Pres. Lupo Est. Grassi Ric. De Pascalis
Rifiuti. Scarico di rifiuti solidi nell'ambiente idrico e trasporto
A norma del vigente art. 183 co. 1 letto g) D.Lgs. 152-2006 -che ha sostituito l'abrogato D.Lgs. 22-97 per "smaltimento" deve intendersi ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta ed, in particolare, le operazioni previste nell'allegato "B" alla parte quarta dello stesso decreto legislativo, fra le quali figura lo scarico di rifiuti solidi nell'ambiente idrico. Il trasporto di rifiuti costituisce una fase dell'attività di smaltimento e gestione di essi, per la quale è richiesta apposita autorizzazione e lo smaltimento di rifiuti diversi da quelli per i quali si è autorizzati configura il reato di cui all'art. 256 co. 1 D.Lgs. 152/'06 (che ha sostituito l'art. 51 D.Lgs. 22/'97), atteso che lo smaltimento di un rifiuto diverso da quello autorizzato equivale a smaltimento di rifiuti senza autorizzazione
Osserva
Con
sentenza del
Tribunale, in composizione monocratica, di Lecce - sez. dist. di Maglie
-
datata 26 gennaio 2006, Luigi Oronzo De Pascalis veniva condannato,
previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di E
7.000,00
di ammenda quale colpevole del reato continuato di cui agli artt. 81
cpv. c.p.
e 27, 28 e 51 co. 1 lett. a)
D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.
22,
del quale era chiamato a rispondere per avere, quale titolare della
omonima
ditta di trasporto rifiuti ed autospurgo, effettuato in contrada “San Sidero” di
Maglie, fino al 26 aprile 2004, reiterate attività di smaltimento di
rifiuti
non pericolosi, costituiti da fanghi da fossa settica contraddistinti
dal
codice CER
Con la stessa sentenza il coimputato Alberto Dondi, rappresentante legale della “Costruzioni Dondi S.p.a.”, impresa incaricata della conduzione, manutenzione e controllo dell’impianto consortile di depurazione delle acque reflue del Comune di Maglie, veniva assolto, dal medesimo reato, per non averlo commesso.
Affermava e riteneva, il Giudice di merito, che dalla compiuta istruttoria dibattimentale era, fra l’altro, emerso:
a) che il 24 marzo 2004 i Carabinieri avevano sorpreso il De Pascalis mentre, alla guida del proprio automezzo, giunto presso il detto impianto di depurazione, era intento allo scarico di acque che, in base al codice CER 190899 indicato sui formulari di identificazione rifiuti (FIR), avrebbero dovuto essere “chiarificate” e che, ad un sommario controllo dopo essere state prelevate con bottiglia in plastica e versate sul terreno, erano apparse - come era possibile desumere anche dalle foto in atti - quali liquami provenienti da fossa settica, stante il loro colore scuro e la presenza in esse di particelle solide in sospensione;
b) che il successivo 26 aprile 2004, effettuato altro controllo presso il medesimo depuratore, i Carabinieri avevano sorpreso il De Pascalis in procinto di scaricarvi acque, ancora una volta certificate sui formulari di identificazione come “chiarificate” e che, all’analisi dei campioni in quella circostanza prelevati, avevano rivelato la presenza di valori molto alti di solidi sospesi, COD ed azoto ammoniacale, che le rendevano assimilabili a fanghi da fossa settica, contrassegnati dal codice CER 200304;
c) che, come risultava dalla nota inviata dalla Società Acquedotto Pugliese, il depuratore di Maglie era autorizzato a ricevere solo acque reflue domestiche “chiarificate” e non liquami da fossa settica non trattati;
d) che il 26 aprile 2004 era stato lo stesso “cono Imohf” (strumento in dotazione dello impianto di depurazione, destinato all’esame preliminare della natura dei reflui da scaricare) ad evidenziare la presenza dì particelle solide, tant’é che lo scarico non era stato poi consentito;
e) che, stante la natura similare, per colore e consistenza, delle acque scaricate dal De Pascalis il 23 marzo 2004 e quelle che lo stesso intendeva scaricare nel depuratore il 26 aprile 2007, era da ritenersi che non sempre i fanghi da fossa settica fossero stati respinti sulla base del menzionato controllo elettronico;
f) che, dunque, doveva ritenersi provato che l’imputato, titolare di impresa di autospurgo e conducente della relativa autobotte, avesse, in almeno due occasioni, prelevato da insediamenti privati fanghi da fossa settica e li avesse trasportati presso il depuratore dì Maglie previa falsificazione dei relativi formulari di identificazione (fatto per il quale gli atti sono stati trasmessi al P.M. per quanto di competenza);
g) che, stante l’esito inequivocabile delle analisi dei campioni prelevati il 26 aprile 2004 e la natura similare, per colore e consistenza, dei reflui oggetto dello scarico in data 24 marzo 2004, era da ritenersi che anche in tale occasione l’imputato avesse trasportato e scaricato nel depuratore, abusivamente e fraudolentemente, liquami da fossa settica.
Avverso tale decisione il De Pascalis ha proposto ricorso per Cassazione e ne chiede lo annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione.
Deduce, in particolare, il ricorrente:
I. che sarebbero state violate le regole di valutazione della prova, di cui all’art. 192 co. 2 c.p.p., in quanto la sua responsabilità penale, in ordine al fatto del 24 marzo 2004, sarebbe stata affermata sulla base di indizi non gravi, né precisi e concordanti, visto che nessun prelevamento dei campioni e l’analisi di essi erano stati in quella occasione effettuati e la prova sarebbe rappresentata solo dalla valutazione soggettiva e ad occhio del verbalizzante;
II. che egli, titolare di impresa regolarmente iscritta all’albo dei trasportatori per la gestione dei rifiuti ed autorizzata all’autospurgo, si limitava a trasportare presso il depuratore di Maglie, con apposita autobotte, reflui da insediamenti abitativi accompagnati dai formulari di identificazione riportanti il codice CER 190899 e dal campione preliminare del rifiuto, sigillato e controfirmato dal produttore;
III. che nessun dovere di controllo del tipo di sostanza oggetto dell’attività di smaltimento dei rifiuti incombeva su di lui, semplice trasportatore e che la verifica circa la natura dei reflui incombeva esclusivamente sul conduttore dell’impianto;
IV. che nessuna prova di suo comportamento doloso o fraudolento sarebbe stata in atti acquisita, sicché sarebbe illegittima l’affermazione al riguardo contenuta nella motivazione della decisione impugnata;
V. che, in mancanza di prova sicura di fatto costituente reato commesso il 24 marzo 2004, la continuazione di cui all’art. 81 cpv. c.p., sarebbe stata erroneamente ritenuta.
Motivi
della
decisione
Il ricorso è destituito di fondamento e,
come tale, deve essere rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente - a mente dell’art. 616 c.p.p. - al
pagamento delle spese processuali.
Il De Pascalis, titolare di impresa
autorizzata all’autospurgo, trasportando reflui prelevati da insediamenti abitativi nel depuratore comunale di Maglie,
compiva operazione
costituente una fase dello
smaltimento di rifiuti.
Infatti, a norma del vigente art. 183 co. I lett. g) D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - che ha sostituito l’abrogato D.Lgs. 22/97- per “smaltimento” deve intendersi ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta ed, in particolare, le operazioni previste nell’allegato “B” alla parte quarta dello stesso decreto legislativo, fra le quali figura lo scarico di rifiuti solidi nell’ambiente idrico.
Questa Corte ha già più
volte statuito che il trasporto di
rifiuti costituisce una fase dell’attività di
smaltimento e gestione di essi, per la quale è richiesta apposita autorizzazione e
che lo smaltimento di rifiuti
diversi
da quelli per i quali si è autorizzati configura
il reato di cui all’art. 256
co. 1 D.Lgs. 152/06 (che ha sostituito
l’art. 51 D.Lgs. 22/97), atteso
che lo smaltimento di un rifiuto diverso da quello autorizzato
equivale a smaltimento di rifiuti senza
autorizzazione (v. conf. Cass. Sez. III
pen. l7 aprile 1998, n. 6289;
15 gennaio 2003, n. 1562 e 9 febbraio 2005, n. 12349).
Ciò premesso, la Corte rileva che la responsabilità penale del ricorrente, in ordine al reato
ascrittogli, risulta affermata dal Giudice
di merito con motivazione incensurabile in questa sede perché adeguata,
giuridicamente corretta e non
manifestamente illogica.
Infatti,
per ciò che riguarda il
trasporto del 26
aprile 2004, l’analisi effettuata sui
campioni prelevati ha accertato,
in maniera incontrovertibile,
che i reflui contenuti nell’autobotte guidata
dal ricorrente
erano, in realtà, fanghi da fossa settica, contrassegnati dal codice
CER 200304 e non acque “chiarificate”,
contrassegnate dal codice
CER 190899.
Relativamente al trasporto del 24 marzo 2004 il
Tribunale ha ritenuto provata la
responsabilità penale dell’imputato
sulla base di indizi
gravi, molteplici e concordanti,
costituiti dal fatto che il 26
aprile 2004 era stata
accertata la natura di
fanghi da fossa
settica e che i reflui
scaricati nel depuratore nella
precedente occasione erano, per colore e consistenza - come descritti
dal verbalizzante
Mar.llo CC. Turco e come rilevabile dalle
foto in atti - assolutamente simili
agli altri.
Siffatto argomentare non viola le regole di
valutazione della prova indicate nell’art. 192 co. 2 c.p.p..
Il sospetto di comportamento doloso e fraudolento del De Pascalis ha legittimato la trasmissione degli atti al P.M. per le proprie eventuali determinazioni in ordine all’ipotizzato delitto di falso dei documenti identificativi, ma è irrilevante ai fini della ritenuta sussistenza del reato del quale egli è stato dichiarato colpevole perché, trattandosi di contravvenzione, per essa è sufficiente la mera colpa ravvisata dal Giudice di merito nel mancato preventivo controllo dei reflui da trasportare.
La continuazione interna è stata legittimamente ritenuta, nell’ambito del reato per il quale il ricorrente è stato condannato, avendo il Tribunale considerata provata la di lui responsabilità penale relativamente a due fatti illeciti commessi in tempi diversi.