LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI IN AMBITI
TERRITORIALI OTTIMALI – LA PIANIFICAZIONE – IL VENIR MENO DELLA PRIVATIVA
COMUNALE PER LE ATTIVITA’ DI RECUPERO
di Carlo Rapicavoli
L’evoluzione normativa in materia di gestione dei rifiuti
urbani, di rapporto fra la pianificazione regionale e provinciale e il parziale
venir meno della privativa comunale, di obbligo di gestione all’interno di
ambiti territoriali ottimali, sta suscitando un vivace dibattito e dubbi
interpretativi.
Appare
opportuno, al riguardo, innanzitutto, sgombrare il campo da un equivoco di
fondo, connesso ad una semplicistica interpretazione della disposizione
introdotta dall’art. 23, comma 1, lett. e), della Legge n. 179/2002, secondo
cui: “La privativa comunale non si applica alle attività di recupero dei
rifiuti urbani e assimilati, a far data dal 1° gennaio 2003”.
Al
riguardo, occorre fare alcune precisazioni che impongono un esame generale della
nozione di servizio pubblico prima di passare nello specifico alla disamina
della vigente normativa sulla gestione dei rifiuti urbani:
1)
Sussiste una situazione giuridica definibile di “privativa” allorchè
una determinata attività o servizio possano, o debbano a seconda dei casi,
essere esercitati esclusivamente dal soggetto che ne detiene il diritto; nel
caso dei rifiuti urbani ne deriva l’obbligatorio espletamento da parte dei
Comuni, i quali lo esercitano con diritto di privativa, nelle forme di cui
all’art. 112 e segg. del D. Lgs. 267/2000 oltre che nel rispetto della
normativa speciale nazionale (D. Lgs. 22/1997) e regionale (L. R. 3/2000);
2)
Non sussiste una correlazione necessaria tra il concetto di servizio
pubblico ed il diritto di privativa pubblica;
3)
Il venir meno della privativa comunale alle attività di recupero dei
rifiuti urbani e assimilati non comporta la sottrazione delle medesime attività
dall’alveo dei servizi pubblici.
Nella
più moderna concezione della nozione di servizio pubblico, vi rientra una serie
piuttosto vasta di attività riferibili alla Pubblica Amministrazione,
qualificate di interesse generale e, quindi, assoggettate a regole peculiari.
Il
servizio pubblico, in via generale, può dirsi caratterizzato da tre elementi
fondamentali:
a)
l’attività di tipo economico diretta alla produzione di utilità;
b)
l’offerta indifferenziata e doverosa al pubblico;
c)
il soddisfacimento, in via continuativa, di un pubblico interesse
ovverosia di bisogni generali pertinenti alla collettività
La
soddisfazione di un pubblico interesse, come tale selezionato e qualificato
dalla legge, connota dunque la nozione del servizio pubblico, da cui emerge
l’importanza che una corretta e funzionale organizzazione del medesimo assume
per il migliore svolgimento dell’attività di prestazione di utilità rivolte
ai cittadini.
L’importanza
del momento organizzativo rispetto alle istanze provenienti dagli utenti per la
realizzazione di un miglioramento qualitativo delle prestazioni ha ispirato le
più recenti modifiche normative del sistema dei servizi pubblici, anche sulla
spinta decisiva dell’adeguamento complessivo del sistema economico e giuridico
agli obblighi derivanti dall’adesione al processo di integrazione europea.
In
questo contesto si inquadrano le recenti politiche di privatizzazione dei
servizi o, come nel caso di cui ci occupiamo, di liberalizzazione, che si
contraddistingue più propriamente per il mutamento delle tipologie di raccordo
organizzatorio tra il soggetto privato ed il pubblico potere.
Superati,
in parte, il principio o il diritto di privativa, viene introdotto il possibile
esercizio di un servizio pubblico aperto al mercato e, quindi, riconosciuto agli
operatori privati e non più soltanto oggetto di concessione.
L’erogazione
dei servizi pubblici, non più in privativa ma in regime di liberalizzazione,
impone comunque di apprestare forme specifiche e peculiari di disciplina oltre
che di tutela dei cittadini utenti.
In
questo contesto non sussistono dubbi che:
1)
La gestione dei rifiuti urbani è servizio pubblico essenziale (cfr. tra
l’altro l’art. 1 della Legge 146/1990);
2)
La gestione del servizio è svolto in parte in regime di privativa ed in
parte aperto al mercato;
3)
L’intero servizio di gestione dei rifiuti urbani è, peraltro, soggetto
a tariffa secondo quanto disposto dall’articolo 49 del D. Lgs. 22/1997.
Per
quanto sopra esposto non può essere accolta la tesi sostenuta da più parti
secondo cui, quale conseguenza diretta del venir meno della privativa comunale,
tutte le attività di recupero dei rifiuti urbani non sarebbero più
qualificabili come un servizio pubblico, ma come un servizio commerciale
aggiuntivo non diverso da quelli offerti sul mercato.
Chiarito,
in tal modo, il contesto generale di riferimento, vanno svolte ulteriori
considerazioni di carattere generale sulla normativa specifica dei rifiuti.
La
disciplina nazionale, com’è noto, è contenuta nel d.lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, che ha dato attuazione nell’ordinamento nazionale alla direttiva
91/156/CEE del 18 marzo 1991 (di modifica della direttiva 75/442/CEE del 15
luglio 1971) relativa ai rifiuti e alla direttiva 94/62/CE del 20 dicembre 1994
sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio.
In
aderenza alle direttive comunitarie, la nuova disciplina nazionale ha fondato un
complesso e articolato sistema nel quale l’attività di smaltimento dei
rifiuti (costituente il fulcro della previgente disciplina di cui al d.P.R. 10
settembre 1982, n. 915 - esso pure emanato in attuazione delle direttive
75/442/CEE sui rifiuti, 76/403/CEE sullo smaltimento dei policlorodifenili e
policlorotrifenili e 78/319/CEE sui rifiuti tossici e nocivi) rappresenta
soltanto “la fase residuale della gestione dei rifiuti” (art. 5 comma 1), in
funzione di un modello di gestione
integrata dei rifiuti, comprendente l’intero ciclo (dalla raccolta, al
trasporto, al recupero, allo smaltimento, al controllo di ciascuna di tali
operazioni e delle discariche e degli impianti di smaltimento anche dopo la loro
chiusura: cfr. art. 6, comma 1, lettera d), polarizzato sul principio di
minimizzazione dello smaltimento finale dei rifiuti e, correlativamente, sulla
massimizzazione (o ottimizzazione)
delle attività intese alla riduzione dei rifiuti da smaltire, sia attraverso la
prevenzione della produzione dei rifiuti, sia mediante il potenziamento delle
attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti (art. 5, comma 2),
nel contesto delle quali assume rilievo particolare la raccolta differenziata
dei rifiuti ed il loro
“recupero” secondo le operazioni delineate dall’allegato C al d.lgs. n. 22
del 1997 (art. 6, comma 1, lettere f) ed h), intese tra le altre ad ottenere
materia prima dai rifiuti, ed in parte l’utilizzazione dei rifiuti per la
produzione di combustibile (CDR) (art. 6, comma 1, lettera p), nonché la
produzione di “compost da rifiuti” (art. 6, comma 1, lettera q).
Orbene,
è nell’ambito della nozione di gestione integrata dei rifiuti urbani, come
comprensiva anche della raccolta differenziata e delle attività di recupero,
che vanno inquadrate le attribuzioni pianificatorie e regolamentari delle
Regioni (art. 19), quelle pianificatorie, organizzative e attinenti ai controlli
delle Province (art. 20), nonché quelle gestorie e regolamentari dei Comuni,
nell’ambito delle quali l’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 1997, nella
sua originaria formulazione, riconosceva una privativa comunale (e quindi una riserva alla mano pubblica) esclusa
soltanto per le “…attività di recupero dei rifiuti che rientrino
nell’accordo di programma di cui all’articolo 22, comma 11, (stipulati dal
Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del
commercio e dell’artigianato, d’intesa con la regione, per la realizzazione
all’interno di insediamenti industriali di impianti di recupero di rifiuti
urbani non previsti dal piano regionale, a certe condizioni) ed alle attività
di recupero dei rifiuti assimilati".
In
base a tale privativa, dunque, anche
le attività di recupero dei rifiuti urbani, e quindi la realizzazione e
gestione dei relativi impianti, rientrava nella sfera pubblica.
Sennonché,
l’art. 23, comma 1, della legge 31 luglio 2002, n. 179 (recante “Disposizioni
in materia ambientale") ha modificato l’art. 21, comma 7, del d.lgs.
n. 22 del 1997 nel senso che “La privativa di cui al comma 1 non si applica
alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati, a far data dal 1°
gennaio 2003".
Deve
rammentarsi che nel testo originario del d.d.l. governativo tale disposizione
non era contenuta e fu introdotta soltanto con successivo emendamento che, in
sede di discussione in aula, suscitò notevoli riserve (cfr. resoconto
stenografico della seduta della Camera dei deputati del 6 febbraio 2002, sulle
conseguenze negative, anche ma non solo economiche, della limitazione alla
privativa comunale e sul pericolo di favorire interessi privati privi di
correlazione con l’interesse pubblico).
Al contrario è rimasta ferma e pienamente operante la privativa comunale per tutte le altre attività di gestione dei rifiuti urbani, ed in particolare, per quanto qui interessa, per lo smaltimento finale.
L’esclusione
dalla privativa dell’attività di recupero dei rifiuti non implica una
indiscriminata “liberalizzazione” di quelle attività e della realizzazione
dei relativi impianti, dovendo pur sempre inquadrarsi nella pianificazione
regionale di cui al d.lgs. n. 22 del 1997
Attività
da esercitarsi, ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997,
nel contesto di ambiti
territoriali ottimali, di regola coincidenti con la provincia, salva
diversa delimitazione stabilita con legge regionale, in riferimento ai quali
ambiti le province sono chiamate ad assicurare “…una gestione
unitaria dei rifiuti urbani...” mediante piani provinciali adottati
sentiti i comuni, con la possibilità di autorizzare “…gestioni
anche a livello subprovinciale purché,
anche in tali ambiti territoriali sia superata la frammentazione della
gestione" e con la previsione che le stesse province coordinino
entro un breve termine e salvo l’esercizio di poteri sostitutivi da parte
delle regioni “…le forme ed i modi
della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo àmbito ottimale”
anche mediante convenzioni rivolte a determinare, tra l’altro, “…in particolare le procedure che dovranno essere adottate per
l'assegnazione del servizio di gestione dei rifiuti, le forme di vigilanza e di
controllo”.
E’
evidente, dunque, che il d.lgs. n. 22 del 1997 si muove in un’ottica ispirata
al superamento di una gestione “parcellizzata” e “polverizzata” dei
rifiuti tra la miriade di amministrazioni comunali attraverso due direttrici,
l’una attinente all’accorpamento di tutte le attività relative al ciclo dei
rifiuti in una “gestione integrata ed unitaria”, l’altra consequenziale
relativa all’organizzazione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali
ottimali, e quindi mediante forme associate o consortili tra i comuni.
In
definitiva, quindi, il d.lgs. n. 22 del 1997 costituisce il punto d’approdo di
un processo già avviato col d.P.R. n. 915 del 1982, che ha configurato la gestione dei rifiuti come complesso integrato di attività, da
svolgere in forma unitaria nell’ambito di bacini ottimali di utenza e quindi
col superamento di una gestione polverizzata a livello comunale.
Diretta applicazione dei principi contenuti nel D. Lgs. 22/1997 sono le
disposizioni in materia dettate nella Regione Veneto dalla L. R. 3/2000 (ma
riprese, in modo sostanzialmente analogo, dalla disciplina normativa di gran
parti delle Regioni).
In sintesi, la disciplina regionale veneta prevede che:
1)
La
Provincia ha la competenza alla predisposizione ed aggiornamento dei piani per
la gestione dei rifiuti urbani
relativi ai territori di propria competenza, ai sensi dell’art. 23, comma 1,
del D. Lgs. 22/1997 (art. 6, comma 1, lett. a); i piani provinciali definiscono,
fra l’altro, la tipologia ed
il fabbisogno degli impianti da realizzare nell’ambito territoriale ottimale,
tenuto conto dell’offerta di smaltimento e recupero da parte del sistema sia
pubblico che privato, e delle possibilità di potenziamento o ampliamento degli
impianti esistenti, nonché la loro localizzazione (art. 8, comma 3, lett. e);
2)
La Provincia ha, altresì, la competenza all’approvazione dei progetti,
e loro eventuali modifiche, di impianti
per lo smaltimento e il recupero
di rifiuti urbani, individuati negli allegati B e C del decreto legislativo n.
22/1997, previsti dal Piano
regionale di gestione dei rifiuti urbani (art. 6,comma 1, lett. b), con ciò
chiarendo che tutte le attività e gli impianti di gestione dei rifiuti urbani
(smaltimento e recupero) devono essere previsti dalla pianificazione;
3)
La gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo
smaltimento sia esercitata dai Comuni in regime di privativa (art. 7, comma 1,
lett. a), attraverso l’autorità d’ambito di cui all’art. 14 (art. 7,
comma 2);
4)
Gli ambiti
territoriali ottimali per la gestione (non per lo smaltimento si noti bene) dei rifiuti
urbani corrispondono al territorio provinciale (art. 8, comma 1);
5)
Al fine di garantire la
gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficacia, efficienza ed
economicità, i comuni e le province ricadenti in ciascun ambito territoriale
ottimale, individuato dal Piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani,
istituiscono l’Autorità d’ambito (art. 14, comma 1);
6)
In attuazione del piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani
l’Autorità d’ambito approva il programma pluriennale degli interventi
comprensivo dell’indicazione della localizzazione degli impianti previsti dal
piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani (art. 20)
7)
Gli enti locali partecipanti all’ambito territoriale ottimale,
attraverso le forme di cooperazione individuate ai sensi dell’articolo 14,
comma 1, organizzano la gestione
dei rifiuti urbani secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità
(art. 19, comma 1)
8)
L’Autorità d’ambito provvede, di norma, alla organizzazione
ed alla gestione del servizio
relativo ai rifiuti urbani con un
unico gestore, fatta eccezione per il servizio di raccolta e trasporto
che può essere organizzato autonomamente dai singoli comuni mediante
l’individuazione del soggetto gestore; per particolari ragioni di natura
territoriale, amministrativa, economica e tecnica nel rispetto dei criteri di
interesse generale dell’ambito territoriale ottimale e di qualità del
servizio, può organizzare il servizio anche prevedendo più soggetti gestori
(art. 19, comma 2).
9)
Al fine di disciplinare
le modalità di conferimento dei rifiuti urbani ivi comprese le frazioni
provenienti dalla raccolta differenziata, l’autorità d’ambito ed i titolari
degli impianti di smaltimento e recupero esistenti nel territorio di competenza
sono tenuti a sottoscrivere tra loro idonea convenzione (art. 19, comma 7).
Riassumendo,
ne deriva che:
1)
Il venir meno della privativa comunale dell’attività di recupero dei
rifiuti urbani e la “restituzione al mercato” non sottraggono detta attività
alla pianificazione regionale e provinciale in quanto, come ampiamente sopra
argomentato:
a)
La gestione dei rifiuti urbani, intesa complessivamente (raccolta,
trasporto, smaltimento, recupero) è da intendersi come servizio pubblico,
indipendentemente dal diritto di privativa, soggetto a disciplina pubblica
specifica nonché a regime tariffario;
b)
La modifica introdotta dall’art. 23, comma 1, lett. e), della Legge n.
179/2002, ha effetto esclusivamente sul soggetto gestore del servizio (per
l’attività di recupero non più necessariamente il Comune o suo
concessionario), ma non influisce sulla disciplina complessiva della gestione
dei rifiuti urbani e nello specifico sulle competenze di pianificazione come
definite dal D. Lgs. 22/1997 e dalla L. R. 3/2000;
c)
La pianificazione ha per oggetto la gestione
dei rifiuti urbani nel suo complesso, non solo una sua fase e non solo la
previsione impiantistica;
d)
Il principio dell’autosufficienza impiantistica nell’ambito
territoriale ottimale permane pienamente;
e)
Le modalità di gestione dei rifiuti urbani devono essere conformi alla
pianificazione che, a sua volta, deve tener conto dell’offerta
di smaltimento e recupero da parte del sistema sia pubblico che privato, e delle
possibilità di potenziamento o ampliamento degli impianti esistenti, nonché la
loro localizzazione (art. 8, comma 3, lett. e. L. R. 3/2000);
f)
Solo in assenza di impianti pubblici già in esercizio in territorio
provinciale, che possano soddisfare l’intero fabbisogno, è ipotizzabile che
la pianificazione possa prevedere la realizzazione di nuovi impianti o soluzioni
alternative di gestione; in questo contesto, si realizzerebbe la portata
innovativa dell’apertura al mercato: un soggetto privato potrebbe proporre la
realizzazione di un impianto di trattamento e recupero di rifiuti urbani oppure
l’autorità d’ambito, con procedura di evidenza pubblica potrebbe ricercare
impianti esistenti, anche privati, cui affidare la gestione dei rifiuti; il
tutto sempre conformemente alla pianificazione.
Dott. Carlo Rapicavoli
Dirigente del Settore
Gestione del Territorio
della Provincia di Treviso