Presidente: Papa E. Estensore: Onorato P. Imputato: P.M. in proc. Imberti.
(Annulla con rinvio, Trib. Bergamo, sez.dist. Clusone, 16 marzo 2005)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Autovetture dismesse - Natura di rifiuto pericoloso - Sussistenza.
Integra il reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (art. 51 D.Lgs. n. 22 del 1997) l'accumulo di "beni destinati alla rottamazione elencati nel catalogo europeo dei rifiuti (CER), quali i veicoli e i pneumatici fuori uso, le batterie e gli accumulatori, in quanto "beni" destinati allo smaltimento o al recupero delle sostanze per i quali anche il deposito preliminare è soggetto ad autorizzazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 29/11/2006
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 1926
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 14255/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BERGAMO;
nel processo penale contro:
IMBERTI Claudio, nato a Casnigo il 07/07/1959;
avverso la sentenza resa il 16/03/2005 dal Tribunale monocratico di
Bergamo, sezione distaccata di Clusone.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere Dott.
Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso chiedendo
l'annullamento con rinvio della sentenza.
Osserva:
IN FATTO E IN DIRITTO
1 - Claudio Imberti veniva rinviato a giudizio per rispondere del
reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, perché -
quale titolare di una autocarrozzeria - su un terreno di proprietà
di suo padre aveva depositato in modo incontrollato rifiuti speciali
provenienti dalla sua attività (parti di autovetture, motori e un
veicolo privo di targhe): in Casnigo il 9.5.2003.
Il tribunale monocratico di Bergamo, sezione distaccata di elusone,
ha assolto l'imputato ex art. 530 c.p.p., comma 2, con la formula
"perché il fatto non sussiste", osservando che restavano forti dubbi
sulla natura di rifiuti speciali delle cose depositate nel suddetto
terreno, posto che non era stata provato che le stesse cose avessero
"l'attitudine alla rottamazione" e possedessero "caratteristiche atte
a dimostrare lo stato di incuria ed abbandono che dovrebbero
necessariamente qualificare un rifiuto".
2 - Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bergamo ha
proposto ricorso per cassazione, deducendo erronea interpretazione
della disciplina sostanziale in materia di rifiuti. In particolare
osserva che la sentenza impugnata ha disatteso l'inequivocabile
disposto del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, che al comma 3, lett. l)
contempla tra i rifiuti speciali proprio i "veicoli a motore, i
rimorchi e simili fuori uso e le loro parti".
3 - Il ricorso è fondato.
Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. a) (ora D.Lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, art. 183, lett. a)) definisce come rifiuto qualsiasi sostanza
od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di
cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsi.
In particolare, nell'elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie
di cui all'allegato A, noto come Catalogo europeo dei rifiuti (CER),
sono compresi i veicoli fuori uso (16.01.04), i pneumatici fuori uso
(16.01.03), le batterie e gli accumulatori (16.06) e simili. Come ha
ricordato il pubblico ministero ricorrente, rientrano in queste
sostanze anche i velivoli a motore fuori uso e loro parti, che la
legge classifica come rifiuti speciali.
Per escludere la natura di rifiuto del veicolo privo di targhe, delle
parti di autovetture e dei motori depositati nel terreno limitrofo
all'autocarrozzeria gestita dall'imputato - quindi - il giudice di
merito avrebbe dovuto accertare che lo stesso imputato non si era
disfatto o non aveva deciso di disfarsi dei materiali abbandonati in
quel terreno. Ma il giudice non ha affatto compiuto questo
accertamento.
Egli, invece, ha preso in considerazione l'attitudine alla
rottamazione, che non è requisito propriamente rilevante per la
qualità di rifiuto, perché detta attitudine può mancare anche se
il detentore si è disfatto o ha deciso di disfarsi delle sostanze.
Se con attitudine alla rottamazione il giudice di merito intendeva la
destinazione allo smaltimento o al recupero delle sostanze, essa
rileva soltanto per qualificare lo stoccaggio delle sostanze come
deposito preliminare, che (secondo la definizione di cui alla lettera
D15 dell'Allegato B) rientra in una delle operazioni di smaltimento
soggette ad apposita autorizzazione, ovvero come messa in riserva,
che (secondo la definizione di cui alla lettera R13 dell'Allegato C)
rientra in una delle operazioni di recupero ugualmente soggette ad
apposita autorizzazione. Orbene, effettuare queste operazioni senza
la dovuta autorizzazione integra il reato di cui al D.Lgs n. 22 del
1997, art. 51, comma 1, (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma
1).
Ma anche in mancanza di siffatta destinazione (cioè in difetto della
predetta "attitudine alla rottamazione") l'attività del titolare di
impresa (o del responsabile di ente) che si disfa o intende disfarsi
delle sostanze integra il reato di abbandono o deposito incontrollato
di rifiuti di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2 (ora
D.Lgs n. 152 del 2006, art. 256, comma 2), che è appunto il reato
contestato.
In secondo luogo il giudice di merito ha preso in considerazione lo
stato di incuria o di abbandono delle sostanze, che però non
configura in senso proprio un requisito necessario per la qualità di
rifiuto. Esso rileva soltanto nel senso testè evidenziato che
l'abbandono o deposito incontrollato dei rifiuti da parte dei
titolari di imprese (o dei responsabili di enti) integra il
contestato reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2,
(ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2). Ma una ipotesi
siffatta è esclusa - cioè è escluso l'abbandono e il deposito
diventa controllato - soltanto quando ricorrono i requisiti del
deposito temporaneo definiti al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett.
m) (ora lett. m) del D.Lgs n. 152 del 2006, art. 183, comma 1). Nel
caso di specie, però, sembra difettare almeno uno dei requisiti
così richiesti, giacché i rifiuti non erano raggruppati nel luogo
di produzione, bensì in un'area limitrofa alla autocarrozzeria
dell'imputato. E in ogni caso il giudice di merito non ha accertato
la ricorrenza degli altri requisiti previsti dalla norma, e
segnatamente di quelli temporali.
In conclusione, la sentenza va annullata perché ha assolto
l'imputato in violazione della disciplina legale come sopra
riassunta. Gli atti vanno quindi trasmessi al giudice a quo per un
nuovo giudizio, che dovrà rispettare i principi sopra esposti.
4 - C'è solo da aggiungere qualche precisazione in ordine al regime
processuale del presente ricorso.
Il pubblico ministero ha genericamente contestato il deposito
incontrollato di rifiuti speciali, senza specificare se erano
pericolosi o non pericolosi e quindi se la contravvenzione era
punibile con pena congiunta o con pena alternativa, rispettivamente
ai sensi delle lettere b) e a) del comma 1, alle quali rinvia il
D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, (ora D.Lgs. n. 152 del 2006,
art. 256). Poiché una simile generica imputazione comprende anche la
ipotesi più grave punita con la pena congiunta, si deve ritenere che
ai sensi dell'art. 593 c.p.p., nel testo vigente al momento della
impugnazione, la sentenza de qua era appellabile, e che per
conseguenza la impugnazione proposta ha natura di ricorso per saltum
ai sensi dell'art. 569 c.p.p..
Con la ulteriore conseguenza che gli atti vanno trasmessi al giudice
competente per l'appello ai sensi dell'ultimo comma dello stesso art.
569 c.p.p..
5 - Vero è che dopo l'entrata in vigore della L. 20 febbraio 2006,
n. 46 il pubblico ministero non può più appellare le sentenze di
proscioglimento, quale che sia la pena prevista per la
contravvenzione contestata; e che in forza della norma transitoria
dell'art. 10, la nuova disciplina si applica anche ai processi in
corso.
Ma è altrettanto vero che la trasmissione degli atti alla corte
d'appello (che anche dopo la nuova disciplina è sempre competente a
giudicare in secondo grado le contravvenzioni contestate in materia
di rifiuti) non implica alcuna applicazione della nuova disciplina.
In altri termini, al momento della impugnazione doveva applicarsi la
disciplina allora vigente, secondo la quale la sentenza di merito era
appellabile e il ricorso doveva qualificarsi per saltum; al momento
della presente sentenza di annullamento, e del conseguente rinvio al
giudice di merito, non si deve fare applicazione di alcune delle
norme introdotte dalla nuova L. n. 46 del 2006.
In particolare, non si deve applicare l'art. 1 che, modificando
l'art. 593 c.p.p., ha impedito solo l'appello, ma non il ricorso,
contro le sentenze assolutorie.
Ma non si deve neppure applicare l'art. 10, comma 2, che impone
soltanto la declaratoria di inammissibilità dell'appello proposto
contro una sentenza di proscioglimento (mentre nel caso presente è
stato proposto il ricorso); ne' l'art. 10, comma 4, il quale impone
soltanto che il giudice di legittimità, qualora annulli, su punti
diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, una sentenza di
secondo grado che abbia riformato una sentenza di assoluzione, debba
ugualmente dichiarare inammissibile l'appello a suo tempo proposto
contro tale sentenza assolutoria (mentre nella presente vicenda
processuale non viene annullata alcuna sentenza di secondo grado e
manca qualsiasi atto di appello).
Per queste considerazioni non può essere condivisa la tesi contraria
sostenuta da altra sentenza di questa Corte (Sez. 5^, n. 16487 del
3.4.2006, P.M. in proc. D'Ambrosio, rv. 233820), secondo cui, dopo la
predetta riforma dell'art. 593 c.p.p., quando la sentenza di
proscioglimento di primo grado sia stata impugnata con ricorso
immediato per cassazione, l'annullamento con rinvio comporta la
trasmissione degli atti al giudice di primo grado e non a quello di
appello.
A sostegno di questa tesi la predetta sentenza è costretta
sostanzialmente ad ammettere che il principio tempus regit actum si
applica in tal caso con riferimento non al momento in cui la parte ha
proposto la impugnazione (così come precisato dalla costante
giurisprudenza sul punto), ma con riguardo al momento in cui il
giudice decide sulla stessa: e ciò perché "il giudizio di secondo
grado (non più attivabile per iniziativa del P.M. in caso di
assoluzione) finirebbe per essere instaurato a seguito di
annullamento da parte della Corte di cassazione, annullamento che
tuttavia è conseguenza di un'iniziativa del predetto organo
dell'accusa". In tal modo però si sottovaluta la significativa
circostanza che la corte di appello viene investita della cognizione
di secondo grado, non dopo un appello del Pubblico Ministero, ma solo
dopo un annullamento della sentenza assolutoria da parte della corte
di cassazione (garantendo comunque all'imputato il doppio grado di
merito, che seguendo la tesi qui criticata potrebbe diventare triplo,
contro ogni principio di economia del processo). Ma soprattutto, in
tal modo, si finisce per applicare retroattivamente la nuova norma
processuale dell'art. 593 c.p.p. sia contro il principio tempus regit
actum, sia contro le norme transitorie della L. n. 46 del 2006, art.
10, che, in quanto derogatorie rispetto a quel principio, non possono
essere interpretate al di là del loro significato letterale, come
sopra precisato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con
rinvio alla corte d'appello di Brescia.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2006