Consiglio di Stato Sez. IV n. 8315 del 24 dicembre 2020
Rifiuti.Impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi

Anche l’allocazione degli impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi deve rispettare le previsioni di piano regionale sulla prossimità, ancorché per tale tipologia di rifiuti valga il principio di libera circolazione, con la conseguenza che se le previsioni di fabbisogno contenute nel piano non lasciano, in determinate aree, alcuno spazio a nuovi impianti, questi non potranno essere realizzati; il favor per la prossimità espresso dall’art. 181, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006 individua la necessità di impianti sulla base del fabbisogno previsto nei singoli ambiti di riferimento; il fatto che, nel caso in cui non vi sia alcuna necessità, un nuovo impianto - anche se destinato al recupero e, quindi, teoricamente abilitato a ricevere rifiuti da ogni dove - non può sorgere è una conseguenza diretta delle predette disposizioni di legge


Pubblicato il 24/12/2020

N. 08315/2020REG.PROV.COLL.

N. 06170/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6170 del 2020, proposto di signori Piera Anna Turletti, Marisa Turletti, Regina Crivello, Lidia Mazzucco, Gregorio Cadamuro, Roberto De Bei, Maria Teresa Bena, Pier Angelo Bellardone, Cristian Dall'Arche, Mariarosa Pizzarelli, Gino Dall'Arche e Anna Maria Guglielmi, rappresentati e difesi dagli avvocati Michele Greco e Michele Lioi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Michele Lioi in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 32;

contro

la Provincia di Biella, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Savatteri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessio Petretti, in Roma, via degli Scipioni, n. 282/a;
Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Ministero dell'interno, in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

la San Tommaso S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio Cesare Cereda, Marco Radice e Marcello Clarich, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ferdinando Maria De Matteis in Roma, via Porta Pinciana n. 4;
il Comune di Salussola, il Comune di Dorzano, l’Arpa Dipartimento Piemonte Nord Est - Sede Biella, l’Asl di Biella, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Biella e la Cordar S.p.A. - Biella Servizi, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sezione prima, n. 225 del 20 aprile 2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Biella, della San Tommaso S.r.l., del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e del Ministero dell'interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, il Cons. Roberto Caponigro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La Provincia di Biella, con la determinazione n. 392 del 20 aprile 2017, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, ha rilasciato alla San Tommaso s.r.l. l’autorizzazione per la realizzazione di un impianto per la produzione di biometano mediante trattamento di rifiuti organici selezionati in processi di digestione anaerobica e compostaggio, in località Brianco nel Comune di Salussola e ricadente in parte nel Comune di Dorzano.

Il Tar per il Piemonte, sezione prima, con la sentenza n. 225 del 20 aprile 2020, ha respinto il ricorso proposto avverso tale determinazione dagli odierni appellanti ed ha dichiarato irricevibile il ricorso per motivi aggiunti.

2. Gli appellanti hanno posto in rilievo che l’area interessata dal progetto si configura come il naturale collegamento tra le due regioni storiche del Biellese e del Vercellese ed è costituita da elementi significativi di biodiversità ambientale con valori paesistici di primaria rilevanza ed hanno sottolineato come in detta zona si siano sviluppate coltivazioni di riso di eccellenza note a livello internazionale, tento che nel 2007 la Commissione europea ha inserito il “riso di Baraggia biellese e vercellese” nel registro delle DOC, mentre, con D.M. 15 novembre 2007, è stato creato e riconosciuto il Consorzio di tutela della DOP omonima.

Gli interessati hanno rappresentato altresì di essere impegnati nella coltivazione del riso di Baraggia, chi come titolari e legali rappresentanti di aziende agricole, chi nella qualità di familiari, collaboratori e dipendenti delle predette società e che sia le aziende che le abitazioni sono collocate nel nucleo abitato sito in loc. Brianco, antico insediamento residenziale e rurale sito a meno di 50 metri dall’area di impianto.

Essi, nell’impugnare la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado, hanno proposto le doglianze che possono essere così riassunte:

- il rapporto tra il principio di prossimità e gli impianti di recupero di rifiuti, così come disciplinato dall’art. 181, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006 e riconosciuto dalla giurisprudenza, sarebbe molto più articolato e complesso di come è stato rappresentato in sentenza e negli scritti di controparte;

- il principio di libera circolazione dei rifiuti destinati al recupero costituirebbe una deroga ad un divieto generale - quello di cui all’art. 182, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, che impone lo smaltimento in autosufficienza di ATO – che deve essere fatta oggetto di “stretta interpretazione”;

- il rispetto del concetto di prossimità degli impianti di recupero, richiamato espressamente all’art. 181, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, all’evidente scopo di bilanciare il principio di libera circolazione, potrebbe essere realizzato a livello programmatico (piano provinciale e piano regionale di gestione) limitando il rilascio delle autorizzazioni, per i relativi impianti, al reale fabbisogno del trattamento dei rifiuti prodotti sul territorio provinciale;

- la giurisprudenza ha chiarito che anche l’allocazione degli impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi deve rispettare le previsioni di piano regionale sulla prossimità, ancorché per tale tipologia di rifiuti valga il principio di libera circolazione, con la conseguenza che se le previsioni di fabbisogno contenute nel piano non lasciano, in determinate aree, alcuno spazio a nuovi impianti, questi non potranno essere realizzati;

- il favor per la prossimità espresso dall’art. 181, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006 individua la necessità di impianti sulla base del fabbisogno previsto nei singoli ambiti di riferimento; il fatto che, nel caso in cui non vi sia alcuna necessità, un nuovo impianto - anche se destinato al recupero e, quindi, teoricamente abilitato a ricevere rifiuti da ogni dove - non può sorgere è una conseguenza diretta delle predette disposizioni di legge;

- i principi di libera circolazione e prossimità, in definitiva, devono essere bilanciati, ma tale bilanciamento non avviene tra pari, dato che la prossimità gode di un favor legis ancorato alla logica della necessità, nel senso che se il fabbisogno d’ambito lo consente, l’impianto di recupero potrà essere realizzato, mentre, in caso contrario, l’impianto di recupero dovrà essere realizzato altrove;

- con gli atti impugnati è stata autorizzata la realizzazione nell’ATO 1 di un ulteriore impianto in grado di trattare 40.000 t/a di rifiuti, quando nell’area vi sarebbe già un sovrappeso impiantistico;

- per soddisfare il fabbisogno degli impianti presenti nell’ATO 1 (che, con quello proposto dalla San Tommaso arriverebbe a 110.000 t/a), a fronte di una disponibilità stimata dal PRGR per il 2020 di 59.212 t/a, sarà necessario ricorrere all’importazione ab externo di 50.788 t/a di rifiuti, con conseguente vulnus del principio di prossimità, e ciò a fronte di una produzione di rifiuti organici da parte della provincia di Biella di appena 7.000,00 t/a.;

- anche a voler ammettere che nel territorio piemontese vi sia una carenza impiantistica per 38.400 t/a, l’impianto utile per colmare tale lacuna non potrebbe sorgere nell’ATO 1, totalmente autosufficiente e già sovraccarico, a pochi chilometri di distanza dagli altri 2 impianti già presenti;

- diversamente, si consentirebbe la concentrazione di impianti in una sola ATO, in spregio non solo all’attività programmatoria di cui al PRGR, ma anche al combinato disposto di cui agli artt. 181, comma 5, e 199, comma 3, del TU in materia ambientale;

- sarebbero state violate le linee guida della Regione Piemonte – Direzione Sanità sul compostaggio, che dovrebbero valere comunque alla stregua di indicatori di buone pratiche, nella parte in cui prevedono una distanza minima di 200 metri dai punti di approvvigionamento idrico a scopo potabile pubblico, mentre i pozzi aventi scopo idropotabile sono collocati a meno di 100 metri dall’area di impianto;

- tutti gli immobili in cui abitano gli appellanti, oltre ai capannoni industriali in cui è conservato il pregiato riso Baraggia DOC ed i pozzi, rientrerebbero nel raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto;

- nel caso di specie, considerata la straordinarietà degli interessi in gioco, la Provincia di Biella avrebbe dovuto applicare il principio di precauzione di cui agli artt. 174, par. 2, Trattato UE e 3 d.lgs. n. 152 del 2006;

- non basterebbe la presenza di un piccolo sito produttivo in un’area vasta integralmente dedicata a coltivazioni di eccellenza per trasformare l’intera zona in industriale, come affermato dalla Provincia;

- sussisterebbe la violazione dell’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003, nella parte in cui chiede di tenere conto, nel rilascio dell’autorizzazione unica ad un impianto per la produzione di energia rinnovabile, “delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali”;

- la presenza di prescrizioni su questioni di rilievo, in quantità massiccia e con spiccata vocazione al rinvio a momenti successivi di approfondimento collocati genericamente in fasi di progettazioni future e incerte, sarebbe indicativo di questioni irrisolte che, da sole, avrebbero dovuto portare al diniego;

- la Provincia di Biella avrebbe escluso il progetto dalla VIA, avendo del tutto irragionevolmente ritenuto che questo fosse “collocato in un’area nelle cui immediate vicinanze non sono presenti recettori sensibili”;

- il Tar Piemonte non avrebbe ritenuto sussistente la contraddittorietà tra atti della stessa amministrazione, con riferimento alla contestata disparità di trattamento riservata dalla Provincia di Biella all’impianto proposto dalla San Tommaso rispetto ad un progetto proposto da A2A Ambiente, rinviato a VIA.

3. La San Tommaso s.r.l. si è costituita in giudizio ed ha articolato una consistente serie di eccezioni in rito.

In particolare ha dedotto:

a) la tardività della notifica e del deposito dell’atto di appello, atteso che il contenzioso riguarderebbe l’impugnazione di un’autorizzazione unica, ex art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e art. 8 bis del d.lgs. n. 28 del 2011, da valere come dichiarazione di pubblica utilità, per la realizzazione di un impianto di produzione di biometano mediante trattamento della FORSU (frazione organica del rifiuto solido urbano), sicché dovrebbe trovare applicazione il rito abbreviato di cui all’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a.;

b) l’inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa notifica nei confronti di alcune amministrazioni che hanno preso parte alla conferenza dei servizi;

c) l’improcedibilità del ricorso, per la incompleta integrazione del contraddittorio disposta dal Tar, non essendosi perfezionata la notificazione nei confronti della Soprintendenza Archeologica.

Nel merito, ha analiticamente contestato la fondatezza delle censure dedotte, concludendo per il rigetto del gravame.

4. la Provincia di Biella ha sostenuto l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso proposto in primo grado e, comunque, ha concluso per il rigetto del gravame.

5. Il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e il Ministero dell'interno si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso.

6. Gli appellanti hanno contro dedotto sulle eccezioni in rito formulate e, unitamente alla San Tommaso s.r.l., hanno depositato altre memorie a sostegno ed illustrazione delle rispettive ragioni.

6.1. All’udienza pubblica del 26 novembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.

7. L’appello è irricevibile.

8. La sentenza appellata è stata notificata dalla San Tommaso presso il domicilio eletto dalle controparti in primo grado in data 23 aprile 2020, mentre l’appello è stato notificato in data 2 luglio 2020 ed è stato depositato il 29 luglio 2020.

8.1. Le impugnazioni, ai sensi dell’art. 92, comma 1, c.p.a., devono essere notificate entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza.

8.2. L’art. 119, comma 2, c.p.a., per le materie alle quali si applica il rito abbreviato, dispone che tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

8.3. Ne consegue, tenendo anche conto della sospensione dei termini legata alla emergenza epidemiologica, disposta con l’art. 36, comma 2, del decreto legge n. 23 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 40 del 2020, che, ove la controversia rientrasse in una delle ipotesi di rito abbreviato di cui all’art. 119 c.p.a., l’appello si presenterebbe effettivamente tardivo sia con riferimento alla notifica, avvenuta oltre il trentesimo giorno dalla notifica della sentenza impugnata, sia con riferimento al deposito, avvenuto oltre il quindicesimo giorno dalla notifica dell’appello.

8.4. Il Collegio ritiene che il contenzioso in oggetto rientri nella fattispecie di cui all’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a., con conseguente dimidiazione dei termini, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, secondo cui, come detto, tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati, salvo nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

8.5. L’art. 119, comma 1, lett. f), include tra le materie soggette al rito abbreviato le controversie afferenti ai “provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”.

Nel caso di specie, sussistono entrambi i presupposti indicati dalla norma di legge, vale a dire che il provvedimento è relativo ad una procedura di espropriazione e che l’area è destinata all’esecuzione di un’opera di pubblica utilità.

8.5.1. Per quanto concerne il primo presupposto, l’impugnata determinazione n. 392 del 20 aprile 2017, al punto 6 del dispositivo, dà atto che, con il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, avvenuto con lo stesso provvedimento, si creano le condizioni previste dall’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003, con la conseguente “formazione del vincolo preordinato all’esproprio (prevista dall’art. 9 comma 1 del D.P.R. n. 327/2001 e ss.mm.ii.) sulle aree di interesse”.

8.5.2. L’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003 evidenzia, inoltre, che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di “pubblica utilità” ed indifferibili ed urgenti.

8.5.3. La giurisprudenza, nell’affermare l’applicazione, in tali casi, dell’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a. e della connessa dimidiazione dei termini processuali, ha già posto in rilievo che, nelle ipotesi di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, si tratta di opere oggetto di provvedimento che abilita il destinatario a realizzare l’impianto, anche in deroga agli strumenti urbanistici, e che costituisce presupposto per l’imposizione del vincolo espropriativo e per la dichiarazione di pubblica utilità; ne consegue che tali controversie sono riconducibili all’ambito disciplinato dall’art. 119 c.p.a., in considerazione della valenza lato sensu espropriativa della autorizzazione unica (cfr. Cons. Stato, IV, n. 5182 del 2018, che richiama Cons, Stato, V, n. 1218 del 2013; successivamente IV, n. 5427 del 2020).

8.5.4. Per altro verso, la conclusione non potrebbe essere diversa anche ove volesse farsi riferimento alle considerazioni degli appellanti, secondo cui la controinteressata San Tommaso è proprietaria dei terreni nei quali dovrebbe sorgere l’impianto ed ha prodotto uno schema per la presentazione dei dati catastali delle aree interessate dal piano particellare d’esproprio che riguarda esclusivamente le aree interessate dallo scavo per l’apposizione delle “condotte del gas e delle fognature”, per cui non ci troveremmo dinanzi ad alcuna procedura di esproprio o occupazione d’urgenza, ma ad una semplice costituzione di servitù parziaria di conduttura e fognatura.

In proposito, oltre alla già di per sé dirimente considerazione della San Tommaso - secondo cui la circostanza che l’installazione dei cavidotti per la connessione alla rete di distribuzione del gas possa realizzarsi attraverso l’imposizione di una servitù coattiva non esclude che possa essere invece disposta l’espropriazione dell’area, con conseguente ablazione del diritto di proprietà - occorre rilevare che l’imposizione di una servitù in favore di un’opera di pubblica utilità integra comunque il concetto di atto espropriativo ai sensi del d.P.R. n. 327 del 2001.

Infatti, in tema di c.d. acquisizione sanante, è stato affermato che la pubblica amministrazione, alla quale è riconosciuto il potere di avvalersi dell’art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001, in considerazione di quanto “modificato” sul bene appreso per la realizzazione dell’opera pubblica, può limitare l’esercizio del potere, e, quindi, procedere con limitazioni parziali delle facoltà e dei poteri connessi al diritto reale del privato, e dunque emanare decreti di imposizione di servitù, in luogo della piena acquisizione del bene medesimo (cfr., da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., n. 5 del 2020).

Tale impostazione è coerente con la normativa dettata dal d.P.R. n. 327 del 2001: l’art. 1, comma 1, stabilisce univocamente che il detto testo unico “disciplina l’espropriazione, anche in favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”.

L’espropriazione, quindi, può avere ad oggetto sia la proprietà del bene sia i diritti parziari ad essa connessi.

Di talché, non sussiste alcun dubbio che il provvedimento in contestazione sia relativo ad una procedura di espropriazione e che l’area sia destinata all’esecuzione di un’opera di pubblica utilità, con conseguente applicazione del rito abbreviato di cui all’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a.

8.6. Né, nella fattispecie, è invocabile il beneficio dell’errore scusabile (cfr. ex multis: Cons. Stato, IV, n. 5427 del 2020; Cons. Stato, IV, n. 5066 del 2018; Cons. Stato, IV, n. 4661 del 2017).

Il beneficio dell’errore scusabile, infatti, non può trovare applicazione, atteso che, come indicato, tra l’altro, dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (da ultimo, ordinanza n. 33 del 2014), esso costituisce rimedio eccezionale ed è soggetto a regole di stretta interpretazione.

In particolare, la citata pronuncia ha posto in rilievo che il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile riveste carattere eccezionale, nella misura in cui si risolve in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, con la conseguenza che la disposizione che lo ha codificato (art. 37 c.p.a.) deve ritenersi di stretta interpretazione.

Nella fattispecie in esame, non è rilevabile la presenza di circostanze eccezionali che, esse sole, consentirebbero l’attribuzione del beneficio.

Di qui, l’irricevibilità dell’appello per tardività sia della notifica sia del deposito.

9. Ad ogni buon conto, in ragione del rilievo pubblico e privato degli interessi sottesi alla questione controversa, il Collegio rileva, in limine e nel merito, che la serie più consistente di censure proposte dagli appellanti, relative alla violazione del principio di prossimità agli impianti di recupero, può ritenersi infondata in ragione delle seguenti considerazioni, relative essenzialmente al contenuto dal piano regionale di gestione dei rifiuti.

E’ da premettere che i principi di “libera circolazione” nel territorio nazionale e di “prossimità” agli impianti di recupero (o di autosufficienza) sono entrambi presenti nella legislazione nazionale.

Nella disciplina di settore il principio di libera circolazione sul territorio nazionale costituisce il criterio cardine, mentre il principio di prossimità è individuato come l’opzione preferibile tra più scelte.

La regione, come chiaramente indicato dal legislatore nazionale, è l’Autorità amministrativa competente all’approvazione ed all’adozione dei piani di gestione dei rifiuti.

La tabella 8.31 del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e dei fanghi di depurazione della Regione Piemonte riporta il fabbisogno di trattamento di frazione organica per l’anno 2020, evidenziando che, considerando l’intero territorio piemontese, risulta un fabbisogno impiantistico non soddisfatto pari a 38.400 t rispetto alle potenzialità attualmente autorizzate ed in esercizio, con notevoli differenze tra i 4 ATO.

Il punto 12.5 del piano precisa che, aggiungendo anche la frazione verde, come strutturante, è ipotizzabile che il quantitativo complessivo possa raggiungere circa 60.000 t e tale esigenza si suppone possa essere soddisfatta sia tramite la realizzazione di nuovi impianti, sia potenziando le linee impiantistiche già presenti sul territorio.

Pertanto - nel rilevare che non è prevista alcuna preclusione per l’insediamento di nuovi impianti di recupero, anche in presenza di differenze di fabbisogno tra i singoli ATO, e nel considerare che il piano si è limitato ad individuare i fabbisogni della regione - può ritenersi che la Regione Piemonte abbia inteso considerare il territorio regionale come sostanzialmente unitario e non come rigidamente suddiviso per ambiti.

In altri termini, l’obiettivo dell’autosufficienza degli impianti è stato valutato a livello regionale e non con riferimento ad ambiti territoriali più ristretti.

D’altra parte, la legge della Regione Piemonte n. 1 del 2018, immediatamente successiva, in quanto in vigore dall’11 gennaio 2018 - nel premettere all’art. 3 che la pianificazione regionale fissa gli obiettivi, le misure e le azioni volte al conseguimento delle finalità della legge e costituisce il quadro di riferimento unitario per tutti i livelli di pianificazione e di programmazione degli interventi, anche con riferimento alla programmazione impiantistica e alla gestione dei flussi di rifiuti - ha previsto, all’art. 7, ai fini dell’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, quale ambito territoriale ottimale l’ambito regionale, coincidente con il territorio della Regione, per le funzioni inerenti alla realizzazione e alla gestione degli impianti a tecnologia complessa, intendendosi per tali i termovalorizzatori, gli impianti di trattamento del rifiuto organico, gli impianti di trattamento della frazione residuale indifferenziata, gli impianti finalizzati all’utilizzo energetico dei rifiuti , inclusi gli impianti di produzione del combustibile derivato da rifiuti, e le discariche, anche esaurite, nonché le funzioni inerenti all’avvio a trattamento della frazione residuale indifferenziata e del rifiuto organico.

Tale evoluzione normativa conferma che il principio di autosufficienza ha dimensione regionale e, di conseguenza, che il principio di prossimità agli impianti, in linea generale, deve essere riguardato con riferimento all’intera Regione Piemonte e non a singole aree della stessa.

In tale ottica, non solo è da escludere che l’attività amministrativa in contestazione abbia violato norme di legge relative agli anzidetti principi, ma, considerando che la valutazione compiuta dall’Amministrazione è estesa a tutto il territorio regionale, deve ritenersi anche che la presenza di un fabbisogno impiantistico regionale non soddisfatto già di per sé non renda manifestamente irragionevole il rilascio di un’ulteriore autorizzazione in ambito regionale per lo smaltimento dei rifiuti urbani.

Tale è il limite del sindacato giurisdizionale di legittimità, oltre il quale il giudice non può spingersi perché finirebbe con l’invadere la sfera del merito amministrativo, sostituendosi indebitamente all’azione dell’Amministrazione competente.

10. Le spese del presente giudizio di appello, in considerazione della novità delle questioni affrontate, possono essere eccezionalmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, dichiara irricevibile l’appello in epigrafe (R.G. 6170 del 2020).

Compensa tra le parti le spese del giudizio di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere, Estensore

Emanuela Loria, Consigliere