Cass. Sez. III n. 11166 del 18 marzo 2024 (UP 15 nov 2023)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Giuliani
Ecodelitti.Impedimento del controllo
Il delitto di impedimento del controllo è reato di danno delle funzioni di controllo e vigilanza, siccome impedite o compromesse nei loro risultati finali, nonché di pericolo indiretto rispetto al bene finale ambiente, tutelato assieme alla immediata protezione delle funzioni amministrative strumentali alla sua difesa. Funzioni che per tale strumentalità non possono che essere intese come omnicomprensive di ogni forma di vigilanza e controllo a prescindere dall’organo in concreto coinvolto, così da potersi comprendere non solo autorità specializzate nella tutela dell’ambiente ma anche organismi più genericamente investiti di funzioni di polizia giudiziaria, seppur nello specifico interessati a verifiche di rilievo ambientale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 25 novembre 2022, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del tribunale di Arezzo del 8 ottobre 2021, con la quale Giuliani Alberto era stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 452 septies cod. pen.
2. Avverso la sentenza suindicata Giuliani Alberto, mediante il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi di impugnazione.
3. Deduce con il primo il vizio di motivazione, rappresentando che i giudici non avrebbero compreso come il procedimento sia sorto a seguito di una mera incomprensione tra l’imputato e le forze dell’ordine, cui il primo non avrebbe mai ritenuto consapevolmente di impedire l’accesso per l’espletamento delle relative funzioni, e a tal fine ripercorre e illustra le risultanze istruttorie, evidenziando l’assenza dell’elemento soggettivo in ragione della omessa indicazione, da parte dei militari, delle ragioni per cui volevano procedere all’accesso.
4. Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge con riguardo all’art. 131 bis cod. pen., posto che, diversamente da quanto sostenuto dai giudici, non sarebbe sorto alcun danno e atteso che vi sarebbe stata comunque la possibilità, per i militari, di accedere ai luoghi di interesse e considerato che il rifiuto dell’imputato all’accesso sarebbe stato conseguente alla poca chiarezza dei militari, in uno con la circostanza per cui il ricorrente non poteva dedicare loro del tempo.
Si aggiunge l’assenza di abitualità della condotta in mancanza di precedenti per reati della stessa specie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile. Il ricorrente ripercorre la vicenda ricostruendola in maniera personale e dunque rivalutando inammissibilmente i dati disponibili, sebbene sia noto che l'epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Quanto al vizio di manifesta illogicità esso, come quello di mancanza e contraddittorietà della medesima, deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). Tanto più che la motivazione appare coerente e puntuale, laddove si evidenzia l’impedimento ad accedere frapposto ai militari dall’imputato, nell’esercizio di una attività istituzionale di controllo, a fronte di una giustificazione difensiva fragile, quale quella per cui i militari si sarebbero presentati presso il cancello di casa e non presso quello che conduceva alla azienda agricola oggetto della attività di vigilanza. Questione, quest’ultima, risolta dai giudici sul rilievo per cui, proprio la vicinanza dei due cancelli sarebbe dimostrativa della direzione dei militari verso un controllo diretto non necessariamente ed esclusivamente nella sua abitazione, tanto che alla luce degli atti emergerebbe che in altre occasioni gli operanti avrebbero svolto analoghi controlli, sempre accedendo presso il cancello in questione.
Si tratta peraltro di ricostruzione conforme al dettato normativo, che delinea, secondo anche quanto rilevato da autorevoli indirizzi dottrinari, una fattispecie di reato a forma vincolata nel primo periodo – poiché l’impedimento deve realizzarsi negando o ostacolando l’accesso ai luoghi, ovvero mutando artificiosamente lo stato dei luoghi – e a forma libera nel secondo, laddove con una sorta di clausola di chiusura reprime qualsivoglia condotta dotata di efficacia causale rispetto alla compromissione degli esiti delle attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro. Tanto da poter di conseguenza ricondurre, in ipotesi, alla fattispecie in parola, le più variegate forme, purtroppo anche “tipiche”, di intralcio o ostacolo all’espletamento di controlli ambientali, tra cui la creazione di cd. by pass per gli scarichi, l’occultamento o dissimulazione di operazione di diluizione di acque, rifiuti o reflui, l’alterazione dello stato dei luoghi.
In tale prospettiva ricostruttiva del reato, appare coerente, altresì, la elaborazione della fattispecie anche in termini di reato di danno delle funzioni di controllo e vigilanza sopra citate, siccome impedite o compromesse nei loro risultati finali, nonché di pericolo indiretto rispetto al bene finale ambiente, tutelato assieme alla immediata protezione delle funzioni amministrative strumentali alla sua difesa. Funzioni che per tale strumentalità non possono che essere intese come omnicomprensive di ogni forma di vigilanza e controllo a prescindere dall’organo in concreto coinvolto, così da potersi comprendere non solo autorità specializzate nella tutela dell’ambiente ma anche organismi più genericamente investiti di funzioni di polizia giudiziaria, seppur nello specifico interessati a verifiche di rilievo ambientale.
2. Anche il secondo motivo è inammissibile, a fronte di una organica motivazione che ha rinvenuto l’assenza della lieve entità sia nella circostanza di avere reso impossibile, nella data prescelta dai militari, il controllo, così potendo consentire una modifica della situazione nei giorni successivi sia nella imperatività del rifiuto a far accedere gli operanti, così da caratterizzare in maniera particolarmente grave i fatti e l’atteggiamento psicologico dell’imputato. Si tratta di una motivazione peraltro in linea con l’indirizzo per cui, ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6 - , n. 55107 del 08/11/2018 Rv. 274647 – 01).
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 15.11.2023.