrebbe derogato al precedente parere di compatibilità ambientale, reso il 9 febbraio 2005. Tale determinazione si porrebbe così in contrasto con le disposizioni recate dalle direttive epigrafate, che non prevederebbero forme di autorizzazione in deroga.
Trattandosi di una modifica di carattere sostanziale del progetto sottoposto all’aggiornamento del precedente parere reso, il procedimento di valutazione dell’impatto ambientale avrebbe dovuto essere interamente rinnovato.
In ogni caso, il progetto de quo non rientrerebbe in alcuno dei casi di esenzione dalla v.i.a. previsti dagli artt. 1 comma 5 e 2 comma 3 della direttiva 85/337/CE, non avendo neppure fornito il particolare procedimento partecipativo degli interessati previsto dalla seconda norma citata.
Il vizio discenderebbe dal fatto che l’impugnato art. 4 avrebbe natura autorizzatoria e, quindi, prima della sua emanazione, avrebbe necessitato di una fase di consultazione degli interessati.
La censura è infondata.
Occorre partire dal testo della norma primaria: essa prevede il conferimento ed il trattamento di specifici rifiuti (individuati con i relativi codici), stabilendo, per quel che rileva in questa sede, una deroga al parere della Commissione di valutazione dell’impatto ambientale reso il 9 febbraio 2005, “fatte salve le indicazioni a tutela dell’ambiente e quelle concernenti le implementazioni impiantistiche migliorative contenute nel medesimo parere e nel rispetto dei limiti di emissione ivi previsti”.
Deve escludersi, in primo luogo, la sussistenza di una violazione dei principi comunitari.
E’ agevole osservare, in proposito, che tanto la direttiva n. 85/337/CE, quanto la n. 96/61/CE, conformemente alla loro natura di atti destinati ad orientare ed a conformare la normativa interna dei singoli Stati, fissano un obiettivo al quale questi ultimi devono tendere, lasciandoli, per il resto, liberi di introdurre le modalità procedurali che meglio si inseriscono nei loro rispettivi ordinamenti.
In via subordinata, deve altresì osservarsi che, nella specie, ricorre comunque l’esenzione di cui all’art. 1, quinto comma, della direttiva 85/337/CE, il quale recita:
“La presente direttiva non si applica ai progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo nazionale specifico, inteso che gli obiettivi perseguiti dalla presente direttiva, incluso l’obiettivo della disponibilità delle informazioni, vengono raggiunti tramite la procedura legislativa.”.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, infatti, la norma in oggetto costituisce l’“atto legislativo specifico” richiesto per operare in deroga, atteso che esso risulta approvato dal Parlamento.
Quanto, poi, alla necessità di prevedere una consultazione popolare, prima di far luogo alla “modifica” del parere più volte citato, occorre chiedersi se, effettivamente, sotto un profilo strettamente contenutistico, ci si trovi di fronte ad un nuovo parere, così come asserito dal Comune di Acerra, che avrebbe comportato una riapertura dell’intero procedimento valutativo.
L’esame del testo dell’art. 5 comma 1 D.L. n. 90 cit. porta ad escludere la conclusione sostenuta dal ricorrente, atteso che l’inciso innanzi riportato (“fatte salve le indicazioni…”) fa chiaramente ed univocamente propendere per la sostanziale invarianza della portata ambientale e delle relative prescrizioni dettate nel parere 9 febbraio 2005, limitandosi la disposizione di legge a consentire il conferimento di un particolare tipo di rifiuto.
Tale innovazione non modifica i parametri di riferimento del parere in questione, solo che si tenga presente, in diritto, che il ricorrente non indica alcuna norma che imponga l’uso di CDR, quale individuato dal D.M. 5 febbraio 1998, per l’alimentazione degli impianti di termovalorizzazione (nel che consiste la deroga legislativa al precedente parere), ed, in fatto, che non risulta confutata l’affermazione di parte resistente circa la possibilità dell’impianto de quo di ricevere rifiuti cd. “tal quale”.
Quanto, poi, alla testimonianza resa dal Direttore generale del Ministero dell’ambiente – circa il possibile inquinamento atmosferico da diossina -, portata a supporto della tesi attorea, è agevole osservare che essa si scontra con la precisa previsione legislativa circa “il rispetto dei limiti di emissione” previsti nel parere 9 febbraio 2005, sicché, almeno sul piano letterale e normativo (che è, poi, quello che rileva in questa sede, dovendosi verificare la conformità alla Costituzione della legge), essa risulta smentita in fatto.
B) Quanto detto consente di confutare agevolmente la seconda doglianza, con la quale si denuncia, come conseguenza, appunto, di un’illegittima modifica del parere v.i.a., la violazione del principio della precauzione e dell’azione preventiva, nonché della correzione in via prioritaria dei danni causati all’ambiente, codificati dalle disposizioni epigrafate.
E’ evidente, infatti, che l’inciso innanzi riportato, circa la sostanziale invarianza delle emissioni nocive e del sostanziale rispetto delle prescrizioni ambientali già imposte, comporta l’insuscettibilità di ogni ricaduta pregiudizievole dell’autorizzato conferimento dei rifiuti.
C) Analogamente, l’esclusione dell’integrale sostituzione del parere v.i.a. comporta l’infondatezza del terzo e del quarto motivo, con i quali si denuncia la mancanza della preventiva fase di pubblicazione del progetto dell’impianto e della conseguente consultazione degli interessati.
In ogni caso, in fatto, l’impugnato art. 5 del D.L. n. 90 prevede espressamente la messa a disposizione degli interessati di tutte le informazioni riguardanti le autorizzazioni rilasciate ai sensi dei commi precedenti, vale a dire, rispettivamente, quella al conferimento ed al trattamento dei rifiuti “tal quale” e quella all’esercizio dell’impianto stesso, prevedendo altresì l’informazione alla Commissione europea, proprio in applicazione della direttiva 85/337/CE, invocata a sostegno dal Comune ricorrente.
D) Neppure condivisibile è la prospettazione recata dal quinto motivo, con cui si denuncia un presunto contrasto logico nel testo normativo, che, da un lato, dichiarerebbe di tenere conto del parere di compatibilità ambientale reso nel 2005, ma, dall’altro, in deroga ad esso, consentirebbe di conferire all’inceneritore rifiuti tal quale.
La lettura della disposizione impugnata consente di ricostruirne fedelmente la portata, che è di fare salve le prescrizioni ambientali (e, segnatamente, quelle riguardanti il livello di emissioni) dettate dal parere 9 febbraio 2005, ampliando, nel contempo, la sfera dei rifiuti conferibili all’impianto de quo. Tale operazione è stata condotta sul presupposto della piena compatibilità fra i due aspetti evidenziati, presupposto che, come si è detto, non risulta confutato in senso sostanziale dal Comune, il quale si è limitato a denunciare la violazione di norme procedimentali ed il mero contrasto con il precedente parere stesso.
E) La novella legislativa non risulta neppure violativa del giudicato formatosi sulla sentenza T.A.R. Campania n. 20691 del 2005, come confermata in appello.
In proposito, è sufficiente osservare che la suddetta decisione, concludendo per la legittimità proprio del parere 9 febbraio 2005, si è limitata ad affermare che l’impianto in parola non potesse che ricevere rifiuti “del tipo previsto dalla normativa vigente”. “L’anomalia” – prosegue la citata sentenza – “denunciata dal Comune ricorrente implica che il materiale prodotto non può essere utilizzato nell’impianto, a meno che non sia adeguato ai requisiti per la qualificazione del CDR e quindi per il suo impiego ai fini della termovalorizzazione”.
L’ultimo inciso, nella specie, assume una valenza decisiva, atteso che, come si è detto in precedenza, il Comune ricorrente non ha dato contezza alcuna della sussistenza di norme primarie che vietino il conferimento dei rifiuti espressamente indicati nell’art. 5 D.L. n. 90 cit. presso l’impianto di Acerra, né, tantomeno, dell’inidoneità tecnica di quest’ultimo a riceverli.
F) Con il settimo motivo si denuncia il contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto l’efficacia delle norme di legge travalicherebbe la data di cessazione del dichiarato stato di emergenza (31 dicembre 2009), fissato dall’art. 19 del medesimo D.L. 23 maggio 2008 n. 90.
In proposito, è sufficiente osservare che il termine innanzi detto è espressamente individuato per l’esercizio dei poteri straordinari – e, specificatamente, di quelli di ordinanza in deroga – previsti dall’art. 5 L. 24 febbraio 1992 n. 225; esso, pertanto, non assume rilievo allorché una norma anch’essa primaria, e, quindi, di pari rango, fa luogo al rilascio di un provvedimento autorizzatorio, che, quindi, è destinato ad avere la naturale efficacia temporale sua propria, “fatti salvi”, come espressamente prevede la disposizione sub iudice, “i rinnovi autorizzativi” previsti dal decreto legislativo 18 febbraio 2005 n. 59.
G) Nella specie, non si configura neppure la dedotta violazione di disposizioni costituzionali o comunitarie per via della mancata indicazione legislativa degli elementi concernenti i limiti di emissione e le relative modalità di controllo periodico, nonché la quantità complessiva di rifiuti conferibili.
In proposito, è sufficiente osservare che, almeno formalmente (ma, invero, la censura a questo aspetto si riduce), i “limiti” innanzi evidenziati sono specificamente indicati attraverso un rinvio per relationem al parere 9 febbraio 2005, mentre la quantità di rifiuti conferibile è testualmente indicata, nella misura massima, dalla legge stessa (in non più di 600.000 tonnellate annue).
3) In conclusione, in base alle considerazioni esposte, la questione di legittimità costituzionale prospettata dal Comune di Acerra risulta manifestamente infondata, così come non si riscontra alcun contrasto delle norme interne con i principi comunitari.
Ciò determina l’improcedibilità del ricorso introduttivo, rivolto avverso un provvedimento definitivamente travolto dalla novella legislativa.
Quanto alle spese di giudizio, sussistono giusti motivi per disporne l’integrale compensazione fra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima, dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe indicato.
Compensa integralmente fra le parti spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008.
Giorgio GIOVANNINI presidente
Antonino SAVO AMODIO consigliere est.