L’applicazione della TARSU in Sicilia tra vecchie e nuove esigenze di pubblico interesse
di Massimo GRECO
Sommario: 1. Il Responsabile del procedimento – 2. Il principio di irretroattività della norma tributaria – 3. La motivazione a supporto dell’aumento tariffario – 4. Gli strumenti di tutela del contribuente – 5. Gli effetti dell’annullamento della avviso di accertamento della TARSU.
Se qualcuno sperava di lasciarsi alle spalle, in uno al vecchio anno, i problemi irrisolti, è costretto a ricredersi in tempi brevi, soprattutto quando questi sono caratterizzati da fattori emergenziali come quello legato alla questione dei rifiuti. In Sicilia, anche il 2011 si apre infatti con l’emergenza rifiuti in varie parti del territorio regionale. Ed in attesa di verificare la bontà del passaggio dal vecchio sistema delle 27 società d’ambito al nuovo e più razionale (?) meccanismo voluto dal legislatore regionale, l’attenzione ad una corretta applicazione dei prelievi tributari ad opera dei competenti Comuni è doverosa non solo nel rispetto di un’azione amministrativa sempre più performante ma anche a tutela di un contribuente sempre più vessato.
Da tale contesto deriva la responsabilità di aumentare il livello di analisi ed approfondimento dei temi strettamente connessi all’imposizione tributaria locale, se non altro per non trovarsi spreparati all’arrivo dell’annunciato “federalismo fiscale”.
Nonostante sia già passato qualche anno dal pronunciamento della Corte Costituzionale che, opportunamente, ha annoverato gli accertamenti tributari nella sfera degli atti amministrativi, così assoggettandoli alle norme sul procedimento amministrativo, in molti Enti locali si registra una diffusa resistenza ad adeguare comportamenti e procedure nell’esercizio delle proprie funzioni impositive. Ad esempio, la tassa dei rifiuti solidi urbani, più comunemente conosciuta come TARSU, continua ad essere applicata ai contribuenti senza le necessarie avvertenze segnalate sia dal legislatore che dalla giurisprudenza.
Il Responsabile del procedimento
Un adempimento, ormai diventato indispensabile, è quello di indicare nell’atto impositivo emesso dall’Ente impositore o dall’Agente di riscossione, il nominativo del Responsabile del procedimento amministrativo, atteso che le tariffe d’igiene ambientale “hanno natura di atti amministrativi impositivi di un obbligo pecuniario di natura pubblicistica, perciò sottoposto dal legislatore alla giurisdizione del giudice tributario”[1], e che l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 si applica ai procedimenti tributari (oltre che dell’Amministrazione finanziaria) dei concessionari della riscossione, in quanto soggetti privati cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche, e che tali procedimenti comprendono sia quelli che il giudice a quo definisce come “procedimenti di massa” (che culminano, cioè, in provvedimenti di contenuto omogeneo o standardizzato nei confronti di innumerevoli destinatari), sia quelli di natura non discrezionale, non si può prescindere dal “l’obbligo imposto ai concessionari di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento, che, lungi dall’essere un inutile appesantimento, ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost. (si veda ora, l’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante << Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norma generali sull’azione amministrativa>>); del resto, fin da epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente, la Corte ha ritenuto l’applicabilità ai procedimenti tributari della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 (ordinanza n. 117 del 2000, relativa all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento”[2]. Secondo la giurisprudenza, “allorchè il provvedimento non rechi alcuna sottoscrizione esso non può che essere invalido, per assoluta impossibilità di individuare elementi sufficienti ad indicarne – con inequivoca precisione – l'autorità emanante[3].
Dello stesso avviso è la dottrina, secondo la quale, “il nominativo del soggetto responsabile, assume, infatti, una ulteriore ed importante rilevanza, per ciò che attiene alla possibilità che l'atto stesso possa essere impugnato per querela di falso, essendo tale diritto, in mancanza di suddetto nominativo, precluso a priori al destinatario del verbale, il quale non ha la possibilità di identificare l'autore dell'atto di cui si potrebbe contestare la falsità. A ben vedere, inoltre, se si vuol considerare l'atto amministrativo redatto con sistemi meccanizzati, alla stessa stregua del documento informatico, la firma autografa, che garantisce, per ciò che ci riguarda, l'identificazione di un nominativo responsabile dell'atto, è da considerarsi in assoluto un dato giuridicamente rilevante. Dal 1° gennaio 2006, infatti, è entrato in vigore il D.lgs. 7 marzo n. 82, il quale definisce il documento informatico <<la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti>>. Se si considerano tali gli atti notificati dalla P.A. e dai concessionari, redatti di fatto con sistemi informatizzati, spersonalizzati, allora solo la firma digitale, a ben vedere, potrebbe soddisfare il requisito legale della forma scritta, garantendone l'identificabilità dell'autore e l'integrità del documento”[4].
Più recentemente, il 14/01/2008, la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce (sent. n. 517/2/07) e la consorella di Bari (sent. n. 445/4/07) hanno emesso due decisioni identiche dove si stabilisce perentoriamente che sono nulle le cartelle di pagamento che non recano il nominativo del suddetto responsabile, poiché tale indicazione ha la funzione specifica di fornire all'utente ogni informazione utile sul provvedimento notificato.
Con la sentenza n. 58 del 2009, la Corte Costituzionale ha escluso la sanzione della nullità nel caso di mancata indicazione del Responsabile del procedimento, in quanto non espressamente prevista dalla legge nel sistema previgente, non essendo deducibile per implicito né dai principi del diritto tributario né dal diritto amministrativo. “Tuttavia deve ritenersi comunque applicabile la sanzione dell’annullabilità, quale pena meno grave della nullità, richiamando l’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990 n. 241, visto che la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto con le ordinanze n. 117 del 2000 e n. 377 del 2007 l’applicabilità ai procedimenti tributari della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990; altrimenti l’ordinanza n. 377 del 2007 e lo Statuto del Contribuente non avrebbero alcun senso”[5].
All’indicazione del Responsabile del procedimento deve seguire la relativa sottoscrizione, pena il rischio d’invalidità del medesimo atto. Infatti, secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, l’illeggibilità della firma apposta in calce ad un provvedimento, non ne comporta di per sé l’invalidità, per l’impossibilità d’individuarne l’autore, quando dal contesto dell’atto risultino elementi sufficienti ad indicarne inequivocabilmente l’autorità emanante, tuttavia, “allorché il provvedimento non rechi alcuna sottoscrizione esso non può che essere invalido, per l’assoluta impossibilità di individuare elementi sufficienti ad indicarne – con in equivoca precisione – l’autorità emanante”[6].
Il principio di irretroattività della norma tributaria
Diffusa tra i Comuni siciliani, pur di far cassa, è altresì la pratica di determinare aumenti alle aliquote della TARSU per anni precedenti a quello d’esercizio, con ciò rischiando di invalidare tutta la manovra d’imposizione per violazione del principio di irretroattività contenuto in numerose disposizioni di legge.
L’art. 52 della L. n. 446/97 così recita: “I regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell'anno successivo”. L’art. 54 della medesima legge, come integrato dall’art. 54 della L. n. 388/2000, dispone che: “Le provincie e i comuni approvano le tariffe e i prezzi pubblici contestualmente all'approvazione del bilancio di previsione. Le tariffe ed i prezzi pubblici possono comunque essere modificati, in presenza di rilevanti incrementi nei costi relativi ai servizi stessi, nel corso dell'esercizio finanziario. L'incremento delle tariffe non ha effetto retroattivo”;
L’art. 3, comma 1, della L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente) dispone che: “Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”.
L’art. 27, comma 8°, della l. n. 448/2001 dispone che: “Il comma 16 dell’art. 53 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, è sostituito dal seguente: 16. Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, recante istituzione di una addizionale comunale all’IRPEF, e successive modificazioni, e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purchè entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento”.
L’art. 1, comma 169, della L. n. 296/2006 dispone infatti che “Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione e che tali deliberazioni, anche se approvate successivamente all’inizio dell’esercizio ma entro il predetto termine, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro il suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno”.
Peraltro, in conformità al principio di legalità, il provvedimento amministrativo il quale incida negativamente nella sfera giuridica ed economica del destinatario, non può ordinariamente avere effetti retroattivi, salvo che in casi specifici, come per i provvedimenti di secondo grado[7].
Più tolleranza viene riservata dal legislatore per i Comuni in stato di disseto finanziario. Infatti, l’art. 69, comma 3, del D.lgs n. 507/93, dispone che “Nei casi di dissesto dichiarato, ai sensi dell'articolo 25 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, e dell'art. 21 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, ovvero di deliberazione adottata quale atto dovuto a seguito di rilievi di legittimità o in ottemperanza a decisione definitiva, è confermato il potere di apportare aumenti e diminuzioni tariffarie oltre il termine di cui al comma 1”.
Appare però evidente che la deroga concerne solamente il termine e non la finalità contenuta nella disposizione. In pratica, la deroga in questione consente l’approvazione di tariffe TARSU oltre il termine del 31 ottobre (oggi da intendersi “mobile” in quanto coincidente con l’approvazione del bilancio di previsione ex l. n. 296/2006) da applicare l’anno successivo o, tutt’al più, nell’anno corrente e non certo per gli anni precedenti. E comunque, la forza normativa di siffatta deroga appare cedevole rispetto al sopravvenuto “Statuto del contribuente” che all’art. 1 afferma il seguente principio in ordine alla gerarchia delle fonti del diritto di natura tributaria: “Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.
In tale contesto, non possono certo avere alcuna rilevanza giuridica alcune aperture fornite ai Comuni, su specifico quesito, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, atteso che le circolari ed i pareri emessi da quest’ultimo non hanno di per sé valore normativo[8].
La motivazione a supporto dell’aumento tariffario
La TARSU è un tributo erariale, istituito, nell’ambito della competenza legislativa esclusiva statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., dalla legge dello Stato (art. 58 del D.lgs. n. 507/93) e da questa disciplinato[9], salvo quanto espressamente rimesso dalla stessa legge statale all'autonomia dei Comuni[10]. La norma fondamentale dalla quale trae origine la TARSU è quindi rappresentata dal citato D.lgs. n. 507 del 15/11/1993 il quale, in attuazione del comma 4 dell’art. 4 della legge di delegazione 23/10/1992 n. 421, ha stabilito, all’art. 58, che, in relazione all’istituzione e all’attivazione del servizio relativo allo <<smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa>> nelle zone del territorio comunale, i Comuni <<debbono istituire una tassa annuale>> da applicarsi <<in base a tariffa>>, secondo appositi regolamenti comunali, a copertura (dal 50% ovvero, per gli enti locali dissestati, dal 75%) del costo del servizio stesso, nel rispetto delle prescrizioni e dei criteri specificati negli artt. da 59 a 81 del medesimo decreto legislativo. Tale norma conferisce ai comuni il potere-dovere di articolare un piano tariffario finalizzato ad una distribuzione del peso fiscale tra i cittadini amministrati sulla base di un calcolo che tiene conto delle diverse categorie di contribuenti nel rispetto, peraltro, del principio comunitario del “chi inquina paga”[11].
La correttezza del procedimento di formazione della pretesa erariale esige, però, il rispetto della sequenza ordinata degli atti, perché sia garantito “un efficace esercizio del diritto di difesa”[12]. Ciò, anche in considerazione che la delibera comunale di approvazione delle tariffe è da annoverare tra gli atti amministrativi generali a contenuto non normativo e da tale qualificazione discende, per il suo carattere di specialità e maggiore garanzia procedimentale, che, in applicazione dell’art. 69, comma 2, del D.lgs. n. 507/93, l’Ente impositore ha l’obbligo di motivare analiticamente le scelte espresse nelle relative deliberazioni[13].
Non è quindi ipotizzabile un aumento delle aliquote per ogni tipologia di classe, senza avere dati certi in ordine allo scostamento tra entrate e costo del servizio[14], richiamando laconicamente il fatto che occorre dare copertura al costo del servizio. Nè può essere adottata una delibera di approvazione di un aumento tariffario in cui non risulti ricavabile alcun elemento idoneo a ricostruire i presupposti di fatto e di diritto che hanno indotto l’Amministrazione a determinare l’aumento in questione, perchè “..ciò potrebbe ingenerare il sospetto che la loro introduzione si possa tradurre in un sostanziale tributo sguarnito dell’indispensabile supporto legislativo”[15]. Infatti le tariffe della TARSU, ovvero della TIA, devono essere calibrate, secondo quanto previsto dalla normativa di riferimento, sugli effettivi costi del servizio reso e non rapportate, di fatto, (come del resto traspare dai bilancio di numerose società d’ambito siciliane) all'esigenza di sopperire agli oneri economici correlati alla marcata e condizionante utilizzazione di personale in esubero; modello di governance che non appare conforme alla volontà del legislatore di far gravare sull'utenza solamente gli oneri effettivi del servizio (determinati sulla base di reali e dimostrabili oneri d'impresa, in funzione del servizio concretamente assicurato) e non anche oneri diversi e, latu sensu, assistenziali, non coerenti con gli ordinari canoni di un equilibrato esercizio d'impresa (e che dovrebbero trovare, quindi, altre fonti di copertura)[16].
Per giustificare la copertura integrale del costo del servizio a carico dell’imposizione tributaria alcuni Comuni evidenziano il proprio stato di dissesto in cui versano, ma omettono di sottolineare che il vincolo di copertura obbligatoria voluto dal legislatore per i Comuni dissestati è pari al 75% (art. 58 del D.lgs. n. 507/93). Ciò significa che ben potrebbero i Comuni far gravare il rimanente 25% sulle casse dei rispettivi bilanci comunali, così come avveniva nel passato. Tale scelta è certamente discrezionale e rientra nella facoltà del Comune decidere, ma diventa inopinata ed irragionevole se fatta da un organo diverso dal Consiglio comunale[17] e, soprattutto, senza alcuna motivazione plausibile, “avvalorando l’impressione di sostanziale arbitrarietà nella determinazione dell’incremento tariffario globale, nonché di casualità nella ripartizione del carico tra le diverse categoria di utenza, l’una e l’altra ispirata a mere esigenze di cassa”[18]. Peraltro, la motivazione risulta ancora più necessaria se si considera che secondo quando previsto dall’art. 15, comma 4, della L.r. n. 9/2010, l’eventuale scostamento rispetto a quanto necessario a garantire la corretta gestione del servizio comporta che il Comune individui nel proprio bilancio le risorse finanziarie ulteriori rispetto a quelle provenienti dalla TARSU.
Simile omissione determina un’evidente violazione degli oneri esplicativi posti a carico degli enti locali dalla normativa che disciplina l’esercizio della potestà impositiva agli stessi devoluta. In particolare, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), gli organi e gli uffici degli enti territoriali devono indicare gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche che determinano l’emissione di atti e provvedimenti diretti al contribuente espressivi di un pretesa fiscale. La motivazione ha lo scopo di consentire al cittadino la ricostruzione dell’iter logico-giuridico attraverso cui l’amministrazione si è determinata ad adottare un determinato atto o provvedimento, al fine di verificare il corretto esercizio del potere alla stessa conferito dalla legge e di far valere eventualmente nelle opportune sedi, giustiziali o giurisdizionali, le proprie ragioni.
Invero, anche nell’orientamento della Corte di Cassazione la disciplina recata dall’art. 7, legge n. 212/200 si inquadra a pieno titolo nel paradigma dei principi generali ed immanenti del diritto e dell’azione amministrativa in materia tributaria, in virtù della relativa funzione di diretta attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Cost.. Giova a tal fine evidenziare “Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, la determinazione dell'ammontare delle tariffe per servizi resi a particolari categorie di utenti presuppone una chiara ed esauriente motivazione dell'onere sostenuto dal soggetto pubblico, che specifichi la misura dei costi trasferiti agli utenti, e ciò da una parte per verificare se effettivamente le somme pretese corrispondono al rimborso delle spese sostenute e, dall'altra, per evitare che esse si traducano in un sostanziale tributo privo dell'indispensabile supporto legislativo; laddove, nella specie, l'aver considerato motivato <<per relationem>> l'impugnato provvedimento con riferimento al Piano d'impresa presentato dalla Società ed approvato con la delibera giuntale, si risolve, in definitiva, in una petizione di principio”[19].
Gli strumenti di tutela del contribuente
Il cittadino/contribuente che si ritiene vessato da un’imposizione tributaria non ragionevole può rivolgersi alla competente Autorità Giurisdizionale per vedersi riconoscere le proprie ragioni, in considerazione che “L’applicazione della tariffa incide sul patrimonio dell’utente del servizio; questi, pertanto, come titolare del diritto a disporre del suo patrimonio, deve riconoscersi altresì titolare di ogni interesse al puntuale rispetto delle norme che disciplinano l’approvazione della tariffa, con riguardo non solo alla misura in cui il suo patrimonio sarà colpito, ma anche al momento in cui ciò avverrà”[20].
In ordine alla giurisdizione, dovrà tenere conto del fatto che appartiene al Giudice amministrativo la giurisdizione relativa alle controversie afferenti alla delibera che istituisce o modifica le tariffe sui rifiuti solidi urbani, mentre appartiene alla Commissione Tributaria la giurisdizione in ordine alle questioni nelle quali costituisce oggetto di contestazione la sussistenza, nell’”an” e nel “quantum”, della pretesa tributaria azionata dall’Ente impositore, impugnandosi in questo caso gli atti impositivi e quindi la specifica obbligazione tributaria ad essi riferita. Alla Commissione Tributaria, in altri termini, residua il potere di disapplicare gli atti amministrativi presupposti alla imposizione[21].
Il Giudice tributario potrà, pertanto, disapplicare, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 2248/1865, All. E), una delibera comunale ritenuta illegittima se la pronuncia è finalizzata alla dichiarazione di illegittimità dell’avviso di accertamento tributario emesso dall’Ente. In questo senso si è già espressa la Corte di Cassazione che ha, peraltro, escluso che la mancata impugnazione di una delibera possa comportare l’acquiescenza del contribuente alle determinazioni dell’Ente[22].
Gli effetti dell’annullamento della avviso di accertamento della TARSU
L’eventuale annullamento dell’avviso di accertamento della TARSU ad opera del competente Giudice tributario non esonera il contribuente dal pagamento della tassa. Ciò, in considerazione della natura giuridica del prelievo, privo, di fatto, di qualsiasi rapporto sinallagmatico con la prestazione del servizio. Infatti, senza entrare nel merito della specifica natura da attribuire alla TARSU, se si tratta di una tassa, di un’imposta di scopo, di un’imposta sull’uso delle abitazioni o di un tributo misto, il dato che emerge, senza indugi, è “l’assenza di un rapporto di scambio tra Stato produttore di servizi pubblici e collettività”[23]. L’orientamento della giurisprudenza che è sembrato consolidarsi negli ultimi anni mira a svincolare la nascita dell’obbligo tributario dall’effettivo utilizzo del servizio, giustificando il prelievo anche nell’ipotesi di irregolare svolgimento del medesimo servizio.
Da questo argomentare scaturisce un altro importante principio maturato dalla giurisprudenza, secondo la quale l’accertata illegittimità di una delibera tariffaria non libera il contribuente dall’obbligo tributario. Infatti, “…la conseguenza della eventuale illegittimità di una delibera tariffaria ha come conseguenza, non già la liberazione del contribuente da qualsiasi obbligo di pagamento per il servizio di raccolta rifiuti, bensì l’applicazione della tariffa vigente in precedenza”[24].
Massimo Greco
[1] Corte Cass. sent. n. 17526 del 9/08/2007.
[2] Corte Cost., ordin. n. 377 del 9/11/2007.
[3] Consiglio di Stato, sez. V°, 19 aprile 2005, n. 1792.
[4] Plagenza Fabrizio, “Il nominativo del responsabile del procedimento nella procedura di riscossione dei tributi...”in Diritto.it, 06/12/2007.
[5] Domenico Massimiliano Lanari, “E’ nulla o annullabile la cartella di pagamento, in cui manchi l’indicazione del responsabile del procedimento?, Amministrazione in Cammino, 2009.
[6] Cons. Stato, parere 24/10/2007 n. 1679.
[7] Tar Veneto, sez. III, sent. 9/04/2008 n. 905.
[8] Cass. Civ., ord. 05/01/2010 n. 35; Cons. Stato, sez. V°, sent. 15/10/2010 n. 7521.
[9] Si vedano, ex plurimis, a proposito dei tributi erariali in generale, le sentenze della Corte Cost. n. 168 del 2008 e n. 75 del 2006.
[10] Secondo quando stabilito dalla Corte Cost. con sent. n. 442 del 2008, “La TARSU non è istituita dalla Regione e, quindi, non è un tributo regionale, ai sensi dello statuto e delle norme di attuazione statutaria (art. 36 dello statuto speciale ed art. 2 del d.lgs. n. 1074 del 1965)”.
[11] Corte di Giustizia CE, sent. 16/07/2009.
[12] Corte Cass. sent. n. 16412 del 25/07/2007.
[13] Tar Sardegna, sez. II, 11/03/2008 n. 411; Tar Palermo, sez. I, sentt. 01/10/2009 n. 1550 e 15/12/2009 n. 2017.
[14] Cons. Stato, sez. V°, sent. 11/08/2010 n. 5616.
[15] C.G.A. sent. 19/01/2010 n. 13.
[16] Cons. Stato sez. V°, sent. n. 6317/2003.
[17] Sulla competenza del Consiglio comunale in ordine all’approvazione dell’aumento tariffario della TARSU si consenta il rinvio a: Massimo Greco “La contesa approvazione della TARSU in Sicilia”, su Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo http://WWW.diritto.it., ISSN 1127-8579, 23/09/2010; su “Norma”, quotidiano d’informazione giuridica, pubblicato su internet all’indirizzo http://www.norma.dbi.it/index.jsp, 14/09/2010; su Lexambiente – Rivista giuridica sull’ambiente pubblicata su internet all’indirizzo www.lexambiente.it, 08/10/2010; in “Segretari enti locali news” pubblicato su internet all’indirizzo www.segretarientilocali.it, Anno 10° n. 70 del 27/09/2010; su “Persona e Danno” – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo www.personaedanno.it, 13/10/2010;
[18] C.G.A. sent. 24/11/2005 n. 420.
[19] Consiglio di Stato, sez. V°, sent. n. 7235 del 08/07/2003.
[20] Cos. Stato, sez. V, sent. 26/10/2006, n. 6400.
[21] Tar Sicilia-Palermo, sent. 02/07/2007 n. 1713.
[22] Corte Cass., sent. 04/08/2005 n. 16427.
[23] Giuseppe Napoli e Salvatore Villani, “Tarsu riducibile senza il servizio”, Il Sole 24Ore, 30/03/2008.
[24] Cass. SS.UU. 22/03/2006, n. 6265.