Consiglio di Stato, Sez.V, n. 3786, del 17 luglio 2014
Rifiuti.Legittimità ordinanza del Sindaco contro la Regione di rimozione dei rifiuti, con ripristino dello stato dei luoghi
E’ legittima l’ordinanza del Sindaco con la quale ha intimato alla Regione proprietaria del sito sottostante la strada sopraelevata, di rimuovere e di avviare a recupero o allo smaltimento, con ripristino dello stato dei luoghi, tutti i rifiuti di vario genere, anche speciali o pericolosi, da tempo abbandonati nel sito suddetto. Nella specie, ritiene il collegio che sussista effettivamente la colpa dell’Amministrazione regionale, quando proprietario dell’area non sia una persona fisica, ma sia una persona giuridica pubblica o privata, va esclusa una concezione ‘antropomorfica’ dell’elemento soggettivo, rilevando soprattutto il dato oggettivo della disfunzione della struttura organizzativa e il dato in sé, quando si tratti della gestione di un bene, della obiettiva trascuratezza ed incuria della gestione. Con riferimento all’area in questione, posta al di sotto della strada sopraelevata, nel corso del giudizio non è risultata alcuna adeguata attività da parte della Regione, volta ad evitare che il suo terreno diventasse una discarica e che su di esso si continui a sversare rifiuti di ogni genere. Proprietaria dell’area oggetto delle misure previste dall’art. 192 del testo unico n. 152 del 2006, risulta proprio l’Ente che, anche in base alle regole costituzionali, ha plurime competenze per la salvaguardia dell’ambiente. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03786/2014REG.PROV.COLL.
N. 08931/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8931 del 2013, proposto dal Comune di Orta di Atella, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Tommaso Sorvillo, con domicilio eletto presso il signor Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n.18;
contro
Regione Campania, rappresentata e difesa dall'avvocato Angelo Marzocchella, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli, n. 29;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE V n. 02584/2013, resa tra le parti, concernente la rimozione e lo smaltimento di rifiuti con bonifica dell'area
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti l’avvocato Gabriele Pafundi, su delega dell'avvocato Antonio Tommaso Sorvillo, e l’avvocato Rosaria Palma, su delega dell'avvocato Angelo Marzocchella;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Sindaco del Comune di Orta di Atella, con l’ordinanza n. 10 del 17 gennaio 2013, ha intimato alla Regione Campania (proprietaria del sito sottostante la sopraelevata della bretella ex S.S. 87 N.C. Sannitica) di rimuovere e di avviare a recupero o allo smaltimento, con ripristino dello stato dei luoghi, tutti i rifiuti di vario genere, anche speciali o pericolosi, da tempo abbandonati nel sito suddetto.
Con il ricorso n. 1691 del 2013, proposto al Tar per la Campania, la Regione ha impugnato tale ordinanza chiedendone l’annullamento.
Il Tribunale adito, con la sentenza n. 2584 del 2013, ha accolto il ricorso.
Con l’appello in esame il Comune di Orta di Atella ha chiesto che – in riforma della sentenza del Tar – il ricorso di primo grado sia respinto, poiché va considerato legittimo l’ordine emanato nei confronti della Regione, quale proprietaria del sito abbandonato a se stesso, ove si trova una vera e propria discarica.
Si è costituita in giudizio la Regione Campania, chiedendo il rigetto del gravame siccome infondato.
La Regione evidenzia, al riguardo, che l’abbandono dei rifiuti non sarebbe ad essa imputabile (perché continuamente posto in essere da ignoti) e che essa dovrebbe affrontare ingenti spese, in assenza di specifiche risorse, ove dovesse dare esecuzione all’ordinanza in contestazione .
L’Amministrazione appellata richiama poi, in particolare, i principi affermati dal Consiglio di Stato con la sentenza della Adunanza plenaria n. 21 del 2013, secondo la quale il proprietario - non responsabile dell’inquinamento - è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 del d. lgs. n. 152 del 2006.
Alla pubblica udienza dell’11 marzo 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.
'DIRITTO'
DIRITTO
1. Con la sentenza impugnata, il TAR per la Campania ha accolto il ricorso di primo grado n. 1691 del 2013, proposto dalla Regione Campania, ed ha annullato il provvedimento con cui il Sindaco di Orta d’Atella, in applicazione dell’art. 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, ha ordinato alla medesima Regione – quale proprietaria di un’area sottostante ad una strada a scorrimento veloce – la rimozione dei rifiuti di ogni tipo che sono sversati su di essa da soggetti rimasti ignoti.
Il TAR ha ritenuto che l’atto sindacale sarebbe illegittimo, per violazione di legge ed eccesso di potere.
Con l’appello in esame, il Comune di Orta di Atella ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.
Ritiene la Sezione che l’appello è fondato e va accolto.
2. Per comprendere l’effettiva portata delle questioni controverse tra le parti, va premesso che con il ricorso di primo grado la Regione Campania ha dedotto l’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 10 del 2013, rilevando nella sostanza che:
a) le ordinanze contingibili ed urgenti possono essere emanate dal Sindaco solo in caso di situazioni eccezionali ed impreviste di grave pericolo non affrontabili con i normali rimedi (e non di situazioni risalenti nel tempo);
b) i proprietari di aree invase da rifiuti sono tenuti a rimuoverli ed a smaltirli (e alle relative conseguenze sanzionatorie) solo se risultano responsabili a titolo di dolo o colpa del loro abbandono, sicché non vi sarebbe la legittimazione passiva della Regione ad eseguire l’ordinanza sindacale, che sarebbe stata emessa a seguito di inadeguata istruttoria (con riguardo alla natura dei rifiuti e alla reale situazione di pericolo) e pur se il Comune non ha mai dubitato che risultano ignoti i responsabili dell’abbandono dei rifiuti.
Il Tar ha accolto il ricorso di primo grado, rilevando che:
- “l’ordine di rimozione dei rifiuti presenti sul fondo può essere rivolto al proprietario solo quando ne sia dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell'illecito….. dovendosi escludere che la norma configuri un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva…” ;
- “va riaffermato….. che nessuna norma di legge nel settore specifico della viabilità attribuisce ai comuni il potere di assicurare la pulizia delle strade imponendo autoritativamente obblighi di facere al gestore al fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione ….” ;
- va” ribadita in ogni caso l'illegittimità dell'ordine di rimozione dei rifiuti rivolto al proprietario della strada in assenza di adeguata istruttoria e di idonea motivazione circa l'imputabilità soggettiva di una qualche condotta attiva o omissiva che abbia anche solo agevolato la violazione del divieto di abbandono di rifiuti” .
3. Ciò posto, si può passare all’esame dell’appello, con cui il Comune di Orta di Atella deduce che il Tar avrebbe errato nella ricostruzione dei fatti accaduti, incorrendo in un vizio che ha comportato anche l’erronea ricostruzione del quadro normativo applicabile.
In particolare il Tar avrebbe errato nel ritenere che l‘ordinanza sindacale riguardi l’area di sedime della strada regionale sopraelevata percorsa dai veicoli - perché in realtà essa riguarda l’area ad essa sottostante - e che la stessa sia stata assunta nell’assenza di una adeguata istruttoria circa l’imputabilità alla Regione di una specifica condotta colposa.
4. Il collegio ritiene che le censure dell’appellante siano fondate e vadano accolte.
5. In punto di fatto, risulta dalla documentazione acquisita che il Sindaco di Orta ha emanato l’ordinanza del 17 gennaio 2013 non per fare effettuare la pulizia del tratto sopraelevato della strada regionale, ma per far rimuovere e smaltire i rifiuti di ogni tipo che si sono accumulati nel tempo al di sotto della medesima strada, e cioè nell’area del piano di campagna – anch’essa di proprietà regionale – che si pone in linea di continuità tra i terreni adiacenti ai due lati alla strada.
Dunque, l’ordinanza sindacale contestata dalla Regione riguarda non la strada sopraelevata a scorrimento veloce, ma la corrispondente area di proprietà regionale, che si pone nel ‘cono d’ombra verticale’ della strada.
Evidentemente, quanto alle modalità costruttive, la strada è stata realizzata con le seguenti scelte progettuali: la sopraelevazione si regge su piloni, mentre l’area sottostante si pone in linea di continuità con i terreni circostanti e non è stata chiusa ai lati, né vi è stato il riempimento del ‘cono d’ombra verticale’ (ciò che avviene di solito quando invece si realizza un tratto ferroviario, che deve reggere il peso dei convogli).
L’area di proprietà regionale, che si trova ‘al di sotto’ della sopraelevata, è quindi raggiungibile dal basso ed è diventata da tempo una vera e propria discarica abusiva, ove soggetti rimasti ignoti hanno scaricato (e verosimilmente continuano a scaricare) ogni genere di rifiuti anche pericolosi.
Ciò comporta l’erroneità della sentenza del Tar, nella parte in cui ha ravvisato l’illegittimità dell’ordinanza sindacale, ritenendo che il Comune non abbia il potere di ordinare la pulizia di una strada regionale, giacché l’ordinanza non ha riguardato affatto la strada regionale ma, come precisato, l’area sottostante a quest’ultima.
6. Ciò posto, resta da accertare se effettivamente il comportamento della Regione con riguardo all’abbandono di rifiuti nel sito sottostante la strada vada qualificato come colposo (sulla base degli elementi probatori acquisiti) e se sussista un nesso di causalità tra tale comportamento e la verificazione dell’evento (l’esistenza stessa della discarica abusiva)..
Al riguardo, va premesso che la natura stessa dei rifiuti in questione rende palesemente inattendibile la tesi difensiva adombrata dalla Regione, per la quale gli stessi sarebbero gettati sotto il viadotto in questione da auto di passaggio (con dedotta impossibilità di adozione di idonee misure di prevenzione dell’abbandono dei rifiuti).
Appare infatti inverosimile che i rifiuti presenti nel sito, per la loro natura, possano essere sversati da ‘auto di passaggio’ non ai bordi della strada in questione, ma addirittura nell’area sottostante il viadotto.
Al di là delle difficoltà materiali cui andrebbe incontro chi intenda gettare materiali dalla strada ‘sotto la strada’ (anche per l’intenso traffico veicolare che, come è fatto notorio, interessa l’asse viario in questione), risulta evidente che i rifiuti vengano abbandonati nell’area sottostante la sopraelevata accedendo ad essa dal basso.
7. Quanto quindi alla questione se sia configurabile la colpa della Regione con riguardo alla adozione di misure adeguate a prevenire l’abbandono dei rifiuti in questione, ritiene il collegio che ad essa debba darsi risposta affermativa.
Invero, nel proprio atto d’appello, il Comune ha rilevato in sostanza come sia legittima l’emanazione delle misure adottate nei confronti del proprietario del suolo quando è ravvisabile la sua negligenza, perché non assume iniziative per evitare l’abbandono dei rifiuti ed ha osservato che proprio nell’atto impugnato vi è una specifica motivazione sulla sussistenza della colpa della Regione, perché essa non ha posto in essere “nemmeno le più elementari misure atte ad assolvere il dovere di normale diligenza, quali la posizione di cartelli e mezzi preclusivi dell'accesso, anche simbolici, innanzi ai varchi principali, che valevano a segnalare che si trattasse di una proprietà privata in cui è vietato l'accesso, con ciò configurando comportamento colposo, tale da giustificare l'obbligo di rimozione dei rifiuti versati da ignoti”.
La Regione Campania, al contrario, nel sostenere che l’abbandono è effettuato da ignoti (che ‘dalle auto di passaggio’ sulla sopraelevata lancerebbero verso il basso i rifiuti) ha rilevato che non ha i mezzi e le risorse né per impedire che l’abbandono avvenga, né per rimuovere e smaltire i rifiuti, né per bonificare l’area.
8. Osserva al riguardo il Collegio che l’art. 192 del testo unico n. 152 del 2006, per quanto rileva nel presente giudizio, dispone:
- al comma 1, che “L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati”;
- al comma 3, che, “Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.
Dal dato testuale del comma 3 (e dalla parola ‘dispone’), si evince come il potere-dovere di ordinare la rimozione e il ripristino dello stato dei luoghi vada esercitato senza indugio non solo nei confronti di chi abbandona sine titulo i rifiuti (il quale realizza la propria condotta col dolo e con l’animus delinquendi), ma anche del proprietario o del titolare di altro diritto reale cui la “violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa”.
In un quadro normativo volto a tutelare l’integrità dell’ambiente, il comma 3 non prevede una ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui: se vi è un abbandono di rifiuti avente il carattere della repentinità e della irresistibilità, se avvisa dell’accaduto la pubblica autorità e pone in essere le misure esigibili per evitare il ripetersi dell’accaduto, il proprietario non può essere considerato responsabile, per il suo solo titolo di proprietario.
Tuttavia, non dissimilmente da altre disposizioni del settore, il comma 3 ritiene sufficiente la colpa.
Tra le ipotesi tipiche di colpa, rientra la negligenza.
Nel suo significato lessicale (risalente anche al diritto romano, e prima ancora che la nozione fosse riferita alle singole obbligazioni), la negligentia (vale a dire la mancata diligentia) consisteva e consiste nella trascuratezza, nella incuria nella gestione di un proprio bene, e cioè nella assenza della cura, della vigilanza, della custodia e della buona amministrazione del bene.
L’art. 192 del testo unico n. 152 del 2006 attribuisce rilievo proprio alla negligenza del proprietario, che – a parte i casi di connivenza o di complicità negli illeciti (qui non prospettabili) - si disinteressi del proprio bene per una qualsiasi ragione e resti inerte, senza affrontare concretamente la situazione, ovvero la affronti con misure palesemente inadeguate.
L’art. 192 – qualora vi sia la concreta esposizione al pericolo che su un bene si realizzi una discarica abusiva di rifiuti anche per i fatti illeciti di soggetti ignoti – attribuisce rilevanza esimente alla diligenza del proprietario, che abbia fatto quanto risulti concretamente esigibile, e impone invece all’amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che - per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche – nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l’abbandono dei rifiuti.
La condotta illecita del terzo – ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi – dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l’evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est,caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile.
9. Nella specie, ritiene il collegio che sussista effettivamente la colpa dell’Amministrazione regionale e che risultino non condivisibili le argomentazioni che la Regione ha formulato, per escludere la propria responsabilità.
Ovviamente, quando proprietario dell’area non sia una persona fisica, ma sia una persona giuridica pubblica o privata, va esclusa una concezione ‘antropomorfica’ dell’elemento soggettivo, rilevando soprattutto il dato oggettivo della disfunzione della struttura organizzativa e il dato in sé – quando si tratti della gestione di un bene – della obiettiva trascuratezza ed incuria della gestione.
Con riferimento all’area in questione, posta al di sotto della sopraelevata, nel corso del giudizio non è risultata alcuna adeguata attività da parte della Regione, volta ad evitare che il suo terreno diventasse una discarica e che su di esso si continui a sversare rifiuti di ogni genere.
Il collegio non può che constatare la singolarità della situazione venutasi a verificare.
Proprietaria dell’area – oggetto delle misure previste dall’art. 192 - risulta proprio l’Ente che, anche in base alle regole costituzionali, ha plurime competenze per la salvaguardia dell’ambiente.
La linea principale della difesa della Regione è consistita nella deduzione secondo cui essa non ha “i mezzi e le risorse” per impedire che l’abbandono avvenga, o per rimuovere e smaltire i rifiuti, o per bonificare l’area.
Al riguardo, va rilevato che – in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 192, comma 3 – non importa se il proprietario dell’area sia un soggetto pubblico o un soggetto privato.
Anzi, proprio la qualità di soggetto pubblico implica che l’amministrazione debba dare esempio del rispetto della legalità (CEDU, Sez. I, 19 giugno 2001, Zwiewrzynsi c. Polonia, § 73).
E ciò a maggior ragione quando si tratti di realtà locali – come quella in questione – caratterizzate dalla perduranza di situazioni emergenziali, dalla assenza diffusa di senso civico delle cittadinanze, da una diffusa omertà e dalla presenza di organizzazioni criminali proprio nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti: le pubbliche autorità possono concretamente esigere ed ottenere il rispetto della legalità, solo quando esse stesse ne danno l’esempio, applicando le leggi quando ne sono destinatarie e imponendo la loro applicazione, quando agiscano nell’esercizio dei loro doveri istituzionali.
Quando sia proprietaria di un terreno, la Regione – come qualsiasi altro proprietario – deve rispettare le leggi a tutela dell’ambiente (e della salute): in ragione del valore primario di tale tutela, essa non può sottrarsi all’obbligo di utilizzare le proprie risorse secondo un ordine di priorità, realizzando le misure che le sono imposte dalla legge (o da atti conformi alla legge) per la salvaguardia dell’ambiente e della salute.
Non spetta al giudice amministrativo indicare quale ordine di priorità delle spese debba essere programmato dalla Regione, ma non v’è dubbio che – in considerazione delle complessive risorse del bilancio regionale – essa deve subordinare l’erogazione di ‘spese facoltative’ alla previa erogazione delle somme che non solo occorrano per svolgere le proprie funzioni essenziali, ma anche che occorrano per adempiere gli obblighi alla quale è tenuta nella qualità di proprietaria.
Poiché la Regione non ha provato che le proprie risorse sono tutte destinate allo svolgimento di funzioni essenziali, ed essendo plausibile che essa eroghi somme sulla base di proprie scelte discrezionali sull’an, e poiché comunque anche le difficoltà economiche del proprietario non costituiscono una esimente circa l’ambito di applicazione dell’art. 192, resta priva di rilievo la tesi difensiva della Regione sulla assenza di mezzi e risorse per affrontare la situazione.
10. Neppure risultano condivisibili le ulteriori argomentazioni difensive della Regione, secondo cui l’abbandono è effettuato da ignoti, che ‘dalle auto di passaggio’ sulla sopraelevata lancerebbero verso il basso i rifiuti, e che pertanto essi non potrebbero essere ‘controllati’.
Pur se è evidente che i responsabili dei fatti siano rimasti ignoti, tale prospettazione difensiva non risulta però plausibile, perché, come sopra si è osservato, l’ordinanza sindacale ha riguardato i rifiuti che si trovano ‘al di sotto’ della sopraelevata: il lancio di rifiuti verso il basso, ipotizzato dalla difesa regionale, porterebbe al loro accumulo nelle aree adiacenti (che non sono state invece oggetto di misure nei confronti della Regione).
Non è dunque sostenibile che gli autori degli abbandoni siano solo coloro che transitano sulla sopraelevata: i rifiuti non possono che essere abbandonati da chi accede all’area sottostante .
11. In conclusione,dalla documentazione acquisita risulta che la Regione nulla ha fatto per impedire in modo adeguato che il proprio terreno divenisse una discarica abusiva.
Non vi è stata una adeguata recinzione di sufficiente altezza e robustezza, ovvero la interdizione degli accessi all’area con robuste chiusure, la sistemazione di videocamere o apparecchi fotografici funzionanti solo all’atto del rilevamento di presenze sul luogo tramite sensori (le c.d. “foto trappole”), oppure una convenzione con istituti di vigilanza: l’incuria e la trascuratezza hanno agevolato che l’area in questione sia diventata un ricettacolo di ogni genere di rifiuti, con danni all’ambiente e verosimilmente alla salute degli abitanti della zona.
12. Le osservazioni che precedono inducono dunque il collegio a ritenere che sia del tutto legittima l’ordinanza impugnata in primo grado, poiché la Regione Campania non ha svolto in concreto alcuna attività di custodia, vigilanza e protezione dell’area di cui trattasi, rimasta facilmente accessibile “senza alcun mezzo di inibizione” del deposito di rifiuti da parte di ignoti.
13. La difesa regionale – nei propri scritti difensivi – ha invocato i principi formulati dalla ordinanza della Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 21 del 2013, la quale ha affrontato le questioni interpretative, riguardanti l’art. 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, dandone una interpretazione, per la cui ‘compatibilità comunitaria’ ha trasmesso gli atti all’esame della Corte di Giustizia.
Osserva al riguardo il collegio come tale richiamo – con le questioni affrontate con la citata ordinanza – non rilevi per definire il presente giudizio, poiché:
- l’Adunanza Plenaria si è occupata dell’ambito di applicazione delle disposizioni del titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, sulle misure conseguenti alla contaminazione (in un quadro normativo per il quale è previsto l’onere reale disciplinato dall’art. 253 del medesimo decreto legislativo), mentre l’ordinanza impugnata in primo grado è stata emanata ai sensi dell’art. 192, il quale prende in specifica considerazione la colpa del proprietario;
- in quella sede, le società proprietarie delle aree - destinatarie dell’ordine di porre in essere le misure di messa in sicurezza e di presentare il progetto di bonifica – risultavano acquirenti delle relative aree in un periodo successivo allo svolgimento dell’attività inquinante svolta dalla società dante causa, mentre l’ordinanza impugnata in primo grado è stata emanata nei confronti del soggetto che è risultato il perdurante proprietario dell’area sostanzialmente trasformata in discarica incontrollata di rifiuti;
- la stessa ordinanza della Adunanza Plenaria, al § 23, ha rilevato come l’art. 192 attribuisce espressamente rilievo alla colpa del proprietario ed ha richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite (25 febbraio 2009, n. 4472) per il quale sussiste la colpa anche nel caso di mancanza “degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi”;
- nel presente giudizio, è indubitabile la sussistenza della colpa del soggetto destinatario dell’ordinanza ex art. 192, in ragione della trascuratezza, dell’incuria e dell’assenza di vigilanza e di custodia, che hanno caratterizzato la vicenda in esame.
14. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere conclusivamente accolto e, in riforma della decisione sentenza impugnata, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
15. Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a. e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello n. 8931 del 2013, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto dalla Regione Campania in primo grado n. 1691 del 2013.
Spese compensate dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)