La configurabilità del tentativo nel delitto di attività organizzate per il traffico di rifiuti
di Giulio MONFERINI
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Traffico di rifiuti e reati di criminalità organizzata. La non configurabilità del tentativo nei reati di criminalità organizzata in forma associativa.
Il delitto di attività organizzate per il traffico di rifiuti si connota per essere un reato abituale, costituito da una pluralità di operazioni e da una condotta complessa, qualificata dal legislatore come organizzata e continuativa.
Una questione che può porsi nella pratica è se sia configurabile il tentativo e quali siano le condotte, idonee e dirette in modo non equivoco, che consentano di affermare la sussistenza del delitto tentato.
Poiché spesso si ricomprende questo delitto nei reati di criminalità organizzata in senso ampio, merita operare una prima distinzione tra questa fattispecie incriminatrice e l’associazione per delinquere.
Il primo è reato abituale di pericolo presunto, che si consuma ove si manifesta il reiterarsi della condotta 1 , mentre il secondo è reato permanente che si consuma ove ha inizio la permanenza (art. 8 c.p.p. e 158 c.p.). Ancora, il primo è un reato di condotta con molteplici operazioni, caratterizzata dall’essere organizzata nei mezzi e continuata nel tempo, non necessariamente nei soggetti (può essere monosoggettivo), l’altro è un reato di accordo, di pericolo concreto per l’attuazione di un piano delinquenziale a reati plurimi, a necessaria organizzazione plurisoggettiva (non meno di tre persone).
La giurisprudenza ha sempre chiaramente affermato, concordemente con la dottrina, che “l'associazione per delinquere è un reato di pericolo, che è già perfetto non appena si sia creato il vincolo associativo e si è concordato il piano organizzativo per l'attuazione del programma delinquenziale, del tutto indipendentemente dalla concreta esecuzione dei singoli delitti, come tale, detta figura criminosa non consente - come, d'altronde, tutti i reati di pericolo - l'ipotizzabilità del tentativo. Invero, gli eventuali atti, diretti alla formazione di una associazione per delinquere, o sono meramente preparatori e non interessano la sfera giuridico-penale, ovvero hanno il carattere della idoneità ed inequivocità e determinano la consumazione del delitto, perché, dal loro venire ad esistenza, è già compromesso l'ordinato svolgimento della vita sociale e si è, quindi, attuata la minaccia all'ordine pubblico”. 2
Deve precisarsi che per il reato associativo il pericolo deve essere concreto ovverosia che l'accordo, punibile di per sé anche senza la commissione dei reati fine, richiede comunque un concreto manifestarsi e attuarsi nella realtà, così da essere percepibile come programma in fase di concreta attuazione (solo ciò rende comprensibile la deroga al principio generale dell'art. 115 codice penale).
Una eccezione al principio si rinviene in qualche precedente remoto, per il caso del singolo aspirante affiliato che intenda aderire a una associazione già esistente. 3 Il principio invero non convince perchè l’ipotesi appare più inquadrabile nell’ambito del concorso esterno (110, 416 c.p.) di chi abbia fornito un contributo rilevante alla vita dell’associazione ma non ne risulti inserito organicamente e stabilmente.
Colui che si propone di aderire al patto associativo può essere qualificato distintamente nei seguenti modi.
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Associato se aderisce venendo accettato nell'organizzazione già operativa e il reato allora è consumato.
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Associato con consumazione del reato pur in assenza di una prova di una formale affiliazione, ove abbia posto in essere fatti concludenti che possono essere sussumibili nella condotta di chi aderisce ai fini associativi e svolga un preciso ruolo nella organizzazione.
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Concorrente esterno, in assenza di una prova di una formale affiliazione, ove abbia posto in essere fatti concludenti che possono essere sussumibili nel contributo esterno causalmente rilevante ai fini e al mantenimento in vita della associazione. 4
- Soggetto non punibile, per avere tenuto una condotta penalmente irrilevante ove, all'intenzione di aderire non segua un effettivo inserimento nella organizzazione, né condotte concretamente funzionali ai fini associativi.
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Le diverse configurazioni del reato abituale e l’ammissibilità del tentativo: il delitto di traffico organizzato reato abituale a qualificazione variabile.
Quanto invece al delitto di attività organizzate di traffico di rifiuti non constano precedenti, ma chi scrive ritiene che esso sia ammissibile e configurabile. Il tema riguarda la più generale questione della compatibilità del delitto tentato con il reato abituale.
Sul piano teorico autorevole dottrina è nel senso della ammissibilità “allorchè il soggetto ponga in essere senza successo atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere quei fatti che, da soli o aggiungendosi ai precedenti, avrebbero integrato la serie minima richiesta per l'esistenza del reato abituale.” 5 Si sostiene in sintesi che possono essere già integranti la soglia della lesione del bene giuridico tutelato quegli atti univoci diretti in modo non equivoco a creare la situazione oggettiva della abitualità, ossia quegli atti che pongono il soggetto agente nella condizione di reiterare la condotta, essendo quella ripetizione un requisito della fattispecie.
Ha obiettato altra corrente di pensiero dottrinale, che ha origini peraltro piuttosto datate, che il tentativo nel reato abituale è incompatibile con la struttura del reato 6 . Infatti se la condotta è ripetuta il reato è consumato, se invece la condotta è rimasta isolata o ci si è messi nella condizioni di iniziarla, senza ancora farlo, non si avrebbe un tentativo, ma solo degli atti preparatori e, semmai un reato diverso, qualora la singola azione sia già sussumibile in un altro illecito penale (reato abituale improprio).
Invero la sussunzione operata dalla giurisprudenza di legittimità del delitto in questione nella categoria dottrinale (non normativa) del reato abituale si fonda sulla enfatizzazione di talune peculiarità della condotta descritta nella fattispecie, che lo riconducono allo schema tipico: segnatamente la pluralità delle operazioni.
Tuttavia lo schema tipico a volte necessita di correzioni o di ibridazioni. Si vuole sostenere che il delitto in commento ha peculiarità sue proprie che, per opinione di chi scrive, non consentono di ricondurlo integralmente ai canoni classici del reato abituale e piuttosto si può sostenere che trattasi di reato abituale che in taluni casi si presenta a struttura mista. Proprio le varianti rispetto al tipo dottrinale sono quelle che convincono di più nel senso della ammissibilità del tentativo, superando le obiezioni della dottrina contraria.
Partiamo dallo schema dottrinale consolidato 7 , su cui si fondano le massime della Suprema Corte, in forza del quale il reato abituale è distinto tra necessariamente o eventualmente abituale, abituale proprio o improprio.
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Il reato necessariamente abituale richiede nella configurazione della condotta “la reiterazione intervallata di più condotte identiche ed omogenee” che vengono valutate unitariamente come una unica condotta illecita. In assenza di reiterazione quindi manca la condotta materiale. La reiterazione della condotta poi a sua volta fornisce un altro criterio di distinzione:
a1) il reato necessariamente abituale è proprio, quando esso consiste in ripetizioni di condotte in sé non punibili o eventualmente punibili (a querela ecc).
a2) il reato necessariamente abituale è improprio quando consiste in ripetizioni di condotte in sé punibili, costituendo di per sé reati, ma che vengono valutati unitariamente come un fatto illecito autonomo con un diverso disvalore complessivo.
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Il reato è eventualmente abituale quando la reiterazione non è requisito indispensabile ma solo possibile, potendo il reato perfezionarsi anche con una sola condotta, ma la sua ripetizione costituisce una modalità più estesa nel tempo del medesimo reato (ad es. esercizio abusivo di una professione). Ovviamente in questo caso non ha senso porre la distinzione tra reato abituale proprio e improprio.
Riprendiamo ora la enunciazione descrittiva che si ritrova in alcune massime che ricostruiscono il traffico di rifiuti come reato abituale 8 .
“… alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie” . 9
E mettiamola a confronto con la frazione di condotta descritta nella fattispecie normativa:
“ chiunque…con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce”
Quali sono le particolarità che emergono da questo confronto tra testo della norma e massima consolidata della Corte, alla luce dei principi sul reato abituale?
Si possono trarre alcune considerazioni:
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Le plurime azioni potrebbero essere certamente solo condotte di per sé costituenti reati (reiterati trasporti senza autorizzazione), ma non necessariamente, perché esse potrebbero integrare anche solo violazioni amministrative (trasporti con formulari falsi o incompleti di rifiuti non pericolosi) oppure potrebbero essere in sé prive di rilevanza penale (opere di rimodellazione ambientale autorizzate come miglioramento fondiario e in realtà funzionali alla realizzazione di una discarica). Quindi il reato abituale può presentarsi simultaneamente proprio e improprio o solo proprio o solo improprio. Da questo punto di vista la formula giurisprudenziale “più comportamenti della stessa specie” non può voler dire ripetizioni della medesima operazione, ma pluralità di operazioni, anche eterogenee fra loro, accumunate dalla medesima qualificazione giuridica, ossia abusive in relazione alla singola fase gestionale considerata. In questo senso sono tutte della medesima specie, poiché concorrono a costituire un’unica violazione di legge rispetto alla fase di gestione considerata 10 .
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La condotta delittuosa non consiste in realtà solo nella reiterazione delle operazioni organizzate, quanto nel risultato finale che esse portano a realizzare, ovverosia la condotta tipica già sanzionata nel reato contravvenzionale, arricchita dall’elemento quantitativo dell’ingente quantità: “chiunque… cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti…” . Quindi non è prevista dalla norma una condotta necessariamente costituita da più cessioni, più trasporti, più esportazioni ecc. ma che la cessione, il trasporto, l’importazione ecc anche singolarmente considerati, siano avvenuti attraverso le operazioni plurime e organizzate ad essi funzionali qualificabili unitariamente della medesima specie, ossia abusive. In questi termini si può allora dire che il reato si può presentare anche nella forma del reato eventualmente abituale. 11
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La ripetitività e reiterazione della condotta secondo il canone del principio dottrinale del reato abituale non sembrano sovrapporsi in modo perfetto con quanto formulato nella massima giurisprudenziale con l’espressione “pluralità di azioni”. La dizione giurisprudenziale mutua per sintesi la formula normativa dell’art 452 quaterdecies codice penale, che a ben vedere è articolata in tre distinte modalità dell’azione che devono essere compresenti:
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più operazioni;
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allestimento di mezzi;
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attività continuative organizzate
La norma non stabilisce in modo vincolante un criterio cronologico e quindi non necessariamente le operazioni debbono essere intervallate e ripetute nel tempo né essere riconducibili ciascuna a una medesima azione illecita tipica ripetuta, ma potrebbero essere più operazioni svolte in sequenza temporale parallela o simultanea, e costituenti appunto plurime tipologie di azioni, che solo unitariamente intese potrebbero conformarsi alla condotta illecita tipica. Così ragionando allora potrebbe bastare anche una sola condotta tipica di gestione, non necessariamente ripetuta nel tempo, a integrare il reato quale frutto di plurime operazioni simultanee o contigue cronologicamente rispetto all’unica gestione abusiva configurabile.
Gli esempi chiariscono meglio.
Si pensi alla singola esportazione di rifiuti via nave in cui tutti i rifiuti sono conferiti dal produttore allo spedizioniere/armatore con formulari apparentemente regolari e con plurimi trasporti (più operazioni ma lecite) e dove la condotta abusiva è quella dello spedizioniere e del mittente (ad esempio un intermediario che gestisce un flusso commerciale verso l’estero ed è diverso dal produttore) che inviano all’estero un ingente quantitativo di rifiuti verso un impianto di trattamento palesemente non idoneo, presentando la documentazione contraffatta prima di salpare (ad esempio allegando documentazione falsa che dimostri che l’impianto di destinazione estero sia autorizzato a gestire rifiuti pericolosi), quindi dopo la raccolta e stoccaggio, ma prima dell’inizio della esportazione. L’esportazione è unica, le operazioni funzionali sono plurime, continuative nel tempo e di per sé possono non costituire reato perché il produttore invia alla nave il rifiuto con formulario corretto non sapendo la reale intenzione del mittente. Ci si potrebbe chiedere se è già consumata l’esportazione o è solo un tentativo, non avendo ancora superato i controlli doganali, ma avendo presentato la documentazione contraffatta per superarli. Se fosse una mera contravvenzione il tentativo non sarebbe punibile. Se la fattispecie fosse riconducibile a un delitto tentato invece si.
Analogo esempio si può fare con percorso inverso, ad esempio figurando una importazione tramite convoglio ferroviario di molteplici container di rifiuti di fonderia, classificati come materiali che hanno perso la natura di rifiuti, idonei a un impiego tal quale in settori di impresa che impiegano scorie metalliche per la fusione, ed invece presentano contaminazioni che ne imporrebbero trattamenti preliminari e la incompatibilità ad un impiego tal quale. In questo caso abbiamo plurime operazioni di raccolta e classificazione abusiva avvenute all’estero da parte di soggetti terzi, che hanno commesso eventualmente il reato solo all’estero, ed un soggetto a cui questi rifiuti sono stati ceduti per l’importazione che vi procede con un unico invio. Abbiamo un unico episodio di importazione di ingenti quantitativi. Ove il carico venisse fermato in dogana e se ne accertasse l’abusività e non fosse quindi effettivamente importato è contestabile il tentativo al soggetto importatore?
E con un po’ di fantasia per ciascuna delle condotte tipizzate dalla norma possono essere costruiti esempi che riconducono a una condotta di gestione di rifiuti unitaria plurime azioni e attività continuative e organizzate funzionali ad essa.
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Dagli esempi che sono stati svolti, ove le plurime operazioni simultanee o successive nel tempo e variegate nel contenuto vadano in porto con una unitaria condotta di gestione di ingenti quantità di rifiuti, il reato eventualmente abituale è già consumato. Infatti potrebbe darsi il caso che il reato si manifesti con una reiterazione di gestioni della medesima specie (più esportazioni ripetute nel tempo o più importazioni) o con una sequenza concatenata di varie fasi di gestione successiva (classificazione abusiva, trasporto con falso formulario, abusiva forma di trattamento), ma potrebbe anche darsi che il delitto si consumi con già una sola delle gestioni abusive esemplificate, senza necessità di reiterazione, in quanto già in essa si racchiudono plurime operazioni e allestimento di mezzi e attività continuative.
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Il delitto di traffico organizzato nella forma tentata di reato eventualmente abituale
Proprio i casi in cui il delitto si manifesta come reato eventualmente abituale convincono della configurabilità del tentativo, ove alla pluralità delle azioni non sia seguita la consumazione della condotta di gestione, per una circostanza del tutto indipendente dalla volontà dell’autore e in un contesto in cui il pericolo presunto a danno della pubblica incolumità assume una intensità del tutto similare a quella del reato consumato.
Questa ricostruzione dello schema tipico della fattispecie nella forma variabile del reato abituale consente di superare l’obiezione alla configurabilità del tentativo. Quando il reato eventualmente abituale si manifesta con una sola attività di gestione, le plurime operazioni esecutive, l’allestimento dei mezzi, l’organizzazione continuativa finalizzata alla gestione, sono da qualificare atti idonei diretti in modo non equivoco alla gestione abusiva, se questa per ragioni indipendenti dall’autore non inizia e si può in concreto determinare ex ante l’ingente quantità di rifiuti da movimentare. Non vi è insomma un problema di reiterazione di attività di gestione perché si consumi il reato, ma di pluralità di operazioni idonee a che si inizi una fase di gestione ed in questo senso non si comprende perché quella pluralità di operazioni non possano assurgere ad atto idoneo diretto in modo non equivoco alla commissione della gestione abusiva ove questa abbia ad oggetto ingenti quantità di rifiuti. In questo scenario la messa in pericolo della pubblica incolumità è ad un livello del tutto omogeno a quello del reato consumato.
Il delitto di traffico di rifiuti ha una condotta articolata e complessa che in certe situazioni è qualificabile come idonea e univocamente diretta nella forma del tentativo, quando sono già state poste in essere in modo sinergico, coerente e collegato più operazioni variamente illecite che in concreto hanno rimosso ogni ostacolo e reso imminente la gestione abusiva di ingenti quantità di rifiuti, ma che tuttavia non è divenuta effettiva per circostanze indipendenti dalla volontà degli agenti (ad esempio sequestro della nave destinata a esportare i rifiuti).
Si ritiene inoltre inquadrabile nel delitto consumato e non nel tentativo o nel reato contravvenzionale il caso in cui una gestione si è consumata con plurime azioni organizzate e continuative su un ingente quantitativo, ma essa ha avuto una evoluzione unitaria e puntuale. In sostanza se sono state continuative e ripetute le azioni funzionali alla gestione, ma la gestione è stata unitaria e non ripetuta: si ricordi il caso dell’esportazione di rifiuti via nave o della importazione di rifiuti via treno o viceversa.
La configurazione del tentativo afferisce alle ipotesi in cui l’ingente quantità non sia ancora stata movimentata, ma vi siano le condizioni tecniche e pratiche per farlo e di tale ingente quantità se ne possa fare già ex ante una stima verosimile e concreta (ad esempio si conoscono i volumi complessivi dell’area che l’autore del reato vorrebbe riempire abusivamente di rifiuti, si quali rifiuti sono e dove si trovino attualmente).
Quello che emerge di peculiare in questo scenario è che l'unica condotta di per sé idonea a consumare il reato è a sua volta un reato complesso costituito da una frazione di condotta illecita (il reato contravvenzionale) a cui vengono aggiunte condotte ulteriori che ne connotano il maggior disvalore (più operazioni, organizzazione di mezzi, attività continuativa) e l’oggetto materiale particolarmente qualificato.
Ciò consente di distinguere la condotta in due distinti momenti o fasi:
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La fase organizzativa della gestione, sovrapponibile a quella del reato contravvenzionale (una fase di gestione) ma necessariamente arricchita per le modalità esecutive costituite da plurime azioni, in forma organizzata e continuativa.
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La fase esecutiva della gestione in relazione all’oggetto materiale del reato che deve potersi qualificare di ingente quantità.
Non vi sono particolari problemi nel concepire il tentativo quando la prima fase della condotta non si perfeziona perché non si è integrata una vera e propria gestione, ma si sono concretizzate le modalità per svolgere tale gestione ed è determinabile ex ante in concreto l’ingente quantità.
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Il delitto di traffico organizzato nella forma tentata di reato abituale improprio
Lo scenario più ricorrente è però quello della reiterazione della stessa fase di gestione abusiva o di più fasi di gestione concatenate fra loro (in questo caso la pluralità di operazioni coincide con la pluralità di reati contravvenzionali). Siamo al cospetto di plurime condotte illecite, ciascuna costituente un reato (contravvenzionale) ma che unitariamente intesi nel loro reiterarsi diventano delitto.
Per questa ipotesi il tentativo rimane il caso più problematico, foriero di possibili notevoli controversie interpretative e ricostruttive della fattispecie in concreto e in un certo senso da leggersi come un approccio completamente nuovo al fenomeno criminale dei rifiuti, dai risvolti pratici anche importanti.
Va detto che nella prassi giudiziaria quotidiana la contestazione del tentativo non è praticamente mai presa in considerazione 12 .
Proviamo su quest’ultima ipotesi a fare un altro esempio, che forse potrebbe rendere chiaro allora perché sia configurabile il tentativo. Possiamo ipotizzare una pluralità di violazioni penali e amministrative funzionali a ottenere l’autorizzazione alla gestione di un impianto di rifiuti che deve gestire abusivamente ingenti quantitativi. Vengono fatte alle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni false dichiarazioni in ordine alla tipologia di rifiuto trattato, in ordine alle modalità di trattamento, che vengono falsamente descritte come idonee a far perdere la natura del rifiuto, vengono predisposti nell’impianto tutti i dispositivi per ricevere giornalmente ingenti quantitativi di rifiuto da trattare abusivamente, vengono confezionate false certificazioni di omologa dei rifiuti che saranno conferiti e del prodotto che si prevede verrà formato all’esito del trattamento. Come si vede risultano compiute plurime operazioni costituenti anche violazioni di diverse disposizioni di legge, sebbene omogenee per qualificare come abusiva l’attività di gestione, ma in assenza ancora dei plurimi conferimenti dei rifiuti, ovverosia di un atto di gestione tipizzato dall’art. 452 quaterdecies c.p. connotato dall’ingente quantità. Ove l’impianto così predisposto abbia ottenuto tutti i benestare e stia per ricevere le ingenti quantità di rifiuti che verrebbero trattate illecitamente con notevoli profitti dei gestori, vi sono tutti i requisiti della univocità e idoneità degli atti a compiere il delitto di traffico, In uno scenario di questo tipo si possono ipotizzare due situazioni
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Che non sia stato compiuto ancora alcun atto gestorio, perché l’impianto non è ancora entrato in esercizio ma ciò è imminente essendo stati rimossi tutti gli ostacoli burocratici e autorizzativi.
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Che sia stato compiuto già qualche singolo atto gestorio, di per sé reato contravvenzionale ma destinato ad essere reiterato nel tempo in relazione a ingenti quantità di prossimo conferimento.
L’accertamento dei fatti da parte della polizia giudiziaria in questo stadio del fenomeno criminale consente la contestazione del tentativo? La risposta si ritiene affermativa ancorchè possa sicuramente essere sollevato il dubbio che in questo modo si rischi di estendere indebitamente la punibilità al tentativo nei reati contravvenzionali.
Si vuole sostenere che in un ottica di anticipazione dell’intervento repressivo a fini preventivi prima che il pericolo si concretizzi e si trasformi in danno, in taluni casi sarebbe preferibile che la polizia giudiziaria agisca in anticipo per impedire che la consumazione del delitto si perfezioni, per tutte le conseguenze negative in termini di effetti dannosi che questo potrebbe comportare. Pertanto a fronte della gravità delle condotte illecite che si potrebbero consumare rimarrebbe aperta la possibilità di contestare il tentativo di delitto e non già una azione preparatoria a una contravvenzione non punibile.
Ci si riferisce in particolare ai casi esemplificati sub b), all’ipotesi in cui si sia verificato un episodio di gestione abusiva consumata e riconducibile di per sé al reato contravvenzionale, per le quantità movimentate in sé modeste, ma in cui sia riconoscibile una gestione organizzata che intende reiterarsi nel tempo in modo continuativo. Il tema delicato, e non così raro come si possa pensare, riguarda il momento dell’accertamento del fenomeno criminale, ove questo sia appena iniziato (ad esempio pochi episodi di trasporto, in area allestita allo scopo ma di cui è appena stata iniziata la coltivazione) e la polizia giudiziaria sia intervenuta tempestivamente ad accertare l’attività abusiva.
Non si ritiene vi siano ragioni che impediscano la contestazione del tentativo ogni qual volta a fronte di una struttura organizzata e pronta all’azione illecita le quantità movimentate ed accertate siano state modeste per ragioni indipendenti dagli attori, perché ad esempio è intervenuto una tempestiva iniziativa di sequestro preventivo dell’impianto, ma tali quantità si può concretamente stimare sarebbero state ingenti. Vi sono tutte le condizioni per ritenere l’azione univoca e idonea alla reiterazione e ripetizione, questa volta nel tempo, della gestione abusiva di ingenti quantità 13 .
Ovviamente sarà onere dell’accusa dimostrare che vi fossero al momento dell’interruzione della condotta gli atti idonei diretti in modo non equivoco alla reiterazione della gestione abusiva per ingenti quantità (nel delitto tentato “necessariamente abituale improprio” ogni singola operazione di gestione in sé costituisce un reato, ma solo la ripetizione di quel reato, di natura contravvenzionale, conduce al diverso disvalore del delitto di traffico di rifiuti).
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La disciplina differenziata tra delitto tentato e consumato di traffico in materia di prescrizione, fino all’aprile 2018.
Il delitto di traffico organizzato di rifiuti è attualmente sottoposto, quanto a regime prescrizionale, alla disciplina del combinato disposto dell’art. 157 comma 6 codice penale, dell’art. 51 comma 3 bis codice di procedura penale, del titolo VI bis libro secondo del codice penale e, quanto a regime di interruzione, all’art 161 comma 2^ codice penale.
Questo regime comporta il raddoppio dei termini prescrizionali ex art. 157, comma 6, c.p. sia per i delitto tentato che consumato in quanto entrambe le forme sono riconducibile attualmente ai casi elencati dall’art 51 c. 3 bis c.p.p..
Ma non è sempre stato così.
Invero prima della ricollocazione del delitto di traffico di cui all’art 452 quaterdecies nel codice penale, a seguito del d.lgs 21/2018, il regime prescrizionale del delitto tentato di traffico era da considerarsi ordinario e quindi computabile comprese le interruzioni in un massimo di anni sette e mesi sei.
Vediamo perché.
La formulazione dell’art 51 c. 3 bis c.p.p. prevede due distinti elenchi di delitti. In un primo elenco contenuto nella prima parte del comma 3 bis i delitti vengono declinati sia come tentati che consumati, in un secondo elenco invece si parla solo di delitti, dal che se ne deduce nella sola forma consumata. Nel secondo elenco fino al 2018 era inserito il delitto di traffico di rifiuti, per il richiamo alla norma del testo unico ambientale di cui all’ art. 260 d.lgs 152/2006.
Solo con l'art. 3 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21, con decorrenza dal 06/04/2018 l’art 260 d.lgs 152/2006 è stato tolto dalla seconda parte del comma 3 bis ed è stato ricollocato, con la nuova e corretta denominazione di art. 452 quaterdecies del codice penale, nella prima parte del medesimo comma.
Orbene, il carattere penale sostanziale della disciplina della prescrizione comporta precise conseguenze.
a) Non si può applicare in via retroattiva la disciplina prevista dall’odierno art. 157, comma 6, c.p. a fatti commessi prima dell’aprile 2018. La norma infatti certamente prevede il raddoppio dei termini prescrizionali anche con riferimento al delitto tentato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, ma solo dall’aprile 2018 (sia per effetto del richiamo inserito dalla L. 68/2015 direttamente nel corpo dell’art. 157, comma 6 c.p.; “ai delitti di cui al titolo VI bis del libro secondo” del codice penale in cui è stato messo l’art 452 quaterdecies solo nel 2018; sia per effetto della ricollocazione dell’art. 452 quaterdecies c.p. nella prima parte dell’art. 51 comma 3 bis c.p.p., a sua volta richiamato dall’art. 157, comma 6 c.p.);
b) non si può applicare analogicamente la disciplina della prescrizione (con il connesso raddoppio dei termini di prescrizione) prevista al momento dei fatti con riferimento al solo delitto consumato di cui all’art. 260 dlgs. 152/06, estendendola anche al predetto reato nella forma tentata [interpretazione analogica non consentita, come chiarito dalla Suprema Corte, che nell’affrontare la questione del raddoppio dei termini di prescrizione al reato di violenza sessuale nella forma tentata ha condivisibilmente affermato che “ l'elenco dei delitti per i quali la legge prevede un regime prescrizionale in deroga a quelli ordinari ha natura tassativa e non può essere esteso alle corrispondenti ipotesi tentate, quando non espressamente previste, non essendo ammissibile alcuna possibilità di interpretazione analogica che in sede penale è preclusa quando sia in "malam partem". Il delitto tentato, infatti, costituisce una figura autonoma a sé stante, caratterizzata da una propria oggettività e da una propria struttura (Sez. U, n. 3 del 23/02/1980, lovinella, Rv. 145074)” (così, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 35404 del 12/04/2016 - Rv. 267644 9).
c) Non si può applicare altresì la disciplina speciale della interruzione della prescrizione senza limiti temporali, prevista dall’art 161 comma 2^ c.p.p. (L. 23 giugno 2017, n. 103.) alla forma tentata dell’art 452 quaterdecies per fatti commessi in tempi antecedenti all’aprile 2018: sebbene la norma sia entrata in vigore dopo il 23 giugno 2017 al delitto tentato può farsi riferimento solo da quando l’art 452 quaterdecies è stato inserito nella prima parte dell’art. 51 c. 3bis c.p.p..
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Conclusioni
La ricostruzione del delitto di attività organizzate di traffico di rifiuti è riconducibile a seconda dei casi al tipo dottrinale del reato necessariamente abituale sia proprio che improprio che misto, quando vi è una reiterazione di atti gestori, o al reato eventualmente abituale a fronte di una unica attività di gestione abusiva di ingenti quantità, perchè esso può consumarsi anche con una sola condotta tipica, ove la possibile reiterazione della condotta qualifica in maniera unitaria un fatto tipico già delineato.
In entrambi gli scenari sarà possibile contestare il tentativo ove, attraverso una valutazione ex ante sulla sussistenza dell’ingente quantità, si possa stabilire:
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per il reato necessariamente abituale che vi siano atti idonei diretti in modo non equivoco a reiterare la condotta, che si è già consumata singolarmente con specifici atti gestori abusivi o che sta per essere iniziata in forma reiterata.
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Per il reato eventualmente abituale che vi siano atti idonei diretti in modo non equivoco, concretizzatisi in una pluralità di azioni e attività continuative e organizzate, diretti a commettere l’atto gestionale abusivo su ingenti quantità di rifiuti.
Giulio Monferini
1 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 52838 del 14/07/2016 Pres. Fiale Est. Andronio Imp. Serrao “Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo”.
2 Cass. Sez. 1, Sentenza n. 130 del 07/04/1989; Pres. Sorrentino Est. Valente Imp. Romano.
3 Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6077 del 09/11/1987; Pres. CARNEVALE Est. ESPOSITO Imp. MONTENEGRO. “ Il tentativo di partecipazione ad una associazione per delinquere è ipotizzabile solo in relazione ad una struttura associativa già esistente perché, essendo il requisito centrale della condotta punibile ancorato all'attualità del contributo alla vita dell'associazione, partecipante a questa può considerarsi solo chi si attivi materialmente e consapevolmente per perpetuare l'esistenza di una struttura già costituita in precedenza e per favorirne il conseguimento dei fini”.
4 Si veda da ultimo Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2653 del 13/10/2015 Pres Marasca Est Fumo i mp Paron. “ La fattispecie di "concorso esterno" in associazione di tipo mafioso non costituisce un istituto di creazione giurisprudenziale, bensì è conseguenza della generale funzione incriminatrice dell'art. 110 cod. pen., che trova applicazione al predetto reato associativo qualora un soggetto, pur non stabilmente inserito nella struttura organizzativa del sodalizio (ed essendo quindi privo dell'"affectio societatis"), fornisce alla stessa un contributo volontario, consapevole concreto e specifico che si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione. Cass. Sez. 6,Sentenza n. 33885 del 18/06/2014 Pres Milo Est Capozzi Imp. Marcello “In tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di "concorrente esterno" il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'"affectio societatis", fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e, quindi, si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come "Cosa nostra", di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima”.
5 F. Mantovani Diritto penale parte generale, p 45, 1, 1980 . Nello stesso senso, T. Padovani. Manuale di diritto penale, 1995 p 354 “ Nei delitti abituali il tentativo è configurabile "essendo ben possibile che la condotta non sufficiente ad integrare il minimum della consumazione si risolva tuttavia in atti idonei ed univoci a determinare l'abitualità".
6 G.LEONE, Del reato abituale, continuato e permanente, Napoli, 1933;
7 F. BELLAGAMBA, L’eclettica struttura del reato abituale nel labirintico contesto delle fattispecie di durata , in www.lalegislazionepenale.eu , 2020.
8 A. GALANTI, Il traffico illecito di rifiuti: il punto sulla giurisprudenza di legittimità, in Diritto penale contemporaneo , 12/2018.
9 Il testo è ripreso dalla massima riportata in Cass. Pen. Sez. 3, 19/10/2018 n. 47712; ma analogamente si veda anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5773 del 17/01/2014 Pres. Teresi Est. Ramacci, imp. Napolitano, cfr. anche Cass. Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Cass. Sez. 3, n. 29619 dell’8/7/2010, Leorati.
10 Il riferimento all’unica violazione di legge è riconducibile a ciascuna fase gestionale. Per cui se il delitto consiste in più fasi gestionali ben potrebbero essere ciascuna presidiata da plurime azioni correlate a distinte violazioni di legge per ciascuna fase di gestione considerata.
11 Una premessa utile per questo argomento viene da decisioni che riconoscono la configurabilità del delitto anche nell’ambito di una singola fase gestionale. Nel senso che anche una sola fase gestionale può integrare il delitto si veda Cass. Sez. 3,Sentenza n. 43710 del 23/05/2019 Pres Aceto Est Imputato: pmt c/ Gianino . “In materia di reati ambientali, ai fini dell'integrazione del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all'art. 452-quaterdecies cod. pen., è sufficiente che anche una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata, in quanto la norma incriminatrice indica in forma alternativa le varie condotte che, nell'ambito del ciclo di gestione, possono assumere rilievo penale. (In applicazione del principio, è stata ritenuta integrata la fattispecie in esame nel caso di sistematica illecita miscelazione di rifiuti sanitari infetti prodotti a bordo di navi con quelli solidi urbani, ascrivibile al titolare di un'agenzia marittima che si occupava di predisporre i documenti relativi agli arrivi e alle partenze delle navi ONG operanti per il soccorso di migranti)”.
12 Le ragioni sono molteplici. Una possibile causa deriva dal fatto che il delitto anche tentato è di competenza distrettuale e la contestazione comporterebbe uno spostamento di competenza dalla Procura ordinaria alla Procura distrettuale, a volte non tempestivamente valutato o comunque di non facile valutazione potendosi esporre alla critica che si voglia indebitamente estendere la responsabilità al tentativo di un reato contravvenzionale. Una ragione correlata alla prima sta nel fatto che non è sempre agevole fare una valutazione ex ante delle ingenti quantità, soprattutto quando l’indagine è di tipo tradizionale su un reato contravvenzionale che si limita ad accertare la singola attività gestoria abusiva. Peraltro intervenire prima che un reato contravvenzionale si sia consumato, implica il rischio di accertare un fatto non costituente reato ove non sussistano gli estremi del tentativo.
13 G. De Santis, Diritto penale dell’ambiente, Un’ipotesi sistematica, Milano, 2012 291 ss. ; M. Palmisano, Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo: fenomenologie e strumenti di contrasto, in Diritto Penale Contemporaneo, 1/2018 p.106.