Le bonifiche "Fare Veloce e bene"
di Alberto PIEROBON
I siti contaminati sono il residuo delle attività che ci hanno preceduto.
L'industria pesante attiva sul nostro territorio fino agli anni ‘70-‘80, gestiva i propri rifiuti smaltendoli generalmente all'interno dei sedimi aziendali o, al più, in zone molto prossime agli stessi.
Ciò valeva anche per la gestione dei rifiuti urbani, ove, sostanzialmente per assenza di tecnologia, si ricorreva ai luoghi più disparati per “allontanare” i propri rifiuti.
Possiamo chiamare questo "il tempo delle discariche incontrollate", che va dagli anni ‘60 fino agli inizi degli anni ‘80. Questa gestione è stata, via via, ricondotta nell’alveo normativo e quindi regolamentata a partire da leggi regionali come quelle della Lombardia dei primi anni ‘80, per poi arrivare al DPR n.915 del 1982.
In questo panorama si è perpetrata, tra altro,la gestione illegale dei rifiuti industriali: un tema ancora aperto e che incide pesantemente sul nostro territorio e sulla nostra economia, a tacer d’altro.
Peraltro, ogni processo tecnologico produce rifiuti, ma allo stesso tempo questi processi utilizzano materie prime diverse generando "scarti diversi" 1 .
Il tema delle bonifiche deve partire proprio da questa considerazione, ovvero che non c'è un solo modo per realizzare"una bonifica" ma è necessario prevedere ed approcciarsi a tanti diversi metodi per effettuare una bonifica in funzione del tipo di contaminazione/scarto che ivi si rinviene, questo rende il tema profondamente complesso sotto il punto di vista tecnico.
Quel che rileva come ostacolo o difficoltà per procedere – appunto - velocemente e bene nelle bonifiche sono, soprattutto due aspetti:
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la individuazione del responsabile;
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i costi da sostenersi per gli interventi (e quali e come).
Il tutto va collocato in uno sfondo di modello concettuale preliminarmente da stabilirsi e che consideri anche la storia del sito e del suo inquinamento.
Infatti, spesso le contaminazioni sono frutto o di attività pregresse (che non sono più presenti) e/o di attività di mala gestio, se non addirittura criminali.
Le attività industriali spesso si sono susseguite (a partire, perlopiù, dagli anni trenta) su un determinato territorio, cambiando proprietà e tipologia produttiva, mentre la prima disciplina organica sulle bonifiche si è sostanzialmente avuta col D.M. n. 471 del 1999.
Come detto, il primo ostacolo è quello di individuare il responsabile della contaminazione, che non ha, come dire, una sua …. impronta! Ad esempio, come vanno trattati quei punti vendita situati sull'autostrada che hanno cambiato più volte il gestore? E, come individuare quale porzione di contaminazione è da attribuirsi a un gestore piuttosto che all'altro?
Vero è che la norma permette l’intervento anche dei soggetti non responsabili dell’inquinamento, ma ad oggi sono poche e, per così dire, “non appetibili” le iniziative pubbliche in questo senso (ad esempio, sembra che la Regione Lombardia abbia risorse esigue 500 mila euro per il 2018; i bandi hanno assegnato con decreto n. 17123 del 22 novembre 2018, risorse a 7 progetti accettati su 8 presentati).
Anche questo aspetto va posto alla politica ambientale che va, tra altro, finalizzata a favorire la restituzione del territorio all’uso pubblico.
Il secondo ostacolo è costituito dai costi di bonifica.
Infatti, l'approccio della bonifica integrale che consente un complessivo recupero del territorio si scontra con i costi di bonifica che incidono notevolmente 2 .
Tra le varie voci che costituiscono il costo totale di una bonifica, sicuramente quella della “caratterizzazione del sito” costituisce una parte importante e strategica.
La difficoltà di reperire notizie dettagliate circa i siti soggetti a bonifica può determinare non solo un maggior onere in fase di caratterizzazione, ma anche una carenza di informazioni necessarie per alimentare correttamente i predetti modelli concettuali, talvolta non permettendo una corretta calibrazione sulla realtà oggetto d'indagine.
Queste difficoltà ed incertezze possono produrre delle spese impreviste che spesso bloccano i procedimenti di bonifica durante la loro esecuzione.
Una soluzione potrebbe essere quella di raccogliere, prima ancora dei dati analitici, testimonianze e informazioni attraverso interviste alle maestranze oppure ai residenti prossimi all’impianto, utilizzando, dei questionari finalizzati a circoscrivere il più possibile i centri di pericolo.
Ciò sembra condurre a un miglior uso delle risorse economiche, quantomeno per l’appunto, relativamente all’attività di caratterizzazione.
Oltre alla difficoltà di reperimento delle notizie, la gestione vera e propria dei materiali da cantiere molto spesso risulta complessa dal punto di vista strettamente operativo, ad esempio, un terreno contaminato da amianto friabile va necessariamente bonificato (scavato) in ambiente confinato (ermetico), il che – ognun se ne avvede - porta a far lievitare anche i costi.
Peraltro i costi variano, perché bisogna tener conto del tipo di inquinante, della profondità cui si deve giungere nell’attività di bonifica 3 , delle variazioni alle tariffe di impianto, dei costi logistici e dei servizi, oltre alla difficoltà di reperire notizie dettagliate sul sito, come pure alle informazioni utili all’intervento, che, pur se dettagliate, lasciano dei margini di errore, etc..
Quali sono le soluzioni a questi primi ostacoli?
Sulla individuazione del responsabile , ricordiamo che una recente pronuncia della Corte di Cassazione Civile, Sez.III^, 23 novembre 2018,n.1573 (depositata il 22 gennaio 2019) ha chiarito che il proprietario o altro soggetto interessato "non deve attendere l'identificazione del soggetto responsabile da parte della competente amministrazione ma può ‘in qualunque momento’ procedere agli interventi di bonifica ed esercitare successivamente il diritto di rivalsa".
Pur non risolvendo il problema della individuazione del responsabile, si consente cosi ad altri soggetti di effettuare le bonifiche, garantendo il diritto di rivalsa.
Francamente, ma quanti imprenditori sono disposti ad intraprendere un’azione di rivalsa stante l’indeterminatezza dell’esito dei procedimenti penali/amministrativi che, da troppo tempo, caratterizzano il nostro sistema paese? Questa è una delle cause che scoraggia gli investitori esteri: l’indeterminatezza e l’incertezza futura su investimenti così strategici e delicati.
Sui costi di bonifica, mentre col cit. DM n.471/99 l'analisi di rischio era da considerarsi come una soluzione residuale rispetto alla bonifica integrale, con il D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 (c.d. codice ambientale) l'analisi di rischio costituisce lo strumento principale per approcciarsi alle bonifiche.
Infatti l'analisi di rischio sposa il principio per il quale si bonifica solo quello/quanto è necessario alla tutela dell'ambiente.
Ma, l'utilizzo dell’analisi di rischio presenta delle problematiche che possono venire migliorate, in estrema sintesi:
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il modello restituisce una proiezione dei valori di conformità alle “CSC” (concentrazioni soglia contaminazione) 4 calcolati in corrispondenza del “punto di conformità” - fissato di norma all'interno dei confini del sito - tenendo conto delle vie di migrazione. Oggi ricorre la necessità di aggiornare la tabella 5, titolo V^,della parte IV^ del D.Lgsn.152/2006, in quanto essa non comprende, tra altro, gli inquinanti emergenti, come ad esempio i PFOS ( Acido perfluoroottansolfonico). Infatti, non poter valutare tutti i potenziali inquinanti limita l'azione nell'immediato e obbliga le amministrazioni ad una ricerca per le soluzioni "alternative" al fine di assicurare in modo efficace e puntuale la salute dei cittadini;
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le bonifiche sono procedimenti che iniziano e finiscono con la certificazione dell'avvenuta bonifica, ma l'investitore privato si trova di fronte all’incognita delle novità legislative, per cui se la norma cambia rispetto a quanto veniva ipotizzato all’inizio della bonifica (addirittura anni prima) che si fa? Coloro che sostengono i costi delle bonifiche sono preoccupati di queste incognite. Le bonifiche dovrebbero piuttosto essere delle occasioni per riconsegnare alla cittadinanza porzioni di territorio a loro sottratte per effetto dell’inquinamento. Per questo un progetto di bonifica dovrebbe, sin dalle prime fasi, prevedere anche il futuro di destinazione del sito, e quindi venire autorizzato e previsto già in questa sua configurazione finale. Insomma, un progetto di bonifica va legato alla riqualificazione dell'area, anche dal punto di vista urbanistico ed ambientale.
Cenni sulla MISE
Comè noto, tra i criteri generali che riguardano gli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza (di cui all’Allegato 3, parte IV, del cit. D.Lgs. n. 152/2006) rientrano quelli della messa in sicurezza d’emergenza (MISE), o di messa in sicurezza operativa (MISO), nonché della messa in sicurezza permanente (MISP).
Vale la pena ricordare che nelle premesse dell’allegato III°, titolo V°, parte IV^ cit DLgs viene testualmente riportato:
“ Sono presentate, quindi, le diverse opzioni da prendere in considerazione sia per pervenire ad un’effettiva eliminazione/riduzione della contaminazione , sia per conseguire un’efficace azione di protezione delle matrici ambientali influenzate dagli effetti del sito , mediante la messa in sicurezza dello stesso, qualora le tecniche di bonifica dovessero risultare meno efficaci, ovvero non sostenibili economicamente ovvero non compatibili con la prosecuzione delle attività produttive.
Per i siti “in esercizio”, infatti, laddove un intervento di bonifica intensivo comporterebbe delle limitazioni se non l’interruzione delle attività di produzione, il soggetto responsabile dell’inquinamento o il proprietario del sito può ricorrere , in alternativa, ad interventi altrettanto efficaci di messa in sicurezza dell’intero sito , finalizzati alla protezione delle matrici ambientali sensibili mediante il contenimento degli inquinanti all’interno dello stesso, e provvedere gradualmente all’eliminazione delle sorgenti inquinanti secondarie in step successivi programmati, rimandando la bonifica alla dismissione delle attività .”
La Mise comporta la rimozione della fonte primaria dell’inquinamento, essa tendenzialmente si applica, come dire… al rubinetto che perde e che si cerca di tappare!
Questa opzione però è riservata ai siti “attivi” e cioè a quei siti dove le attività sono ancora in essere; infatti, per le surrichiamate note, premesse all’allegato 3, si tratta di una scelta rimessa al responsabile dell’inquinamento o al proprietario del sito, ovvero che non pare essere rivolta all’amministrazione pubblica che interviene su situazioni “storicizzate”di siti abbandonati o dismessi.
Nel caso delle ex discariche comunali, il cui inquinamento ha carattere ormai storico, il ricorso alla MISE può essere motivato solo da eventuali accelerazioni di fenomeni di dissesto morfologico o di degrado ambientale.
Giova sottolineare che gli interventi di MISE non necessitano di approvazione (è sufficiente la condivisione delle soluzioni progettuali con gli Enti competenti) e sono attuali nelle more delle indagini di caratterizzazione e dei risultati dell’analisi di rischio.
Allora perché questa è la via maggiormente percorsa?
Perché non trattandosi di bonifica, ciò consente di derogare ad alcuni vincoli (es. la iscrizione all’Albo gestori ambientali). Non è poi chiaro il limite della definizione delle opere. Quindi si può - o non - prevedere un appalto per la Mise? E, ancora, dopo anni di inquinamento è ancora utilmente percorribile questa opzione?
In questa situazione, a noi pare, non possano essere pensate e avviate, procedure di gara in via di urgenza o negoziate.
Insomma vanno evitate deroghe alle normali procedure di evidenza pubblica per la realizzazione degli interventi in parola.
Prime conclusioni
E' necessario provvedere ed agire rendendo chiare, sin da subito, le potenzialità dei siti oggetto di bonifica al fine di rendere – al riguardo - appetibili anche gli investimenti, approvando progetti definitivi che siano "blindati", evitando le continue interpretazioni e/o i cambi di rotta della normativa italiana, che costituiscono di per sè un problema e anche un limite gli investimenti (soprattutto quelli esteri).
Insomma anche questo tipo di incertezza crea paralisi.
La MISE, Messa in Sicurezza d’Emergenza, è un’attività utilizzata dall’amministrazione pubblica in presenza di siti dismessi o abbandonati? Da una prima lettura ciò non pare.
Le scelte rispetto a questa modalità di intervento dovrebbero essere attentamente valutate sotto il profilo dei costi e delle procedure di affidamento.
Vanno quindi evitate le scorciatoie che potrebbero portare non solo ad un aumento dei costi, bensì alla violazione delle procedure previste per la bonifica, per mettere al riparo l’amministrazione da comportamenti amministrativi che possano, in futuro, ipotecare la possibilità di rivalersi sui veri responsabili per vizi procedimentali: come dire… oltre il danno erariale anche la beffa!
Sarebbe più opportuno quindi parlare di MISP.
Le bonifiche ad oggi sono procedimenti che non si svolgono con facilità e fluidità operativa.
Di questo siamo consapevoli, si possono però stimolare le istituzioni centrali per quantomeno aggiornare i riferimenti normativi, rispetto alle sostanze inquinanti, definendo contestualmente i metodi per la loro determinazione analitica (permettendo il confronto a livello nazionale ed internazionale).
Servono insomma anche più efficaci norme e delle pratiche certe per assicurare, come si auspica, certezza e maggior efficacia agli interventi di cui trattasi.
Se possiamo apprendere una lezione dal passato è anche questa.
1 A partire dallo scarto tra ciò che è commestibile con ciò che non è commestibile, l'uomo ha prodotto rifiuti. Con il procedere dello sviluppo tecnologico lo scarto commestibile/non commestibile è diventato la differenza tra bene e rifiuto.
2 Da una stima della provincia di Bolzano, il recupero di una area industriale costa tra i 300 e i 400 €/m². Nel caso di un sito a Bolzano, dove si produceva alluminio primario, da una prima valutazione dei costi effettuata nel 2013 si indicava per 2 ettari un costo di circa 3,5 milioni di euro; nel 2016 il progetto esecutivo stimava 5 milioni di euro, e, attualmente per circa un terzo della area già bonificata, sono stati spesi 4 milioni di euro.
3 Ad esempio, in Lombardia si indica il costo di 150 euro/ton per le terre contaminate (smaltimento+trasporto entro 50 km) per1,5 metri di profondità, per cui 1 mq = 1,5mc ---> circa 1,7 ton = 380 euro a mq. Se i metri di profondità sono 3, si può arrivare a 760 euro a mq, senza considerare i costi del ripristino.
4 Com’è noto, si definiscono “concentrazioni soglia di contaminazione” (CSC): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica (Allegato 5). Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati.