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Corte Costituzionale ord. 271 del 6 luglio 2006
Reati e pene -Attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti -Descrizione generica della condotta incriminata, con incidenza sulla valutazione della sussistenza dell'elemento psicologico.
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ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 53-bis del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), aggiunto dall'art. 22 della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), promosso con ordinanza del 24 giugno 2004 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, iscritta al n. 977 del registro ordinanze 2004 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, con ordinanza del 24 giugno 2004, depositata in pari data, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53-bis del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), introdotto dall'art. 22 della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), nella parte in cui punisce con la reclusione da uno a sei anni «chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti»;
che il giudice a quo premette di aver fatto applicazione della norma impugnata, disponendo, con ordinanza in data 3 giugno 2004, la misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di tre persone indagate per avere, rispettivamente, prodotto, trasportato e, infine, scaricato, sul terreno di proprietà di una tra esse, materiale di tipo «ammendante organico compostato sfuso», equiparabile ad un rifiuto, con un'attività che, per le caratteristiche dimensionali e per la reiterazione delle condotte (protrattesi per circa quattro anni), era tale da integrare la fattispecie delittuosa dell'«ingente» traffico di rifiuti;
che, tuttavia, il rimettente dubita della legittimità costituzionale della predetta norma incriminatrice in ragione della sua formulazione;
che, secondo il giudice a quo, la configurazione della fattispecie delittuosa in termini di reato di pericolo, soggettivamente connotato dal dolo specifico dell'«ingiusto profitto», avrebbe richiesto il rigoroso rispetto dei canoni di tipicità e determinatezza in riferimento sia alla descrizione della condotta, sia alla previsione dell'elemento psicologico, diversamente da quanto riscontrabile nella disposizione in oggetto, la cui indeterminatezza non risulterebbe emendabile in via interpretativa, con conseguente violazione dei principi di tassatività della fattispecie penale e del diritto di difesa;
che, con riferimento al primo profilo, il rimettente evidenzia come la formula «ingenti quantitativi», descrittiva di uno degli elementi costitutivi della fattispecie, risulterebbe talmente indeterminata da rimettere all'arbitrio dell'interprete l'identificazione del comportamento incriminato, e con essa il contenuto precettivo della norma, di modo che condotte identiche potrebbero essere considerate penalmente rilevanti, o non, in ragione della scelta del singolo giudice;
che, inoltre, la formulazione della norma risulterebbe generica con riguardo sia alla modalità di realizzazione dell'illecito, indicata con l'utilizzo dell'avverbio «abusivamente», senza specificare a quali tra i divieti previsti dalla normativa a tutela dell'ambiente si debba fare riferimento, sia all'oggetto della condotta, stante la mancata precisazione della tipologia dei rifiuti cui si riferisce, sia, infine, al connotato tipizzante le «attività continuative ed organizzate», di fatto non distinguibili dal «previo allestimento di mezzi» già previsto nella norma come elemento di connotazione della condotta medesima;
che, in particolare, a parere del rimettente, la tipizzazione della condotta attraverso il riferimento ad un concetto indeterminato, come quello di «ingenti quantitativi», sarebbe incompatibile con i parametri costituzionali evocati, potendosi al più ammettere che detto concetto valga a tipizzare circostanze aggravanti del reato, nel qual caso la discrezionalità del giudice interviene in un contesto in cui i fatti penalmente rilevanti sono già individuati e sanzionati dal legislatore (in materia di sostanze stupefacenti è richiamata la pronuncia della Corte di cassazione, sezioni unite penali, 21 giugno 2001, n. 17);
che, infatti, l'esame della giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di sostanze stupefacenti porrebbe in evidenza come l'interpretazione della circostanza aggravante prevista nell'art. 80, comma 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sia improntata a criteri eminentemente pragmatici, con la conseguente inutilizzabilità, nel diverso ambito della tutela dell'ambiente, del rinvio operato dalla Corte di cassazione alla «valutazione discrezionale» del giudice di merito (è citata Cass., sez. VI, 10 aprile 2003, n. 29702);
che, secondo il rimettente, la genericità di formulazione della norma incriminatrice, con riferimento al dato dimensionale e alla connotazione abusiva della condotta, impedirebbe altresì l'esercizio del diritto di difesa;
che, con riguardo alle modalità della condotta, il giudice a quo segnala anche la contraddizione esistente tra la previsione incriminatrice, nella parte in cui richiede una molteplicità di operazioni, ciascuna delle quali costituirebbe una porzione della condotta tipica, e la rubrica dell'art. 53-bis del d.lgs. n. 22 del 1997, che si riferisce a «condotte organizzate per il traffico illecito di rifiuti»;
che, infine, a parere del giudice a quo, non essendo configurabile in rerum natura un'attività abusiva che produca un profitto lecito, l'«ingiusto profitto», quale oggetto del dolo specifico, non sarebbe distinguibile dalla generica volizione delle condotte abusive, e finirebbe quindi per costituire un'ipotesi di dolus in re ipsa, in palese violazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost.;
che, con atto depositato l'11 gennaio 2005, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata;
che, ad avviso della difesa erariale, l'ordinanza di rimessione prospetterebbe l'incostituzionalità della norma denunciata sotto due profili: l'inesistenza di un minimo riconoscibile di condotta tipica (ingenti quantitativi), e la coincidenza dell'elemento psicologico del dolo specifico con il dolo richiesto per la violazione minima dolosa, muovendo da una specifica interpretazione della norma, peraltro priva di riscontri nella prassi giurisprudenziale;
che, infatti, secondo l'Avvocatura dello Stato, con la previsione di cui all'art. 53-bis del d.lgs. n. 22 del 1997 il legislatore avrebbe delineato una specifica ipotesi criminosa di notevole gravità, caratterizzandola con puntuali elementi oggettivi e soggettivi, la cui ricostruzione sarebbe affidata, sulla base di dati non irragionevoli, all'interpretazione giurisprudenziale;
che, nelle more del giudizio, l'art. 53-bis del d.lgs. n. 22 del 1997 è stato abrogato dall'art. 264, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e integralmente riprodotto nell'art. 260 del medesimo decreto legislativo.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53-bis del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), introdotto dall'art. 22 della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), nella parte in cui punisce con la reclusione da uno a sei anni «chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti»;
che, preliminarmente, deve rilevarsi come l'intervenuta abrogazione della disposizione censurata – ad opera dell'art. 264, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – non costituisca impedimento all'esame della questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente, in quanto tale disposizione è stata integralmente trasfusa, ad opera del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'art. 260;
che, pertanto, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenze numeri 345 e 135 del 2005 e numero 149 del 2004), il presente giudizio incidentale di costituzionalità deve essere deciso con riferimento alla disposizione di cui all'art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006;
che il giudice rimettente afferma di aver fatto applicazione della norma censurata quando ha disposto, con ordinanza del 3 giugno 2004, la misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di tre persone indagate per il reato di cui alla medesima norma;
che lo stesso giudice non chiarisce quali provvedimenti sia ancora chiamato ad adottare, per l'emissione dei quali sia necessaria nuovamente l'applicazione della norma di cui sopra, né precisa in quale fase si trovi il processo principale;
che, in assenza di qualunque indicazione al proposito, viene impedito a questa Corte di valutare la rilevanza della questione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 53-bis del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), introdotto dall'art. 22 della legge 23 marzo 2001, n. 93 (Disposizioni in campo ambientale), trasfuso nell'art. 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.
F.to:
Annibale MARINI , Presidente
Gaetano SILVESTRI , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA