Inceneritori e termovalorizzatori. UE ed Italia: bugie e verità

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su questionegiustizia.it. Si ringraziano Autore ed Editore.

Premessa

Molto si discute in questi giorni della problematica dei termovalorizzatori 1, specie con riferimento alla scelta del Comune di Roma di chiudere il ciclo rifiuti della Capitale costruendo un termovalorizzatore da 600.000 tonnellate sul tipo di quello di Copenaghen. Capita, quindi, di leggere in proposito sulla stampa opinioni totalmente divergenti espresse, spesso, con toni molto accesi, tanto da far temere addirittura una crisi di governo. In realtà, come vedremo, si tratta di una problematica che non può essere trattata a sé ma solo nell’ambito di scelte più generali di politica ambientale ed industriale. Così come esattamente fa la Ue, che se ne occupa da anni per approdare ad una posizione a nostro avviso del tutto ragionevole ed equilibrata senza esaltazioni o demonizzazioni.

L’intento di queste note, quindi, è di fornire al lettore una rapida panoramica della normativa italiana e comunitaria in proposito, onde consentirgli di formarsi una opinione non solo di tipo giuridico ma anche e soprattutto “politico” generale con riferimento agli obiettivi della transizione ecologica, prescindendo da posizioni di parte precostituite dove spesso il vero si confonde con il falso.

La normativa comunitaria ed il recupero di energia: il quadro storico generale

Per comprendere realmente la problematica connessa con la cd. “termovalorizzazione” è necessario risalire ad oltre 50 anni fa quando l’Europa e l’Italia iniziarono a comprendere che la crescita economica ed il vertiginoso sviluppo industriale del dopo guerra avevano un rovescio della medaglia in termini sociali e con gravi costi ambientali e di salute pubblica. Nei primi anni 70, infatti, grazie allo storico rapporto sui limiti dello sviluppo del MIT per il Club di Roma di Aurelio Peccei 2 , iniziò faticosamente a farsi strada l’opinione che, per la sopravvivenza del pianeta e del genere umano, occorreva intervenire per regolamentare i rapporti tra l’uomo e l’ambiente, prendendo atto del pericolo di una crescita demografica incontrollata, di un rapido esaurimento delle risorse e di un crescente inquinamento ambientale. E, sempre faticosamente, iniziò allora a prendere forma una normativa contro gli inquinamenti delle acque, dell’aria e del suolo, specie a causa dei rifiuti che, all’epoca, erano “eliminati” con discariche e depositi incontrollati 3.

In estrema sintesi:

a) La prima direttiva sui rifiuti n. 442 del 15 luglio 1975 era tutta incentrata sullo smaltimento4 e sulle “ misure necessarie per assicurare che i rifiuti verranno smaltiti senza pericolo per la salute dell' uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e in particolare senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora; senza causare inconvenienti da rumori od odori; senza danneggiare la natura e il paesaggio” (art. 4). Ma, ancor prima, rilevava (nei “considerando”) “ l'importanza di favorire il ricupero dei rifiuti e l'utilizzazione dei materiali di ricupero per preservare le risorse naturali ”, ed invitava gli Stati membri ad adottare “ le misure atte a promuovere la prevenzione , il riciclo , la trasformazione dei rifiuti e l' estrazione dai medesimi di materie prime e eventualmente di energia , nonché ogni altro metodo che consenta il riutilizzo dei rifiuti ” (art. 3, comma 1).

Compariva, quindi, accanto alla smaltimento, un primo accenno all’importanza del recupero dei rifiuti anche ai fini della produzione di energia.

b) Un evidente cambio di rotta si verificava sedici anni dopo, quandola direttiva n. 156 del 18 marzo 1991, pur confermando, come opzione base, al fine di “ consentire alla Comunità nel suo insieme di raggiungere l'autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti ”, l’adozione di “ misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione che non comportino costi eccessivi ” (art. 5), prefigurava una scala di priorità per promuovere, in primo luogo, “la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti”; e, in secondo luogo, il loro recupero, nel cui ambito il riciclo, il reimpiego ed il riutilizzo venivano chiaramente differenziati e anteposti all’ “uso dei rifiuti come fonte di energia5. Impostazione che veniva ulteriormente rafforzata, sei anni dopo, dallaRisoluzione del Consiglio del 24 febbraio 1997 sulla strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti, la quale confermava che la priorità principale della gestione dei rifiuti dovrebbe essere la prevenzione e che il riutilizzo e il riciclaggio di materiali dovrebbero preferirsi alla valorizzazione energetica dei rifiuti , nella misura in cui essi rappresentano le alternative migliori dal punto di vista ecologico.

c) Né alcuna modifica di questa impostazione si riscontrava nella successiva direttiva n. 12 del 5 aprile 2006 (2006/12/CE). Vale solo la pena di citare a conferma, in proposito, nello stesso periodo, anche la Risoluzione del Parlamento Europeo 15 febbraio 2007 su una strategia tematica per il riciclaggio di rifiuti 2006/2175(INI) la quale (n. 15) “s ottolinea l'importanza centrale della gerarchia dei rifiuti, che stabilisce le seguenti priorità d'azione in ordine decrescente :

– prevenzione;

– riutilizzo;

– riciclaggio materiale;

– altre operazioni di recupero, ad esempio il recupero di energia;

– smaltimento;
come regola generale della gestione dei rifiuti finalizzata a ridurre la produzione di rifiuti e le ripercussioni negative sulla salute e sull'ambiente risultanti dalla produzione e gestione dei rifiuti
6 ;

d) Sulla base di questi atti pregressi, quindi, la successivadirettiva n. 98 del 19 novembre 2008 (2008/98/CE) premette 7 che << occorre modificare le definizioni di "recupero" e "smaltimento" per garantire una netta distinzione tra questi due concetti, fondata su una vera differenza in termini di impatto ambientale tramite la sostituzione di risorse naturali nell’economia e riconoscendo i potenziali vantaggi per l’ambiente e la salute umana derivanti dall’utilizzo dei rifiuti come risorse >> e, nell’art. 4, conferma definitivamente e senza ombra di equivoci, la scala finale di priorità da seguire per la lotta all’inquinamento da rifiuti:

Articolo 4 ( Gerarchia dei rifiuti)

1. La seguente gerarchia dei rifiuti si applica quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti:

a) prevenzione;

b) preparazione per il riutilizzo;

c) riciclaggio;

d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e

e) smaltimento. OMISSIS

Appare, pertanto, incontestabile, a questo punto, che, nella normativa comunitaria, il recupero di energia dai rifiuti (cd. termovalorizzazione) viene relegato, dopo prevenzione, riciclo e riutilizzo, al penultimo posto, seguito solo dallo smaltimento bruto in discarica o in inceneritori senza recupero di energia 8. In coerenza, peraltro, con il proposito di realizzare una “ società del riciclaggio” da contrapporre allo smaltimento in discarica o in inceneritori 9, attraverso il ricorso alla raccolta differenziata 10.

e) Un ulteriore passo avanti viene fatto, infine, con la direttiva n. 851 del 30 maggio 2018 (direttiva UE 2018/851) che, confermando la gerarchia del 2008, apporta alcune significative modifiche, introducendo, tra l’altro, i principi della sostenibilità e della economia circolare e considerando espressamente i rifiuti come risorsa da valorizzare. Proprio per questo aggiunge la nuova definizione di “«recupero di materia»: qualsiasi operazione di recupero diversa dal recupero di energia e dal ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o altri mezzi per produrre energia . Esso comprende, tra l’altro, la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e il riempimento. .” (art. 3, n. 15-bis); differenziando, così, con chiarezza ancora una volta il recupero di materia dal recupero energetico; e riscrive, tra l’altro, gli articoli 9, 10 e 11, relativi a prevenzione, recupero, preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, che sono i cardini su cui poggia la gerarchia dei rifiuti sopra ricordata.

La normativa comunitaria ed il recupero di energia nel quadro della gerarchia dei rifiuti in particolare

Appare necessario, a questo punto, fornire, anche se succintamente, alcune precisazioni normative relative ai cardini su cui poggia la gerarchia comunitaria dei rifiuti sopra richiamata:

a) La priorità assoluta, come abbiamo visto, è la “ prevenzione”, in quanto “il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto”. E pertanto, il nuovo art. 9 della direttiva, dopo aver ribadito che “ gli Stati membri adottano misure volte a evitare la produzione di rifiuti ”, fornisce una ampia elencazione indicativa di tali misure 11.

b) Subito dopo compare il “recupero rispetto al quale l’art. 10 conferma, di regola, la importanza fondamentale della raccolta differenziata, precisando tuttavia significativamente (comma 4). che “g li Stati membri adottano misure intese a garantire che i rifiuti che sono stati raccolti separatamente per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio a norma dell’articolo 11, paragrafo 1, e dell’articolo 22, non siano inceneriti , a eccezione dei rifiuti derivanti da successive operazioni di trattamento dei rifiuti raccolti separatamente per i quali l’incenerimento produca il miglior risultato ambientale conformemente all’articolo 4 ”. Se, a questo punto, si leggono le definizioni di “ preparazione per il riutilizzo” e di “riciclaggio” (art. 3, nn. 16 e 17 della direttiva) 12, appare evidente che si vuole decisamente favorire il recupero come materia (in cui il rifiuto viene riutilizzato e reimpiegato senza cambiamento di stato) rispetto all’incenerimento per ottenere recupero di energia. E, a tal fine, l’art. 11 della direttiva detta alcuni criteri per favorire ed ottimizzare queste operazioni richiamando, in primo luogo, lo strumento fondamentale di una corretta raccolta differenziata e fissando alcuni obiettivi da raggiungere entro i prossimi anni.

c) L’art. 12 si occupa, infine, dell’ultima opzione e cioè dello “smaltimento” fissando l’obiettivo di una sua riduzione onde garantire una gestione dal punto di vista ambientale corretta dei rifiuti ”.

In conclusione , quindi, la normativa europea impone agli Stati membri di rispettare una precisa gerarchia in cui la prevenzione si colloca al primo gradino, il recupero come materia al secondo, il recupero come energia al terzo e lo smaltimento all’ultimo. Dove –sia chiaro- gerarchia non significa che si può scegliere indifferentemente tra le varie opzioni ma che, invece, vi è l’obbligo di considerarle, seguendo, nell’ordine, la precisa scala di priorità imposta dall’Europa. E allora, la prima cosa da fare è prevenire e ridurre la produzione dei rifiuti: adottare, cioè, misure che limitano l’uso di prodotti destinati a diventare rifiuto. Al secondo posto, per quello che non si può prevenire, troviamo riutilizzo e riciclaggio, che non provocano alcuna alterazione ambientale e distruzione di risorse. Al terzo posto, troviamo i termovalorizzatori e all’ultimo lo smaltimento “bruto” nell’ambiente attraverso discariche ed inceneritori senza recupero di energia. Quindi, per la UE, si può ricorrere ai termovalorizzatori solo per i rifiuti che non si possono evitare e non si possono riutilizzare o riciclare in base alle prime due opzioni.

La oscillante normativa italiana di recepimento

E’ interessante, a questo punto, esaminare, anche se in estrema sintesi, il comportamento del legislatore italiano chiamato nel tempo a recepire le indicazioni comunitarie sulla gerarchia dei rifiuti.

a) In un primo momento, infatti, si può constatare un corretto allineamento: nel D. Lgs n. 22/1997 sui rifiuti (cd. decreto Ronchi) 13 si stabilisce (art. 4, comma 1) che “ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:

a) il reimpiego ed il riciclaggio;

b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;

c) l'adozione di misure economiche e la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;

d) l'utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo per produrre energia .”, precisando subito (comma 2) che “ il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero ”.

b) Tuttavia, inspiegabilmente, nove anni dopo, nella prima formulazione del TUA (D. Lgs 152/06) approvata dal governo Berlusconi-Matteoli 14, questo secondo comma, con la evidente preferenza per il recupero come materia rispetto a quello energetico, scompariva in quanto, come si legge nella relazione introduttiva, occorre provvedere alla <<r idefinizione delle priorità nella gestione dei rifiuti in conformità a quelle stabilite dalla normativa comunitaria , senza porre gradi di gerarchia fra il recupero di materia prima secondaria ed il recupero energetico >>. E, pertanto, il recupero energetico tramite termovalorizzazione veniva equiparato al recupero come materia senza alcuna scala di priorità 15.

c ) Ben presto, tuttavia, prima di subire una procedura di infrazione, si ritornava nell’alveo della legalità comunitaria. Infatti, il decreto correttivo n. 4/2008 del governo Prodi-Pecoraro inseriva nell’art. 179 del TUA un comma 2, secondo cui << nel rispetto delle misure prioritarie di cui al comma 1, le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante riutilizzo, riciclo o ogni altra azione diretta ad ottenere da essi materia prima secondaria sono adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di energia >>.

d ) Attualmente, la gerarchia comunitaria risulta applicata nel nostro paese, pur se con qualche sbavatura, tramite l’art. 179 cit. che giova riportare per esteso, nella sua vigente formulazione 16:

Art. 179 (Criteri di priorita' nella gestione dei rifiuti)

1. La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:

a) prevenzione;

b) preparazione per il riutilizzo;

c) riciclaggio;

d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;

e) smaltimento.

2. La gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorita' di cio' che costituisce la migliore opzione ambientale . Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilita' tecnica e la praticabilita' economica.

3. Con riferimento a flussi di rifiuti specifici e' consentito discostarsi, in via eccezionale, dall'ordine di priorita' di cui al comma 1 qualora cio' sia previsto nella pianificazione nazionale e regionale e consentito dall'autorita' che rilascia l'autorizzazione ai sensi del Titolo III-bis della Parte II o del Titolo I, Capo IV, della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)), nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilita', in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilita' tecnica e la protezione delle risorse.

4. Con uno o piu' decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute, possono essere individuate, con riferimento a flussi di rifiuti specifici, le opzioni che garantiscono, in conformita' a quanto stabilito dai commi da 1 a 3, il miglior risultato in termini di protezione della salute umana e dell'ambiente.

L’irresistibile propensione italiana verso i termovalorizzatori

Giova, a questo punto, evidenziare che, al di là del recepimento formale dei criteri di priorità imposti dalla normativa comunitaria, il nostro paese ha dimostrato più volte una marcata e diretta simpatia verso i termovalorizzatori, attraverso agevolazioni, semplificazioni e facilitazioni cui ha dovuto rinunziare a malincuore, quasi sempre dopo il deciso intervento delle istituzioni comunitarie.

In estrema sintesi, sembra sufficiente ricordare in proposito che la Corte europea di Giustizia con sentenza della sezione 2, 23 novembre 2006, C,-486/04, ha condannato il nostro paese per il termovalorizzatore di Massafra in quanto “ il criterio adottato dalla normativa italiana, attinente esclusivamente all’attuazione delle procedure semplificate, inteso a dispensare gli impianti di recupero dei rifiuti rientranti nell’allegato II, punto 11, lett. b), della direttiva 85/337 dalla valutazione di impatto ambientale, non soddisfa le condizioni ricordate ai punti 53‑55 della presente sentenza, in quanto esso può far sì che determinati progetti idonei ad avere rilevanti ripercussioni sull’ambiente a motivo delle loro dimensioni o della loro ubicazione siano sottratti alla verifica del loro impatto ambientale . Pertanto, la normativa in questione è idonea a pregiudicare l’obiettivo della direttiva 85/337 quale precisato al punto 37 della presente sentenza 17.

Tanto è vero che il governo (Prodi-Pecoraro) si affrettava ad adeguarsi con DPCM 7 marzo 2007.

Nello stesso quadro, si deve ricordare la normativa CIP 6 la quale, per decenni, al fine di erogare sostanziosi contributi da parte dello Stato, ha favorito i termovalorizzatori equiparando la produzione di energia tramite incenerimento di rifiuti a quella ottenuta con fonti rinnovabili (sole, vento ecc.). Ed anche in questo caso l’abrogazione è stata voluta dal governo Prodi-Pecoraro, prima che si arrivasse ad un’altra sentenza di condanna in sede comunitaria 18.

Ma forse l’esempio più eclatante è costituito dal D. L. 12 settembre 2014, convertito con legge 11 novembre 2014 n. 164 (cd.Decreto "sblocca Italia") del governo Renzi 19, il cui art. 35 dettando " Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani..." , prescrive che venga programmata una rete di inceneritori per coprire tutto il fabbisogno nazionale, che "tali impianti di termotrattamento costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell'ambiente. " e che " i termini previsti per l'espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1, sono ridotti alla metà. Se tali procedimenti sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono ridotti della metà i termini residui ". Una scelta strategica generale a favore, quindi, dei termovalorizzatori presentata, in palese contrasto con la gerarchia comunitaria, come opzione nazionale primaria per la soluzione definitiva del problema dei rifiuti urbani20.

La Commissione europea ed il ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare

In questo quadro generale, di particolare interesse appare la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 26 gennaio 2017 (COM2017 34 final) intitolata al “ ruolo della termovalorizzazione nell'economia circolare”, la quale si propone lo scopo principale di “ garantire che il recupero di energia dai rifiuti nell’UE sostenga gli obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare e sia pienamente coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE ”.

Vale la pena di leggerla integralmente ma, per brevità, riportiamo solo le conclusioni:

I processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’UE funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio. Ciò è essenziale al fine di salvaguardare appieno il potenziale di un’economia circolare, in termini sia ambientali sia economici, e per rafforzare la leadership europea nel settore delle tecnologie verdi. Inoltre, la termovalorizzazione può massimizzare il contributo dell’economia circolare alla decarbonizzazione solo se rispetta la gerarchia dei rifiuti, conformemente alla strategia dell’Unione dell’energia e all’accordo di Parigi. Come già osservato, il contributo maggiore al risparmio energetico e alla riduzione delle emissioni di gas serra proviene dalla prevenzione e dal riciclaggio dei rifiuti. In futuro si dovranno prendere maggiormente in considerazione processi quali la digestione anaerobica dei rifiuti biodegradabili, in cui il riciclaggio dei materiali è associato al recupero di energia. Per contro, va ridefinito il ruolo dell’incenerimento dei rifiuti – attualmente l’opzione prevalente della termovalorizzazione – per evitare che si creino sia ostacoli alla crescita del riciclaggio e del riutilizzo sia sovraccapacità per il trattamento dei rifiuti residui. La Commissione invita gli Stati membri a tenere conto degli orientamenti forniti nella presente comunicazione ai fini della valutazione e del riesame dei rispettivi piani di gestione dei rifiuti ai sensi della normativa dell’UE. Nel pianificare gli investimenti futuri in capacità di termovalorizzazione è essenziale che gli Stati membri tengano conto del rischio di attivi non recuperabili. In sede di valutazione dei piani nazionali di gestione dei rifiuti e di monitoraggio dei progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi di riciclaggio dell’UE, la Commissione continuerà a fornire orientamenti volti a garantire che la pianificazione delle capacità di termovalorizzazione sia conforme e favorevole alla gerarchia dei rifiuti e tenga altresì conto del potenziale delle tecnologie nuove ed emergenti per il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti. La Commissione ribadisce il proprio impegno per garantire che i finanziamenti dell’UE e altri aiuti finanziari pubblici siano destinati alle opzioni per il trattamento dei rifiuti che sono conformi alla gerarchia dei rifiuti, e che sia data la priorità alla prevenzione, al riutilizzo, alla raccolta differenziata e al riciclaggio dei rifiuti ”.

Risulta, quindi, evidente da queste conclusioni che per la UE la stella polare in tema di termovalorizzatori è costituita dalla gerarchia dei rifiuti con le sue scelte prioritarie, tanto da condizionare al suo rispetto i finanziamenti comunitari nel settore. Ma altrettanto importante appare l’affermazione secondo cui “ alcuni singoli Stati membri dipendono in misura eccessiva dall’incenerimento dei rifiuti urbani…. Tassi così elevati di incenerimento non sono coerenti con obiettivi di riciclaggio più ambiziosi. Per ovviare a questo problema si possono decidere a livello nazionale varie misure…in particolare …. introdurre una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi e meno efficienti ”.21

La termovalorizzazione nel PNRR

Coerentemente con queste premesse, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), tutto incentrato sull’obiettivo della economia circolare 22 e sulla lotta ai cambiamenti climatici23 , non vede con favore la termovalorizzazione. Nelle recenti linee guida pubblicate in proposito dalla Commissione europea sull'interpretazione del principio " non arrecare danno significativo all'ambiente", l'incenerimento dei rifiuti è considerato, infatti, un'attività che arreca un danno significativo all'ambiente. Proprio per questo, gli impianti che bruciano rifiuti per produrre energia, sono esclusi dalla tassonomia della finanza UE . Ed anche nel Regolamento Ue 2020/852 la tassonomia Ue non include l’incenerimento tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici.

Quindi, in sostanza, si conferma che la costruzione di nuovi termovalorizzatori non potrà beneficiare di finanziamenti comunitari.

La situazione italiana e l’incertezza dei dati

Secondo i dati ufficiali, in Italia ci sono 37 termovalorizzatori 24, in prevalenza al Nord (26 impianti, 13 in Lombardia e 7 in Emilia Romagna), che nel 2020 hanno trattato complessivamente circa 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani che rappresentano il 74,5% di quelli inceneriti al Nord; mentre al Centro e al Sud sono in funzione 5 e 6 impianti che rispettivamente hanno trattato oltre 532 mila tonnellate e più di un milione di tonnellate di rifiuti urbani.

Di contro, ci sono in Italia complessivamente 383 discariche attive che smaltiscono 20 milioni di tonnellate di rifiuti.

Se, a questo punto, andiamo a considerare i dati sul riciclaggio ci troviamo di fronte ad affermazioni trionfalistiche dalle quali sembra che l’Italia sia in Europa uno dei paesi più “ricicloni”. In realtà ciò avviene solo sulla carta 25. Molto spesso, infatti, specie per le plastiche, si computano come riciclati rifiuti che sono stati oggetto di raccolta differenziata ma non vanno a riciclo in quanto, in Italia, la raccolta differenziata è, spesso, di pessima qualità e non può essere, quindi, tutta immessa al riciclaggio, diventando, per i rifiuti di plastica, il cd. “Plasmix” (frazione estranea + imballaggi in plastica conferiti correttamente ma non selezionabili/riciclabili) 26, destinato per il 16% a discarica e per il restante 84% a recupero energetico, in cementifici (75%) e in termovalorizzatori (25%). Così come si computano nel riciclo rifiuti che vengono inviati all’estero dove, invece, vengono smaltiti più o meno illegalmente.

Proprio per questo l’ultima direttiva sui rifiuti n. 851 del 2018 (art. 11-bis recepito in Italia dall’ art. 205-bis del TUA) prescrive che da quest’anno il peso dei rifiuti urbani riciclati sia misurato all’atto dell’immissione nell’operazione di riciclaggio e che i rifiuti esportati fuori UE possano essere considerati, ai fini del calcolo del riciclaggio, solo se siano rispettati gli obblighi per la loro tracciabilità, l’esportatore possa provare che la spedizione di rifiuti è conforme agli obblighi comunitari e il trattamento dei rifiuti al di fuori dell’Unione abbia avuto luogo in condizioni che siano ampiamente equivalenti agli obblighi previsti dal pertinente diritto ambientale dell’Unione.

In tal modo, secondo la Corte dei Conti della UE, 27 si dovrebbe arrivare, per i rifiuti di plastica, ad un drastico ridimensionamento (con una riduzione fino a 10 punti percentuali) dei dati di riciclaggio comunicati attualmente 28.

Un cenno, infine, va fatto alla problematica degli impianti di trattamento. Infatti, secondo i dati ISPRA, nel 2019 il 95,4% dei rifiuti urbani smaltiti in discarica e il 48,8% di quelli inceneriti sono stati sottoposti a trattamento preliminare 29 in 130 impianti di trattamento meccanico biologico aerobico (TMB), di cui 27 con il solo trattamento meccanico (TM) 30.

In realtà, trattasi di trattamento spesso utilizzato nel nostro paese, per classificare, a prescindere dai risultati del trattamento, rifiuti urbani con codice EER 19.12.12, e cioè come rifiuti speciali; con la conseguenza che ad essi non si applicherebbe il divieto di <<smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti>> (art. 182, comma 3 d. lgs 152/06) e l’obbligo di <<permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi>> (art. 182 bis, comma 1 lett.b); consentendo, quindi, vista la cronica carenza di controlli, di aggirare obblighi e divieti per rifiuti urbani che infine, sulla carta, vengono spacciati come destinati a riciclo. Espediente di recente condannato dalla Corte di giustizia europea, ottava sezione, 11 novembre 2021, C-315/20 , secondo cui a prescindere dal codice assegnato, i rifiuti urbani indifferenziati restano tali anche se, essendo destinati a recupero energetico, hanno subito un trattamento meccanico, il quale non ha, tuttavia, sostanzialmente alterato le loro proprietà originarie. E, pertanto, in base alla normativa comunitaria, la loro gestione deve rispettare i principi di autosufficienza e di prossimità i quali impongono di trattarli nell’impianto più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti, per limitarne al massimo il trasporto. E quindi non possono essere inviati all’estero 31.

In conclusione, quindi, poiché, come abbiamo visto, l’opzione termovalorizzatori va inserita nel contesto delle priorità stabilite dalla gerarchia dei rifiuti, sarebbe necessario valutarla alla luce della situazione reale circa prevenzione, recupero come materia, termovalorizzazione e smaltimento. E pertanto, prima si dovrebbe procedere ad un accurato controllo sul territorio interessato, sugli impianti esistenti e sulla destinazione dei rifiuti onde accertare i dati reali circa produzione e gestione, necessari per la corretta applicazione della gerarchia comunitaria dei rifiuti.

Conclusioni

Dalla rapida panoramica effettuata nelle pagine che precedono emerge con chiarezza che in Italia la problematica dei termovalorizzatori viene troppo spesso esaltata o demonizzata 32 in base a considerazioni ideologiche, ragioni di schieramento politico, argomenti puramente tecnici e valutazioni solo economiche; tralasciando, soprattutto di collocarla nel quadro generale della politica comunitaria con specifico riferimento alla scala di priorità e all’obiettivo della economia circolare e della lotta ai cambiamenti climatici.

E’ per questo che ci siamo soffermati proprio sulla posizione assunta in proposito dalla Ue, che, a nostro sommesso avviso, è anche la posizione più condivisibile ed equilibrata, e che potremmo chiamare del “male minore”.

In altri termini, quando si tratta della problematica dei rifiuti, non c’è dubbio che, in un contesto generale di “sostenibilità”, in un mondo dove le materie prime vanno rapidamente esaurendosi, i rifiuti di oggi devono essere le risorse di domani; e, pertanto, l’unica opzione possibile è di limitare l’uso delle risorse non rinnovabili, evitando, in ogni caso, che divengano rifiuti o, comunque, rifiuti non più riutilizzabili come materia, con il conseguente inquinamento.

Queste sono, esattamente, le due prime opzioni della scala di priorità comunitaria, mentre la termovalorizzazione viene collocata al terzo posto in quanto, pur svolgendo una funzione utile, consuma risorse e provoca alterazione ambientale. E, pertanto, ad essa si può ricorrere solo se le prime due opzioni non sono sufficienti e sempre a condizione di non ostacolarle. Tanto è vero che, come abbiamo visto, la Ue raccomanda agli Stati membri di non “esagerare” con la termovalorizzazione onde evitare che essa sia di ostacolo ad “obiettivi di riciclaggio più ambiziosi”, anche a costo di “ introdurre una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi e meno efficienti ”.

Di certo, tuttavia, è preferibile (come “male minore”) allo smaltimento in discarica che non svolge alcuna funzione utile, distrugge risorse e provoca un inquinamento otto volte superiore.

Questo ci evidenzia la Commissione quando, dopo aver affermato che “ la normativa europea in materia di rifiuti è coerente con la gerarchia dei rifiuti dell’UE e mira ad elevare il livello della gestione dei rifiuti privilegiando la prevenzione, il riutilizzo e il riciclaggio e non la termovalorizzazione o, peggio, la discarica ”, precisa che, comunque, “ i processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’UE funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio”.

Ma, attenzione, questo significa ancora una volta che, in caso di insufficienza delle prime due opzioni, la termovalorizzazione viene solo accettata come “male minore” rispetto allo smaltimento in discarica. Tanto è vero che, ai fini della transizione ecologica, la tassonomia Ue non la include tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici, ed anzi, secondo le linee guida della Commissione, l'incenerimento dei rifiuti è considerato “un'attività che arreca un danno significativo all'ambiente33.

Ed è altrettanto evidente che gli Stati membri devono adoperarsi per ridurre al minimo questo “male minore” incentivando al massimo le prime due opzioni della prevenzione e del riciclaggio.

Occorre, quindi, limitare la messa in circolazione di oggetti e imballaggi che non possono essere riutilizzati o riciclati (quanti sono, peraltro, gli imballaggi realmente necessari per proteggere un prodotto e quanti sono quelli che servono, invece, a renderlo più appetibile per il consumatore?), vietare l’usa e getta, pretendere dallo Stato che si dia attuazione al principio comunitario per la estensione del ciclo di vita dei prodotti ecc.

Per i rifiuti che restano, occorre potenziare e rendere realmente operativa la premessa necessaria al riciclo ed al riutilizzo, e cioè una vera e corretta raccolta differenziata (porta a porta), anche coinvolgendo e responsabilizzando cittadini ed esercenti; controllare e adeguare i TMB (che non possono limitarsi alla sola separazione secco-umido per cambiare codice); e soprattutto assicurare sbocchi per il riciclo, creando anche impianti di digestione anaerobica (con produzione di biogas e digestato) ed impianti di compostaggio, tenendo conto che entro il 2025, secondo la UE, dovremmo arrivare al 65% di riciclo (vero) mentre il ricorso alla discarica dovrebbe scendere al di sotto del 10%.

E’, quindi, solo in questo quadro complessivo e dopo aver acquisito i dati necessari sul territorio che si può affrontare correttamente, in termini residuali, la questione dei termovalorizzatori. Tenendo conto, peraltro che, secondo l’ultimo rapporto della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica, il tempo medio per la realizzazione di un impianto è di oltre quattro anni e mezzo, con punte che arrivano a 8/10 anni. 34.

Ma questo è proprio quello che non avviene e si continua a sproloquiare con frasi fatte e scelte preconcette contrapponendo gli ambientalisti del “no a tutto” ai virtuosi del “fare”.

Una ultima osservazione: a qualsiasi persona di media intelligenza appare evidente che l’opzione base nella lotta ai rifiuti è la prevenzione in quanto, come abbiamo detto, il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto. E invece è quella meno praticata, specie nel nostro paese.

Basta ricordare il recentissimo esempio del D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 196 che ha recepito (in ritardo) la direttiva (UE) 2019/904, sulla riduzione dell'incidenza di determinati prodotti di plastica sull'ambiente >> (e cioè delle plastiche monouso), dove, in palese contrasto con la direttiva, non solo si concede arbitrariamente un termine per smaltire le scorte ma addirittura si esonerano dal divieto di messa in commercio i “ prodotti realizzati in materiale biodegradabile e compostabile… con percentuali di materia prima rinnovabile ”; deroga di cui non v’è traccia nella norma comunitaria e che, anzi, era stata espressamente bocciata dalla Commissione con impeccabili argomentazioni tecniche 35 . In tal modo, quindi, l’Italia ha depotenziato in modo irrimediabile uno dei pochi provvedimenti normativi indirizzati alla prevenzione per evitare la formazione di rifiuti.

Peraltro, si tratta, a nostro avviso, della stessa logica che oggi preme per sottrarsi alle priorità comunitarie ed incentrare direttamente (come voleva la legge “sbloccaitalia”) la lotta ai rifiuti sul ricorso ai termovalorizzatori. Perché in questo modo si perpetua e si potenzia l’attuale modello di sviluppo che ogni giorno di più rivela la sua insostenibiltà in un mondo in cui, attraverso social, “like”, influencer e pubblicità- si punta a creare consumatori in batteria e la “sostenibilità” viene spesso addirittura utilizzata per creare nuovi bisogni, certamente non calibrati per soddisfare le vere esigenze dell’uomo e dell’ambiente ma, come sempre, per procurare a pochi il massimo del profitto. Magari con una spolverata di verde che non guasta mai e rende tutto “sostenibile”. Sotto questo profilo, il termovalorizzatore è lo strumento perfetto: più consumo, più energia dai rifiuti, più produzione e più Pil e profitto. Insomma, tutta crescita, senza limiti e con buona pace di chi parla di “decrescita felice”.

Esattamente il contrario dello sviluppo sostenibile voluto dalla UE il quale “ riguarda il miglioramento del tenore di vita delle persone dando loro reali possibilità di scelta, creando un contesto favorevole, diffondendo la conoscenza e migliorando l'informazione. In questo modo dovremmo creare le condizioni per "vivere bene entro i limiti del nostro pianeta" grazie all'uso più intelligente delle risorse e a un'economia moderna al servizio della nostra salute e del nostro benessere ”; riducendo al più presto la nostra dipendenza dalle risorse non rinnovabili. Con la consapevolezza, quindi, che le problematiche ambientali non possono essere risolte soltanto con le politiche ambientali se quelle economiche continuano a promuovere i combustibili fossili, l'impiego inefficiente delle risorse oppure modelli di produzione e consumo non sostenibili; magari con l’aggiunta di tanti termovalorizzatori. Come si legge nell’Enciclica “Laudato sì”, “ciò implica favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e minor utilizzo di materie prime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vista energetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di edifici che ne riducano il consumo energetico e il livello di inquinamento. D’altra parte, l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclaggio, alla protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture”. Insomma, tutto dipende dal tipo di sviluppo che un paese sceglie e che non può essere lasciato ad una programmazione affidata solo alle scelte dell’economia di mercato 36, che valuta il progresso sull’aumento del PIL e non sul benessere delle persone e sulla salvaguardia dell’ambiente.

Soprattutto in un paese che finalmente ha introdotto la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, quale valore costituzionale che serva anche da limite all’iniziativa economica privata.

Anche sotto questo profilo, quindi, si riconferma valida la scelta comunitaria di considerare la termovalorizzazione non il rimedio principale ma un male minore da utilizzare con molta cautela e parsimonia, ricordando sempre che, nella scala di priorità prevista dalla gerarchia dei rifiuti, si trova al penultimo posto.

1 Si tratta, come è noto, di inceneritori di rifiuti con produzione di energia. Il termine “termovalorizzatore”, usato comunemente in Italia, è stato coniato con l’intento di eliminare l’effetto negativo connesso con l’inceneritore.

2 I limiti dello sviluppo , Milano 1972

3 Per una prima panoramica normativa comunitaria e nazionale, ci permettiamo rinviare al nostro I rifiuti. Normativa italiana e comunitaria, Milano 1991 (con aggiornamento 1998), ove i testi dei provvedimenti sono integralmente riportati.

4 in quanto, come si legge nei “considerando”, parte dalla premessa base che “ una disparità tra le disposizioni in applicazione o in preparazione nei vari Stati membri per lo smaltimento dei rifiuti può creare disuguaglianza nelle condizioni di concorrenza e avere perciò un’ incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune

5 Articolo 3 .

1 . Gli Stati membri adottano le misure appropriate per promuovere :

a) in primo luogo la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti, in particolare mediante : — lo sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un maggiore risparmio di risorse naturali ; — la messa a punto tecnica e l'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento ; — lo sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti destinati ad essere recuperati ;

b) in secondo luogo : i) il ricupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie o ii) l'uso di rifiuti come fonte di energia.

6 Inoltre, nella relazione del 19 maggio 2003 sull’attuazione della legislazione comunitaria sui rifiuti (COM 2003-250 def.) la Commissione precisa che << la gerarchia dei principi di gestione dei rifiuti stabilita dalla direttiva 75/442/CEE è la seguente: prevenzione, riciclo, recupero di energia, smaltimento sicuro >>; e nella comunicazione (sintesi) del 21 dicembre 2005 sulla strategia tematica sulla prevenzione e riciclaggio di rifiuti (COM 2005-666), ribadisce espressamente che << restano validi gli obiettivi della normativa comunitaria già fissati prima dell’adozione della presente strategia …>>. La priorità al riciclo si trova espressa sotto forma di obiettivi quantificati nelle direttive 2000/53 sui veicoli fuori uso, 2002/96 sui RAEE e 2004/12 sugli imballaggi e costituisce uno dei punti fondamentali della proposta di direttiva sui rifiuti COM (2005) 667 def., nella cui relazione introduttiva si ribadisce ancora una volta espressamente che non vengono modificati << l’ordine e la natura della “gerarchia dei rifiuti” contenuta nella direttiva 75/442/CEE >>.; tanto è vero che nel quinto <<considerando>> della direttiva 2006/12/CE si legge che << è auspicabile favorire il recupero dei rifiuti e l’utilizzazione dei materiali di recupero come materie prime per preservare le risorse naturali… >>

7 “considerando” n. 19.

8 anzi, il “considerando” n. 20 richiede che si provveda a precisare “ quando l’incenerimento dei rifiuti solidi urbani è efficiente dal punto di vista energetico e può essere considerato un’operazione di recupero

9 “considerando” n. 29

10 la raccolta in cui un flusso di rifiuti è tenuto separato in base al tipo e alla natura dei rifiuti al fine di facilitarne il trattamento specifico ” (art. 3, n. 11)

11 “tali misure, quanto meno: a) promuovono e sostengono modelli di produzione e consumo sostenibili; b) incoraggiano la progettazione, la fabbricazione e l’uso di prodotti efficienti sotto il profilo delle risorse, durevoli (anche in termini di durata di vita e di assenza di obsolescenza programmata), riparabili, riutilizzabili e aggiornabili; c) riguardano prodotti che contengono materie prime critiche onde evitare che tali materie diventino rifiuti;d) incoraggiano il riutilizzo di prodotti e la creazione di sistemi che promuovano attività di riparazione e di riutilizzo, in particolare per le apparecchiature elettriche ed elettroniche, i tessili e i mobili, nonché imballaggi e materiali e prodotti da costruzione; e) incoraggiano, se del caso e fatti salvi i diritti di proprietà intellettuale, la disponibilità di pezzi di ricambio, i manuali di istruzioni, le informazioni tecniche o altri strumenti, attrezzature o software che consentano la riparazione e il riutilizzo dei prodotti senza comprometterne la qualità e la sicurezza; f) riducono la produzione di rifiuti nei processi inerenti alla produzione industriale, all’estrazione di minerali, all’industria manifatturiera, alla costruzione e alla demolizione, tenendo in considerazione le migliori tecniche disponibili; g) riducono la produzione di rifiuti alimentari nella produzione primaria, nella trasformazione e nella fabbricazione, nella vendita e in altre forme di distribuzione degli alimenti, nei ristoranti e nei servizi di ristorazione, nonché nei nuclei domestici come contributo all’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite di ridurre del 50 % i rifiuti alimentari globali pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumatori e di ridurre le perdite alimentari lungo le catene di produzione e di approvvigionamento entro il 2030; h) incoraggiano la donazione di alimenti e altre forme di ridistribuzione per il consumo umano, dando priorità all’utilizzo umano rispetto ai mangimi e al ritrattamento per ottenere prodotti non alimentari; i) promuovono la riduzione del contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti, fatti salvi i requisiti giuridici armonizzati relativi a tali materiali e prodotti stabiliti a livello dell’Unione e garantiscono che qualsiasi fornitore di un articolo quale definito al punto 33 dell’articolo 3 del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio fornisca le informazioni di cui all’articolo 33, paragrafo 1, del suddetto regolamento all’Agenzia europea per le sostanze chimiche a decorrere dal 5 gennaio 2021; j) riducono la produzione di rifiuti, in particolare dei rifiuti che non sono adatti alla preparazione per il riutilizzo o al riciclaggio; k) identificano i prodotti che sono le principali fonti della dispersione di rifiuti, in particolare negli ambienti naturali e marini, e adottano le misure adeguate per prevenire e ridurre la dispersione di rifiuti da tali prodotti; laddove gli Stati membri decidano di attuare tale obbligo mediante restrizioni di mercato, provvedono affinché tali restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie; l) mirano a porre fine alla dispersione di rifiuti in ambiente marino come contributo all’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per prevenire e ridurre in modo significativo l’inquinamento marino di ogni tipo;e m) sviluppano e supportano campagne di informazione per sensibilizzare alla prevenzione dei rifiuti e alla dispersione dei rifiuti .

12 ART. 3:

16preparazione per il riutilizzo”: le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento ”;

17 “riciclaggio”: qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Include il ritrattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento “.

13 Si rinvia, in proposito, al nostro Smaltimento di rifiuti e legge penale, Napoli 1985 (con aggiornamento del 1987) e al nostro Gestione dei rifiuti e normativa penale, Milano 2003

14 Si rinvia, in proposito, al nostro Violazioni e sanzioni in tema di rifiuti nel nuovo testo unico ambientale , Roma 2006

15 In dottrina, cfr. STAINO-MAGLIA, Alcune considerazioni in tema di inceneritori, anche alla luce della recente giurisprudenza ”, in Ambiente e sviluppo 2008, n. 3, pag. 241 e segg., i quali, dopo aver premesso che la “ equiparazione gerarchica tra recupero di materia e di energia è perfettamente compatibile ed in linea con la stessa normativa europea sin dalla direttiva 442/75/CE.. ”, evidenziano, in sostanza, la piena affidabilità e sicurezza dei cd. “termovalorizzatori”; e concludono ponendo in risalto “ l’innegabile sostegno energetico, al di là della definizione nominale dell’operazione condotta sui rifiuti, che l’incenerimento degli stessi potrebbe dare, purchè gli impianti risultino autorizzati e localizzati secondo i percorsi normativi di ispirazione comunitaria, in essere nel nostro paese ”.

Per alcune osservazioni critiche, cfr. il nostro Viva viva gli inceneritori, in www.lexambiente.it, 2008, nonchè GENCHI, Ancora sugli inceneritori, ivi, 21 maggio 2008

16 In dottrina, cfr. da ultimo il nostro Diritto penale ambientale, Pisa 2022, pag. 99 e segg.

17 per analoga condanna con riferimento alla terza linea dell’inceneritore di Brescia, cfr. CGCE, seconda sezione, 9 luglio 2007, causa C-255/05

18 Cfr., in proposito, la risposta data dalla Commissione Ue il 20 novembre 2003 alla interrogazione Frassoni, E-2935/03, secondo cui “ la Commissione conferma che…..la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fone di energia rinnovabile ”. In dottrina, cfr VATTANI, Agevolazioni per fonti energetiche rinnovabili: proprogati i termini per accordare gli incentivi agli impianti di termovalorizzazione , in www.dirittoambiente,com, 1 luglio 2008

19 In proposito, si rinvia al nostro Il diritto penale dell’ambiente, Roma 2016, pag. 65 e segg.

20 In proposito, per alcuni profili di illegittimità, cfr. da ultimo T.A.R. Lazio - Roma, Sez. I 26 aprile 2022, n. 4987 in www.osservatorioagromafie.it. In dottrina, si rinvia a GALASSI, La rete di smaltimento a livello nazionale: la strategia del decreto Sblocca Italia si confronta con il diritto europeo in Ambiente Legale, maggio-giugno 2018, nonchè BARELLI, Inceneritori e Sblocca Italia dopo le sentenze della Corte Costituzionale n. 142/2019 e n. 231/2019 e della Corte di Giustizia UE C-305/18. Il caso dell’Umbria, in www.lexambiente.it, 2 dicembre 2019

21 nonchè: “ introdurre o aumentare le imposte sull’incenerimento, specialmente per i processi a basso recupero di energia, garantendo al contempo che le imposte sulle discariche siano più elevate”, ovvero “abolire gradualmente i regimi di sostegno per l’incenerimento dei rifiuti e, se del caso, reindirizzare gli aiuti verso processi che occupano posti più alti nella gerarchia dei rifiuti”

22 Ci si propone di migliorare la gestione dei rifiuti e dell’economia circolare. Gli investimenti mirano quindi ad un miglioramento della rete di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, alla realizzazione di nuovi impianti di trattamento/riciclaggio di rifiuti organici, multi-materiale, vetro, imballaggi in carta e alla costruzione di impianti innovativi per particolari flussi.

23 Il pilastro della transizione verde discende direttamente dallo European Green Deal e dal doppio obiettivo dell’Ue di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55 per cento rispetto allo scenario del 1990 entro il 2030. Il regolamento del NGEU prevede che un minimo del 37 per cento della spesa per investimenti e riforme programmata nei PNRR debba sostenere gli obiettivi climatici. Inoltre, tutti gli investimenti e le riforme previste da tali piani devono rispettare il principio del "non arrecare danni significativi" all’ambiente.

24 cui, secondo il rapporto di Ispra del 2020, vanno aggiunti 13 impianti che effettuano il coincenerimento dei rifiuti urbani. Al coincenerimento presso impianti produttivi (cementifici, produzione energia elettrica e lavorazione legno) sono avviate quasi 367mila tonnellate di rifiuti urbani, ovvero circa l’1 per cento del totale prodotto, a cui si aggiungono 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali.

25 In dottrina, si rinvia al nostro Interpol e Unione europea sui rifiuti di plastica: poco attendibili i dati ufficiali sul riciclaggio, aumenteranno i traffici illeciti . Il caso italia e il nodo dei controlli, in www.rivistadga.it, 2020, n. 6.

26 nel 2019 (dati COREPLA) esso ammontava ad almeno 678.000 t. ( più del 49% del totale raccolto in modo differenziato), di cui circa 135.000 t. di “frazione estranea” (manufatti “non-imballaggio in plastica” conferiti per errore) e 543.000 t. di imballaggi in plastica non selezionabili/non riciclabili.

Secondo Plastics Recyclers Europe (associazione europea dei riciclatori) circa il 30% di polimero raccolto e avviato a riciclo si perde per strada . Di fatto, nel 2020, su 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti appena 620mila tonnellate sono state avviate a riciclo . Di tutti i rifiuti urbani riciclati, la plastica rappresenta il 4,6%.

27 CORTE DEI CONTI EUROPEA:L’azione della UE per affrontare il problema dei rifiuti di plastica , analisi n. 04 del 2020.

28 Secondo le previsioni di Plastics Europe, con l’attuazione dei nuovi criteri, il tasso di riciclaggio degli imballaggi di plastica dell’UE potrebbe diminuire, passando dal 42 % (tasso comunicato attualmente) al 29 % circa.

29 I rifiuti trattati sono costituiti per il 79% da rifiuti urbani indifferenziati (7,8 milioni di tonnellate), per il 13,6% (oltre 1,3 milioni di tonnellate) da rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, per il 5,2% (quasi 513 mila tonnellate) da altre frazioni merceologiche di rifiuti urbani (carta, plastica, metalli, legno, vetro e frazioni organiche da raccolta differenziata) e, infine, per il 2,2% (213 mila tonnellate) da rifiuti speciali provenienti da comparti industriali (settore conciario, agro industria, lavorazione del legno) e dal trattamento di altri rifiuti, appartenenti al subcapitolo dell’elenco europeo 1912

30 In particolare, risulta avviato al trattamento meccanico biologico aerobico (TMB) un quantitativo di rifiuti pari a quasi 9,9 milioni di tonnellate, di cui il 79% (7,8 milioni di tonnellate) era costituito da rifiuti urbani indifferenziati (identificati con il codice CER 200301).

31 Cfr. anche il Parere del ministero della Transizione ecologica 15 marzo 2022, n. 32592 secondo cui “trova piena applicazione la sentenza della Corte di Giustizia UE, dell’11 novembre 2021 relativa alla causa C-315/20, che conferma il regime giuridico di "rifiuti urbani" per i rifiuti provenienti da TMB e conseguentemente, l’applicazione del principio di prossimità anche nell’eventualità di trattamento meccanico con cambio di codice EER >>. In dottrina, si rinvia, anche per citazioni, al nostro Rifiuti urbani, Corte europea e Cer 19.12.12: una sentenza “esplosiva”? in www.rivistadga.it, 2021, n. 6, nonchè, per i profili tecnici, a SANNA, La Corte di giustizia europea ed i TMB italiani
in www.unaltroambiente.it., aprile 2022

32 come quando qualcuno afferma che la scelta dei termovalorizzatori ci viene imposta dalla Ue ed altri sostengono esattamente l’opposto.

33 Sulla base di dati dell’Unione europea l’incenerimento dei rifiuti, anche in assetto cogenerativo con produzione di elettricità e di calore, registra emissioni di CO2 superiori addirittura ad una turbogas a metano, ovvero 625/500 g per kWh prodotto (energia e calore) rispetto a 365 per il metano.

34 Ci vogliono in media due anni e sette mesi per la progettazione, sei mesi per l'affidamento e un anno per la realizzazione

35 per dettagli, richiami ed approfondimenti, si rinvia al nostroLa normativa all’italiana contro le plastiche monouso in www.osservatorioagromafie.it, gennaio 2022

36 Osserva in proposito l’Enciclica: “ è realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano