Sez. 3, Sentenza n. 12366 del 08/03/2005 Ud. (dep. 01/04/2005 ) Rv. 231074
Presidente: Papadia U. Estensore: Teresi A. Relatore: Teresi A. Imputato: Fatta ed altro. P.M. Salzano F. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Termini Imerese, 10 Giugno 2004)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Residui di produzione - Scarti vegetali di agrumi in fermentazione - Disciplina degli ammendanti organici - Applicabilità - Esclusione - D.Lgs. n. 22 del 1997 - Applicabilità.
Massima (Fonte CED Cassazione)
Il cosiddetto "pastazzo di agrumi", composto da buccia e polpa di agrumi residuati dalla loro lavorazione, allorchè siano ancora presenti processi fermentativi non è qualificabile quale ammendante vegetale semplice utilizzabile in agricoltura ai sensi dell'Allegato IC della Legge 19 ottobre 1984 n. 748, come modificato dal D.M.
amb. 25 marzo 1998, e rientra nella disciplina del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che per la esclusione dalle disposizioni sui rifiuti deve trattarsi di prodotto non fermentato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 08/03/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - rel. Consigliere - N. 487
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 45306/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FATTA Giovanni, nato a Palermo il 12.10.1961, e da CORLEONE Vincenzo, nato a Palermo il 30.08.1937;
avverso la sentenza del Tribunale di Termini Imerese in data 10.06.2004 che li ha condannati alla pena dell'ammenda per il reato di cui all'art. 51, comma 1 d.lgs. n. 22/1997;
Visti gli atti, la sentenza denunciata e i ricorsi;
Sentita in Pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Teresi;
Sentito il P.M. nella persona del P.G. Dott. SALZANO Francesco, il quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
OSSERVA
Con sentenza 10.06.2004 il Tribunale di Termini Imerese condannava Fatta Giovanni e Corleone Vincenzo alla pena dell'ammenda perché colpevoli di avere, Fatta, quale proprietario di un fondo agricolo, e Corleone, quale amministratore dell'azienda agrumaria Corleone s.p.a., effettuato attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi consistiti in scarti vegetali (resi di agrumi) senza la prescritta autorizzazione.
Proponevano ricorsi per Cassazione gli imputati.
Fatta denunciava:
illogicità della motivazione e violazione dell'art. 42 cod. pen. in ordine all'esclusione dell'invocata buona fede configurabile anche in materia contravvenzionale. Nella specie la buona fede andava riconosciuta perché egli, prima di fare scaricare gli scarti sul proprio fondo, si era fatta rilasciare dalla ditta Corleone "un'attestazione che qualificava gli scarti agrumari come ammendanti e quindi non nocivi", sicché egli si era diligentemente documentato sulla natura chimica degli stessi;
violazione di legge in ordine alla configurabilità del reato perché non era stato scientificamente accertato se gli scarti costituissero effettivamente rifiuto.
Corleone denunciava violazione della legge n. 748/1984, con allegata tabella, come modificata dal D.M. 25.03.1998; dell'art. 6, comma 1 lett. a) del decreto legislativo n. 22/1997 e dell'art. 14 della legge 178/2002, sull'interpretazione autentica della definizione di rifiuto in ordine all'affermazione di responsabilità basata sull'erronea interpretazione della nozione di ammendante vegetale semplice contenuta nella suddetta tabella (prodotto non fermentato a base di cortecce o altri materiali vegetali con esclusione delle alghe).
"Una sostanza può dirsi fermentata soltanto in esito ad un processo di trasformazione chimico-organica" e "il risultato di tate processo è un prodotto diverso, tanto rispetto alla materia originariamente esistente, quanto rispetto a quella che si ottiene mentre è in corso la fase della fermentazione", sicché, secondo il dato normativo non possono considerarsi fermentate le sostanze nelle quali è ancora è ancora attivo il processo di fermentazione.
Nella specie "si è accertato che gli scarti di agrumi non erano fermentali, ma, cosa ben diversa, erano in fermentazione, ragion per cui non si comprende perché il pastazzo di agrumi non possa rientrare nella categoria dell'ammendante semplice non compostato". Andava pure censurata la qualificazione dei residui vegetali come rifiuto anche alla stregua dell'interpretazione introdotta con legge n. 178/2002 perché erroneamente era stato ritenuto, senza l'apprezzamento delle caratteristiche oggettive e delle proprietà della sostanza, che il "pastazzo d'agrumi" potesse essere riutilizzato solo previo trattamento, ed inoltre escluso che tale sostanza, quale rifiuto organico, potesse essere riutilizzata ai fini della produzione di ammendanti compostati misti.
Denunciava, ancora, mancanza di motivazione sull'affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui "dalla scheda tecnica depositata dall'imputato Fatta all'udienza del 27.05.2004 sarebbe possibile conferma delle tesi in precedenza esposte" perché l'affermazione postula necessariamente, in contrasto con le risultanze processuali e con la più elementare logica, che la scheda tecnica si riferisca non al materiale rinvenuto sul terreno, ma ad altro prodotto attraverso la trasformazione di scarti di agrumi e mai depositato sui luoghi in questione.
Rilevava, infine, che anche alla stregua del decreto a 389/1997, che aveva modificato l'art. 8 del decreto n. 22/1997 escludendo dal suo campo d'applicazione soltanto i materiali litoidi o vegetali riutilizzali nelle normali pratiche agricole o di conduzione dei fondi le sostanze non pericolose utilizzate nell'attività agricola rifiuti agricoli, il pastazzo di agrumi non può essere qualificato rifiuto perché manca in assoluto il riferimento agli elementi di fallo (caratteristiche oggettive, proprietà) sulla base dei quali si possa concretamente affermare che la sostanza necessiti di ulteriore trattamento per essere riutilizzata in agricoltura. Chiedevano l'annullamento della sentenza.
I ricorsi sono infondati avendo i giudici di merito individuato gli elementi probatori emersi a carica degli imputati e confutato ogni obiezione difensiva, con logica e corretta motivazione che non può essere censurata.
È stato accertato, in fatto, con congrua motivazione che scarti vegetali costituiti da resti di agrumi provenienti dall'azienda agrumaria Corleone sona stati depositati sul fondo di proprietà di Fatta Giovanni; che la sostanza presentava una parte liquida in putrefazione e che non era stata seguita la procedura prescritta per il recupero del materiale al fine di ottenere un ammendante agricolo. Sulla base di tali elementi il giudice di merito ha correttamente escluso che tali scarti possano rientrare nella disciplina degli ammendanti organici utilizzabili in agricoltura ai sensi della legge a 748 del 1984 non rientrando nella classificazione prevista nell'allegato 1C della legge, come modificato dal decreto ministeriale 25.03.1998.
Infatti, gli scarti non sono qualificabili come ammendante vegetale semplice perché riscontrati in fermentazione, ne' ammendante vegetale compostati ("agrucompost veniva qualificata la sostanza nella scheda tecnica prodotta dall'imputato Fatta) per la mancata effettuazione di un preliminare processo di trasformazione e stabilizzazione.
Sul punto, sono irrilevanti le considerazioni difensive circa il significato della locuzione "prodotto non fermentato" essendo sufficiente, per la configurazione dell'ipotesi prevista dalla norma, che la sostanza sia interessata al processo di fermentazione. Nella specie, lo stato di putrefazione della parte liquida del prodotto e l'emanazione di cattivo odore deponevano inequivocabilmente per l'irreversibilità del processo fermentativo. Pertanto la sostanza da qua non potendo essere qualificata ammendante, rientra nella disciplina del decreto n. 22/1977 e costituisce rifiuto anche ai sensi della nuova definizione di rifiuto contenuta nell'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002 n. 158, convertito con legge 8 agosto 2002 n. 178, quale interpretazione autentica della nozione dettata dall'art. 6 lett. a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 12, che definisce rifiuto ogni sostanza inclusa nelle categorie riportate nell'allegato A del decreto citato di cui il detentore "si disfi" che cioè il detentore sottoponga ad una delle attività di smaltimento o di recupero che sono precisale negli allegati B e C del decreto o di cui il detentore abbia "deciso di disfarsi", che cioè il detentore vaglia destinare a una delle operazioni di smaltimento o di recupero, come sopra individuale o di cui il detentore abbia "l'obbligo di disfarsi" in base a una disposizione di legge, a un provvedimento della pubblica autorità o alla natura stessa del materiale e, in particolare, in base alla natura di sostanze pericolose come individuate nell'allegato D del decreto.
La decisione di disfarsi ricorre per legge per i residui di produzione o di consumo effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo, analogo o in diverso ciclo produttivo ovvero di consumo senza subire alcun intervento di trattamento preventivo e senza recare pregiudizio all'ambiente avvero dopo avere subito un trattamento preventivo, ma senza che sia necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto. Ribadito che la riutilizzazione va intesa come possibilità di reimpiego diretto senza alcun trattamento preventivo, correttamente è stato ritenuto che, nel caso in esame, gli scarti della lavorazione industriale degli agrumi costituiscono rifiuto perché, ai sensi della normativa sugli ammendanti, non possono essere riutilizzati per la fertilizzazione del terreno senza un trattamento preventiva.
La qualificazione dei residui agrumari come rifiuto è, quindi, basata su obiettive emergenze, sicché correttamente è stato ritenuto che il detentore, in concorso col proprietario del terreno, si sia effettivamente disfatto dei rifiuti effettuando un'attività di smaltimento mediante deposito incontrollato al suolo per un prolungato periodo.
La sussistenza del reato non può essere esclusa, per l'imputato Fatta, sotto il profilo soggettivo per errore sulla qualificazione degli scarti fatti depositare sul proprio fondo, avendo egli ricevuto dalla ditta Corleone una scheda tecnica che qualificava gli scarti agrumari come ammendante vegetale organica, sicché egli si era diligentemente attivato sulla natura chimica degli stessi configurabilità;
Infatti, nemmeno in virtù del criterio della ignoranza inevitabile teorizzato nella sentenza Corte Costituzionale del 1988 n. 364 è possibile scusare chi effettua smaltimento di rifiuti, senza informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia, incombendo all'interessato l'onere di verificare la conformità della condotta alle norme ambientali di cui è presunta la conoscenza ex art. 5 cod. pen..
Nella specie, infatti, non può ritenersi che l'ignoranza della legge penale sia stata incolpevole a cagione della sua inevitabilità, poiché l'interessato non ha assolto con il criterio dell'ordinaria diligenza, al c.d. dovere di informazione, attraverso l'espletamento di ogni utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, ne' è emerso un comportamento positivo degli organi amministrativi o un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale da cui l'agente abbia potuto trarre il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto, tale non potendosi considerare l'errata attestazione rilasciata da un privato circa la natura dei resti agrumari depositati sul fondo Fatta Premesso che le SU di questa Corte, con sentenza n. 36 del 28.11.2001, Cremonese, hanno affermato che la sospensione del corso della prescrizione, correlata ai casi in cui la sospensione dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, a norma dell'art. 159, comma primo, cod. pen. opera anche nei confronti di imputati a piede libero, va osservato che la sospensione del corso della prescrizione prevista dall'art. 159, primo comma, ultima parte, cod. pen. "in ogni caso in cui la sospensione dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge" opera automaticamente e non richiede un apposito provvedimento del giudice, diversamente da quanto previsto dall'art. 304 c.p.p. per la sospensione dei termini di custodia cautelare, che presuppone remissione di un'ordinanza appellabile al tribunale del riesame.
Per la durata della sospensione il codice di rito non prevede alcun termine massimo, sicché correttamente è stato ritenuto che ciascun termine parziale va calcolato dalla data della richieste di rinvio a quella della successiva udienza.
Pertanto, il reato, commesso il 22.03.2000, non era prescritto alla data della sentenza di appello (10.06.2004) perché al termine massimo di anni 4 mesi 6 (22.09.2004) va aggiunto un periodo di sospensione del corso della prescrizione, per rinvio richiesto dalla difesa, per mesi 5 e giorni 29, sicché la prescrizione maturerà il 23.03.2005.
Il rigetto dei ricorsi comporta condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 8 marzo 2005. Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2005