Consiglio di Stato, Sez. III, n. 687, del 5 marzo 2013
Elettrosmog.Principio di precauzione e regolamentazione comunale degli impianti radioelettrici

Il principio di precauzione (ex art. 174 Trattato Europeo) recepito dal Comune nel momento in cui ha deliberato il regolamento ex comma 6 art. 8 della legge 36/2001, consente di assumere, quando sussistono incertezze circa l'esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone, misure protettive senza dover attendere che siano dimostrate in modo esauriente la realtà e la gravità di tali rischi. L'applicazione corretta del principio stesso impone, però e per un verso, l'individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall'installazione dell’impianto alla distanza minima protettiva. Per altro verso, occorre la valutazione complessiva del rischio per la salute, basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale al riguardo. Pertanto, solo quando risulti impossibile determinare con certezza l'esistenza o la portata di un rischio a causa della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute, si possono porre regole di minimizzazione del rischio da radiazioni elettromagnetiche, applicando nondimeno il criterio del più probabile che non e non certo criteri arbitrari, scientificamente spuri o meramente possibilistici. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00687/2013REG.PROV.COLL.

N. 03939/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 3939/2012 RG, proposto dal Comune di Venezia, in persona del sig. Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicolò Paoletti, Giulio Gidoni e Nicoletta Ongaro, con domicilio eletto in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34,

contro

la Vodafone Omnitel NV, con sede nel Regno dei Paesi Bassi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Manzi e Paolo Mantovan, con domicilio eletto in Roma, via Federico Confalonieri n. 5,

per la riforma

della sentenza breve del TAR Veneto, sez. II n. 377/2012, resa tra le parti e concernente la denuncia di inizio attività dell’appellata per l’installazione d’un apparato di telefonia mobile;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Società appellata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 7 dicembre 2012 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti gli avvocati Paoletti ed Andrea Manzi (su delega dell’avv. L. Manzi);

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:



FATTO e DIRITTO

1. – La Vodafone Omnitel NV, con sede nel Regno dei Paesi Bassi, dichiara d’aver proposto al Comune di Venezia la dichiarazione d’inizio attività – DIA in data 29 settembre 2010, per installare un apparato di telefonia mobile su un’infrastruttura preesistente della WIND, sita in Venezia, loc. Malamocco, via F. Parri.

Detta Società fa presente che sulla medesima DIA sono stati acquisiti i pareri favorevoli dell’ARPA Veneto, della Commissione edilizia comunale e della competente Soprintendenza. Il Comune, però e con nota prot. n. 527063 del 19 dicembre 2011, ha ordinato a detta Società di non realizzare l’impianto radioelettrico, perché ricadente all’interno della fascia di rispetto per i siti sensibili, come prevista dell’art. 50 del regolamento edilizio comunale.

2. – Detta Società ha allora adito il TAR Veneto che, con sentenza n. 377 del 14 marzo 2012, ne ha accolto il ricorso, annullando sia la nota impugnata, sia l’art. 50 R.E.

Appella allora il Comune di Venezia, deducendo in punto di diritto l’erroneità della sentenza qui gravata per omessa ed incompleta motivazione, sotto vari profili. S’è costituita nel presente giudizio la Società appellata, concludendo per l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello.

Alla pubblica udienza del 7 dicembre 2012, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

3. L’appello non è fondato.

3.1.Il Comune appellante deduce anche nel presente grado che l’art. 50 R.E., sulla cui scorta è stata emanata la nota impugnata in primo grado, abbia un esclusivo scopo di regolazione urbanistica, nel senso, cioè, che disciplina le corrette modalità d’insediamento degli impianti in parola nel tessuto urbano. In particolare, il citato art. 50 stabilisce, tra l’altro, che gli impianti radioelettrici non sorgano a meno di ml 50 dai siti qualificati come sensibili dalla Regione Veneto (scuole, asili, ospedali, case di cura, parchi ed aree per gioco e lo sport). Il Comune, a tal riguardo, sottolinea la ragionevolezza di tal scelta, in quanto preordinata a tutelare zone di particolare pregio urbanistico ed ambientale, o destinate ad uso collettivo

La tesi non convince il collegio, donde la correttezza dell’interpretazione al riguardo resa dal TAR.

L’assunto dell’appellante, ben lungi dall’esser coerente con la potestà delineata a favore dei Comuni dall’art. 8, c. 6 della l. 22 febbraio 2001 n. 36 —grazie al quale essi «…possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici…»—, ne viola laratio, il significato e la formula. Invero, il legislatore statale ha scelto d’inserire le infrastrutture per le reti di telecomunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, così esprimendo un principio fondamentale della normativa urbanistica. In tal senso, per un verso, la potestà regolamentare comunale ex art. 8, c. 6 non si può mai tradurre nel potere di sospendere ad libitum e per sempre la formazione dei titoli abilitativi ex artt. 86 e 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche, mercè un divieto generalizzato d’installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro specifica ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze d’armonioso governo del territorio. Per altro verso, l’interesse sotteso alla minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici si deve tradurre in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, ma non può dissimulare norme di radioprotezione aggiuntive o peggiorative dei già cautelativi e rigorosi limiti all’uopo posti, in modo unitario per tutto il territorio della Repubblica, dalla normativa statale.

Ebbene, la serena lettura del ripetuto art. 50, laddove appunto pone il limite minimo di ml 50 dell’impianto dai siti c.d. sensibili, assurge a (inammissibile) misura di radioprotezione a carattere generale, a differenza di quella sui limiti d’altezza indicata nella medesima disposizione.

L’art. 50, nella parte qui contestata, non esprime altro valore che la necessità di tener lontano detto impianto da aree che si presumono ex se o pregiate per il sol fatto d’esistere, o pericolose per chi le frequenta solo a causa della viciniorità dell’impianto. A ben vedere, la circolare regionale n. 12 del 12 luglio 2001 s’è già fatta carico, nel porre gli indirizzi ai Comuni per il corretto esercizio della loro potestà regolamentare ex art. 8, c. 6, d’indicare come i regolamenti comunali possano sì «… definire i siti sensibili (scuole, asili, ospedali, case di cura, parchi e aree per il gioco e lo sport), in corrispondenza dei quali può essere esclusa l’installazione d’impianti di telecomunicazione…». La circolare non ammette, però, deroghe ai parametri di radioprotezione posti dal DM n. 381/1998, non solo perché i limiti di tutela sanitaria sono di competenza statale ai sensi del precedente art. 4, c. 2, ma soprattutto perché non siano poste, Comune per Comune e con criteri, per così dire, arbitrari e non meditati, distanze di rispetto predeterminate a pretesa tutela della salute di chi frequenta i siti sensibili viciniori.

3.2. Deduce inoltre il Comune appellante che la potestà regolamentare non possa prescindere, nel disciplinare gli impianti de quibus, dall’applicazione del principio di precauzione, ogni qual volta non siano chiari i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, nell’esercizio dei pubblici poteri regolatori sulla materia.

La tesi è suggestiva, ma va disattesa.

In disparte l’obbligo del Comune appellante di dar contezza, non in questa sede ma nel momento in cui ha deliberato il regolamento, dei presupposti per cui l’art. 50 si sarebbe dovuto ispirare al principio di precauzione, quest’ultimo consente sì d’assumere, quando sussistono incertezze circa l'esistenza o la portata di rischi per la salute delle persone, misure protettive senza dover attendere che siano dimostrate in modo esauriente la realtà e la gravità di tali rischi.

L'applicazione corretta del principio stesso impone, però e per un verso, l'individuazione delle conseguenze potenzialmente negative per la salute derivanti dall'installazione dell’impianto alla distanza minima protettiva. Per altro verso, occorre la valutazione complessiva del rischio per la salute, basata sui dati scientifici disponibili più affidabili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale al riguardo. Pertanto, solo quando risulti impossibile determinare con certezza l'esistenza o la portata di un rischio a causa della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute, si possono porre regole di minimizzazione del rischio da radiazioni elettromagnetiche, applicando nondimeno il criterio del più probabile che non e non certo criteri arbitrari, scientificamente spuri o meramente possibilistici. Nella specie, non solo tutto ciò non è accaduto, ma soprattutto non sembrano sussistere allo stato, perlomeno ad una visione ragionevole e non allarmistica, seri motivi per non reputare attendibili i livelli di radioprotezione tuttora vigenti, tanto da giustificarne altre da parte dei Comuni.

4. – In definitiva, l’appello va rigettato.

5. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 3939/2012 RG in epigrafe), lo respinge.

Condanna il Comune appellante al pagamento, a favore della Società resistente e costituita, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 3.000,00 (Euro tremila/00), di cui € 1.000,00 per la fase di studio, € 700,00 per la fase introduttiva ed € 1.300 per la fase decisoria.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 7 dicembre 2012, con l'intervento dei sigg. Magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)