Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3119, del 18 giugno 2015
Rifiuti.Legittimità parere negativo di impatto ambientale, relativamente all’inserimento di nuovi codici CER e all’aumento della capacità di stoccaggio, trattandosi di ampliamento configurabile come nuovo impianto
E' legittimo il parere negativo per una domanda di valutazione di impatto ambientale e di contestuale approvazione del progetto definitivo e dello studio di impatto ambientale (SIA), per l'«accorpamento» delle tre precedenti autorizzazioni e per la loro modificazione con l'introduzione di nuovi codici CER, la variazione del layout, l'introduzione di nuove tecnologie impiantistiche relative agli stoccaggi, con l’introduzione di tecnologie migliorative, per far fronte alle maggiori esigenze conseguenti al progressivo potenziamento ed all’ampliamento della raccolta differenziata, tutto volto all'aumento della capacità di stoccaggio dell'impianto, da 1.727 a 2.542 t/g. Non può dubitarsi che tali significative (sia sotto il profilo qualitativo che quantitative) modificazioni non solo costituivano effettivamente delle varianti sostanziali del funzionamento dell’impianto stesso, rendendolo non più conforme all’autorizzazione (o alle autorizzazioni, nel caso di specie) già rilasciata, ma soprattutto che esse integravano come tali anche gli estremi di un «nuovo impianto» ai fini della applicazione delle disposizioni sulla tutela ambientale prevista dall’art. 49 del P.A.Q.E., non potendo del resto ragionevolmente negarsi che si sarebbe verificato un impatto negativo e significativo sull’ambiente, ove fosse stata approvata la proposta di autorizzazione all’introduzione di nuovi codici CER e all’aumento delle capacità di stoccaggio dell’impianto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03119/2015REG.PROV.COLL.
N. 08024/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello numero di registro generale 8024 del 2014, proposto dalla s.p.a. A.I.M.A.Verona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Biondaro e Marcello Clarich, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, n. 32;
contro
La Provincia di Verona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Biancardi, Simone Cadeddu ed Isabella Sorio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Simone Cadeddu in Roma, via Flaminia, n. 133;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Veneto, Sez. III, n. 863/2014, resa tra le parti, concernente l’approvazione di un impianto di trattamento rifiuti e la valutazione di impatto ambientale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Verona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2015 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Luigi Biondaro e Simone Cadeddu;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La s.p.a. A.M.I.A. Verona, esercente il servizio di igiene urbana nel territorio del Comune di Verona (comprensivo della raccolta, trasporto, recupero, trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani e trattamento rifiuti speciali assimilati) e gestore, nel medesimo territorio, di un impianto per il trattamento e il recupero dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali assimilati, presentava alla Provincia di Verona in data 24 marzo 2010 una domanda di valutazione di impatto ambientale e di contestuale approvazione del progetto definitivo e dello studio di impatto ambientale (SIA), per l'«accorpamento» delle tre precedenti autorizzazioni e per la loro modificazione con l'introduzione di nuovi codici CER, la variazione del layout, l'introduzione di nuove tecnologie impiantistiche relative agli stoccaggi, tutto volto all'aumento della capacità di stoccaggio dell'impianto, da 1.727 a 2.542 t/g.
Malgrado i pareri favorevoli della commissione provinciale V.I.A. in ordine all’impatto ambientale (verbale n. 263 del 6 agosto 2010), della giunta provinciale in tema di compatibilità ambientale (delibera n. 185 del 26 agosto 2010) e della commissione provinciale integrata V.I.A. (verbale n. 269 del 22 ottobre 2010, parere favorevole con «prescrizioni»), la stessa s.p.a. A.M.I.A. Verona rilevava che l’area rientrava all’interno di una zona definita come «ambito prioritario di protezione del suolo» (in cui è vietata la realizzazione di nuovi impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti), prospettava il possibile contrasto tra il progetto e le disposizioni del P.A.Q.E. (Piano d’area Quadrante Europa) e chiedeva, sia pur informalmente, la sospensione del procedimento per l’emanazione dell’autorizzazione.
La società sollecitava nel 2013 il riavvio del procedimento, allorquando ha chiesto alla commissione V.I.A. una (nuova) valutazione complessiva e unitaria del progetto, con particolare riferimento proprio al divieto di cui all'art. 49 delle norme tecniche di attuazione del P.A.Q.E.
La commissione provinciale V.I.A., con verbale n. 341 del 17 maggio 2013, ha rilevato tra l’altro che il progetto, oltre all’«accorpamento» delle precedenti autorizzazioni, comportava anche un ampliamento e il potenziamento tecnologico dell’impianto esistente, con la realizzazione dunque di un nuovo impianto, ed ha emanato le seguenti determinazioni:
a) ha confermato il parere favorevole di impatto ambientale per le attività di «accorpamento» delle tre diverse autorizzazioni, di razionalizzazione della raccolta e della gestione delle acque interne, di realizzazione delle sole tettoie relative alla copertura dei rifiuti già autorizzati (contenuti in conteiner), recependo le «prescrizioni» di cui alle osservazioni della delibera del consiglio comunale di Verona n. 1749/2010 [a) per infoltire le alberature preliminari localizzate lungo la direttrice est – ovest di visuale dell’impianto stesso e l’area di cica 12.500 mq. del piazzale esterno destinato a parcheggio per automezzi degli utenti e dei dipendenti; b) per inserire - sulle coperture esistenti e su quelle di nuova realizzazione, ove tecnicamente possibile - pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica quale compensazione per le emissioni CO2];
b) a seguito di riesame, ha reso in senso negativo il parere di impatto ambientale, relativamente all’inserimento di nuovi codici CER e all’aumento della capacità di stoccaggio, per incompatibilità con l’art. 49 del P.A.Q.E., trattandosi di ampliamento, configurabile come «nuovo impianto».
2. Con il ricorso di primo grado (proposto al TAR per il Veneto), la s.p.a. A.M.I.A. Verona ha chiesto l’annullamento della deliberazione della giunta provinciale n. 123 del 27 giugno 2013, del verbale n. 341 del 17 maggio 2013 (e dell’allegata relazione del gruppo di lavoro) e della richiesta di parere all’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (inoltrata ai sensi dell’art. 16, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2010 con nota prot. 75344 del 30 luglio 2013).
Con la sentenza impugnata n. 863 del 18 giugno 2014, il TAR, sez. III, nella resistenza dell’intimata amministrazione provinciale di Verona, definitivamente pronunciando, ha dichiarato il ricorso in parte infondato ed in parte inammissibile.
In particolare il TAR:
a) ha affermato che il divieto di cui l’art. 49 del P.A.Q.E., relativo all’ubicazione di nuovi impianti negli ambiti prioritari di protezione del suolo, trova applicazione anche nelle ipotesi di rilevanti modifiche degli impianti esistenti, tali da potere essere considerati come «nuovi impianti»,
b) ha escluso che all’impianto in esame sia applicabile l’ultima parte dell’art. 49 delle N.T.A. del P.A.Q.E., che ammette l’ampliamento, sia pur con condizioni, giacché quella disposizione riguarda le sole discariche;
c) ha respinto la tesi della ricorrente circa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010 e delle previsioni contenute nella delibera regionale attuativa, nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, che esclude gli impianti esistenti dalle limitazioni sopravvenute, giacché l’impianto gestito dalla ricorrente concerneva il trattamento dei rifiuti urbani, laddove le norme richiamate attenevano alle discariche ovvero alla gestione dei rifiuti speciali;
d) ha ritenuto insussistente il dedotto vizio di disparità di trattamento rispetto all’autorizzazione rilasciata ad altro gestore,
e) ha ritenuto insussistente anche la lamentata violazione degli artt. 21 quinquies e 2 nonies della legge n. 241 del 1990.
f) ha dichiarato inammissibili le censure sollevate nei confronti della richiesta di parere inoltrata all’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione civile.
3. Con l’appello in esame, la s.p.a. A.M.I.A. Verona ha chiesto la riforma di tale sentenza, proponendo quattro motivi di gravame, con cui ha dedotto: «violazione e falsa applicazione dell’art. 49 delle N.T.A. del Piano d’Area Quadrante Europa – violazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale – R.D. 16.03.1942 n. 262»; «erronea qualificazione del progetto presentato da AMIA quale ‘variante sostanziale’ e sua classificazione quale ‘nuovo impianto’»; «Erroneità della sentenza nella parte in cui respinge i motivi n. 2) e 5) del ricorso in tema di difetto, erroneità ed illogicità della motivazione» e «Erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo n. 4 del ricorso che sosteneva l’illegittimità della deliberazione impugnata per violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. n. 241/90».
Sono state in tal modo riproposte in questa sede le censure sollevate in primo grado, respinte dal TAR, ad eccezione di quelle relative all’applicabilità o meno dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010 e della delibera della giunta regionale n. 1210 del 2010 e di quelle di cui ai motivi B1 e B2, tutte dichiaratamente non coltivate in appello.
Ha resistito al gravame la Provincia di Verona, che ne ha dedotto l’infondatezza, insistendo per il suo rigetto.
4. All’udienza in camera di consiglio del 28 ottobre 2014, fissata per la decisione sull’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, sull’accordo delle parti la causa è stata rinviata all’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 per la trattazione del merito.
Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.
All’udienza pubblica del 24 febbraio 2015, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. L’appello è infondato.
5.1. Per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente il primo ed il secondo motivo di gravame, con cui la s.p.a. A.M.I.A. ha lamentato rispettivamente «Violazione e falsa applicazione dell’art. 49 delle N.T.A. del Piano d’Area Quadrante Europa; violazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale; R.D. 16 marzo 1942, n. 262» ed «Erronea qualificazione del progetto presentato da AMIA quale ‘variante sostanziale’ e sua classificazione quale ‘nuovo impianto’», sostenendo l’erronea interpretazione, ingiustamente restrittiva, da parte dei primi giudici dell’art. 49 delle N.T.A. del P.A.Q.E.
Tale disposizione, a suo avviso, vieterebbe, in modo preciso ed inequivocabile, solo l’ubicazione di nuovi impianti di trattamento e di smaltimento dei rifiuti in fregio e all’interno dell’ambito prioritario della protezione del suolo (qual è l’area in cui si trova l’impianto in questione) e non potrebbe estendere i suoi effetti anche alla diversa ipotesi dell’ampliamento degli impianti già esistenti (come tali esclusi dal divieto), tanto più che la limitazione degli ampliamenti sarebbe stata espressamente prevista solo per le discariche; d’altra parte avrebbero ugualmente errato i primi giudizi a qualificare quale «variante sostanziale» il progetto presentato e «nuovo impianto» quello che ne sarebbe derivato.
Le doglianze risultano infondate e non possono essere accolte.
5.1.1. Occorre premettere che, come rilevato dai primi giudici, le disposizioni di pianificazione urbanistica contenute nell’art. 49 delle N.T.A. del P.A.Q.E. sono finalizzate, al di là di ogni ragionevole dubbio, alla migliore tutela possibile dell’ambiente dai danni derivanti dalle attività della gestione dei rifiuti, non mancando tuttavia di operare il più ampio e adeguato contemperamento di quell’interesse pubblico con quello dei privati che sulla legittima gestione dei rifiuti hanno fondato la propria attività.
E’ questo il ragionevole, logico e razionale significato del generale divieto di ubicazione di nuovi impianti di trattamento e di smaltimento dei rifiuti in fregio e all’interno, tra l’altro, dell’ambito prioritario della protezione del suolo, divieto che fa salvo quanto già autorizzato alla data di adozione del piano, precisando, quanto agli ampliamenti delle discariche esistenti, che questi ultimi devono essere realizzati «in modo tale che la sistemazione finale comporti un miglioramento significativo dell’ambiente circostante».
Sebbene in quest’ottica possa anche risultare ragionevole la tesi dell’appellante (la quale sottolinea che quel divieto non può automaticamente estendersi fino a ricomprendere anche la diversa ipotesi dell’ampliamento degli impianti di trattamento e smaltimento di rifiuti già esistenti, giacché, laddove la norma ha ritenuto di dover porre delle limitazioni anche alle ipotesi di ampliamento, come nel caso delle sole discariche lo ha fatto espressamente), non si può tuttavia ritenere che non sussista alcun limite all’ammissibilità dell’ampliamento di un impianto di trattamento e di smaltimento di rifiuti, qual è quello della s.p.a. A.M.I.A., giacchè quei limiti sono invece connaturati alla stessaratio delle ricordate disposizioni pianificatorie (e all’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente ad esse sottostante), così che in definitiva il limite dell’ampliamento è costituito dal carattere di impianto «nuovo» che l’ampliamento sarebbe idoneo a determinare in concreto.
5.1.2. Posto quindi che la questione controversa in definitiva consiste nello stabilire se il progetto di ampliamento proposta dalla s.p.a. A.M.I.A. dava luogo – o meno - ad un «nuovo impianto», come tale vietato, del tutto correttamente i primi giudici hanno sottolineato che quel progetto di ampliamento prevedeva, tra l’altro, l’introduzione di nuovi codici CER e un aumento delle capacità di stoccaggio da 1727 a 2542 t/g: tali previsioni impongono di ravvisare effettivamente un «nuovo impianto», quel quid novi precluso dalle previsioni sopra richiamate, restando sotto tale aspetto irrilevante il fatto che le soluzioni progettuali hanno mirato anche ad una diversa e più razionale distribuzione degli spazi interni ed al miglioramento degli stoccaggi con l’introduzione di tecnologie migliorative, per far fronte alle maggiori esigenze conseguenti al progressivo potenziamento ed all’ampliamento della raccolta differenziata.
Non può dubitarsi che tali significative (sia sotto il profilo qualitativo che quantitative) modificazioni non solo costituivano effettivamente delle varianti sostanziali del funzionamento dell’impianto stesso, rendendolo non più conforme all’autorizzazione (o alle autorizzazioni, nel caso di specie) già rilasciata, ma soprattutto che esse integravano come tali anche gli estremi di un «nuovo impianto» ai fini della applicazione delle disposizioni sulla tutela ambientale prevista dall’art. 49 del P.A.Q.E., non potendo del resto ragionevolmente negarsi che si sarebbe verificato un impatto negativo e significativo sull’ambiente, ove fosse stata approvata la proposta di autorizzazione all’introduzione di nuovi codici CER e all’aumento delle capacità di stoccaggio dell’impianto.
5.1.3. Sotto i profili in esame la sentenza impugnata risulta condivisibile e non meritevole di riforma, essendo del tutto logiche, condivisibili e ragionevoli le conclusioni cui sono pervenute i primi giudici e non sussistendo il dedotto vizio di erronea e falsa interpretazione del P.A.Q.E.
5.2. Le osservazioni svolte in precedenza comportano il rigetto anche del terzo motivo di gravame, con cui la s.p.a. A.M.I.A. ha dedotto «Erroneità della sentenza nella parte in cui respinge i motivi n 2) e n. 5) del ricorso in tema di difetto, erroneità ed illogicità della motivazione».
Invero, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la motivazione con cui l’amministrazione ha ritenuto che le modifiche qualitative e quantitative richieste nel progetto di ampliamento davano luogo ad un «nuovo impianto», vietato ai sensi dell’art. 49 delle N.T.A. del P.A.Q.E., non è affatto apparente, ma risulta essere del tutto congrua, adeguata, non irragionevole, oltre che motivatamente basata sulle risultanze del procedimento.
5.3. Non risulta fondato neppure il quarto motivo di gravame, rubricato «Erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo n. 4 del ricorso che sosteneva l’illegittimità della deliberazione impugnata per violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della L. n. 241/90», con cui l’appellante ha lamentato che la delibera impugnata n. 123 del 27 giugno 2013 non conteneva alcuna indicazione delle ragioni di pubblico interesse, né una la nuova valutazione dell’interesse pubblico che giustificasse la revoca della precedente delibera n. 185 del 26 agosto 2010.
Invero, è decisivo rilevare che la (nuova) delibera impugnata è fondata sulla più volte citata previsione dell’art. 49 delle N.T.A. del P.A.Q.E., così che la tutela dell’ambiente (cui è finalizzato il divieto di ubicazione di nuovi impianti in fregio e all’interno dell’ambito prioritario della protezione del suolo) costituisce contemporaneamente anche la ragione di interesse pubblico che giustifica la revoca della delibera n. 185 del 26 agosto 2010 (revoca risultata giustificata anche dal fatto che il procedimento ad essa relativo non si è mai concluso e che pertanto non vi era ragione per considerare efficace una deliberazione, priva di qualsiasi utilità in quanto superata dalla successiva, e fonte solo di possibili incertezze).
6. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 8024 del 2014, proposto dalla s.p.a. A.M.I.A. Verona avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. III, n. 863 del 18 giugno 2014, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore della Provincia di Verona delle spese del presente grado di giudizio, che liquida complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila), oltre IVA, CPA ed altri accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)