TAR VENETO, Sez. III sent. 149 del 26 gennaio 2010
Rifiuti. Sottoprodotti
La nozione di rifiuto non dipende solamente dalla presenza o meno, nei residui da lavorazioni, di sostanze potenzialmente idonee ad un successivo utilizzo e dalla concorrente volontà di utilizzare dette sostanze.Pertanto affinché un residuo di produzione possa essere sottratto alla qualifica di rifiuto è necessario che esso sia riutilizzato in maniera certa nel corso del medesimo processo di produzione, in assenza di un trattamento preventivo o di trasformazioni preliminari, ed è quest’ultima condizione che difetta nel caso all’esame poiché, come sopra precisato, è pacifico che la ricorrente procede all’estrazione del ferro dai residui di produzione mediante il loro trattamento.
Rifiuti. Sottoprodotti
La nozione di rifiuto non dipende solamente dalla presenza o meno, nei residui da lavorazioni, di sostanze potenzialmente idonee ad un successivo utilizzo e dalla concorrente volontà di utilizzare dette sostanze.Pertanto affinché un residuo di produzione possa essere sottratto alla qualifica di rifiuto è necessario che esso sia riutilizzato in maniera certa nel corso del medesimo processo di produzione, in assenza di un trattamento preventivo o di trasformazioni preliminari, ed è quest’ultima condizione che difetta nel caso all’esame poiché, come sopra precisato, è pacifico che la ricorrente procede all’estrazione del ferro dai residui di produzione mediante il loro trattamento.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00149/2010 REG.SEN.
N. 00678/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 678 del 2009, proposto da:
Riva Acciaio Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Clementi e Francesca Maggiolo, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Venezia-Mestre, corso del Popolo, 70;
contro
Comune di Verona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni R. Caineri, Giovanni Michelon, Fulvia Squadroni, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R.;
per l'annullamento
- dell’ordinanza n. 06/10/115/2008 del 19 dicembre 2008 n. 2096 del Dirigente del C.d.R. Ambiente del Comune di Verona, notificato alla Riva Acciaio Spa il 22 dicembre 2008;
- ove occorra, della lettera dell’11 febbraio 2009 prot. n. 34685, di conferma della predetta ordinanza.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Verona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2009 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori Pietro Clementi per la parte ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Società ricorrente è proprietaria di un’acciaieria sita nel Comune di Verona che produce acciaio in seguito a fusione, con forno elettrico, di materia prima ferrosa.
Dal processo produttivo residuano dei materiali che vengono depositati sul terreno di proprietà.
Dal materiale depositato la ditta è in grado di ricavare dei residui ferrosi nella quantità di circa l’1 o il 2% (secondo stime della stessa ricorrente) reimpiegati nel processo produttivo.
La Provincia di Verona con determinazione n. 4480/07 del 20 agosto 2007, ha respinto la domanda presentata dalla Società ricorrente per la messa in riserva, cernita e trattamento di scorie di acciaieria destinate al recupero.
Nell’ambito di tale procedimento amministrativo, anche a seguito di sopralluoghi effettuati dall’Arpav, è emerso che la ditta provvede “allo scarico delle scorie all’interno della zona di stoccaggio e alla loro cernita per creare cumuli contigui di altezza di circa 3 metri, che in seguito dette scorie subiscono un raffreddamento ed una maturazione per un periodo di circa 20 giorni, mediante idratazione naturale della calce libera di cui sono ricche, in modo da poter essere caricate sui mezzi di trasporto e conferite al riutilizzo come sottofondi stradali. Una volta raffreddate le scorie vengono ridotte di dimensioni e sottoposte a deferrizzazione con apposito magnete ed il ferro separato viene rinviato in ciclo di fonderia”.
In quella sede si è pertanto ritenuto che la ditta in tal modo dia luogo non ad un mero deposito provvisorio di residui delle lavorazioni, ma ad un vero e proprio impianto di recupero di rifiuti non pericolosi.
Il Comune di Verona ha conseguentemente attivato un procedimento volto a verificare se le modalità di gestione delle scorie rispettano le condizioni prescritte dalla normativa vigente per una regolare attività di deposito temporaneo di rifiuti da parte del produttore (cfr. art. 183, comma 1, lett. m).
L’Arpav incaricata dal Comune con nota P.G. del 28 novembre 2008 ha comunicato la necessità di ordinare alla Società di adottare specifiche misure di gestione delle scorie volte a consentire un controllo finalizzato a determinare con esattezza la durata del deposito e la quantità del materiale depositato.
Il Comune, recependo tali indicazioni, con ordinanza n. 06/10/115/2008 del 19 dicembre 2008 n. 2096 ha disposto che la ditta provvedesse, entro 40 giorni:
- a svuotare completamente il piazzale delle scorie in modo da avere un punto di partenza per il calcolo esatto sulla quantità e sul tempo di permanenza dei rifiuti in sito;
- a separare e distinguere i cumuli di scorie da deferrizzare da quelli delle scorie già deferrizzate;
- a definire il luogo dove è effettuata l’operazione di deferrizzazione;
- ad effettuare in maniera corretta le annotazioni sui registri di carico e scarico;
- a comunicare preventivamente ogni operazione effettuata.
Con il ricorso in epigrafe la ricorrente impugna tale provvedimento per le seguenti censure:
I) violazione degli artt. 181, 182 e 183 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, erroneità dei presupposti e carenza di motivazione, con il quale lamenta l’erronea qualificazione come rifiuti dei residui di lavorazione dai quali è tratta nuovamente della materia prima;
II) violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, per l’erronea qualificazione come rifiuto di un materiale di cui la Società ricorrente, prima della deferrizzazione, non si sia ancora disfatto, non abbia ancora abbia deciso di disfarsi e non abbia ancora l’obbligo di disfarsi;
III) violazione degli artt. 177 e ss. del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dei principi nazionali e comunitari che privilegiano il recupero dei materiali riutilizzabili.
Si è costituito in giudizio il Comune di Verona concludendo per la reiezione del ricorso.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Con le prime due censure la ricorrente afferma che il provvedimento impugnato erroneamente qualifica come rifiuti i residui da lavorazioni dai quali la Società, attraverso un processo di deferrizzazione, trae materia prima che reimpiega nel ciclo produttivo.
Secondo la tesi prospettata l’appartenenza di tali materiali al ciclo produttivo comporterebbe la possibilità di gestirli liberamente, senza soggiacere a controlli, e di depositarli nelle aree pertinenziali senza limiti di durata o quantità.
L’assunto non merita di essere condiviso.
Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la nozione di rifiuto non dipende solamente dalla presenza o meno, nei residui da lavorazioni, di sostanze potenzialmente idonee ad un successivo utilizzo e dalla concorrente volontà di utilizzare dette sostanze.
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria:
- “il fatto che una sostanza sia un materiale residuale di produzione o di consumo costituisce un indizio che si tratti di un rifiuto e la sola circostanza che una sostanza sia destinata a essere riutilizzata, o possa esserlo, non può essere determinante per la sua qualifica o meno come rifiuto” (cfr. Corte di giustizia CE, Sez. III, 18 dicembre 2007, resa nella causa C-263/05, punto 49);
- “la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica” (cfr. Corte di giustizia CE, 25 giugno 1997, resa nelle cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-C-224/95, punti 47 e 48);
- essendovi “l’obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuti, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (…) è ammesso, alla luce degli obiettivi della direttiva 75/442, qualificare un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo non come rifiuto, bensì come sottoprodotto di cui il detentore non desidera «disfarsi» ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, di tale direttiva, a condizione che il suo riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione” (cfr. Corte di giustizia CE, 11 novembre 2004 resa nella causa C-457/02, punti 45 e 47).
Nello stesso senso si esprime la normativa nazionale la quale, da ultimo modificata dal Dlgs. 16 gennaio 2008, n. 4, che ha apportato disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sia nel testo originario (cfr. l’art. 183, comma 1, lett. n) che nel testo modificato (cfr. l’art. 183, comma 1, lett. p), afferma che non sono soggetti alla disciplina sui rifiuti i sottoprodotti, ovvero i prodotti dell'attività dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale e vengono destinati ad un ulteriore impiego, a condizione che non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari.
Pertanto affinché un residuo di produzione possa essere sottratto alla qualifica di rifiuto è necessario che esso sia riutilizzato in maniera certa nel corso del medesimo processo di produzione, in assenza di un trattamento preventivo o di trasformazioni preliminari, ed è quest’ultima condizione che difetta nel caso all’esame poiché, come sopra precisato, è pacifico che la ricorrente procede all’estrazione del ferro dai residui di produzione mediante il loro trattamento.
Infatti il processo produttivo dell’acciaio svolto dalla ricorrente comporta la formazione di residui dai quali viene estratto del ferro (nella quantità di circa l’1 o il 2% secondo la stima della ricorrente), previo il deposito del materiale nelle aree pertinenziali, per ottenerne il raffreddamento, e l’esecuzione di un’operazione di deferrizzazione per la quale è utilizzato un magnete.
Il ferro così ottenuto è riutilizzato nel processo produttivo, mentre il restante materiale, non riutilizzabile, è recuperato per la realizzazione di sottofondi stradali o conferito in discarica.
Ne discende che il provvedimento impugnato, che ha dettato prescrizioni circa le modalità di gestione delle scorie di acciaieria, si sottrae alle censure proposte con il primo e secondo motivo.
2. Del pari da respingere è anche la censura di cui al terzo motivo, con la quale la ricorrente lamenta che il Comune, in contrasto con le finalità della disciplina comunitaria che tende a privilegiare la riduzione della materia finale da smaltire, con il provvedimento impugnato giungerebbe ad impedire o a rendere eccessivamente gravoso il recupero di materiali riutilizzabili.
La doglianza infatti non considera che il provvedimento impugnato non pregiudica affatto la possibilità di ricavare materia prima dai residui delle lavorazioni, ma mira solamente ad assicurare che ciò avvenga in modo conforme alla normativa vigente, che è preordinata a prevenire che, dalla gestione di determinate sostanze, derivino pregiudizi per l’ambiente. In definitiva pertanto il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Condanna la Società ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di Verona , liquidandole in complessivi € 3.000,00 per spese, diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Di Nunzio, Presidente
Marco Buricelli, Consigliere
Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/01/2010
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00149/2010 REG.SEN.
N. 00678/2009 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 678 del 2009, proposto da:
Riva Acciaio Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Clementi e Francesca Maggiolo, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Venezia-Mestre, corso del Popolo, 70;
contro
Comune di Verona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni R. Caineri, Giovanni Michelon, Fulvia Squadroni, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R.;
per l'annullamento
- dell’ordinanza n. 06/10/115/2008 del 19 dicembre 2008 n. 2096 del Dirigente del C.d.R. Ambiente del Comune di Verona, notificato alla Riva Acciaio Spa il 22 dicembre 2008;
- ove occorra, della lettera dell’11 febbraio 2009 prot. n. 34685, di conferma della predetta ordinanza.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Verona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2009 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori Pietro Clementi per la parte ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Società ricorrente è proprietaria di un’acciaieria sita nel Comune di Verona che produce acciaio in seguito a fusione, con forno elettrico, di materia prima ferrosa.
Dal processo produttivo residuano dei materiali che vengono depositati sul terreno di proprietà.
Dal materiale depositato la ditta è in grado di ricavare dei residui ferrosi nella quantità di circa l’1 o il 2% (secondo stime della stessa ricorrente) reimpiegati nel processo produttivo.
La Provincia di Verona con determinazione n. 4480/07 del 20 agosto 2007, ha respinto la domanda presentata dalla Società ricorrente per la messa in riserva, cernita e trattamento di scorie di acciaieria destinate al recupero.
Nell’ambito di tale procedimento amministrativo, anche a seguito di sopralluoghi effettuati dall’Arpav, è emerso che la ditta provvede “allo scarico delle scorie all’interno della zona di stoccaggio e alla loro cernita per creare cumuli contigui di altezza di circa 3 metri, che in seguito dette scorie subiscono un raffreddamento ed una maturazione per un periodo di circa 20 giorni, mediante idratazione naturale della calce libera di cui sono ricche, in modo da poter essere caricate sui mezzi di trasporto e conferite al riutilizzo come sottofondi stradali. Una volta raffreddate le scorie vengono ridotte di dimensioni e sottoposte a deferrizzazione con apposito magnete ed il ferro separato viene rinviato in ciclo di fonderia”.
In quella sede si è pertanto ritenuto che la ditta in tal modo dia luogo non ad un mero deposito provvisorio di residui delle lavorazioni, ma ad un vero e proprio impianto di recupero di rifiuti non pericolosi.
Il Comune di Verona ha conseguentemente attivato un procedimento volto a verificare se le modalità di gestione delle scorie rispettano le condizioni prescritte dalla normativa vigente per una regolare attività di deposito temporaneo di rifiuti da parte del produttore (cfr. art. 183, comma 1, lett. m).
L’Arpav incaricata dal Comune con nota P.G. del 28 novembre 2008 ha comunicato la necessità di ordinare alla Società di adottare specifiche misure di gestione delle scorie volte a consentire un controllo finalizzato a determinare con esattezza la durata del deposito e la quantità del materiale depositato.
Il Comune, recependo tali indicazioni, con ordinanza n. 06/10/115/2008 del 19 dicembre 2008 n. 2096 ha disposto che la ditta provvedesse, entro 40 giorni:
- a svuotare completamente il piazzale delle scorie in modo da avere un punto di partenza per il calcolo esatto sulla quantità e sul tempo di permanenza dei rifiuti in sito;
- a separare e distinguere i cumuli di scorie da deferrizzare da quelli delle scorie già deferrizzate;
- a definire il luogo dove è effettuata l’operazione di deferrizzazione;
- ad effettuare in maniera corretta le annotazioni sui registri di carico e scarico;
- a comunicare preventivamente ogni operazione effettuata.
Con il ricorso in epigrafe la ricorrente impugna tale provvedimento per le seguenti censure:
I) violazione degli artt. 181, 182 e 183 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, erroneità dei presupposti e carenza di motivazione, con il quale lamenta l’erronea qualificazione come rifiuti dei residui di lavorazione dai quali è tratta nuovamente della materia prima;
II) violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, per l’erronea qualificazione come rifiuto di un materiale di cui la Società ricorrente, prima della deferrizzazione, non si sia ancora disfatto, non abbia ancora abbia deciso di disfarsi e non abbia ancora l’obbligo di disfarsi;
III) violazione degli artt. 177 e ss. del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dei principi nazionali e comunitari che privilegiano il recupero dei materiali riutilizzabili.
Si è costituito in giudizio il Comune di Verona concludendo per la reiezione del ricorso.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Con le prime due censure la ricorrente afferma che il provvedimento impugnato erroneamente qualifica come rifiuti i residui da lavorazioni dai quali la Società, attraverso un processo di deferrizzazione, trae materia prima che reimpiega nel ciclo produttivo.
Secondo la tesi prospettata l’appartenenza di tali materiali al ciclo produttivo comporterebbe la possibilità di gestirli liberamente, senza soggiacere a controlli, e di depositarli nelle aree pertinenziali senza limiti di durata o quantità.
L’assunto non merita di essere condiviso.
Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la nozione di rifiuto non dipende solamente dalla presenza o meno, nei residui da lavorazioni, di sostanze potenzialmente idonee ad un successivo utilizzo e dalla concorrente volontà di utilizzare dette sostanze.
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria:
- “il fatto che una sostanza sia un materiale residuale di produzione o di consumo costituisce un indizio che si tratti di un rifiuto e la sola circostanza che una sostanza sia destinata a essere riutilizzata, o possa esserlo, non può essere determinante per la sua qualifica o meno come rifiuto” (cfr. Corte di giustizia CE, Sez. III, 18 dicembre 2007, resa nella causa C-263/05, punto 49);
- “la nozione di rifiuto non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica” (cfr. Corte di giustizia CE, 25 giugno 1997, resa nelle cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-C-224/95, punti 47 e 48);
- essendovi “l’obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuti, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (…) è ammesso, alla luce degli obiettivi della direttiva 75/442, qualificare un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo non come rifiuto, bensì come sottoprodotto di cui il detentore non desidera «disfarsi» ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, di tale direttiva, a condizione che il suo riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione” (cfr. Corte di giustizia CE, 11 novembre 2004 resa nella causa C-457/02, punti 45 e 47).
Nello stesso senso si esprime la normativa nazionale la quale, da ultimo modificata dal Dlgs. 16 gennaio 2008, n. 4, che ha apportato disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sia nel testo originario (cfr. l’art. 183, comma 1, lett. n) che nel testo modificato (cfr. l’art. 183, comma 1, lett. p), afferma che non sono soggetti alla disciplina sui rifiuti i sottoprodotti, ovvero i prodotti dell'attività dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale e vengono destinati ad un ulteriore impiego, a condizione che non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari.
Pertanto affinché un residuo di produzione possa essere sottratto alla qualifica di rifiuto è necessario che esso sia riutilizzato in maniera certa nel corso del medesimo processo di produzione, in assenza di un trattamento preventivo o di trasformazioni preliminari, ed è quest’ultima condizione che difetta nel caso all’esame poiché, come sopra precisato, è pacifico che la ricorrente procede all’estrazione del ferro dai residui di produzione mediante il loro trattamento.
Infatti il processo produttivo dell’acciaio svolto dalla ricorrente comporta la formazione di residui dai quali viene estratto del ferro (nella quantità di circa l’1 o il 2% secondo la stima della ricorrente), previo il deposito del materiale nelle aree pertinenziali, per ottenerne il raffreddamento, e l’esecuzione di un’operazione di deferrizzazione per la quale è utilizzato un magnete.
Il ferro così ottenuto è riutilizzato nel processo produttivo, mentre il restante materiale, non riutilizzabile, è recuperato per la realizzazione di sottofondi stradali o conferito in discarica.
Ne discende che il provvedimento impugnato, che ha dettato prescrizioni circa le modalità di gestione delle scorie di acciaieria, si sottrae alle censure proposte con il primo e secondo motivo.
2. Del pari da respingere è anche la censura di cui al terzo motivo, con la quale la ricorrente lamenta che il Comune, in contrasto con le finalità della disciplina comunitaria che tende a privilegiare la riduzione della materia finale da smaltire, con il provvedimento impugnato giungerebbe ad impedire o a rendere eccessivamente gravoso il recupero di materiali riutilizzabili.
La doglianza infatti non considera che il provvedimento impugnato non pregiudica affatto la possibilità di ricavare materia prima dai residui delle lavorazioni, ma mira solamente ad assicurare che ciò avvenga in modo conforme alla normativa vigente, che è preordinata a prevenire che, dalla gestione di determinate sostanze, derivino pregiudizi per l’ambiente. In definitiva pertanto il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Condanna la Società ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di Verona , liquidandole in complessivi € 3.000,00 per spese, diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Giuseppe Di Nunzio, Presidente
Marco Buricelli, Consigliere
Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/01/2010