Tar Lazio, sez. IIBis, 23 marzo 2006, n. 2056
Ricorso promosso dal comune di Senigallia avverso il d.p.c.m. 8 luglio 2003,
ovvero la norma che fissa i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli
obiettivi di qualità per la protezione della popolazione
dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a
frequenze comprese tra 100 Khz e 300 Ghz.
Si ringrazia l'Avv.Nicola Lais per la segnalazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. RS
Anno 2006
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
N. 12016 RGR
Anno 2003
-SEZIONE II BIS-
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 12016/2003 proposto dal COMUNE DI SENIGALLIA, in persona del
Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Ranieri Felici e Roberto
Tiberi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Sergio Del Vecchio in
Roma, Viale Angelico n. 38;
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA
DEL TERRITORIO e MINISTERO DELLA SALUTE, nelle persone dei rispettivi
rappresentanti legali p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale
dello Stato e, per legge, domiciliati presso i suoi uffici in Roma, Via dei
Portoghesi n. 12;
e, per quanto occorrer possa, nei confronti di
WIND TELECOMUNICAZIONI S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Beniamino Caravita di Toritto e Sara
Fiorucci, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via di Porta
Pinciana n. 6;
con atto di intervento ad opponendum di
VODAFONE OMNITEL N.V., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata
e difesa dagli avvocati Maurizio Brizzolari e prof. Mario Libertini, con
domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via della Conciliazione n.
44;
per l’annullamento
- del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003 (G.U.R.I.
Serie generale, n. 199 del 28/8/2003), recante “Fissazione dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la
protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 Khz e 300 Ghz”;
- del parere (non conosciuto) del Consiglio superiore di sanità,
espresso nella seduta del 24/6/2002;
- della delibera (incognita) del Consiglio dei Ministri, adottata nella
seduta del 21/2/2003;
- nonché di tutti gli atti preparatori, preordinati, presupposti,
connessi e conseguenti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visto l’atto di intervento in giudizio proposto da Vodafone Omnitel N.V.;
Viste le memorie prodotte dalle parti costituite a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, per la pubblica udienza del 1° dicembre 2005, il Consigliere
Francesco GIORDANO;
Uditi gli avvocati come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Il Comune di Senigallia, nella dichiarata qualità di “ente politico” agente per
la cura del generale interesse della collettività rappresentata ai fini della
tutela della salute, del territorio e dell’ambiente, impugna i provvedimenti
indicati in epigrafe, prospettando a loro carico le seguenti censure:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 8 del D.Lgs. 28/8/1997, n.
281, nonché dell’art. 4, comma 2 della legge 22/2/2001, n. 36, dell’art. 3 della
legge 7/8/1990, n. 241; eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di
motivazione e insufficienza di indagini doverose sui punti essenziali delle
problematiche inerenti al provvedimento impugnato.
Disattendendo, senza motivazione, il parere congiunto delle Regioni, che
segnalava la necessità di indicare diversi parametri relativamente ai limiti di
esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità, lo Stato
avrebbe completamente stravolto le finalità della legge quadro di cui all’art.1,
addirittura diminuendo la tutela della salute della popolazione rispetto a
quanto previsto nel precedente D.M. n. 381/1988.
2) Violazione e falsa applicazione delle norme richiamate nel precedente
motivo, nonché degli artt.6, lett.i) e 9 della legge 23/12/1978, n. 833 e degli
artt.4, comma 2, lett.a) e 6 della legge n. 36/2001; eccesso di potere per
insufficiente motivazione conseguente al difetto di doverose indagini
essenziali, con particolare riferimento all’obbligo spettante agli organi dello
Stato di acquisire il parere dell’Istituto superiore di sanità.
Ritenuta l’applicabilità al caso di specie della normativa che attribuisce allo
Stato la competenza, in ordine alle funzioni amministrative inerenti la
produzione e l’impiego delle forme di energia capaci di alterare l’equilibrio
biologico ed ecologico, si evidenzia la mancata acquisizione in materia del
parere obbligatorio dell’Istituto superiore di sanità, nonché del parere del
Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento
elettromagnetico.
3) Violazione e falsa applicazione dell’art.32 della Costituzione,
dell’art. 174 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, dell’art.4, comma 2,
lett.a) della legge n. 36/2001e dell’art.1 della legge n. 833/1978; eccesso di
potere per difetto di motivazione in ordine alla necessità di prevedere delle
distanze di rispetto degli impianti da edifici e luoghi adibiti a permanenze.
L’assenza di criteri per la determinazione delle distanze tra gli impianti e gli
edifici, costituirebbe violazione del principio di minimizzazione, funzionale
alla tutela della salute umana, nonché di quello di precauzione di derivazione
comunitaria.
4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione,
degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 36/2001, dell’art.1 della legge n.
833/1978, dell’art. 174 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, nonché
elusione del principio generale, secondo cui la tutela della salute dei
cittadini costituisce valore preminente rispetto a qualsiasi altro interesse
anche se costituzionalmente protetto, quale quello della produzione e dello
sviluppo.
Il contestato decreto avrebbe ignorato i principi di precauzione e di tutela
prioritaria della salute, tenendo conto in modo quasi esclusivo degli interessi
dei produttori e dei distributori di energia elettrica, come bene primario dello
Stato.
In una successiva memoria in data 11/11/2005 il Comune ricorrente ha ribadito le
censure espresse nel ricorso introduttivo, insistendo per l’accoglimento
dell’impugnativa con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.
Hanno puntualmente controdedotto le parti resistenti, confutando tutti i motivi
di doglianza e chiedendo il rigetto del gravame, con salvezza di spese ed
onorari.
In particolare, l’Avvocatura dello Stato e la Vodafone Omnitel N.V. hanno
eccepito l’inammissibilità del ricorso, segnatamente sotto il profilo del
difetto di interesse del ricorrente all’annullamento del provvedimento
impugnato.
D I R I T T O
In via preliminare, può soprassedersi all’esame delle eccezioni di rito
sollevate nei loro scritti dalla difesa erariale e dall’interveniente ad
opponendum, atteso che il ricorso si rivela infondato nel merito.
Non coglie nel segno il primo motivo di doglianza, con cui l’istante ha
sostenuto che l’avversato decreto sarebbe inficiato dalla carenza di una
specifica motivazione, in ordine al contrasto insorto tra la proposta formulata
dallo Stato e l’avviso congiuntamente espresso dalle Regioni, circa la necessità
di indicare diversi parametri relativamente ai limiti di esposizione, ai valori
di attenzione ed agli obiettivi di qualità.
Secondo il Comune ricorrente si sarebbe dovuto, in particolare, motivare in
ordine alle ragioni per cui è stato previsto un valore di attenzione di 6 V/m,
uguale a quello stabilito per gli obiettivi di qualità.
Così facendo è stata, in effetti, diminuita la tutela della salute della
popolazione esposta, specialmente nelle aree intensamente popolate, con la
previsione di valori di intensità del campo elettrico e magnetico, non
supportata da un’indagine condotta avendo di mira la peculiarità della materia
ed i rischi alla salute, che la legge quadro ha voluto invece che siano
minimizzati.
Il Collegio ritiene, in primo luogo, non appropriato il richiamo dell’art. 3
della legge n. 241 del 1990, quantomeno nel senso che parte ricorrente ha inteso
attribuirgli.
Se è vero, infatti, che il primo comma della predetta disposizione detta la
regola in base alla quale ogni provvedimento amministrativo deve essere
motivato, il secondo comma –fatto salvo, peraltro, dal precedente- introduce una
rilevante eccezione al principio generale, stabilendo che la motivazione non è
richiesta con riferimento agli atti normativi ed a quelli a contenuto
generale.
Poiché, dunque, il contestato D.P.C.M. reca una disciplina generale ed astratta
a contenuto sostanzialmente regolamentare, emanata in attuazione della legge
quadro 22 febbraio 2001, n. 36, e si configura quindi alla stregua di un atto di
normazione secondaria, non trova applicazione nei suoi confronti la prescrizione
di cui al primo comma del menzionato art.3, con la conseguenza che esso si
sottrae all’obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi.
Va, poi, evidenziato che l’Autorità procedente non era comunque tenuta a fornire
giustificazioni sulla circostanza di aver “disatteso in modo palese” il “parere”
congiunto delle Regioni, circa una diversa parametrazione dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità.
Invero, l’iter procedimentale che la legge delinea per l’esercizio delle
funzioni dello Stato in materia di tutela dall’esposizione ai campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici, prescrive che i limiti di esposizione, i valori
di attenzione e gli obiettivi di qualità, nonché le tecniche di misurazione e
rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico ed i parametri per la previsione
delle fasce di rispetto per gli elettrodotti, sono stabiliti entro sessanta
giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa (cfr. art. 4, comma 2
L. n. 36/2001).
Per la popolazione, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri va
emesso su proposta del Ministro dell’Ambiente, di concerto col Ministro della
Sanità, sentiti il Comitato di cui all’art. 6 e le competenti Commissioni
parlamentari, previa intesa in sede di Conferenza unificata, di cui all’art. 9
del D. Lgs. 29 agosto 1997, n. 281 [cfr. art. 4, comma 2, lettera a) della legge
n. 36/2001, cit.].
Statuisce, peraltro, il successivo comma 3 del menzionato articolo, che “Qualora
entro il termine previsto dal comma 2 non siano state raggiunte le intese in
sede di Conferenza unificata, il Presidente del Consiglio dei ministri entro i
trenta giorni successivi adotta i decreti …”
Da quanto sopra discende che, nell’ipotesi di mancato raggiungimento dell’intesa
in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni, come si è verificato nelle sedute
del 24 ottobre e del 19 novembre 2002, l’adozione dei decreti di competenza del
Presidente del Consiglio dei Ministri non era soggetta all’obbligo di una
puntuale motivazione idonea a giustificare le ragioni del dissenso.
Va aggiunto, tuttavia, che l’avversato decreto presidenziale ha espressamente
richiamato nel suo preambolo gli atti istruttori posti a fondamento delle
adottate determinazioni, vale a dire la raccomandazione del Consiglio
dell’Unione europea del 12 luglio 1999, il parere del Consiglio superiore di
sanità espresso nella seduta del 24 giugno 2002, la dichiarazione del Comitato
internazionale di valutazione per l’indagine sui rischi sanitari derivanti
dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (CEM), la
deliberazione del Consiglio dei Ministri assunta nella riunione del 21 febbraio
2003, nonché i pareri delle competenti Commissioni parlamentari.
Sicché non potrebbe seriamente affermarsi che i valori ed i limiti di
esposizione fissati nel provvedimento, siano scaturiti da immotivati
convincimenti e gratuite considerazioni avulse da qualsiasi indagine
conoscitiva, atta a dare sufficiente contezza della razionalità delle scelte
effettuate e dei criteri utilizzati.
Del resto, l’intendimento di avvalersi nella specifica materia di metodi e
tecnologie sempre più efficaci, sicuri ed adeguati alla problematica originata
dai valori di immissione dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici,
appare comprovato dal disposto di cui all’art. 7 del decreto in argomento, che
demanda all’apposito Comitato interministeriale il compito di procedere, nei tre
anni successivi, “all’aggiornamento dello stato delle conoscenze, conseguenti
alle ricerche scientifiche prodotte a livello nazionale ed internazionale, in
materia dei possibili rischi sulla salute originati dai campi elettromagnetici.”
Non risponde, infine, al vero e va conseguentemente disattesa l’ulteriore
affermazione di parte ricorrente, secondo cui il decreto impugnato avrebbe
introdotto un’immotivata equiparazione tra i valori di attenzione e gli
obiettivi di qualità, riducendo il grado di tutela sanitaria della popolazione
esposta, specialmente nelle aree intensamente popolate.
In effetti, i limiti di 6 V/m - 0,16 A/m e 0,10 W/m2, stabiliti dalle Tabelle 2
e 3 dell’Allegato B al decreto in argomento sia per i valori di attenzione (art.
3) che per gli obiettivi di qualità (art. 4), vanno letti con riferimento al
preciso significato che la legge quadro attribuisce alle predette espressioni
(cfr. art. 3, comma 1, L. n. 36/2001).
Se da un lato, il valore di attenzione rappresenta un misura di cautela che non
deve essere superata negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti
a permanenze prolungate, l’obiettivo di qualità si pone come un valore
tendenziale che va perseguito, ai fini della progressiva minimizzazione
dell’esposizione ai campi elettromagnetici.
La previsione, allora, di identici e contenuti valori di immissione, misurati
all’interno di edifici, adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore
giornaliere, e loro pertinenze esterne che siano fruibili come ambienti
abitativi quali balconi, terrazzi e cortili (valori di attenzione), ovvero
calcolati all’aperto nelle aree intensamente frequentate, vale a dire anche
nelle superfici edificate ovvero attrezzate permanentemente per il
soddisfacimento di bisogni sociali, sanitari e ricreativi (obiettivi di
qualità), non solo tiene conto di differenti situazioni di esposizione della
popolazione interessata, ma risponde altresì all’esigenza di tutelare sempre
meglio la salute dei cittadini, mirando progressivamente ad estendere l’elevata
misura cautelativa costituita dal valore di attenzione, anche ad altre aree pure
intensamente frequentate come i luoghi di aggregazione sociale e ricreativa o di
assistenza sanitaria.
Il che si traduce non certo in una diminuzione della tutela, ma semmai in una
più ampia azione di prevenzione dai rischi connessi alla prolungata esposizione
ai campi elettromagnetici.
Anche il secondo mezzo di gravame è privo di pregio.
L’istante si duole della mancata acquisizione del parere dell’Istituto superiore
di sanità (ISS), asseritamente obbligatorio ex lege, nonché di quello del
Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento
elettromagnetico, di cui agli artt. 4, comma 2 – lettera a) e 6 della legge n.
36/2001.
Quanto al primo, osserva il Collegio che la sua audizione non è prevista dallo
speciale procedimento, delineato dall’art. 4, comma 2 della legge quadro.
Peraltro, l’Amministrazione ha ritenuto di acquisire il preventivo parere
(favorevole, nella seduta del 24 giugno 2002) del Consiglio superiore di sanità
(CSS) –istituito dopo la soppressione del Consiglio sanitario nazionale,
avvenuta per effetto del D.Lgs. n. 266/93 (art.3, comma 1), recante il
riordinamento del Ministero della Sanità- al quale il legislatore ha demandato
il compito di formulare parere obbligatorio, in occasione dell’adozione dei
regolamenti predisposti da qualunque amministrazione centrale che interessino la
salute pubblica [art.4, commi 1 e 2, lettera a)].
Con riferimento, poi, al secondo parere, di competenza del Comitato
interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento
elettromagnetico, istituito dall’art. 6, comma 1 della legge n. 36/2001, si
rileva che, contrariamente all’assunto di parte ricorrente, lo schema di decreto
è stato sottoposto al predetto organo consultivo il quale, nella seduta del 2
agosto 2002, si è pronunciato favorevolmente all’unanimità (cfr. Atti
parlamentari, Camera dei deputati: documento approvato dall’VIII Commissione
permanente nella seduta del 24 marzo 2004, pag.4 – doc. n. 6 della produzione
documentale Vodafone).
Del pari infondati sono i rilievi rubricati nel terzo punto di domanda, con cui
l’intimante ha sostenuto l’illegittimità del decreto, a causa dell’omessa
previsione di un sistema di distanze minime di rispetto degli impianti di
telefonia mobile installati in prossimità o al di sopra di edifici abitati.
Al riguardo, al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci, va innanzi
tutto sottolineato che la legge quadro demanda allo Stato la funzione relativa
alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli
obiettivi di qualità, senza fare alcun cenno all’individuazione di fasce di
rispetto, ove del caso, basate su determinate distanze da zone sensibili degli
impianti per l’emittenza radiotelevisiva e per la telefonia mobile [cfr. art.
4, comma 1, lettera a), h) e comma 2], fasce di rispetto che sono, invece,
previste soltanto in relazione agli elettrodotti.
In perfetta osservanza della legge, dunque, la competente Autorità governativa
ha provveduto ad individuare le misure, ritenute idonee a preservare
la popolazione dall’inquinamento derivante dall’esposizione prolungata a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
A ciò aggiungasi che la giurisprudenza, sia costituzionale che amministrativa,
ha escluso che, in materia di funzionamento dei sistemi fissi delle
telecomunicazioni e radiotelevisivi, si renda necessario fissare anche dei
criteri distanziali oltre a quelli -già indicati dalla legge- fondati sul
diverso limite di tolleranza, al fine di tutelare la popolazione dalle onde
elettromagnetiche (cfr. Corte Cost. n. 307/2003 e n. 331/2003; Cons. Stato, Sez.
VI, n. 4159 del 2005).
E’ stato, al riguardo, ritenuta l’illegittimità delle disposizioni che fissano
vincoli di distanza minima, in quanto si traducono in limitazioni alla
localizzazione delle infrastrutture di telefonia mobile, a detrimento della
possibilità di realizzare sul territorio nazionale una rete completa di impianti
per la telecomunicazione, qual’è richiesta dalla stessa tipologia del sistema
concepito a schema c.d. “cellulare”.
Invero, il concetto di rete di telefonia mobile “cellulare” postula, per
definizione, una diffusione capillare sul territorio, giacché esige la
collocazione di un gran numero di stazioni radio base di limitata potenza, al
fine di assicurare l’integrale copertura del servizio mediante la realizzazione
di un compiuto sistema di “celle a nido d’ape”.
“Alla configurazione della rete segue la sua necessaria estensione alle zone
interessate da insediamenti abitativi, in cui maggiore è la presenza dei
soggetti che accedono al servizio di telefonia mobile” e, poiché, come sopra
accennato, “Il sistema di telefonia cellulare si caratterizza … per la bassa
potenza di emissione degli impianti (che irradiano il segnale ognuno in
connessione con l’altro)” è intuitivo che “il loro allontanamento dagli
insediamenti abitativi, oltre ad introdurre un evidente profilo di
incompatibilità con la tipologia di rete a schema c.d. <
Di conseguenza, l’introduzione, con riferimento agli impianti di telefonia
cellulare, di fasce di rispetto ancorate a misure spaziali minime in aggiunta ai
criteri basati sui valori di campo, produrrebbe un effetto opposto a quello che
si è inteso concretamente perseguire.
Destituite di fondamento sono, infine, anche le censure dedotte nel quarto ed
ultimo mezzo di gravame.
Non può, invero, condividersi l’assunto di parte ricorrente che tenta di
accreditare la tesi, secondo cui i limiti di esposizione fissati dal censurato
decreto, sarebbero gravemente lesivi del principio di precauzione, nonché del
diritto alla salute costituzionalmente garantito in via prioritaria.
Premesso che, com’è noto, nel settore degli effetti sulla salute umana
dell’inquinamento elettromagnetico causato dalla telefonia cellulare, e sui
limiti di esposizione applicabili in base al pur ampiamente condiviso principio
di precauzione, gli studi finora eseguiti, alcuni dei quali richiamati dalle
parti, non sono pervenuti a conclusioni univoche e dotate di assoluta certezza
ed attendibilità, si osserva che il contestato decreto presidenziale è stato
adottato nel rispetto delle linee guida stabilite dalla raccomandazione del
Consiglio dell’Unione europea del 12 luglio 1999 (G.U.C.E n. L199 del 30
luglio 1999), relativa alla limitazione delle esposizioni della popolazione ai
campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz.
Ebbene, da un semplice raffronto tra i due documenti, non può farsi a meno di
rilevare che il provvedimento qui censurato non solo non supera i limiti
previsti dalla raccomandazione europea, ma addirittura fissa dei valori
notevolmente inferiori a quelli stabiliti dal Consiglio dell’Unione, per ciò che
concerne sia le intensità di campo (E e H) che la densità di potenza (D) (cfr.
Allegato III – Livelli di riferimento- Tabella 2).
Una tale risoluzione appare in sintonia con il principio sancito dalla stessa
raccomandazione (p. 15 della premessa) secondo cui gli Stati membri hanno
facoltà, ai sensi del trattato, di fornire un livello di protezione più elevato
di quello di cui alla presente raccomandazione.
Da quanto sopra consegue che in disparte la inammissibilità della censura, volta
a sindacare nel merito le valutazioni dell’Amministrazione in ordine
all’applicazione dell’invocato principio di precauzione, non appare credibile la
tesi del Comune ricorrente, volta a far constare che i limiti di esposizione
complessivamente fissati dall’avversato decreto, sarebbero gravemente lesivi del
principio di precauzione e del diritto alla salute.
E si rivela, parimenti, inconsistente l’ulteriore doglianza dell’istante che
pone a carico del D.P.C.M. di cui è causa, il rilievo di aver tenuto conto, in
modo quasi esclusivo, degli interessi della produzione e distribuzione di
energia elettrica, come bene primario dello Stato.
In effetti, la tutela dell’ambiente e della salute umana costituisce senza
dubbio una finalità fondamentale e prioritaria dello Stato, ma occorre
considerare che “la ratio della normativa in materia di valori-soglia di
inquinamento elettromagnetico non attiene unicamente alla tutela della salute,
ma, come ha osservato la Corte costituzionale (sent. cit. n. 307/03),
“rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al
massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche e di realizzare impianti
necessari al paese”.
In conclusione, il ricorso all’esame va rigettato, ma si rinvengono validi
motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti
del giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda bis, respinge
il ricorso meglio specificato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II
bis, nella Camera di Consiglio del 1° dicembre 2005, con l’intervento dei
signori Giudici:
Patrizio GIULIA Presidente
Francesco GIORDANO Consigliere rel. estensore
Renzo CONTI Consigliere
IL PRESIDENTE IL CONSIGLIERE ESTENSORE