Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1930, del 16 aprile 2014
Rifiuti.Legittimità diniego dell'A.I.A. di ampliamento impianto di smaltimento e recupero rifiuti in aree connotate ad elevato rischio idraulico e da frana
Al pari della Via anche l'Aia è uno strumento a carattere preventivo e globale, per cui in ossequio al principio di precauzione, particolarmente rilevante proprio in tema di tutela dell'ambiente, della sicurezza e della salute umana, è fisiologico che la Conferenza dia risalto alle concrete conseguenze dell'esercizio dell'attività in funzione dello stato dei luoghi, non essendo all’uopo casuale che l'art. 5 del decreto legislativo 59 /2005, lettera d), prescriva che la domanda per il rilascio dell'autorizzazione debba comunque descrivere “lo stato del sito di ubicazione dell'impianto”. Posto che il rilascio dell'Aia si sostanzia nell'autorizzazione all'esercizio dell'impianto purché lo stesso non risulti dannoso, in ragione del sito, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell'ambiente e della prevenzione contro i rischi di incidenti perniciosi alle persone, legittimamente (e doverosamente) la Conferenza ha espresso parere non favorevole rispetto ad opere destinate a funzionare in aree connotate da rischio R3 ed R4 , non potendo di certo ignorare il Piano regionale di gestione dei rifiuti, né adottare determinazioni incoerenti con i precetti ivi contemplati. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01930/2014REG.PROV.COLL.
N. 04271/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4271 del 2013, proposto da:
Eco Sistem San Felice Srl, rappresentata e difesa dall'avv.to Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio eletto presso Luigi Maria D'Angiolella in Roma, via Michele Mercati, 51;
contro
Regione Campania, rappresentata e difesa per legge dall'avvocato Angelo Marzocchella, domiciliata in Roma, via Poli n.29; Provincia di Caserta, Agenzia regionale per la protezione ambientale, Comune di San Felice a Cancello, Ente d'ambito Napoli Volturno (Ato 2 Campania); Seconda Università degli Studi di Napoli, rappresentata e difesa per legge dall'avv.to Vincenzo Nunziata, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Asl Caserta 1, rappresentata e difesa dall'avv.to Mario Luciano Crea, con domicilio eletto presso Mario Luciano Crea in Roma, via Paolo Emilio 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, Sezione I, n. 1787/2013, resa tra le parti, concernente parere contrario al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale su progetto di ampliamento impianto di smaltimento e recupero rifiuti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, della Seconda Università degli Studi di Napoli e della Asl Caserta 1;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2014 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti gli avvocati Luigi Maria D'Angiolella, Mario Luciano Crea e l'avv.to dello Stato Wally Ferrante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La Eco Sistem San Felice Srl, quale gestore sin dal 1997 di un impianto di smaltimento e recupero di rifiuti sito in San Felice a Cancello, presentava, in data 18 luglio 2008, istanza di autorizzazione integrata ambientale ( a.i.a. ), ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo n. 59 del 2005.
Sennonché la Conferenza di servizi, convocata per l'esame della predetta istanza, esprimeva al riguardo parere contrario nella seduta del 24 novembre 2011.
Ritenendo illegittima tale determinazione, Eco Sistem adiva il Tar Campania chiedendone l'annullamento.
Con sentenza n. 1787/ 2013 il Tribunale adito respingeva il ricorso.
Avverso detta sentenza Eco Sistem ha quindi interposto l'odierno appello, chiedendone l'integrale riforma.
Si sono costituite in giudizio la Regione Campania, l'Azienda sanitaria locale di Caserta e la Seconda Università di Napoli intimate, chiedendo la reiezione del gravame siccome infondato.
Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Con il primo mezzo di censura la ricorrente deduce l’erroneità della gravata sentenza, laddove ha ritenuto legittimo “che la Conferenza dei servizi si pronunciasse sui temi- rischio frana ed idraulico- su cui si era già pronunciata la Via”.
Assume, al riguardo, che le valutazioni espresse in sede di Via non possono essere viceversa reiterate in sede di rilascio dell'Aia, attesa l'autonomia dei due procedimenti.
Precisa, poi, che il Piano Regionale 2010-2013 di gestione integrata dei rifiuti speciali “già esisteva…… e di esso si è tenuto conto” in sede di Via, per cui “era preclusa alla Conferenza di servizi qualsiasi valutazione in ordine al rischio frane” e idraulico in sede di esame della richiesta di Aia.
Aggiunge, infine, che anche a voler ammettere che la Conferenza di servizi potesse esprimersi in ordine al Piano regionale per i rifiuti speciali ed al Piano di assetto idrogeologico, le relative norme non sarebbero state comunque “affatto ostative”, in quanto applicabili ai “nuovi impianti” e non “all'adeguamento degli impianti in ampliamento o in ristrutturazione”, come nel caso di specie.
2. La doglianza è priva di pregio.
Vero è, infatti, che il Piano Regionale di gestione dei rifiuti è sopravvenuto nelle more della procedura di Via, e che quest'ultima si è conclusa successivamente alla pubblicazione dello stesso sul BURC.
E’ altrettanto vero, però, che la documentazione prodotta dalla ricorrente al momento della richiesta di Via e, poi, dell'Aia era carente sullo stato del sito, impedendo quindi una compiuta valutazione in ordine alla sua compatibilità rispetto ai tassativi criteri di localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti specificati sia nel richiamato Piano regionale che nel Piano di assetto idrogeologico ( PAI ).
Infatti, solo a seguito della espressa richiesta di integrazione documentale ad opera della Conferenza di servizi, la ricorrente ha depositato in data 7 ottobre 2011 uno specifico ed articolato certificato di destinazione urbanistica, nel quale viene precisato che l'intervento progettato ricade nelle fasce territoriali gravate dai vincoli R3 e R4 a rischio frane ed idraulico.
Del tutto correttamente, quindi, il primo giudice ha ritenuto che la valutazione espressa dalla Conferenza di servizi non fosse impedita dal positivo esito della Via in quanto “Come si evince dalla documentazione versata in giudizio dalle parti, la carenza della documentazione, ivi compresa quella sullo stato del sito, è stata rilevata nella relazione istruttoria redatta (in data 7.9.2010) in collaborazione con la Seconda Università degli Studi di Napoli (cfr. in particolare pagina 2), cui è seguita la richiesta di integrazione (cfr. verbale della conferenza di servizi del 27.10.2010 e sollecito del 29.9.2011) e, infine, la produzione da parte della società interessata (in data 7.10.2011) di un più articolato certificato di destinazione urbanistica (emesso dall’ufficio tecnico del Comune di San Felice a Cancello il 6.9.2011). Solo in tale ultimo documento si dà infatti compiutamente conto dell’esistenza dei detti vincoli nei seguenti termini: “Tutti i mappali riportati in questo certificato rientrano nella fascia a rischio frane Ordinanza 2787 del 21/05/1998 e s.m.i.; - i mappali del foglio 15 rientrano nella fascia a rischio idraulico R3 ed in parte nell’area di cava dell’Autorità di Bacino nord occidentale; - tutti i suoli compresi nella zona rossa (rischio molto elevato R4) restano inedificabili fino alla sussistenza del rischio e nella ipotesi che tale rischio dovesse essere rimosso dalla autorità preposta; tali suoli continuano ad essere inedificabili fino a quando il Comune non provvederà a riformulare una nuova variante al P.U.C. […]”. Dunque, posto quanto si è già detto sulla rilevanza della riferita sopravvenienza di diritto (piano regionale di gestione dei rifiuti urbani), osserva il Collegio che la questione del rischio idrogeologico non è stata apprezzata nel detto sub-procedimento di v.i.a. – essendo emersa nella sua completezza solo successivamente, a seguito dell’ottemperanza da parte della richiedente all’onere istruttorio formulato dalla conferenza di servizi – per cui non è ravvisabile il paventato contrasto tra le due determinazioni.”
Del resto, al pari della Via anche l'Aia è uno strumento a carattere preventivo e globale, per cui in ossequio al principio di precauzione - particolarmente rilevante proprio in tema di tutela dell'ambiente, della sicurezza e della salute umana - è fisiologico che la Conferenza dia risalto alle concrete conseguenze dell'esercizio dell'attività in funzione dello stato dei luoghi, non essendo all’uopo casuale che l'art. 5 del decreto legislativo 59 /2005, lettera d), prescriva che la domanda per il rilascio dell'autorizzazione debba comunque descrivere “lo stato del sito di ubicazione dell'impianto”.
Pertanto, posto che il rilascio dell'Aia si sostanzia nell'autorizzazione all'esercizio dell'impianto purché lo stesso non risulti dannoso, in ragione del sito, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell'ambiente e della prevenzione contro i rischi di incidenti perniciosi alle persone, legittimamente (e doverosamente) la Conferenza ha espresso parere non favorevole rispetto ad opere destinate a funzionare in aree connotate da rischio R3 ed R4 , non potendo di certo ignorare il Piano regionale di gestione dei rifiuti, né adottare determinazioni incoerenti con i precetti ivi contemplati.
Né può ritenersi che le specifiche prescrizioni del richiamato Piano regionale non possano comunque trovare applicazione nel caso di specie, trattandosi asseritamente di un semplice adeguamento dell'impianto esistente e non di un nuovo impianto.
Infatti, il Piano stralcio per l'assetto idrogeologico dell'Autorità di bacino adottato con delibera del Comitato istituzionale n. 384 del 29 novembre 2010 vieta, agli articoli 12 e 22, qualsiasi intervento di ampliamento che comporti un aumento di superficie o di volume all'interno di aree a rischio idraulico o frane molto elevato.
Nel caso di specie, è incontestato che l'intervento progettato preveda:
- l'installazione di un impianto per il trattamento di rifiuti speciali liquidi pericolosi e non pericolosi;
- l'installazione di un impianto di produzione CDR fuori specifica;
- l'installazione di un impianto di trattamento fanghi pericolosi e non pericolosi;
- l'aumento del numero di rifiuti da autorizzare da circa 165 a circa 700 codici CER, tra pericolosi e non;
- l'incremento della superficie totale interessata dall'insediamento da 18.000 m² a 20.500 m²;
- l'autorizzazione in deroga all'articolo 187 del decreto legislativo 152/2006 alla miscelazione di rifiuti pericolosi e non.
Pertanto, la natura dell'intervento e l'esercizio dell'attività all'interno di opere realizzate in zona ad elevato rischio idrogeologico e frane, danno ragione della correttezza della determinazione negativa assunta dalla Commissione.
3. Con il secondo motivo di ricorso l'appellante assume l'erroneità della gravata sentenza, laddove ha dichiarato inammissibile la censura dedotta avverso la delibera conferenziale nella parte in cui prevede la riduzione dei quantitativi di rifiuti pericolosi da trattare presso l'impianto.
4. La doglianza è inammissibile.
Il rilievo, invero, è del tutto generico e privo di qualsivoglia elemento in grado di rivelare l'asserito errore nel quale sarebbe incorso il Tar e, come tale, non può avere ingresso nell'odierna fase del giudizio.
Come più volte chiarito dalla giurisprudenza della Sezione, infatti, ai sensi dell'art. 101 c.p.a. l'appello deve contenere la specifica contestazione delle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, che devono essere assoggettate a critica in vista della sua riforma, e non la mera riproposizione delle argomentazioni già svolte nel ricorso di primo grado, trattandosi di atto preordinato non alla semplice revisione della pronuncia del primo giudice, ma alla ripetizione del processo.
5. Con il terzo motivo l'appellante deduce l'erroneità della gravata sentenza, laddove non ha qualificato il termine del procedimento per cui è causa come perentorio.
6. La censura è priva di fondamento.
Ed invero, secondo il costante ed univoco insegnamento della giurisprudenza amministrativa, la perentorietà del termine deve essere espressamente sancita dalla legge o comunque oggettivamente desumibile dalla sanzione che l'ordinamento collega all'inosservanza del termine stesso ( cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. VI ,13/02/2013, n. 894 ).
In assenza di tali circostanze, il termine deve senz'altro ritenersi come ordinatorio.
Pertanto, del tutto correttamente il Tar, constatata la mancanza di un'espressa qualificazione in tal senso e registrata l'omessa previsione legislativa di una sanzione conseguente al mancato rispetto del termine in questione, ha concluso che “il termine sopra indicato non va considerato come perentorio bensì come meramente sollecitatorio e pertanto il suo superamento non determina l'illegittimità dell'atto, ma una semplice irregolarità non viziante”.
7. Con l'ultimo mezzo di gravame l'appellante deduce l'erroneità della gravata sentenza, laddove non avrebbe valutato che “per gli edifici e per gli impianti già esistenti era certamente possibile l'adeguamento di impianti esistenti, e ciò proprio per l'espressa previsione delle norme regolamentari di settore”.
8. La censura non può essere condivisa.
Ed invero, come già precisato, l'ampliamento in questione si sostanzia nella realizzazione di opere che, comportando un aumento della estensione dell'impianto e l'installazione di nuove strutture, danno luogo senz'altro ad un complessivo intervento vietato dalle richiamate disposizioni normative.
Del resto, la circostanza per cui l'intervento progettato non si traduca in opere minimali è confermata dallo stesso ricorso al procedimento volto alla rilascio della Via.
Com'è noto, infatti, detta valutazione ha ad oggetto, oltre agli impianti nuovi, anche gli impianti esistenti, ma soltanto nel caso in cui essi subiscano modifiche sostanziali, cioè quando si preveda che” per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione” ( art. 2, comma 1, direttiva n. 85/337 /CEE ), tali modifiche comportino un impatto ambientale importante.
Segnatamente, la Sezione seconda di questo Consiglio di Stato, con il parere 18 giugno del 2008 n. 1001, ha affermato che un impianto deve essere assoggettato a Via, in sede di rilascio dell'Aia, soltanto nelle ipotesi in cui si tratti di nuovo impianto o di modifica sostanziale.
Ciò posto, nella presente vicenda l'intervento della Commissione Via viene giustificato, come emerge nel corso della seduta del 16/09/2010, dalla constatazione che l'intervento progettato prevede modifiche sostanziali
Se, dunque, la Via è necessaria in presenza di modifiche sostanziali dell'impianto esistente, è di tutta evidenza come nel caso di specie non siano ravvisabili interventi minimali, ma la realizzazione di opere destinate ad incidere in modo significativo e sostanziale l'assetto originario della struttura.
Del tutto correttamente, quindi, il primo giudice ha osservato al riguardo che la dedotta censura si appalesa infondata” essendo di tutta evidenza che l’intervento non è compatibile coi limitati interventi consentiti nelle aree ad elevato rischio idraulico e da frana dalle norme di attuazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico dell’Autorità di Bacino Nord Occidentale della Campania, adottato con delibera del Comitato Istituzionale n.384 del 29 novembre 2010. Invero, va precisato in fatto che il progetto (cfr. relazione del dirigente del Settore provinciale di Caserta - ecologia, tutela dell’ambiente, disinquinamento e protezione civile - della Giunta Regionale della Campania, depositata in data 9 gennaio 2013 in esecuzione dell’incombente disposto dalla Sezione) comporta la costruzione di nuove opere di ampliamento della struttura preesistente, mediante la realizzazione di tre nuovi impianti (rispettivamente, per il trattamento di rifiuti speciali liquidi pericolosi e non pericolosi, di produzione CDR fuori specifica e di trattamento di fanghi pericolosi e non pericolosi), con un incremento della superficie totale interessata dall’insediamento (da 18.000 a 20.500 mq. circa)” .
9. Conclusivamente l’appello si appalesa infondato e, come tale, da respingere.
10. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)