Cass. Sez. III n. 46227 del 19 novembre 2013 (Ud. 23 ott. 2013)
Pres. Mannino Est. Marini Ric. Bruno
Rifiuti. Terre e rocce da scavo e decreto legge 69-2013
La disciplina specifica in tema di terre e rocce da scavo esclude la rilevanza penale delle condotte esclusivamente in presenza di condizioni di fatto e di procedure che assicurino la qualità minima e la integrale destinazione dei materiali in conformità dei limiti fissati; conclusione, questa, certamente corretta anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 dicembre 2010, n.205 e del relativo decreto ministeriale . Né, sul punto, risultano rilevanti le successive modifiche normative che hanno ad oggetto le rocce e terre da scavo: anche secondo gli artt.41 e 41-bis del d.l. 21 giugno 2013, n.69, convertito in legge 9 agosto 2013, n.98, la legittimità del trattamento e del reimpiego di tali materiali è subordinata a condizioni di fatto e a garanzie e certificazioni.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/7/2012 il Tribunale di Milano ha assolto il sig. B. dai reati ex art. 647 cod. pen. (capo b) e D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 137, comma 1, (capo c) e lo ha condannato alla pena di 2.000,00 Euro di ammenda perchè colpevole del reato D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 256, commi 1 e 2, (capo a), accertato il (OMISSIS). In particolare, il sig. B. è stato ritenuto responsabile di attività di gestione non autorizzata, nonchè priva della necessaria documentazione, di rifiuti speciali non pericolosi, limitatamente ai soli materiali provenienti da demolizioni di opere stradali, mentre è stata esclusa la responsabilità per i restanti materiali indicati al capo a), quali i rifiuti da demolizione di edifici, nonchè materiale edile frantumato e materiale terroso, nonchè imballaggi, materiali che erano accumulati direttamente sul terreno di pertinenza dell'officina meccanica e, infine, oli esausti presenti all'interno dell'officina.
2. Avverso tale decisione il sig. B. propone ricorso tramite il Difensore, in sintesi lamentando:
a. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) con riguardo al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 183 e 230: l'art. 230 citato, disciplina la gestione dei rifiuti da parte di un soggetto che svolga attività di manutenzione di servizi a rete da cui discendono produzione, trasporto e accumulo dei "rifiuti" di volta in volta originanti da attività di manutenzione nei cantieri aperti a seconda delle necessità di intervento; ciò che la norma intende garantire è la tracciabilità dei rifiuti e dei materiali che possono essere riutilizzati senza necessità di trattamento e verifica tecnica e proprio tali finalità risultano rispettate dal ricorrente, che conferiva in discarica tutti i materiali raccolti.
Infine, errate sono le conclusioni che il Tribunale ricava dalla presenza di un macchinario destinato alla frantumazione, impropriamente considerato come utilizzato per trattare i materiali inerti provenienti dalle demolizioni e destinati a riempimenti di altri cantieri, mentre è provato che serviva unicamente per l'edificazione, oggetto di permesso di costruire, della palazzina che si stava costruendo nei pressi del capannone della ditta;
b. Errata applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) con riguardo all'art. 163 cod. pen. e artt. 125 e 546 cod. proc. pen. in relazione alla concessione del beneficio ex art. 163 cod. pen. senza che tale concessione fosse stata richiesta dal ricorrente e dal Pubblico ministero e in presenza di circostanze che rendono il beneficio pregiudizievole per la posizione personale del ricorrente.
3. In sede di discussione, come da note di udienza, la Difesa ha richiamato le disposizioni in tema di terre e rocce da scavo introdotte con il D.L. n. 69 del 2013, art. 41-bis, convertito in L. n. 98 del 2013, e il rinvio da queste operato alla disciplina del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 184-bis, invocandone l'applicazione quale disposizione più favorevole ex art. 2 cod. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Premesso che la motivazione della sentenza reca nel secondo capoverso un errato richiamo a "condotta delittuosa", mentre si è in ipotesi di reato contravvenzionale come correttamente valutato nelle pagine seguenti della medesima sentenza, la Corte osserva che in punto di fatto l'accertamento compiuto dai giudici di merito ha, da un lato, escluso che la ditta del ricorrente fosse in possesso di autorizzazioni per il deposito e la gestione di rifiuti, essendo in possesso di autorizzazione solo per le attività di trasporto; dall'altro, escluso che possa convenirsi col ricorrente che i materiali oggetto della decisione fossero riferibili all'attività di edificazione di una palazzina posta nei pressi del capannone della ditta stessa.
2. Osserva, inoltre, che dall'esame della sentenza di merito emerge con chiarezza che alcuni materiali di provenienza dai cantieri venivano trasportati in cava, mentre altri venivano, invece, triturati per essere nuovamente utilizzati; tale ultima condotta integra una ipotesi di trattamento dei rifiuti, che esula dalla verifica tecnica di cui parla la disciplina invocata dal ricorrente e che non può essere ricondotta nel contesto in cui il ricorrente chiede di collocare i fatti al fine di escludere l'applicazione della fattispecie penale.
3. Quelli appena ricordati costituiscono accertamenti in fatto che non possono essere oggetto di esame critico da parte della Corte; le censure del ricorrente sul punto risultano estranee al giudizio di legittimità alla luce di quanto affermato dalla costante giurisprudenza, secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
4. Ora, con ampia e corretta motivazione il Tribunale ha limitato il giudizio di responsabilità alla gestione dei soli materiali provenienti da "demolizioni stradali" e ha operato un chiaro riferimento al trattamento degli "asfalti" operato mediante il frantoio di frantumazione presente in ditta (pag. 6 e pag. 10), attività che non è consentita dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 230, per espressa previsione dell'ultima parte del comma 1 di tale disposizione.
5. A questa constatazione deve aggiungersi che i materiali bituminosi provenienti da escavazione o demolizione stradale non possono essere ricondotti all'interno della categoria delle rocce e terre da scavo; queste ultime, infatti, sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione, cui segue l'attribuzione di codice CER 17.04.01 o 02, con conseguente classificazione come rifiuto diverso dalle terre e rocce (Sez. 3, n. 39586 del 28/10/2005; n. 12851 del 13/2/2003; da ultimo, n. 7374 del 19/1/2012, rv 252101).
6. Per completezza la Corte ricorda che la disciplina specifica in tema di terre e rocce da scavo esclude la rilevanza penale delle condotte esclusivamente in presenza di condizioni di fatto e di procedure che assicurino la qualità minima e la integrale destinazione dei materiali in conformità dei limiti fissati; conclusione, questa, certamente corretta anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 2 dicembre 2010, n. 205 e del relativo decreto ministeriale (vedi sentenze di questa Sezione, n. 33577 del 4/7/2012, Digennaro; n. 32797 del 18/3/2013, Rubegni e altri). Nè, sul punto, risultano rilevanti le successive modifiche normative che hanno ad oggetto le rocce e terre da scavo: anche secondo il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, artt. 41 e 41-bis, convertito in L. 9 agosto 2013, n. 98, la legittimità del trattamento e del reimpiego di tali materiali è subordinata a condizioni di fatto e a garanzie e certificazioni del tutto assenti nel caso in esame.
7. Vengono così in luce i principi che fissano i limiti di applicazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 230 e che sono stati più volte affermati da questa Corte (per tutte: Sez. 3, n. 33866 del 8/6/2007, Balloi), escludendo che l'attività di trattamento dei materiali provenienti da luoghi di produzione dei rifiuti diversi da quello ove sono depositati sia compatibile con la deroga che l'art. 230, citato, opera rispetto ai principi generali in tema di deposito temporaneo ex art. 183 della medesima legge.
8. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto nella parte in cui invoca l'annullamento della decisione in punto di responsabilità, mentre può essere accolto nella parte in cui censura la concessione della sospensione condizionale della pena. Questa Corte condivide, infatti, il principio più volte affermato dalla giurisprudenza in tema di utilità concreta della concessione del benefizio in ipotesi di irrogazione di una pena pecuniaria modesta e sul punto richiama la chiara motivazione di Sez. 1, n. 26633 del 10/6/2008, Zara: "....Se è vero infatti che il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale riconosciutogli dall'art. 163 c.p., può anche di ufficio disporre la sospensione della pena, facendo prevalere, sul contrario interesse dell'imputato a non giovarsene in relazione alla lievità di quella in concreto inflitta, una valutazione di utilità della concessione del beneficio per la finalità di prevenzione speciale e rieducazione che costituisce la rado dell'istituto, una siffatta pronuncia esige però, come questa Corte ha già ripetutamente avuto occasione di affermare (cfr., tra le molte, le sentenze di questa Sezione 11/12/98, Di Paolo, rv. 212.300 e 11/11/04, Di Ricco e altro, rv. 229.815), che venga data in concreto dimostrazione, nel caso di specie del tutto mancante, di tale utilità, che in realtà non è possibile configurare in relazione a una modesta ammenda come quella irrogata alla Zara".
9. L'applicazione di tale principio al caso in esame conduce a ritenere erronea la concessione del beneficio al sig. B., con conseguente annullamento della sentenza senza rinvio ex art. 620 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena, che revoca. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2013