Cass. Civ. S.U. n. 27187 del 28 dicembre 2007
INSTALLAZIONI DI DISCARICHE – GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA – PRINCIPIO DI DIRITTO “NELL’INTERESSE DELLA LEGGE”

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite — dichiarato inammissibile un ricorso della Presidenza del Consiglio e del Commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania avverso un'ordinanza del Tribunale di Salerno che aveva ordinato in via cautelare al Commissario straordinario di astenersi dall'installare e dal porre in esercizio un impianto di discarica dei rifiuti nel Comune di Serre, ritenendo tale attività potenzialmente lesiva del diritto alla salute dei cittadini e del diritto ad un ambiente igienicamente sicuro delle imprese casearie del medesimo territorio — ha pronunciato la prima sentenza “nell'interesse della legge”, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 363, comma 3, c.p.c., formulando il principio di diritto da applicare in analoghe fattispecie.
La Corte ha stabilito che spettano all'esclusiva giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative alla installazione delle discariche di rifiuti — in quanto controversie in materia di gestione del territorio nell'interesse dell'intera collettività nazionale —, anche qualora sia denunciata una lesione ai diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, quale il diritto alla salute (art. 32 Cost.), accertando la sussistenza in concreto dei diritti vantati e provvedendo in ordine al contemperamento o alla limitazione dei suddetti diritti in rapporto all'interesse generale pubblico all'ambiente salubre. Spetta allo stesso giudice amministrativo adottare, se ne ricorrono le condizioni, i provvedimenti cautelari per assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati dai comportamenti materiali o dai provvedimenti autoritativi finalizzati all'installazione delle discariche.

Svolgimento del processo


Con ordinanza del l° giugno 2007, il Tribunale di Salerno rigettava il reclamo ex art. 669 terdecies avverso l'ordinanza del giudice monocratico, emessa ai sensi dell'art. 700 c.p.c. il 28 aprile 2007, che, in accoglimento della domanda del Comune di Serre e di terzi intervenuti, aveva ordinato al Commissario straordinario di governo per l'emergenza rifiuti in Campania "di astenersi dall'istallare e dal porre in esercizio l'impianto di discarica dei rifiuti nel Comune di Serre, in località Valle della Masseria, come meglio individuato... nell'ordinanza n. 14 del 24.1.07" di detto Commissario.


Il provvedimento reclamato, a cautela del diritto alla salute dei ricorrenti e della salubrità dell'ambiente, anticipando la reintegrazione in forma specifica di cui all'art. 2058, 1° comma, c.c., aveva respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata dalla Avvocatura erariale, secondo la quale l'attività del Commissario delegato di cui si inibiva il proseguimento aveva natura pubblicistica, perché fondata sulla sua ordinanza n. 14/07, basata sulle leggi n.ri 225/92 e 290/06.


Secondo Tribunale, peraltro, in rapporto al petitum sostanziale e alle posizioni fondamentali a cautela delle quali era stato chiesto il provvedimento, cioè del diritto dei ricorrenti alla salute e all'ambiente, situazione che non poteva essere affievolita o degradata a interesse legittimo dal potere amministrativo, la giurisdizione era dell'A.G.O., mancando in fatto la richiesta di un sindacato qualsiasi dai giudici sugli atti commissariali.


Richiamate le pronunce di queste S.U. che, uniformandosi ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale nelle due sentenze n. 204/04 e 191/06 (S.U. n. 13659 e 13660 del 2006), avevano rilevato come la tutela rìsarcitoria e demolitoria a fronte di comportamenti illeciti della P.A., anche nelle materie di giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, non abrogava la ripartizione dell'art. 103 Cost., il tribunale riteneva che tale cognizione doveva riconoscersi ai giudici amministrativi, solo quando la P.A. non incidesse su diritti incomprimibili della persona.


Pertanto la tutela giudiziaria nella fattispecie non spettava ai giudici amministrativi, essendo il diritto alla salute "sovrastante alla stessa amministrazione, di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo ma anche di pregiudicarlo nel fatto indirettamente" (pag. 5 ordinanza impugnata).

L'ordinanza richiamava la decisione del Consiglio di Stato n. 556/06, per la quale, in riferimento a diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione deve riconoscersi la giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, ove sia chiesto l'annullamento di atti costituenti espressione illegittima del potere della P.A., come nel caso non era in fatto accaduto.


Infatti i ricorrenti non denunciavano l'illegittimità dei provvedimenti, che avevano individuato il sito per la realizzazione della discarica, ma deducevano il pericolo per la salute e l'ambiente che poteva derivare dalla installazione della discarica, cioè da condotte materiali e di fatto, potenzialmente lesive di diritti incomprimibili, rispetto ai quali nessun atto della P.A. avrebbe potuto trasformare i diritti in interessi, perché si sarebbe dovuto ritenere emesso in assoluta carenza di potere.


Pur avendo il giudice amministrativo gli stessi poteri cautelare di quello ordinario, secondo il Tribunale dì Salerno, solo la cognizione di essi da parte del giudice ordinario garantiva la pretesa dei soggetti cautelati, allorché non emergesse una violazione delle regole che presidiano alla attività della P,A. formalmente rispettosa delle norme procedimentali e di quelle tecniche, per impedire la lesione del diritto dei ricorrenti.

Ritenuta la proponibilità di una inibitoria atipica, fondata sull'art. 2058 c.c. e tendente alla prevenzione dell'illecito in rapporto al diritto alla salute, posizione soggettiva non affievolibile con atti della P.A., era affermata la legittimazione attiva dei ricorrenti.


Il Tribunale rigettava quindi il reclamo del Commissario, per l'esistenza del fumus bori juris e del periculum in mora come descritti nel provvedimento cautelare impugnato: chiaro era il rischio per la salute, in un'area di notevole interesse ambientale per la protezione della fauna e soggetta a vincolo idrogeologico, vicina a zona vincolata da destinazione urbanistica a un P.I.P., per il quale piccole imprese artigianali casearie avrebbero potuto perdere ogni possibilità di attività produttiva, per gli indispensabili principi di igiene anche ambientale.


Il Tribunale rilevava inoltre che il provvedimento a base dell'attività da inibire, aveva tenuto presente il risparmio di tempo e di spesa che il sito consentiva piuttosto che l'esigenza di evitare gli evidenziati rischi di danno ai citati diritti incomprimibili dei cittadini; pertanto, anche se l'attività materiale disposta con il provvedimento riguardava solo la elaborazione di un eventuale progetto, dalla stessa difesa dell'Amministrazione il tribunale aveva rilevato che si voleva superare l'emergenza regionale in materia di rifiuti urbani con la costruzione della discarica, per cui il periculum era presente.


Per la cassazione di tale ordinanza, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania hanno proposto ricorso straordinario di cinque motivi, ai sensi dell'art. 111 Cost., illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., da valutare eventualmente come istanza di regolamento preventivo di giurisdizione anche per l'eventuale causa di merito o come richiesta di pronuncia del principio di diritto per la speciale rilevanza della questione ai sensi dell'art. 363, 3° comma c.p.c.; si sono difesi, con controricorso, il Comune di Serre e la Regione Campania, mentre gli altri intimati, parti del procedimento cautelare meglio individuati in epigrafe, non si sono difesi.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Preliminarmente deve disporsi la riunione dei due ricorsi iscritti al n. 16438 e al n. 19133 del R.G. del 2007, contenenti identica istanza di regolamento preventivo di giurisdizione in ordine alla stessa causa, proposta rispettivamente in via principale, ovvero subordinata al mancato accoglimento dell'impugnazione ex ar. 111 Cost., per difetto di giurisdizione contro l'ordinanza di cui sopra. Pure dinanzi a questa Corte infatti trova applicazione l'art. 273 c.p.c, per il quale, quando due procedimenti relativi alla stessa causa pendono dinanzi allo, stesso ufficio giudiziario, va disposta, anche di ufficio, la loro riunione (in tal senso Cass. S.U. 15 febbraio 1979 n. 982 e Cass. 24 luglio 1971 n. 2468).


Nella fattispecie, la richiesta di trasmissione del fascicolo di ufficio, depositata tempestivamente ai sensi dell'art. 369 cpv. c.p.c., solo per il ricorso n. 16438/07 estende i suoi effetti, in ordine alla procedibilità del ricorso per regolamento preventivo, anche in rapporto all'altra istanza, che dovrà quindi ritenersi ritualmente proposta e procedibile, non essendo rilevante la carenza di tale deposito denunciata dal sostituto procuratore generale dr. Pasquale Ciccolo, nelle sue richieste scritte relative al solo ricorso n. 19133/07, nel quale l'adempimento risultava omesso dagli istanti.


2.1. Il primo motivo di ricorso ex art. 111 Cost. denuncia il difetto di giurisdizione dell'A.G.O. nel procedimento cautelare de quo, ai sensi dell'art. 360 n. 1 e 41 c.p.c., avendo il giudice conosciuto di atti amministrativi, prodromici alla localizzazione di un'opera pubblica sul territorio della Regione Campania (discarica per lo smaltimento di scarti non pericolosi dei rifiuti solidi urbani) ed emessi dal Commissario delegato al settore ai sensi del D.L. n. 263 del 2006 convertito in legge n. 29 dello stesso anno, nell'esercizio dei suoi poteri.


Nella materia, riguardante l'uso del territorio e da qualificare quindi "urbanistica", la tutela dei diritti, anche incomprimibili a interessi legittimi, allorché siano lesi da comportamenti illeciti esecutivi di provvedimenti amministrativi, non spetta al giudice ordinario, che ha cognizione sulle sole controversie relative a comportamenti di mero fatto della P.A., per i quali la Corte costituzionale, con le sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006, gli ha riconosciuto competenza per ogni controversia, anche di risarcimento dei danni.


Quando, nelle materie di giurisdizione esclusiva, i comportamenti si fondano su atti amministrativi e esprimono poteri della P.A., pur se illegittimamente esercitati, di essi conosce il giudice amministrativo.


Ogni impianto industriale ed opera pubblica ed ogni uso del territorio può incidere sul diritto alla salute e all'integrità dell'ambiente, e l'art. 34, comma 2, del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come successivamente modificato, riserva ai giudici amministrativi la materia urbanistica; la stessa ordinanza impugnata, peraltro, mentre nega ogni rilievo agli atti del commissario che dispongono l'attività da essa inibito, ne rileva il mancato approfondimento sotto il profilo dei pericoli per la salute e l'ambiente, avendo la P.A. dato rilievo solo a profili di comodità e rapidità nella scelta del sito per collocare la discarica.


Nel caso, se vi è stata la lesione di posizioni soggettive dei ricorrenti, essa è dipesa da un atto del commissario, la cui legittimità doveva essere oggetto di cognizione dei giudici amministrativi, come del resto appare dalle stesse ordinanze delle S.U. n. 13659 e 13660/06, richiamate nel provvedimento oggetto di impugnazione.


Non si è in presenza di una mera attività materiale e compete al giudice amministrativo conoscere il concreto esercizio del potere, come tale riconoscibile e dedotto, nel procedimento adottato dal Commissario per emettere il provvedimento con cui ha disposto l'invio di tecnici, per accertare le condizioni di fattibilità della discarica in un'area specificamente individuata del Comune dì Serre.


Nel caso, vi è stato un intervento inibitorio del giudice ordinario per impedire un'attività materiale esecutiva di un provvedimento della P.A., la cui legittimità poteva essere valutata dal solo giudice amministrativo, anche ai sensi dell'art. 4 della legge n. 2248 del 1865 all. E, essendo irrilevanti i richiami operati alle sentenze delle S.U. nell'ordinanza impugnata, in quanto oggetto di essi, allorchè si è deciso sul riparto di giurisdizione in favore dell'A.G.O., sono stati sempre e solo comportamenti materiali e di fatto della P.A., in nessun caso conosciuti come espressione di un potere esercitato, sia pure illegittimamente, dalla amministrazione.


Le S.U. hanno solo e sempre affermato che, quando vi è un comportamento materiale lesivo di diritti soggettivi, che non sia espressione di un potere comunque esercitato dalla P.A., la cognizione delle controversie per danni derivati da tali attività è del giudice ordinario.


Il Consiglio di Stato nella sentenza citata nel provvedimento oggetto di ricorso (n. 556/06) conferma tale indirizzo ermeneutico, chiarendo che i giudici amministrativi sono competenti a conoscere, nella materie loro riservate, le controversie che impugnino atti della P.A., come deve ritenersi quella a base del procedimento cautelare sfociato nella ordinanza impugnata, che valuta la ordinanza commissariale n. 14 del 24 gennaio 2007, che aveva solo disposto l'accesso dei tecnici alla località Valle della Masseria in Comune di Serre per le indagini conoscitive prodromiche alla progettazione della discarica. Che si sia censurato tale atto amministrativo emerge dal contenuto del provvedimento del Tribunale, nel quale si rileva il difetto di istruttoria e la violazione di legge che inficerebbe l'atto amministrativo a base dell'attività in concreto inibita, contestualmente dichiarandosi irrilevante lo stesso atto nell'azione di merito eventuale. A conclusione del 1° motivo di ricorso, viene posto iI quesito di diritto, correttamente formulato, in ordine alla cognizione del G.O. o del G.A. su una controversia che tenda alla inibitoria della localizzazione di un'opera pubblica, mentre è efficace il provvedimento che consente indagini conoscitive preordinate alla sua progettazione.


Gli altri quattro motivi d'impugnazione, che, quando sono relativi a violazioni di legge contengono il quesito di diritto di cui all'art. 366 bis, possono così riassumersi:

a) mancanza di strumentalità dell'inibitoria domandata rispetto all'azione di reintegrazione ai sensi dell'art. 2058 c.c. e violazione conseguente dell'art. 700 c.p.c., neppure promovibile nella fattispecie;

b) difetto di legittimazione del Comune di Serre, i cui poteri in materia di igiene e sanità sono stati trasferiti dalla legge n.290/06 al Commissario per l'emergenza rifiuti in Campania;

c) violazione dell'art. 5 della legge 225 del 1992, per avere il tribunale inciso su poteri emergenziali riservati alla P.A.; d) omessa motivazione.


Mentre il controricorrente Comune di Serre chiede il rigetto dell'impugnazione infondata per le valide ragioni di cui all'ordinanza impugnata, la Regione Campania interviene in adesione alla posizione del Commissario e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.


2.1. Pregiudiziale è la questione dell'ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. per la cassazione, per motivi attinenti alla giurisdizione ex art. 360, 1° comma n. 1, c.p.c., dell'ordinanza collegiale del Tribunale di Salerno, che ha rigettato il reclamo avverso il provvedimento urgente, anticipatorio degli effetti di una futura sentenza, emesso ai sensi dell'art. 700 c.p.c. Le amministrazioni ricorrenti deducono che l'impugnazione è ammissibile o può valere come istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell'art. 41 c.p.c. in rapporto alla causa di merito, cui il procedimento cautelare è funzionalmente collegato, ai sensi degli artt. 669 ter e quater, in quanto tale causa è divenuta ormai solo eventuale ed è esperibile senza limiti temporali perentori da ciascuna delle parti del procedimento (art. 669 octies, 6° comma, c.p.c.), per effetto della novella di cui al D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha abrogato il termine perentorio "non superiore a sessanta giorni" per iniziare l'azione di merito, imposto al primo comma dello stesso articolo in ogni caso di accoglimento di istanza cautelare dalla previgente normativa (legge 26 novembre 1990 n. 353). Resta fermo il collegamento funzionale tra procedimento cautelare ante causam ai sensi dell'art. 700 c.p.c. e giudizio di merito, che devono entrambi avere a fondamento una stessa causa petendi, potendo l'interessato chiedere il provvedimento cautelare di urgenza solo per "assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito", a evitare un pregiudizio imminente e irreparabile che al diritto oggetto di causa possa derivare dal decorso del tempo necessario a farlo valere in via ordinaria.


2.2. La pregressa temporaneità dell'efficacia dei provvedimenti urgenti ex art. 700 c.p.c. e di quelli anticipatori delle sentenze di merito è stata in passato solo una delle ragioni per le quali se ne é negata la ricorribilità per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., rendendo essa palese la loro natura non definitiva, per il carattere provvisorio e strumentale di essi.


Per i provvedimenti cautelari ante causam emessi con un termine perentorio entro cui iniziare la causa di merito e le ordinanze collegiali che rigettano i reclami contro di essi ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., s'è negata la definitività, essendo "naturalmente" temporanei, e la decisorietà, essendo "modificabili" con la pronuncia conclusiva della causa di merito, che necessariamente segue il procedimento sommario (Cass. 8 giugno 2007 n. 13396, 25 maggio 2007 n. 12252, 21 novembre 2006 n. 24668, 11 aprile 2006 n. 8446, 22 febbraio 2006 n. 3919).


Nel medesimo senso sono pure le sentenze che, in materia societaria e d'intermediazione finanziaria, nella quale l'art. 23 del D. Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, ha anticipato la riforma del 2005 dei provvedimenti urgenti ex art. 700 c.p.c., hanno negato l'abrogazione della natura strumentale dei provvedimenti cautelare rispetto ai giudizi di merito, negando la ricorribilità di tali atti per cassazione, anche ai sensi dell'art. 111 Cost. (così Cass. 7 giugno 2007 n. 13360 e 8 marzo 2007 n. 5335).


I provvedimenti urgenti anteriori all'inizio del giudizio di merito ai sensi dell'art. 700 c.p.c. conservano natura cautelare, ma hanno autorità ed efficacia invocabile solo nel successivo processo di merito e non "in un diverso processo" (art. 669 octies, ultimo comma) e, nonostante le rilevanti modifiche subite per effetto dell'art. 2, comma 3, lett. e-bis), del citato D.L. n. 35 del 2005, convertito nella legge n. 80 dello stesso anno, devono considerarsi ancora come non ricorribili per cassazione, per la loro natura comunque instabile.


2.3. La novella non ha inciso sulle condizioni per la concessione del provvedimento di urgenza di cui all'art. 700 c.p.c. all'esito del procedimento ante causam, ed ha intenti deflattivi delle cause ordinarie, non imponendo l'azione di merito successiva per conservare l'efficacia esecutiva dell'ordinanza cautelare.


Questa, con effetti anticipatori della eventuale pronuncia di merito, conserva un'efficacia permanente che può venir meno, come già accadeva nella previgente normativa, o per il mancato pagamento della cauzione di cui all'art. 669 undecies, o qualora intervenga una sentenza, anche non passata in giudicato, che dichiari "inesistente il diritto a cautela del quale" esso è stato emesso.


Il 6° comma dell'art. 669 octies, introdotto dalla novella del 2005, per i provvedimenti cautelare anticipatori degli effetti della sentenza di merito e per quelli ex art. 700 c.p.c. (anche essi costituenti di regola anticipo della non necessaria futura pronuncia in una causa ordinaria), pur abrogando il termine finale perentorio entro cui iniziare la causa di merito, ha riaffermato che questa può essere iniziata da ciascuna delle parti della procedura cautelare, attenuando e non eliminando il carattere strumentale del procedimento cautelare e del provvedimento d'urgenza, rispetto al giudizio di merito.


Ciò é chiaro non tanto perché l'autorità del provvedimento sussiste solo per il processo nel quale si fa valere il diritto a cautela del quale lo stesso è stato emesso, ma anche perché il suo contenuto accertativo non può mai "fare stato" tra le parti e i loro aventi causa, ai sensi dell'art. 2909 c.c., dal momento che la sua efficacia può venire sempre meno per effetto di altra "sentenza anche non passata in giudicato", che dichiari inesistente il diritto a cautela del quale esso venne emesso.


Di fatto, il provvedimento ai sensi dell'art. 700 c.p.c. non è "stabile", tanto che il permanere della sua efficacia può venir meno per effetto di altra sentenza, anche essa instabile, perché impugnabile o impugnata, per cui deve logicamente negarsi che esso possa divenire giudicato, finché l'accertamento a base della sua emissione non risulti confermato da una sentenza di merito divenuta non più impugnabile.


Il provvedimento inoltre, come gli altri della stessa natura emessi ante causam, può essere revocato ad opera del giudice del procedimento cautelare oppure dal giudice dell'eventuale giudizio di merito durante l'istruttoria, quando questo sia iniziato da una delle parti della fase cautelare; l'efficacia anticipatoria dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., tesi "ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito", può permanere in via definitiva, evitandosi così un altro processo ordinario per far valere il diritto protetto in via urgente, se le parti non esercitino la facoltà d'iniziare la causa di merito i cui effetti sono stati anticipati a cautela del diritto esercitato con la successiva azione.


Tale novità normativa non assicura la stabilità, neppure provvisoria, del "decisum", anche se, in quanto può seguire il processo di merito, permane la strumentalità del provvedimento cautelare, che però non è più indispensabile come in passato a connotare il provvedimento urgente.


Non vi è una stabilità o definitività del provvedimento urgente, il cui contenuto decisorio e anticipatorio della eventuale sentenza di merito, può conservare efficacia permanente, allorché la eliminazione del pregiudizio imminente e irreparabile di cui all'art. 700 c.p.c., abbia soddisfatto ogni interesse del ricorrente, al punto da indurlo a non far valere in via ordinaria il diritto stesso e per la sua revoca il destinatario del provvedimento non agisca con azione di accertamento negativo del diritto cautelato, per farne dichiarare la inesistenza.


Nella concreta fattispecie, si tratterebbe per le amministrazioni ricorrenti, di proporre l'azione di accertamento negativo non del diritto alla salute, che nessun giudice potrebbe denegare, ma solo del carattere non jure del loro comportamento conseguente ad atti legittimi del Commissario e della mancata lesione del predetto diritto alla salute per effetto dell'attività contestata da chi ha chiesto l'inibitoria, con la quale si sono eseguiti provvedimenti commissariali legittimi.


Comunque, anche allorché il giudizio di merito non sia iniziato da nessuna delle parti del procedimento cautelare, il permanere dell'efficacia esecutiva del provvedimento che lo conclude non ne comporta la stabilità, da intendere come concreta idoneità a costituire giudicato ai sensi dell'art. 2909 c.c., e di conseguenza deve negarsi la ricorribilità straordinaria dell'atto ai sensi dell'art. 111 della Cost. 2.4. Il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 Cost. è infatti logicamente e giuridicamente ammissibile, solo se può determinare in astratto, con la potenziale decisione negativa su di esso, il giudicato sostanziale del provvedimento impugnato.


Tale conclusione ancor oggi è incompatibile con la circostanza normativamente prevista, che altra sentenza, "anche non passata in giudicato", possa far venir meno ogni efficacia del provvedimento anticipatorio impugnato, qualora accerti la inesistenza del diritto a cautela del quale questo è stato emesso; l'ordinanza anticipatoria degli effetti di sentenza, potendo venir meno per la ragione indicata è inidonea a divenire giudicato e non è assimilabile alle sentenze rebus sic stantibus o a stabilità provvisoria, ovvero a quelle che hanno effetto di giudicato interno, essendo irrilevanti al di fuori di un certo processo, (su tali tipi di sentenze, tra molte, cfr. Cass. 16 marzo 2007 n. 6293, 23 gennaio 2006 n. 1229. 25 agosto 2005 n. 17320, 2 novembre 2004 n. 21049, 15 maggio 2003 n. 757).


Le sentenze di cui sopra contengono comunque un accertamento che fa stato tra le parti, di regola relativo a un rapporto di durata o che permane nel tempo, con conseguente loro modificabilità, mentre il provvedimento cautelare anticipatorio del contenuto di una sentenza ha una stabilità della sua efficacia esecutiva, ma non dell'accertamento su cui esso si basa, che può sempre venir meno in conseguenza di altra pronuncia, che in tanto può incidere su di essa senza costituire giudicato, in quanto il provvedimento urgente è solo apparentemente definitivo. Pertanto, il ricorso straordinario per cassazione deve dichiararsi inammissibile in tutti i suoi motivi, non avendo il provvedimento impugnato stabilità oggettiva e non potendo fare "stato" tra le parti e i loro aventi causa un accertamento in esso eventualmente contenuto, rispetto alla cui efficacia può incidere una qualsiasi pronuncia di altro giudice, anche soggetta ad impugnazione, con la negazione della concreta esistenza del diritto a cautela del quale esso è stato emesso.


3.1. Come risulta da quanto detto, il primo motivo di ricorso denuncia il difetto di giurisdizione non per una pretesa inesistenza del diritto cautelato né per un affievolimento di esso a interesse legittimo, circostanze che avrebbero potuto essere dedotte anche con l'azione di accertamento negativo, ad opera delle Amministrazioni ricorrenti, in sede di azione di merito successiva al procedimento cautelare; con l'atto si afferma invece la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia relativa all'uso o gestione del territorio, ai sensi dell'art. 34, 2° comma, del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come sostituito dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, anche in ordine al diritto cautelato, pur se costituzionalmente garantito.


Nella fattispecie, alle Amministrazioni ricorrenti potrebbe riconoscersi un interesse a chiedere sin da questo momento e prima dell'inizio della causa di merito da una delle parti della procedura cautelare, la individuazione in via definitiva del giudice dinanzi al quale proporre la domanda fondata sul preteso diritto cautelato, attraverso l'accertamento della giurisdizione sin dalla fase sommaria in cui ancora si trova il procedimento, anteriore al giudizio ordinario, che peraltro, per l'assenza di termini perentori, potrebbe iniziare anche dopo la decisione sul regolamento.


Tale interesse a proporre il regolamento preventivo sarebbe in astratto riconoscibile per ciascuna delle parti del procedimento cautelare e permarrebbe fino alla decisione della causa di merito con la sentenza di primo grado (art. 41, 1° comma, c.p.c.).


Se è indubbio che nei procedimenti cautelari, la cui efficacia è soggetta a termine perentorio (669, octies, 1° comma) non è possibile né il ricorso straordinario né il regolamento preventivo di giurisdizione se non sia cominciato il giudizio di merito (così tra le altre Cass. S.U. ordd. 20 giugno 2007 n. 14301, 18 ottobre 2005 n. 20128), e se è corretta l'affermazione che l'emanazione di un provvedimento cautelare in corso di causa non è ostativa alla proposizione del regolamento preventivo fino alla sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 41 c.p.c. (Cass. 19 gennaio 2007 n. 1144, 21 settembre 2006 n. 20504, 6 maggio 2003 n. 6889), da tali rilievi non può desumersi che, con la legittimazione a iniziare la causa del merito, alle parti della procedura cautelare anteriore all'azione di merito, possa riconoscersi anche quella a proporre il regolamento preventivo, con conseguente ammissibilità delle istanze proposte ai sensi dell'art. 41 c.p.c. riunite in questa sede.


Le ricorrenti correttamente non chiedono nella fattispecie di applicare il capoverso dell'art. 41 c.p.c., che sembra riservare alla P.A. un trattamento speciale, della cui legittimità costituzionale potrebbe dubitarsi in rapporto alla condizione di parità delle parti nel giusto processo ai sensi dell'art. 111, comma 2, Cost., con questione irrilevante nel caso, non dovendosi dare applicazione alla citata norma (nello stesso senso Cass. S.U. 27 luglio 1998 n. 7340); tale norma, comunque, è da ritenere ormai superata per l'abrogazione tacita dell'art. 368 c.p.c. che ad essa dava attuazione conseguente a quella dell'art. 19 del R.D. 3 marzo 1934 n. 383, che tale eccezionale legittimazione riconosceva, con l'art. 274, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267.


Peraltro nella memoria di cui all'art. 378 c.p.c., le amministrazioni ricorrenti deducono che sarebbe allo stato pendente la causa di merito successiva al provvedimento inibitorio ottenuto in via sommaria, ma non producono la documentazione atta a provare tale circostanza ai sensi dell'art. 372 c.p.c., con elenco dei documenti esibiti notificati alle controparti.


Poiché una certificazione dalla competente cancelleria della pendenza del processo di merito e la copia della domanda introduttiva di questo, in base alla quale, ai sensi dell'art. 386 c.p.c., deve essere determinata la giurisdizione, avrebbero costituito la prova dell'esistenza delle condizioni di ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione, consistenti nell'azione di merito pendente prima della sentenza di primo grado, come meglio sarà poi chiarito, è indubbio che la produzione di detti documenti ai sensi dell'art. 372 c.p.c., sarebbe stata legittima tendendo a rendere ammissibile l'istanza di regolamento, mentre il loro mancato deposito esclude la prova della certa pendenza di un giudizio introdotto da una domanda sulla quale solo poteva prospettarsi la questione di giurisdizione, finché la causa non fosse stata decisa nel merito in primo grado, rendendo anche per tale profilo formale precluse le istanze di regolamento proposte.


3.2. Gli artt. 41, 367 e 382 c.p.c. escludono comunque la conformità al modello normativo di un regolamento di giurisdizione relativo ad una causa ormai esaurita, quale è la procedura cautelare anteriore alla domanda di merito, ovvero ad una non ancora iniziata e da decidere in rapporto ad un giudizio, che potrebbe anche non esservi mai, mancando comunque in tal caso la domanda su cui valutare la giurisdizione e l'oggetto stesso del procedimento incidentale introdotto con il ricorso per regolamento.


La natura solo "eventuale" del giudizio di merito esclude nella fattispecie l'attualità dell'interesse all'istanza di regolamento preventivo non preceduta dalla domanda introduttiva (386 c.p.c.) di una causa iscritta a ruolo e pendente alla data del ricorso; è solo in rapporto alla cognizione della causa instaurata con tale domanda che può prospettarsi il dubbio del difetto di giurisdizione del giudice adito, che allo stato ancora non è individuabile, in difetto degli elementi che consentano di individuare causa petendi e petitum a base del giudizio per il quale accertare quale giudice deve avere cognizione.


Pertanto, per tale difetto di oggetto, di conformità alle norme vigenti e di interesse attuale, non può che dichiararsi inammissibile nella fattispecie il ricorso per regolamento preventivo, anche dopo le novelle normative sopra richiamate, in conformità alle conclusioni scritte del P.G. sul ricorso n. 19133/07.


3.3. Nella concreta fattispecie, nonostante le sentenze della Corte Costituzionale del 24 gennaio 2007 n. 77 e di queste Sezioni unite del 22 febbraio 2007 n. 4109, che hanno affermato la legittimazione a proseguire dinanzi al giudice dotato di giurisdizione il processo iniziato dinanzi a ufficio giudiziario che ne sia privo, prima dell'inizio dell'azione di merito non vi è interesse delle parti a proporre l'istanza di regolamento, in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice che ha emesso il provvedimento urgente, invano dedotti in sede cautelare e nel reclamo.


Infatti, pur se l'azione di merito è autonoma, comunque la fase cautelare precedente ad essa in tanto è funzionale e connessa a quella successiva, in quanto questa, che è solo eventuale, sia iniziata e quindi, fino all'introduzione della causa di merito comunque non si può neppure chiedere dinanzi a quale giudice proporla, rimanendo sempre e solo possibile e non certo il giudizio successivo.


La diversità di trattamento dell'istanza di regolamento di giurisdizione, negli artt. 669 ter e 669 quater, potendosi proporre in detta seconda ipotesi e non nella prima, consegue non solo al dato letterale delle norme di cui all'art. 41 e 367 c.p.c., per cui solo se vi sia un giudizio di merito iniziato e fino alla sentenza di primo grado, anche quando vi siano stati provvedimenti cautelari, può proporsi il regolamento, che è e resta inammissibile, senza una causa nella quale sorge la questione, irrilevante in rapporto a un giudizio solo eventuale ed astratto.


Proprio gli intenti deflattivi delle novelle normative in materia cautelare, inducono a ritenere che nulla è innovato rispetto al regolamento preventivo di giurisdizione, anche se non è più necessaria una causa di merito successiva, allorché prima di iniziare la stessa si ottengano provvedimenti anticipatori ai sensi dell'art. 700 c.p.c., sorgendo l'interesse alla risoluzione della questione di giurisdizione dalle Sezioni unite, solo se una delle parti della fase sommaria ha iniziato la causa ordinaria.


Il regolamento preventivo vuole evitare che la risoluzione della questione di giurisdizione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio e presuppone che questo sia iniziato, trovando la sua ragione di essere nell'evitare ritardi nella definizione della causa, che deve essere nata prima della sua proposizione, connessa anche al fine di ottenere un giusto processo di durata ragionevole (artt. 111 Cost.: così, di regola, per i regolamenti proposti in corso di causa: S.U. ordd. 22 agosto 2007 n. 17831, la cit. n. 20504 del 2006, 20 aprile 2006 n. 9196 e 25 luglio 2002 n. 10995).


Solo l'eventuale inizio del procedimento ordinario in base alla lettera delle norme vigenti (artt. 41 e 367 c.p.c.) e alla logica, avrebbe consentito la valutazione del ricorso come istanza di regolamento preventivo di giurisdizione.


Nel caso di emissione di provvedimenti cautelare o interinali, modificativi di quello urgente per cui è causa nel corso del giudizio di merito iniziato, il regolamento è ovviamente invece ammissibile (cfr. anche Cass. S.U. ordd. 25 maggio 2007 n. 12068, ord. 11 marzo 2004 n. 5052, ord. 12 marzo 2001 n. 1005).


Anche se l'eventuale esito positivo del regolamento potrebbe costituire mutamento di circostanze, in astratto idoneo a legittimare la parte a chiedere al giudice che ha emesso il provvedimento urgente la revoca di esso, ai sensi dell'art. 669 decies, può dubitarsi sul piano logico che, una volta denegata la giurisdizione di detto giudice, gli si possa consentire la revoca o modifica del suo atto giurisdizionale, per effetto di una pronuncia vincolante che ha escluso ogni suo potere cognitivo nella fattispecie, con la conseguenza che comunque dovrebbe iniziarsi il giudizio di merito del giudice individuato come dotato di poteri cognitivi, in contrasto con l'intento deflattivo del legislatore di evitare giudizi di merito.


4.1. In conclusione, il ricorso deve dichiararsi inammissibile sia come impugnazione straordinaria ai sensi dell'art. 111 c.p.c., in rapporto a un atto privo di stabilità, che come istanza di regolamento preventivo, in difetto di una causa pendente per la quale accertare il giudice che deve conoscerla.

Le amministrazioni resistenti nella fase cautelare, solo se avessero iniziato la causa di merito, sarebbero state legittimate a chiedere a queste Sezioni Unite la individuazione definitiva del giudice che doveva esaminare la loro domanda, la cui causa petendi deve ritenersi solo allegata alle loro eccezioni, contrapposte alla istanza cautelare di controparte, ma non risulta proposta ritualmente a fondamento di un atto introduttivo di un giudizio di merito che allo stato non è ancora nato.


E' ben vero che le ricorrenti in questa sede non deducono l'inesistenza della posizione soggettiva cautelata, che esse non negano, denunciando il difetto di giurisdizione del tribunale ordinario, per essere la controversia riservata in via esclusiva a quello amministrativo, anche in rapporto a diritti incomprimibili e tutelati dalla Costituzione, dei quali esse escludono comunque la lesione, in assenza di un loro comportamento non jure in quanto conseguente le loro condotte hanno solo eseguito un provvedimento commissariale, la cui legittimità si afferma dovrebbe essere accertata dal giudice amministrativo e non da quello ordinario.


Ma alcuna azione si è proposta, dinanzi a un giudice di merito, che possa legittimare le ricorrenti al regolamento preventivo inammissibile al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 41 e 367 c.p.c. e quindi l'istanza di regolamento di giurisdizione non può che ritenersi preclusa.


41.2. Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: "Contro i provvedimenti urgenti anticipatori degli effetti della sentenza di merito, emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. non è proponibile né il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., perché detti atti sono privi di stabilità e inidonei a divenire giudicato, ancorché nessuna delle parti del procedimento cautelare abbia interesse a iniziare l'azione di merito, avendo la tutela cautelare soddisfatto ogni esigenza del ricorrente e non avendo interesse il resistente a dedurre comunque la inesistenza del diritto cautelato; tale ricorso, qualora il provvedimento urgente sia stato pronunciato ante causam, e non sia iniziato il giudizio di merito a tutela del diritto cautelato, non può valutarsi, anche se il ricorrente lo richieda, come istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell'art. 41 c.p.c. da qualificare anche essa inammissibile, finché l'istante non abbia iniziato un giudizio di merito per il quale sorge l'oggetto del procedimento unitamente all'interesse concreto e attuale a conoscere il giudice dinanzi al quale lo stesso deve eventualmente proseguire, anche se diverso da quello che ha emesso il provvedimento urgente in via anticipatoria e cautelare e per fare accertare, in via definitiva ed immodificabile e con effetto di giudicato anche esterno, quale sia il giudice che ha giurisdizione sulla controversia, iniziata all'esito della procedura interinale e fino a quando il processo sul merito non risulti deciso con sentenza di primo grado".


5.1. La non ricorribilità ex art. 111 Cost. o la rilevata inammissibilità dell'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, cosi come la mancata previsione di mezzi diversi di impugnabilità nell'interesse delle parti, dei provvedimenti anticipatori, urgenti emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. e delle ordinanze collegiali che li hanno confermati, costituiscono uno dei nuovi presupposti espressi nel 1° comma dell'art. 363 c.p.c., come novellato dall'art. 4 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, per il riconoscimento della legittimazione del P.G. presso la Corte di Cassazione a proporre ricorso nell'interesse della legge, ai sensi del primo comma del predetto articolo, che nel testo previgente non conteneva siffatte indicazioni.


Allorché le parti non possono, nel loro interesse sulla base delle normativa vigente investire la Corte di Cassazione di questioni di particolare importanza, in rapporto a provvedimenti giurisdizionali inimpugnabili e il P.G. presso la stessa Corte non richieda nell'interesse della legge la enunciazione di un principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi ai sensi dell'art. 363, l° comma, c.p.c., non è dubitabile che questa Corte a Sezioni unite, che ai sensi dell'art. 374, 2° comma c.p.c. su dette questioni deve comunque pronunciarsi, su disposizione del primo presidente, dichiarati inammissibili i ricorsi incompatibili con la vigente normativa, possano esercitare d'ufficio il loro potere discrezionale di pronunciare il principio di diritto applicabile nella vicenda processuale come ad esse prospettata dai soggetti il cui ricorso sia stato ritenuto precluso.


La norma novellata, a differenza di quella previgente, attribuisce alla Corte suprema per la prima volta tale potere discrezionale, come espressione del suo potere di nomofilachia, per il quale, mentre normalmente, nei casi di ricorsi ammissibili, si enuncia la regola del caso concreto, formando così il c.d. diritto vivente, può anche eccezionalmente pronunciarsi una regola di giudizio idonea a servire, come criterio di decisione per la soluzione di casi analoghi o simili, non potendo pronunciarsi alcunché sulla fattispecie sottoposta in concreto alla cognizione dei giudici di legittimità.


Non è dubitabile che la particolare importanza della questione di diritto, non può desumersi solo dall'incidenza di essa in rapporto alla normativa e al c.d. diritto vivente, di cui deve tenere invece conto in via esclusiva il P.G. che ricorra nell'interesse della legge, ma anche agli elementi di fatto, come gli interessi in gioco in genere oggetto delle controversie, in cui può rilevare la risoluzione della questione.


Tale rilievo anche sociale e di fatto della questione di massima di particolare importanza emerge sicuro, in rapporto all'emergenza "rifiuti" della Campania e si connette all'interesse giuridico dei problemi collegati all'esercizio dei poteri amministrativi, con atti e comportamenti delle autorità, che hanno rilievo anche in rapporto ai diritti incomprimibili dei privati e agli interessi diffusi di varie categorie di cittadini.


Anche se il principio di diritto da enunciare non può avere effetto diretto sui provvedimenti per i quali si è dichiarato inammissibile il ricorso (art. 363, ultimo comma, c.p.c.), la pronuncia può rilevare comunque in relazione alla causa diversa che eventualmente abbia avuto inizio dopo il procedimento sommario, rispetto alla quale si sono emessi i provvedimenti anticipatori inimpugnabili per cassazione e comunque, la esistenza notoria di più controversie, analoghe al presente processo e relative, all'emissione di ordinanze inibitorie per la P.A. di comportamenti esecutivi di provvedimenti amministrativi, in quanto potenzialmente lesivi di diritti incomprimibili e tutelati dalla Costituzione, evidenzia la importanza particolare della questione di giurisdizione prospettata in questa sede, che rende necessario nel caso l'esercizio del potere discrezionale di questa Corte di pronunciare su di essa la regola di diritto in astratto applicabile, rilevante per ogni ipotesi analoga di cautele chieste ad evitare i maggiori danni a diritti fondamentali che potrebbero derivare dalla ritardata soluzione del processo di merito iniziato a tutela degli stessi.


Appare quindi opportuna la pronuncia di ufficio del principio di diritto sui problemi posti, ai sensi dell'art. 363, 3° comma, c.p.c., sollecitata, sia pure in via subordinata, dalle amministrazioni ricorrenti, in rapporto alla rilevanza della soluzione della questione di giurisdizione in una pluralità di casi analoghi (in tal senso, cfr. Cass. 21 maggio 2007 n. 11682, che per la prima e unica volta sembra avere applicato la novella normativa indicata).

 
5.2. Nella fattispecie risulta con chiarezza che, ai sensi del D.L. 9 ottobre 2006 n. 263, convertito nella legge 6 dicembre 2006 n. 290, il Commissario delegato per l'emergenza del settore rifiuti nella regione Campania, ha adottato un provvedimento nell'esercizio dei suoi poteri (art. 1) e, in attuazione dell'art. 5 di detta legge, ha proceduto alla ricerca e individuazione "delle aree da destinare a siti di stoccaggio o discariche", tenendo conto "del carico e degli impatti ambientali gravanti sulle aree su cui già insistono discariche... in evidente stato di saturazione", disponendo, con procedure di somma urgenza (comma 2), "i necessari interventi di sistemazione delle discariche e delle relative infrastrutture".


Come risulta dal ricorso e dallo stesso provvedimento impugnato in questa sede, con l'ordinanza n. 14 del 24 gennaio 2007, il Commissario aveva nominato i tecnici per le indagini conoscitive relative all'area Masseria della Valle in Serre, al fine di accertare l'idoneità del sito ad essere destinato a discarica e di provvedere alla progettazione delle necessarie infrastrutture, in rapporto al territorio in cui esse dovevano essere sistemate.


Tale attività dei tecnici, conseguente al provvedimento commissariale emesso nell'esercizio dei poteri conferiti dalle norme sopra riportate, è stata l'occasione per il giudice designato alla misura cautelare, per ordinare al commissario delegato "di astenersi dall'installare e dal porre in esercizio l'impianto di discarica dei rifiuti nel Comune di Serre, in località Valle della Masseria, come meglio individuato negli atti del presente procedimento e in particolare nell'ordinanza n. 14 del 24.1.07".


L'inibitoria dell'attività materiale, potenzialmente lesiva del diritto alla salute dei cittadini di Serre e ad un ambiente igienicamente sicuro delle imprese casearie intervenute nella fase sommaria, si fonda sul presupposto che, sui diritti fondamentali protetti dalla Costituzione, come quello alla salute in concreto nel caso cautelato, in quanto gli stessi non sono degradabili ad interessi legittimi, la P.A. agirebbe sempre in carenza assoluta di potere e quindi i comportamenti di essa dovrebbero sempre ritenersi non fondati sull'esercizio di un potere e valutarsi come attività materiali e di mero fatto, riservate alla esclusiva cognizione del giudice ordinario. Tale tesi è infondata e non conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la quale distingue sempre tra i comportamenti materiali, che esprimono l'esercizio di un potere amministrativo e sono collegati comunque ad un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarato, da quelli di mero fatto, riservando quindi soltanto i primi alla cognizione dei giudici amministrativi, nella materie riservate alla giurisdizione esclusiva di questi ultimi (cfr. con le sentenze citate nella ordinanza impugnata e richiamate in ricorso anche delle S.U. le ord. 22 agosto 2007 n. 17831, 7 febbraio 2007 n. 2688 e 2689, 11 gennaio 2007 n. 368 e le sentenze 8 giugno 2007 n. 13397 e 8 maggio 2007 n. 10375 le più recenti, tra molte).


Effettivamente, prima della devoluzione alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi di alcune materie e allorchè il riparto di giurisdizione si fondava solo sulla tradizionale bipartizione tra diritti soggettivi e interessi legittimi e sulla individuazione del c.d. petitum sostanziale, proprio in materia di discariche di rifiuti urbani, questa Corte aveva riservato al giudice ordinario ogni controversia in materia di danno alla salute, che dalla collocazione nel territorio di tali infrastrutture poteva derivare (cfr. S.U. sentenze del 17 novembre 1992 n. 12307 e 28 novembre 1990 n. 11457).


Successivamente al D. Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come modificato dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, non vi è invece ragione per denegare la cognizione dei giudici amministrativi allorché, in materia di giurisdizione esclusiva, vi sia una controversia avente ad oggetto comportamenti materiali che siano effetto di atti della P.A, o espressione di poteri di questa e ledano diritti, anche se fondamentali e tutelati dalla costituzione, perché comunque resta ferma la cognizione giurisdizionale dei giudici amministrativi, sulla base di quanto chiarito anche dalle sentenze della C. Cost. 28 aprile 2004 n. 204, 8 marzo 2006 n. 191, in rapporto alla lettura della parola "comportamenti", di cui all'art. 34, 1° comma del D.Lgs. sopra richiamato.


Nello stesso senso è anche la pronuncia della C. Cost. 27 aprile 2007 n. 140, che ha chiarito la piena legittimità costituzionale della cognizione esclusiva dei giudici amministrativi sui diritti tutelati dalla costituzione, anche se con riferimento ad una normativa (art. 1, comma 552, della legge 30 dicembre 2004 n. 311) che riserva a detti giudici solo "le procedure e i provvedimenti" in materia di energia elettrica, ma non ha riferimento ai comportamenti connessi alla gestione degli elettrodotti e al campo elettromagnetico da questi prodotto, per i cui effetti lesivi sulla salute correttamente si è affermato di recente, la cognizione del giudice ordinario (S.U. ord. 8 marzo 2006 n. 4908, richiamata nell'ordinanza impugnata). In tale senso del resto è lo stesso dettato normativo dell'art. 3 della legge n. 205 del 2000 che ha modificato l'art. 21 della legge n. 1034 del 1971, espressamente prevedendo una tutela cautelare nel corso del processo dinanzi ai giudici amministrativi, assimilabile a quella di cui all'art. 700 c.p.c., per la quale, quando il ricorrente alleghi un pregiudizio grave e irreparabile per l'esecuzione dell'atto amministrativo da lui impugnato, egli può chiedere l'emanazione di misure cautelari idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso al Tar, che, sull'istanza di provvedimento urgente, si pronuncia con decreto in camera di consiglio.


La norma aggiunge che "la concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la concessione o il diniego della misura cautelare attenga ad interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, all'integrità, dell'ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale", così evidenziando che anche il giudice amministrativo ha piena cognizione di essi, quando si verta in una controversia riservata alla sua giurisdizione esclusiva (sulla costituzionalità della mancata previsione nel processo amministrativo di misure cautelari anteriori al giudizio cfr. C. Cost. 26 febbraio 2002 n. 179 e sulla esigenza di tale tutela cautelare ante causam anche dinanzi ai giudici amministrativi, nelle materie disciplinate dalla normativa U.E, cfr. Corte di giustizia, sez. IV, 29 aprile 2004, ricorso C. 202/03).


Nel caso non è dubitabile che la causa eventuale di merito attiene all'uso o gestione del territorio regionale, tendendo ad inibire la collocazione su un'area sita nel comune di. Serre dell'opera pubblica particolare costituita dalla discarica.


Deve quindi ritenersi che la controversia è da qualificare "urbanistica" o edilizia ed è quindi regolata, sul piano della tutela giurisdizionale, dall'art. 34, 1' comma, del citato D.Lgs. n. 80 del 1998, come successivamente modificato.


In tale materia, per l'art. 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come modificato dall'art. 35 del D.Lgs. N. 80 del 1998, sostituito dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000 "il tribunale amministrativo regionale ...conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento dei danni, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica..." cui si è fatto espresso riferimento per la inibitoria in concreto disposta in via interinale e urgente dai giudici ordinari nella concreta fattispecie, anche ai sensi dell'art. 2058 c.c.


Nessun dubbio vi è nella giurisprudenza amministrativa sulla esistenza per essa dei poteri di accertamento negativo dei diritti, che nel caso dovrebbe essere a fondamento della sola eventuale azione di merito delle amministrazioni ricorrenti, non avendo le stesse ottenuto la revoca del provvedimento urgente nella stessa sede cautelare (cfr. su tali poteri di accertamento negativo, Cons. St. 26 luglio 2006 n. 413).


5.3. Pertanto, in rapporto alle questioni prospettate in questa sede, dichiarati inammissibili i ricorsi come proposti, deve pronunciarsi, ai sensi dell'art. 363, 3 ° comma c.p.c. il seguente principio di diritto: "Anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla costituzione, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.), allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di un comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi e conseguente ad atti della P.A. di cui sia denunciata l'illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, come ad es. in quella di gestione del territorio, compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie e circa la sussistenza in concreto dei diritti vantati e il contemperamento o la limitazione dei suddetti diritti in rapporto all'interesse generale pubblico all'ambiente salubre e la emissione di ogni provvedimento cautelare, per assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti".

La novità delle questioni prospettate e delle soluzioni adottate rende equa la totale compensazione delle spese tra le parti che in questa sede hanno espletato difese, nulla disponendosi rispetto alle altre parti intimate, nella presente fase di cassazione.


P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibili il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 Cost. e le istanze riunite di regolamento preventivo di giurisdizione e, pronuncia ai sensi dell'art. 363, 3° comma, c.p.c. il seguente principio di diritto sulla questione proposta in questa sede:«Anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, come il diritto alla salute (art. 32 Cost.), allorché la loro lesione sia dedotta come effetto di un comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi e conseguente ad atti della P.A. di cui sia denunciata la illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, come ad es. in quelle di gestione del territorio, compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie circa la sussistenza in concreto dei diritti vantati e il contemperamento o limitazione dei suddetti diritti con l'interesse generale pubblico all'ambiente salubre e la emissione di ogni provvedimento cautelare, per assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti››.


Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni unite civili della corte Suprema di

 

Cassazione del 18 dicembre 2007.