Elettrosmog. getto pericoloso di cose (radio Vaticana)
(Omissis). - Agli imputati è stato contestato il reato di cui agli artt. 110 e 674 c.p. perché, in concorso tra loro e nelle qualità di responsabili della gestione e del funzionamento della Radio Vaticana, diffondevano tramite gli impianti siti in S. Maria di Galeria radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti, ed in particolare a Cesano di Roma, arrecando alle persone disagio, disturbo, fastidio e turbamento. In Roma, reato permanente accertato dal mese di luglio 1999.
Alla luce delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale svolta, deve essere
affermata la penale responsabilità del Borgomeo e del Tucci, quest'ultimo
peraltro fino alla data del 31 dicembre 2000; il Pacifici deve invece essere
assolto dal reato ascritto per non aver commesso il fatto.
Nello Statuto prodotto dalla difesa degli imputati, Radio Vaticana è definita
come: «[...] l'emittente radiofonica della Santa Sede, giuridicamente
riconosciuta presso le istanze internazionali [...] strumento di comunicazione
e di evangelizzazione al servizio del ministero petrino» (cfr. art. 1.1). Il
comma 2 della norma citata stabilisce che l'emittente è dotata di personalità
giuridica.
II successivo art. 2, dopo aver stabilito che l'emittente è un'istituzione
della Santa Sede la quale esercita la vigilanza sulla Radio, specifica che
Radio Vaticana «[...] non è organo ufficiale della Santa Sede [...]» tanto che
i contenuti dei programmi dalla stessa elaborati e diffusi restano sotto la sua
responsabilità.
Il primo profilo che deve essere esaminato è quello relativo alle qualità
rivestite dagli imputati nell'ambito di Radio Vaticana, ancorché all'udienza
del 10 febbraio 2004 tutte le parti abbiano dichiarato non sussistere
contestazioni in ordine alle qualità in capo agli imputati di responsabili
della gestione e del funzionamento di Radio Vaticana: dagli stralci degli
Annuari pontifici relativi agli anni dal 1999 al 2004, prodotti dalla difesa
degli imputati, si desume che Tucci Roberto è stato Presidente del Comitato di
Gestione (cfr. art. 2.3 dello Statuto) dell'emittente per gli anni 1999 e 2000;
che il Borgomeo ha rivestito la qualità di Direttore generale per tutto il
periodo di tempo al quale si riferiscono i documenti citati; che infine il
Pacifici ha rivestito, nello stesso periodo, solamente la qualità di Vice
direttore tecnico.
In ordine alla posizione del Tucci appare sufficiente rilevare che il Comitato
di Gestione del quale egli ha rivestito la carica di Presidente è uno dei due
Comitati istituiti per mantenere i rapporti istituzionali tra la Segreteria di
Stato (alla quale «[...] fa capo [...]» Radio Vaticana, ai sensi dell'art. 2.1
dello Statuto) e l'emittente vaticana; peraltro, la figura del Presidente e
comunque la persona del Tucci non compare più negli Annuari a far data dal 2001
e dunque l'imputato deve essere ritenuto responsabile del reato ascrittogli
fino a tale data.
Il Borgomeo ha rivestito la carica di Direttore generale (almeno) dal 1999 e,
per ciò che risulta dagli Annuari, negli anni successivi fino al 2004: appare
al riguardo sufficiente rilevare che l'imputato in tale qualità «[...] ha i
poteri deliberativi per tutti gli atti occorrenti al conseguimento delle
finalità proprie dell'emittente ed ha la rappresentanza legale di fronte a
terzi [...]» (cfr. art. 6.2 dello Statuto); che inoltre dalla Direzione
Generale dipendono la Direzione dei Programmi, la Direzione Tecnica e la
Direzione Amministrativa (cfr. art. 4.1 dello Statuto) nelle quali si articola
la struttura di Radio Vaticana.
Il Pacifici, invece, non solamente non risulta aver mai assunto la qualità di
Direttore tecnico - il quale, a sua volta peraltro, agisce a norma di Statuto
«subordinatamente al Direttore generale» (cfr. art. 6.5) seppure con
«responsabilità diretta e completa, sotto il profilo tecnico» tra le altre
della diffusione dei programmi di Radio Vaticana - ma risulta inoltre essere
stato solo uno dei Vice direttori tecnici; ora, da un lato né i due Direttori
tecnici che si sono succeduti nella carica nel periodo di tempo citato, né
l'altro Vice direttore tecnico sono stati chiamati a rispondere del reato
contestato al Pacifici e, dall'altro lato, non sono stati forniti - né sono
comunque emersi dall'istruttoria dibattimentale svolta - elementi che
consentano di radicare in capo al Pacifici la penale responsabilità per il
reato ascritto.
Deve essere, in secondo luogo, esaminata la questione relativa all'astratta
configurabilità del reato di cui all'art. 674 c.p. nell'ipotesi come quella di
specie ove la «molestia» sia provocata dall'emissione di onde
elettromagnetiche.
L'art. 674 c.p. recita testualmente: «Chiunque getta o versa, in luogo di
pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte
a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti
dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare
tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a euro
206».
La Suprema Corte, con esclusione di una sola pronuncia e dunque con
orientamento del tutto prevalente, ha ritenuto sussumibile nella fattispecie
legale di cui all'art. 674 c.p. il fenomeno dell'emissione di onde
elettromagnetiche di origine artificiale.
Debbono essere partitamene esaminate le decisioni della Suprema Corte.
Nella sentenza della I sezione penale del 13 ottobre 1999 (ric. Pareschi) la
Corte ammette implicitamente l'astratta configurabilità del reato di cui
all'art. 674 c.p. nell'ipotesi di propagazione di onde elettromagnetiche
rilevando peraltro come nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame non
fosse emersa prova della nocività dell'esposizione di persone ai campi elettromagnetici
e come gli studi scientifici in atto non fossero pervenuti a conclusioni
definitive. Conclude la Corte: «Si tratta, come è evidente, di un dato
conoscitivo essenziale, giacché seppure è vero che l'art. 674 c.p. disegna un
reato di pericolo oltre che di danno, ciò che manca nella fattispecie è la
prova dell'idoneità delle denunciate emissioni a provocare una delle
conseguenze previste dal legislatore».
Nella sentenza resa dalla stessa sezione in data 14 ottobre 1999 (ric.
Cappellieri), la Corte di cassazione chiamata a pronunciarsi, come nel caso
precedente, sul ricorso proposto dal p.m. avverso l'ordinanza di rigetto della
richiesta di sequestro preventivo di conduttori di corrente elettrica ad alta
tensione ha espressamente e diffusamente affrontato il problema della
configurabilità astratta del reato contravvenzionale previsto dall'art. 674
c.p. nell'ipotesi di esposizione alle onde elettromagnetiche e di pericolo per
la salute delle persone.
Afferma testualmente la Suprema Corte: «È inutile dire che quando il
legislatore del 1930 ha dettato la norma non ha pensato, né poteva pensare,
alla diffusione delle onde elettromagnetiche».
Ma il problema dell'inquadramento ontologico dell'energia se l'è posto e
risolvendo una lunga diatriba sorta sotto il vigore del codice Zanardelli ha
formulato il comma 2 dell'art. 624 con il quale equipara l'energia medesima,
quella elettrica e le altre aventi un valore economico, alle «cose mobili».
L'inserimento, del resto ovvio sul piano concettuale, in tale categoria di
elementi non materiali; ma almeno strumentalmente percepibili, misurabili e
apprezzabili, contrariamente a quanto sostenuto anche dai difensori degli
interessati, giova ad una corretta interpretazione della lettera dell'art. 674
c.p.
Com'è noto, accantonata la teoria soggettiva dell'interpretazione, rivelatasi
assolutamente inadeguata a corrispondere alla continua evoluzione della realtà
sociale, l'«intenzione del legislatore» di cui parla l'art. 12 disp. sulla
legge in generale va oggi intesa come volontà della legge obiettivamente
considerata, indipendentemente, cioè, dal pensiero di chi l'ha materialmente
redatta. Ma poiché un altro articolo delle disposizioni medesime, il 14,
statuisce che le leggi penali «non si applicano oltre i casi e i tempi in esse
considerati» (art. 25 Cost.; art. 1 c.p.), è compito dell'interprete di
accertare se la «volontà» che pretende di attribuire alla norma, sia interna o
esterna alla stessa, nel senso che possa ricavarsi dalla norma stessa, pur
dando al testo un significato più ampio di quello che apparentemente risulta da
essa (interpretazione estensiva), ovvero debba essere mutuata da una norma
diversa o anche dai principi generali dell'ordinamento giuridico
(interpretazione analogica).
Ebbene, proprio l'apertura culturale mostrata dal codice Rocco nel dilatare la
nozione di cosa rilevante per il diritto penale autorizza ad attribuire
all'art. 674 una dimensione più ampia di quella originariamente conferitagli e
conforme ad una visione della legge in armonia con il marcato dinamismo dello
Stato moderno.
Non sembra arbitraria, dunque, la conclusione che tra le «cose» di cui parla la
norma incriminatrice debbano farsi rientrare anche i campi elettromagnetici
[...].
Ancora più agevole è ricondurre il fenomeno della propagazione delle onde
elettromagnetiche nell'ambito dell'amplissimo significato che ha nella nostra
lingua il verbo «gettare».
Esso, infatti, non sta solo a indicare l'azione di chi lancia (più
popolarmente, butta) qualcosa nello spazio o verso un punto determinato, ma è
anche sinonimo di «mandar fuori, emettere» e, per estensione, come già in Dante
Alighieri, di «produrre, far nascere».
La Suprema Corte ha poi affermato nella sentenza dell'1 giugno 2000 (ric. Soc.
Siemens Information and Comunication Networks), sul ricorso proposto dalla
Società avverso il provvedimento emesso dal tribunale in sede di riesame del
decreto di sequestro preventivo emesso dal g.i.p. preso il Tribunale di Como,
l'astratta configurabilità del reato contravvenzionale di cui all'art. 674 c.p.
nell'ipotesi di emissione di onde elettromagnetiche idonee e provocare danni
alle persone ritenendo espressamente - seppure per inciso - che «[...] anche
gli effetti di semplice molestia, da intendersi come apprezzabile fastidio o disturbo,
sono rilevanti per tale norma [...]».
Nella sentenza del 31 gennaio 2002 (ric. Fantasia e altri), i giudici di
legittimità chiamati a pronunciarsi sui ricorsi proposti avverso ordinanza del
Tribunale del riesame di Campobasso che aveva confermato il decreto con il
quale il g.i.p. aveva disposto il sequestro preventivo di apparecchi di
ripetizione radiotelevisiva, hanno ritenuto condivisibile il principio già
espresso dalla stessa sezione e quindi che il fenomeno della propagazione delle
onde elettromagnetiche sia astrattamente riconducibile all'ipotesi
contravvenzionale prevista e punita dall'art. 674 c.p. altresì ritenendo che il
concreto pericolo di nocività delle emissioni deve ritenersi sussistente per il
solo fatto che siano stati superati i limiti fissati dalla normativa vigente in
materia. Afferma peraltro la Corte che il reato di cui all'art. 674 c.p.
sussiste anche a prescindere dal superamento dei limiti e per il solo fatto di
aver cagionato offesa o molestia alle persone.
Si inserisce a questo punto, in ordine temporale, la sentenza resa in data 27
febbraio 2002 (ric. Suraci ed altri) che costituisce l'unica pronuncia nella
quale il Giudice di legittimità ha escluso l'astratta configurabilità del reato
di cui all'art. 674 c.p. in relazione al fenomeno della propagazione di onde
elettromagnetiche.
Afferma in particolare la Corte: «L'astratta possibilità di inquadramento della
condotta di chi genera campi magnetici nella fattispecie penale di cui all'art.
674 c.p. è, alla stregua della vigente legislazione, da escludere, in quanto la
suddetta norma descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono
in maniera sostanziale da quello consistente nell'emissione di onde
elettromagnetiche: l'azione del "gettare in luogo di pubblico transito
[...] cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone" è
ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi
elettromagnetici».
Il gettare delle «cose» presuppone la preesistenza di dette cose in natura,
mentre l'emissione di onde elettromagnetiche consiste nel «generare» (e,
quindi, far nascere o far venire ad esistenza) «flussi di onde» che prima
dell'azione «generatrice» non esistevano. L'assumibilità delle onde
elettromagnetiche nel concetto di «cose» non può poi essere automatica, ma
richiede, necessariamente un'esplicita previsione normativa, come è avvenuto,
ad esempio, con la previsione di cui al comma 2 dell'art. 624 c.p. Altrettanto
può dirsi per quanto riguarda l'ipotesi dell'emissione di gas, vapori o fumi, relativamente
ai quali ogni tentativo di equiparazione alle onde elettromagnetiche appare del
tutto arbitrario.
Un'interpretazione estensiva in malam partem della norma incriminatrice
di cui all'art. 674 c.p. è vietata in base al cosiddetto «principio di stretta
legalità», contenuto, oltre che nella norma di garanzia di cui all'art. 1 del
codice penale, anche dalla disposizione contenuta nell'art. 25 della
Costituzione. A ciò si aggiunga che la norma contenuta nell'art. 14 delle
Disposizioni della legge in generale vieta che la norma si applichi «oltre i
casi e i tempi in esse considerati».
Nella successiva sentenza del 12 marzo 2002 (ric. Pagano ed altri), la Suprema
Corte dopo aver preso espressamente le distanze dalla pronuncia che precede,
afferma che il fenomeno dell'emissione delle onde elettromagnetiche da parte di
apparati di ripetizione televisiva può essere inquadrato nella previsione della
contravvenzione di cui alla prima ipotesi dell'art. 674 c.p. tutte le volte in
cui il campo elettromagnetico creato possa cagionare nocumento o turbamento
alla salute delle persone esposte ai suoi effetti.
Ricorda la Corte: «la giurisprudenza di questa Corte, infatti, da un canto, ed
in sede di applicazione delle previsione contrattuale, ha operato una generale
quanto sostanziale "smaterializzazione" delle parole "cosa"
e "getto" [...], dall'altro canto, ed in sede civile, ha
ripetutamente configurato l'emissione di onde elettromagnetiche nella
ripetizione di segnali televisivi come specifici oggetti della relazione
materiale qualificata come possesso, relazione tutelabile in via interdittale
nell'ipotesi di indebita interferenza».
Infine, nella sentenza resa in data 14 marzo 2002 (ric. Rinaldi), la Corte
esprime adesione all'indirizzo (prevalente) sopra indicato, osservando in
particolare che il termine «cose» comprende anche l'energia elettromagnetica
suscettibile di valutazione economica, di misurazione, di utilizzazione, di
appropriazione. Osserva ancora la Corte che il reato di cui all'art. 674 c.p. è
reato di pericolo e che il pericolo di nocività delle emissioni deve ritenersi
sussistente per il solo fatto che siano stati superati i limiti fissati dalla
legge speciale. Afferma peraltro la Corte che nell'ipotesi di cui all'art. 674
c.p., la condotta «[...] è punibile a prescindere dal superamento di detti
limiti, per il solo fatto di aver cagionato offesa o molestia alle persone
[...]».
Doverosamente richiamati gli orientamenti espressi dalla Suprema Corte, ritiene
questo Giudice di dover aderire all'insegnamento prevalente, punto di
sussumibilità del fenomeno della propagazione di energia elettromagnetica nella
fattispecie astratta prevista dalla prima parte dall'art. 674 c.p., per le
ragioni e con le specificazioni di seguito indicate.
In primo luogo, legittima tale convincimento l'utilizzazione da parte del
legislatore del termine «cose» che è termine del tutto generico ed ampio, a
differenza delle espressioni usate nella seconda parte della norma (gas,
vapori, fumi) che sono invece espressioni specifiche.
In secondo luogo, appare evidente che il legislatore intendesse riferirsi a
cose mobili in ragione della circostanza che solo le cose mobili possono essere
«gettate».
II comma 2 dell'art. 624 c.p. espressamente stabilisce: «Agli effetti della legge
penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia
che abbia un valore economico» (cfr. anche art. 814 c.c.).
Ora se è vero che la disposizione citata è inserita nella norma che punisce il
delitto di furto, è altresì vero però che detta equiparazione è disposta «agli
effetti della legge penale» e non limitatamente alla norma che contiene quella
disposizione, analogamente a ciò che avviene, a mero titolo esemplificativo,
per la nozione di «violenza sulle cose» fornita dal comma 2 dell'art. 392 c.p.
(«Agli effetti della legge penale si ha violenza sulle cose allorché la cosa
viene danneggiata o trasformata o ne è mutata la destinazione») che punisce il
reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, essendo tale nozione applicabile
- secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità - anche nell'esame
della sussistenza dell'aggravante di cui al n. 2 dell'art. 625 c.p. che pure è
norma posta a tutela di bene giuridico diverso.
In realtà, l'energia, nella tradizionale distinzione dei beni operata dalla
dottrina civilistica rientra già nella categoria concettuale delle cose mobili
e più specificamente delle cose mobili corporali (quae tangi possunt)
poiché è suscettibile di utilizzazione e di misurazione e quindi non appare
necessaria, ai fini che interessano in questa sede, alcuna opera di
«smaterializzazione» (cfr. Cass., sez. I, 12 marzo 2002, già richiamata) della
nozione di «cosa» in quanto l'energia è anch'essa cosa corporale per la ragione
evidenziata.
Come è stato inoltre ricordato dalla Suprema Corte, il verbo «gettare» è anche
sinonimo di «mandar fuori, emettere» ed è quindi agevolmente collegabile anche
all'emissione di onde elettromagnetiche.
L'interpretazione che consente di ricomprendere il fenomeno della propagazione
delle onde elettromagnetiche nell'ambito di operatività dell'art. 674 c.p. è
dunque un'interpretazione estensiva (e non analogica, questa sì vietata) in
quanto fondata sul significato delle parole utilizzate pur dando alle stesse un
significato più ampio di quello che apparentemente avrebbero: al
riguardo deve osservarsi che i Giudici di legittimità (in particolare, nella
sentenza del 14 ottobre 1999, ric. Cappellieri) hanno posto in correlazione il
termine «cose» con il verbo «gettare» esaminando in particolare i vari
significati di quest'ultimo e su tale correlazione hanno poi fondato il
convincimento espresso.
Ritenuta quindi l'astratta configurabilità del resto contestato, altro profilo
che deve essere esaminato è quello del rapporto tra la sussistenza del reato di
cui all'art. 674 c.p. e l'eventuale superamento dei limiti imposti dalle leggi
speciali nell'emissione di energia elettromagnetica: è necessario in altri
termini stabilire se al fine della concreta configurabilità del reato di cui è
processo sia necessario che l'emittente radiofonica abbia emesso onde
elettromagnetiche superiori ai limiti di legge.
È significativo al riguardo osservare che l'inciso «nei casi non consentiti
dalla legge» è contenuto nella seconda parte dell'art. 674 c.p. e non può che
intendersi riferito alle sole emissioni di gas, vapori e fumo e poiché il
fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche rientra nella prima
parte della norma incriminatrice, la necessarietà del superamento dei limiti al
fine della configurabilità in concreto della contravvenzione di cui è processo,
non discende dalla previsione della norma contestata, né il superamento dei
limiti risulta essere stato contestato agli imputati nella descrizione del
fatto contenuta nel capo di imputazione.
Per completezza, si osserva che il problema, dei rapporti tra la disposizione
contenuta nell'art. 844 c.c. e la norma penale di cui all'art. 674 c.p. è
riferito dalla giurisprudenza e si pone, anche concettualmente, solo con riferimento
alla seconda parte della norma incriminatrice («[...] ovvero nei casi non
consentiti dalla legge [...]») che non è però oggetto del presente processo.
Deve inoltre osservarsi che nella fattispecie in esame ed alla luce dell'ampia
istruttoria dibattimentale esperita risulta provata - in verità, più che
l'astratta attitudine a molestare persone attraverso la propagazione delle onde
elettromagnetiche da parte degli impianti di Radio Vaticana - la sussistenza di
rilevanti molestie in concreto arrecate alle persone residenti nella zona
circostante in modo permanente dal 1999, per ciò che rileva in questa sede ed
in virtù dell'odierna contestazione, a prescindere dall'avvenuto (o accertato)
superamento dei limiti nelle emissioni elettromagnetiche, profilo peraltro che
sarà affrontato nel prosieguo dell'esposizione. (Omissis).
La giurisprudenza di legittimità più recente, dopo aver osservato che la
contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. configura un tipico reato di pericolo
per cui non è necessario che si sia determinato un effettivo nocumento alle
persone essendo sufficiente l'attitudine della condotta ad offenderle o
molestarle, richiamando le precedenti decisioni in materia ricorda in
particolare come il concetto di «molestie» sia sempre stato estensivamente
inteso sino a farvi rientrare tutte le situazioni di fastidio, disagio,
disturbo o comunque di «turbamento della tranquillità e della quiete delle
persone», situazioni che producano cioè «un impatto negativo, anche psichico,
sull'esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione»; in
particolare, afferma la Corte, può costituire «molestia» anche il semplice
arrecare alle persone generalizzata preoccupazione ed allarme circa eventuali
danni alla salute da esposizione a emissioni inquinanti (cfr. Cass. 14 marzo
2003, Di Grado, CED 225304; Cass. 12 maggio 2003, in Riv. giur. amb.,
2003).
Deve al riguardo ritenersi che l'ipotesi dell'attitudine all'«offesa» alla
persona renda necessaria la prova dell'idoneità concreta dell'esposizione ad
energia elettromagnetica a nuocere alla salute delle persone e tale idoneità
all'esito del presente processo (nel quale il p.m. ha chiarito che oggetto del
processo non sono eventuali lesioni arrecate alle persone) non sembra potersi
affermare. (Omissis).
La norma di cui all'art. 674 c.p. punisce tuttavia anche l'ipotesi in cui sia
arrecata «molestia» alle persone: nella specie deve ritenersi ampiamente
provato che oltre ai rilevanti disturbi nel funzionamento degli apparati
elettrici ed elettronici che già costituiscono - all'evidenza - «molestia» alle
persone che li utilizzano nel vivere quotidiano e per il vivere quotidiano ed
oltre alla «molestia» consistente nella propagazione dagli oggetti metallici
(presenti nelle abitazioni) dei programmi di Radio Vaticana, le emissioni di
onde elettromagnetiche provenienti dall'emittente abbiano creato e creino -
«molestia» questa non di poco momento - generalizzata preoccupazione ed allarme
nella popolazione in ordine ai possibili effetti nocivi derivanti dall'esposizione
alle onde elettromagnetiche; alcuni dei testi hanno altresì riferito di essere
affetti da disturbi (reversibili) che sono gli stessi richiamati dal Consulente
del p.m.
Adombra la difesa degli imputati che, in particolare, i disturbi agli apparati
elettrici ed elettronici derivino non tanto o non soltanto dall'emissione delle
onde elettromagnetiche, quanto dall'istallazione non a regola d'arte degli
apparati e dalla non ottimale manutenzione degli oggetti metallici (cfr.
memoria della difesa degli imputati depositata per l'udienza di conclusioni, p.
16 e trascrizioni dell'udienza del 5 aprile 2004, p. 186 della deposizione
dell'ing. Branca; deposizione ing. Piervenanzi) e cioè, in tale ultima ipotesi,
dall'«ossidazione» degli oggetti.
Deve però osservarsi - ed anche a prescindere da altri rilievi - che fra gli
apparecchi disturbati dalla propagazione delle onde vi sono anche i telefoni ed
anche telefoni omologati dalla Telecom, atteso che alcuni dei testi hanno
riferito di aver contattato il gestore al fine di trovare una soluzione al
problema e che in alcuni casi il gestore è intervenuto inserendo filtri negli
apparecchi telefonici, filtri peraltro inidonei a risolvere integralmente il
problema: ora, se l'apparecchio telefonico è omologato, si può affermare che
sia stato realizzato secondo le norme tecniche ed a «regola d'arte» e quindi il
suo funzionamento - se fosse esatto l'assunto dei Consulenti della difesa degli
imputati - non dovrebbe essere in alcun modo disturbato dall'emissione delle
onde elettromagnetiche.
La non infondatezza dei timori e delle preoccupazioni delle persone che vivono
nei pressi degli impianti di Radio Vaticana, nel senso che non si tratti di
meri stati soggettivi di singoli o di gruppi limitati di persone, si desume
dalla circostanza che lo stesso legislatore ha ritenuto di dover adottare la l.
22 febbraio 2001, n. 36 («Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici») che, come si evince dai lavori
preparatori, si ispira al c.d. principio di precauzione (detto principio trae
origine - si sostiene nei lavori preparatori - da una definizione contenuta
nella dichiarazione di Rio del 1992) in ragione della situazione di incertezza
scientifica per ciò che riguarda gli effetti a lungo termine dell'esposizione a
campi elettromagnetici sulla salute umana.
Dall'esame dei lavori preparatori si desume altresì che la legge riguarda gli
impianti che generano campi elettromagnetici sia per le basse che per le alte
frequenze, intendendo tutelare la salute umana anche rispetto a possibili
effetti a lungo termine, ma anche il paesaggio.
Il principio di precauzione aveva ispirato il legislatore nell'emanazione del
decreto del Ministro dell'ambiente del 10 settembre 1998, n. 381 («Regolamento
recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con
la salute umana») emanato in virtù della l. 31 luglio 1997, n. 249, con il
quale sono stati introdotti per la prima volta a livello nazionale limiti
all'emissione di onde elettromagnetiche.
Pacifico essendo che, almeno de iure condito, il mero superamento dei
limiti di legge non è previsto dalla legge come autonoma ipotesi di reato, ma
solo di illecito amministrativo ai sensi dell'art. 15 l. n. 36 del 2001, il
superamento dei limiti può ben concretare il reato di cui all'art. 674 c.p.
qualora risulti provato che, come nel caso di specie, attraverso detto
superamento sia arrecata «molestia» alle persone; non può ritenersi invece che
il superamento dei limiti provochi ipso iure pericolo di offesa alle
persone se non si provi in concreto che ed in quale misura l'esposizione alle
onde elettromagnetiche sia dannosa per la salute umana.
Se è vero infatti che il regolamento n. 381 del 1998 reca «[...] norme per la
determinazioni dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana», è
altresì vero però che nel corpo del regolamento si dà atto che nel parere reso,
l'Istituto superiore di sanità, pur condividendo l'esigenza di una politica
cautelativa che individui obiettivi di qualità anche al di là dell'adozione di
limiti di esposizione mirati alla tutela degli effetti acuti, ha manifestato
perplessità in considerazione dell'attuale stato di conoscenza scientifica nei
riguardi dell'adozione di misure più restrittive.
Tale stato di incertezza scientifica emerge anche dai lavori preparatori alla
l. n. 36 del 2001.
Da quanto sopra riferito deve quindi osservarsi che l'esposizione a valori di
propagazione superiori ai limiti di legge potrebbe essere incompatibile con la salute
umana, ma potrebbe anche essere compatibile, almeno fino a quando evidenze
scientifiche non dimostrino il contrario.
Condivisibile appare poi l'orientamento della Suprema Corte, già richiamato,
che esclude l'applicabilità del principio di specialità di cui agli artt. 15
c.p. e 91 l. 24 novembre 1981, n. 689 tra la disposizione di cui all'art. 674
c.p. e la norma di cui all'art. 15 l. n. 36 del 2001, principio che richiede la
ricorrenza di più norme che disciplinano la stessa materia e la presenza in una
di esse di elementi specifici idonea a differenziarla da quelle concorrenti al
fine di evitare che condotte equivalenti siano punite, anche con sanzioni
diverse da quelle penali, due o più volte.
E ciò in quanto non solamente si tratta di norme che tutelano beni giuridici
diversi, ma soprattutto in quanto le due norme presuppongono il verificarsi di
eventi diversi.
Il problema dell'avvenuto superamento dei limiti è stato oggetto di ampio esame
nel processo ed è problema complesso che sarà di seguito esaminato - senza
alcuna pretesa di esaustività - nei limiti che rilevano in questa sede e,
necessariamente, prendendo le mosse dal dato normativo.
Il d.m. n. 381 del 1998 introduce, come già osservato, per la prima volta una
regolamentazione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici
generati da impianti fissi per telecomunicazioni e radiotelevisioni operanti
nell'intervallo di frequenza compreso tra 100 kHz e 300 GHz, fissando valori
limite (art. 1).
Detti limiti sono specificati nella Tabella 1 contenuta nell'art. 3.
Il decreto peraltro, all'art. 4, fissa altri valori, di «cautela», stabilendo
espressamente che, fermi restando i limiti sopra previsti, la progettazione, la
realizzazione dei sistemi fissi descritti nell'art. 1 e l'adeguamento di quelli
preesistenti «[...] deve avvenire in modo da produrre i valori di campo
elettromagnetico più bassi possibile, compatibilmente con la qualità del
servizio svolto dal sistema stesso al fine di minimizzare l'esposizione della
popolazione.
Per i fini di cui al precedente comma 1, in corrispondenza di edifici adibiti a
permanenza non inferiori a quattro ore non devono essere superati i seguenti
valori, indipendentemente dalla frequenza, mediati su un'area equivalente alla
sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti: 6
V/m per il campo elettrico, 0,016 A/m per il campo magnetico intesi come valori
efficaci e, per frequenze comprese tra 3 MHz e 300 GHz, 0,10 W/m (elevato a) 2
per la densità di potenza dell'onda piana equivalente».
L'art. 2 del decreto rimanda poi agli Allegati A, B, C, espressamente
definiti come «parte integrante» (cfr. art. 1) dello stesso provvedimento,
rispettivamente la definizione delle grandezze fisiche e le corrispondenti
unità di misura; la determinazione dei criteri per le valutazioni e le misure
dei livelli di campo; la riduzione a conformità.
È opportuno richiamare integralmente l'Allegato B contenuto nelle Linee
guida applicative successivamente emanate.
«In particolare, la verifica del rispetto dei limiti e dei valori di cautela
potrà essere effettuata sia attraverso misure che calcoli provvisionali;
tuttavia, nel caso in cui questi ultimi facciano prevedere livelli superiori al
50% dei valori massimi previsti dal decreto, sarà necessario provvedere alle
misure dirette del campo elettrico e magnetico, o della densità di potenza
nella regione di campo lontano.
A tale proposito si farà riferimento al valore di 3 V/m per il campo elettrico
ed a 0,08 A/m per il campo magnetico, come discriminante tra valutazioni
previsionali e misure, secondo quanto stabilito dal secondo capoverso
dell'allegato che fa esplicito riferimento ai valori di campo elettrico o
magnetico».
L'obbligatorietà delle misure è stata inserita non a causa della scarsa
affidabilità dei programmi di calcolo previsionale, ma piuttosto in
considerazione della difficoltà di conoscere in maniera sufficientemente
precisa tutti i parametri di ingresso, quali, ad esempio, le varie
caratteristiche tecniche degli impianti. Poiché può accadere che i siti siano
oltremodo complessi con un assai elevato numero di impianti e che i parametri
di progetto o quelli dichiarati dai produttori degli impianti o dai loro
gestori, possano differire da quanto riscontrabile nella realtà nell'ottica
della massima cautela possibile, si è privilegiato il momento della misura,
almeno nei casi in cui gli errori nei parametri di ingresso possano essere
significativi.
Per quanto riguarda le misure vanno effettuate ordinariamente in banda larga e
nel caso in cui venga superato il 50% del valore del limite o misura di cautela
è consigliabile effettuare un'analisi in banda stretta dei segnali presenti,
oltre il 75% dei suddetti limiti tale analisi diventa assolutamente necessaria.
A causa delle dimensioni non trascurabili delle antenne [...] è sufficiente un
solo punto di misura a 1,5 m di altezza.
In ogni caso è necessario che siano precisate le condizioni di funzionamento
degli impianti esistenti, al momento delle rivelazioni: tali condizioni dovrebbero
rispettare la massima potenzialità degli impianti stessi o consentire di
valutare il valore di campo presente in quelle condizioni per estrapolazione.
Qualora ciò non fosse possibile sarà necessario effettuare misure in banda
stretta sulla base delle quali ricostruire i valori massimi di esposizione
attesi su qualunque intervallo di sei minuti.
Per la verifica dei limiti di Tab. 1 le misure andranno effettuate nei luoghi
accessibili alla popolazione ritenuti a maggior rischio, mentre per la verifica
dei valori di cautela di cui all'art. 4 andranno effettuate in primo luogo in
corrispondenza degli edifici di maggiore altezza e in prossimità delle
direzioni di massimo irraggiamento delle antenne considerate ed in
corrispondenza di ricettori particolarmente sensibili quali ad esempio edifici
destinati all'infanzia, scuole, ospedali.
Al fine di valutare l'adeguatezza degli strumenti di misura si ritiene utile
citare, tra le altre, le norme tecniche ANSI che richiedono che gli strumenti
utilizzati siano isotropi entro 1 dB ed abbiano un fattore di calibrazione noto
con un'incertezza massima di 2 dB, e le norme ISO 45000 e ISO 9000, che
raccomandano che gli strumenti utilizzati siano tarati e riferibili.
Si ricorda a tale proposito che con la l. n. 273 del 1991 è stato istituito il
Servizio Italiano di Taratura (SIT) il quale pertanto costituisce il
riferimento nazionale».
Dalla normativa citata si desume dunque che sono stati posti oltre che limiti
di esposizione anche valori di cautela (art. 4 comma 2 d.m. n. 381 del 1998) e
cioè valori che non debbono essere superati (a prescindere dalla frequenza di
trasmissione) «[...] in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non
inferiori a quattro ore [...]» e che sono di 6 V/m per il campo elettrico e 0,016
A/m per il campo magnetico.
Al riguardo deve ancora osservarsi che, nel corso del processo, è stato emanato
il d.P.C.M. 8 luglio 2003 in attuazione della l. n. 36 del 2001, entrato in
vigore peraltro successivamente alle ultime rilevazioni compiute o comunque
esaminate nel dibattimento (richiamato solamente dal teste Guerriero e
meramente citato dalla difesa degli imputati nella memoria depositata per
l'udienza di conclusioni): il provvedimento fissa i limiti di esposizione e i
valori di attenzione per la prevenzione degli effetti a breve termine e dei
possibili effetti a lungo termine nella popolazione dovuti all'esposizione ai
campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse con frequenza compresa tra
100 kHz e 300 GHz, oltre che gli obiettivi di qualità ai fini della progressiva
minimizzazione dell'esposizione ai campi elettromagnetici e l'individuazione
delle tecniche di misurazione dei livelli di esposizione.
Nella fissazione dei valori di attenzione (indicati nella Tabella 2
dell'Allegato B), il provvedimento citato stabilisce che detti valori
valgono per l'esposizione all'interno di edifici adibiti a permanenza non
inferiori a quattro ore giornaliere e loro pertinenze esterne che siano
fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili ed esclusi i
lastrici solari.
E quindi mentre il d.m. n. 381 del 1998 prescriveva che le rilevazioni dovevano
essere compiute «in corrispondenza» di edifici adibiti a permanenze non
inferiori a quattro ore, legittimando pertanto misurazioni sia all'esterno che
all'interno, tra le altre, di abitazioni e quindi in ogni luogo che si trovasse
«in corrispondenza» di edifici e per il quale si potesse presumere una
permanenza non inferiore a quattro ore, il d.P.C.M. dell'8 luglio 2003
specifica che i valori di attenzione debbono essere osservati all'interno di
edifici adibiti a permanenza non inferiore a quattro ore giornaliere e nelle
pertinenze fruibili come ambienti abitativi come sopra specificate.
Anche a voler ritenere che tale disposizione non abbia contenuto innovativo, ma
costituisca interpretazione autentica della disposizione contenuta nel d.m. n.
381 del 1998 (per la verità nel provvedimento nessuna espressa enunciazione in
tal senso è dato rinvenire) e quindi abbia - necessariamente - efficacia ex
tunc, ciò rileverebbe solamente per le misurazioni compiute in giardini e
lastrici solari, i primi non espressamente compresi nell'elencazione descritta
ed i secondi invece espressamente esclusi. (Omissis).
Con riguardo alla seconda condizione, deve osservarsi che nell'ipotesi
presente, le «molestie» arrecate dall'emissione delle onde elettromagnetiche
non deriva solamente dal superamento dei limiti legali (come sopra
specificato), ma anche dai disturbi cagionati ad apparecchi elettrici ed elettronici
ad un numero indeterminato di persone e non tutte individuate nel processo;
l'accertamento dell'assolvimento dell'obbligo imposto per la concessione del
beneficio potrebbe pertanto essere di impossibile realizzazione e per l'ipotesi
di superamento dei limiti, l'accertamento richiederebbe inoltre controlli
successivi da parte dell'Autorità preposta, controlli che consistono peraltro
in un facere di un terzo, sicché l'adempimento dell'obbligo potrebbe
sfuggire dalla volontaria determinazione degli imputati e potrebbe essere
ineseguibile.
Gli imputati debbono altresì essere condannati al risarcimento del danno anche
non patrimoniale cagionato e fatto valere dalle PP.CC. costituite.
Trattandosi di azione civile esperita nel processo penale è necessario prendere
le mosse dall'art. 2059 c.c. che stabilisce che il danno non patrimoniale è
risarcibile solo nei casi, stabiliti dalla legge.
Appare opportuno richiamare la sentenza con la quale la Corte costituzionale
(sentenza interpretativa di rigetto dell'11 luglio 2003, n. 223) ha dichiarato
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., non
perché sia controvertibile nella specie presente il nesso tra il danno morale e
la sussistenza di un reato, quanto perché la Corte ha affrontato il problema
dell'evoluzione [...] in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte,
dell'orientamento in materia di danno morale risarcibile.
Ha affermato la Corte costituzionale che la norma citata circoscriveva
originariamente la risarcibilità del danno non patrimoniale alla sola ipotesi
prevista dall'art. 185 c.p. e quindi al danno derivante da reato, ravvisandosi
nella norma un carattere sanzionatorio, desumibile dalla stessa relazione al
codice civile nella quale era espressamente considerata più intensa l'offesa
all'ordine giuridico nell'ipotesi di reato e quindi in tale ipotesi
maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione anche di
carattere preventivo.
Osserva peraltro la Corte che, da un lato, il legislatore ha introdotto ultenori
ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale che non rientrano nella
materia penale e rispetto alle quali è del tutto inconferente qualsiasi
riferimento ad intenti di carattere repressivo (ad esempio, l'azione di
responsabilità di cui all'art. 2 l. 13 aprile 1988, n. 117); e, dall'altro
lato, la giurisprudenza ha individuato seppure con riferimento alla
disposizione di cui all'art. 2043 c.c. altre ipotesi di danni sostanzialmente
non patrimoniali, derivanti dalla lesione di interessi costituzionalmente
garantiti, risarcibili a prescindere dalla commissione di reati ed in
particolare, il c.d. danno biologico.
Osserva altresì la Corte che può ritenersi superata la tradizionale
affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale considerato dall'art.
2059 c.c. si identificherebbe con il c.d. danno morale soggettivo (affermazione
considerata come diritto vivente dal remittente) e richiama due decisioni della
Suprema Corte intervenute nell'anno 2003 che hanno proposto un'interpretazione
«costituzionalmente orientata» dell'art. 2059 c.c. tesa a ricomprendere
nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale
derivante da lesione di valori inerenti alla persona: «e dunque sia il danno
morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della
vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione
dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica
della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia
infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come
esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango
costituzionale inerenti alla persona».
Ciò premesso, il diritto a vivere in un ambiente salubre (cfr. già Cass., sez.
un., 6 ottobre 1979, n. 5172) è diritto assoluto e, sotto altro profilo, del
tutto condivisibile appare l'orientamento espresso dalla Suprema Corte (cfr.
Cass. 1 ottobre 1996, Locatelli in G.D., 1997, I, 62) che ha specificato
che il danno ambientale non consiste solo in una «compromissione dell'ambiente»
in violazione di leggi ambientali, ma anche contestualmente in un'«offesa alla
persona umana nella sua dimensione individuale e sociale»; afferma ancora la
Cassazione nella pronuncia da ultimo citata che proprio perché nel danno
ambientale è inscindibile l'offesa ai valori naturali e culturali e la
contestuale lesione dei valori umani e sociali di ogni persona, la
legittimazione alla costituzione di parte civile spetta non solo ai soggetti
pubblici, enti territoriali, ma anche alla persona singola o associata ed anche
alle associazioni di protezione dell'ambiente di carattere locale (non
riconosciute ai sensi dell'art. 13 l. n. 349 del 1986) che abbiano dato prova
di continuità dell'azione, aderenza al territorio, rilevanza del loro
contributo (cfr. anche Cass. 5 aprile 2002, Kiss Gunther e altri, CED 221881):
ciò si rileva con particolare riguardo al Coordinamento del Comitati di Roma
Nord che ha dato prova di radicamento nel territorio e di essere stato
particolarmente attivo nel sollecitare controlli delle emissioni da parte delle
autorità pubbliche (cfr. anche documenti prodotti in sede di costituzione).
Sotto altro profilo appare necessario osservare che gli aspetti relativi al
danno ambientale derivante da inquinamento elettromagnetico nel presente
processo sono strettamente correlati alle molestie arrecate agli abitanti della
zona di Cesano dall'emissione delle onde elettromagnetiche.
Da ciò consegue che il referente normativo applicabile alla specie al fine di
individuare i soggetti legittimati alla costituzione di parte civile non è
solamente l'art. 18 commi 1 e 3 della l. 8 luglio 1986, n. 349 («Istituzione
del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale») che dopo
aver stabilito l'obbligo per l'autore del fatto doloso o colposo che abbia
arrecato un danno all'ambiente a risarcire il danno in favore dello Stato,
stabilisce che l'azione di risarcimento è esercitata dallo Stato consentendo
peraltro la costituzione di parte civile anche agli «enti territoriali sui
quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo».
A sua volta, l'art. 9 d.lg. 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce che le
associazioni di protezione, ambientale di cui all'art. 13 l. n. 349 del 1986
(associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti
in almeno cinque regioni, come individuate con decreto del Ministero
dell'ambiente) possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del
giudice ordinario che spettino al comune o alla provincia ed in conseguenza di
danno ambientale, spettando peraltro l'eventuale risarcimento all'ente
sostituito ed essendo invece le spese liquidate in favore o in danno
dell'associazione.
Le ultime disposizioni citate consentono di affermare la legittimazione del
Codacons, che ha ottenuto il riconoscimento suddetto con d.m. 17 ottobre 1995
(cfr. decreto prodotto all'atto della costituzione) ad agire in sede civile nei
confronti degli imputati sostituendosi al Comune di Roma al fine di ottenere il
risarcimento del danno in favore dell'ente sostituito.
A tale proposito, il Codacons, costituendosi, appare svolgere unicamente
domanda risarcitoria in sostituzione del Comune di Roma, mentre più ampie sono
le conclusioni rassegnate e sopra trascritte, nelle quali tra l'altro il
Codacons svolge domanda anche per la Provincia.
Nessuna delle parti civili ha peraltro fornito allegazioni sufficienti al fine
di consentire una liquidazione del danno in questa sede, neanche a titolo di
provvisionale: tutte le parti si sono infatti limitate a chiedere la condanna
al pagamento di una somma determinata o di somma da determinarsi in separato
giudizio, in alcuni casi senza neppure indicare se la richiesta dovesse
riferirsi al danno materiale o al danno morale (causa petendi) e
comunque, in tutte le ipotesi, senza fornire elementi utili a comprendere come
le parti siano giunte alla determinazione del petitum richiesto.
Il rilievo ora svolto riveste carattere assorbente.
Non può quindi che essere emessa pronuncia di condanna generica degli imputati
al risarcimento dei danni che le P.C. specificheranno e faranno valere in
separati giudizi.
Non è invece fondata la richiesta di condanna per lite temeraria (art. 96
c.p.c.) formulata dal Codacons sulla base - se si è correttamente interpretata
la richiesta - della circostanza che gli imputati hanno eccepito il difetto di
giurisdizione per essere Radio Vaticana Ente centrale della Chiesa cattolica.
La qualificazione di Radio Vaticana quale Ente centrale della Chiesa cattolica
è frutto di valutazione operata dalla difesa degli imputati (cfr. peraltro
anche Bollettino n. 12 dell'anno 2004 nel quale l'emittente è inserita
nel novero degli «Enti centrali della Chiesa cattolica e [...] Enti gestiti
direttamente dalla Santa Sede di cui all'art. 4 comma 1»): ciò peraltro rientra
nel diritto di difesa. Non sussiste inoltre in materia alcun insegnamento
contrario della Suprema Corte che possa ritenersi consolidato.
La Cassazione ha poi escluso l'esattezza di tale qualificazione con articolata
motivazione osservando da un lato che la denominazione «Ente centrale della
Chiesa cattolica» non ha rispondenza nel diritto canonico trattandosi invece di
istituto civilistico introdotto dall'art. 11 del Trattato e, dall'altro lato,
che «[...] non ogni ente che abbia personalità giuridica ed autonomia
patrimoniale è classificabile come Ente centrale» delimitando poi la nozione di
Ente centrale e riferendola agli «[...] organismi che costituiscono la Curia
romana e provvedono al governo supremo, universale della Chiesa cattolica nello
svolgimento della sua missione spirituale nel mondo».
Osserva infine la Cassazione che è la stessa legislazione della Chiesa che non
comprende Radio Vaticana tra gli Enti centrali atteso che la pone alle
dipendenze della Segreteria di Stato.
Questiono centrale affrontata dalla Cassazione appare però essere, al di là
della qualificazione dell'emittente Vaticana, il significato del principio di
non ingerenza che si traduce nel mero obbligo di non intervento dello Stato al
fine di garantire l'esercizio sovrano di attività inerenti all'alto magistero
della Chiesa, non comportando invece alcuna rinuncia generalizzata alla
giurisdizione.
Conclude la Corte affermando che lo Stato italiano conserva la propria sovranità nell'ordine temporale «[...]in particolare non subendo limiti all'esercizio della giurisdizione penale per fatti illeciti i cui eventi si verifichino in territorio italiano e siano legati da rapporto di causalità con condotte poste in essere in territorio appartenente alla Santa Sede». (Omissis).