TAR Lobardia (BS) Sez. I n. 276 del 28 marzo 2023
Danno ambientale.Individuazione del soggetto responsabile

La responsabilità per i danni all'ambiente rientra nel paradigma della responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva; nello specifico, il d.lgs. n. 152/2006 riconosce alla p.a. il potere di ordinare al privato di eseguire la bonifica attraverso l'emanazione dell'ordinanza ex art. 244, comma 2, che, tuttavia, può essere emanata solo nei confronti del responsabile della contaminazione; pertanto, ai sensi dell'art. 242 d.lg. n. 152/2006, gravano sul solo responsabile dell'inquinamento gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione, non essendo configurabile in via automatica, in maniera oggettiva, per posizione o per fatto altrui, una responsabilità in capo al proprietario dell'area inquinata e, quindi, l'obbligo di bonificare per il solo fatto di rivestire tale qualità, ove non si dimostri il suo apporto causale colpevole al danno ambientale riscontrato. Ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e inquinamento della stessa, occorre utilizzare il canone civilistico del "più probabile che non", con la conseguenza che l'individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.; ne consegue che, qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento

Pubblicato il 28/03/2023

N. 00276/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00633/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 633 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Tommaso Mariuzzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Diaz 23;

contro

Provincia di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Magda Poli e Raffaella Rizzardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso gli uffici dell’Avvocatura provinciale in Brescia, Palazzo Broletto piazza Paolo VI 29;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fiorella Battaini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Lonato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mauro Ballerini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Brescia, viale della Stazione;

per l'annullamento

- A) dell'Atto Dirigenziale 10.8.2020 n. -OMISSIS- della Provincia di Brescia, Settore dell'Ambiente e della Protezione Civile avente ad oggetto “Fascicolo 29/2018 – 124. Diffida con ordinanza motivata all'attuazione delle procedure previste per la bonifica dei siti contaminati ex art. 244, comma 2, D.Lgs. 152/2006, a carico di -OMISSIS- e -OMISSIS-(coniuge-erede di -OMISSIS-) per il supero delle CSC in falda e per la presenza di rifiuti pericolosi in falda costituenti un rischio concreto ed attuale per le matrici naturali, accertate nel sito denominato “ex cava Traversino”, via Lavagnone, Lonato (BS)” (doc.1);

- B) di tutti gli atti endo-procedimentali e non, presupposti dell'emissione della diffida provinciale e richiamati nella sua motivazione, fra cui:

- nota ARPA Lombardia – Dipartimenti di Brescia e Mantova – U.O. Bonifiche e attività estrattive di Brescia 26.9.2019 prot. n. 203763 avente ad oggetto “Area Ex discarica Traversino in Comune di Lonato – Nota dell'Agenzia” (doc.22);

- nota ARPA Lombardia – Dipartimenti di Brescia e Mantova – U.O. Bonifiche e attività estrattive di Brescia 7.3.2019 avente ad oggetto “Accertamenti tecnici condotti presso area ex cava Traversino sita in via Lavagnone del Comune di Lonato del Garda di proprietà dei Sigg. -OMISSIS- e -OMISSIS-” (doc.22 all.);

- la nota ARPA Lombardia – Dipartimenti di Brescia e Mantova – U.O. Bonifiche e attività estrattive di Brescia 8.1.2020 prot. n. 1679 recante la comunicazione di cui all'art. 244, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006, diretta alla Provincia di Brescia (non in possesso del ricorrente);

- C) la disposizione di Consulenza Tecnica d'Ufficio (a'sensi dell'art. 67 cpa) o di Verificazione (a'sensi dell'art. 66 cpa), diretta ad accertare la effettiva situazione di rischio idrogeologico, al fine di verificare l'effettivo stato delle matrici ambientali del sito ex Cava Traversino e la non legittimità delle note ARPA e della diffida provinciale impugnate, ove le Relazioni Tecniche del Prof. Dr. Chimico Dr. -OMISSIS-(doc.39) e del Dr. Geol. -OMISSIS-(doc.38) non vengano considerate contributi istruttori sufficienti;

- D) la condanna alla rifusione delle spese di causa, ivi comprese quelle della fase cautelare, e la restituzione dell'importo del contributo unificato versato di € 650,00.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Brescia, dell’Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia e del Comune di Lonato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2023 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il signor -OMISSIS- è comproprietario, assieme agli eredi di suo fratello -OMISSIS-, morto il 5 aprile 2020, dei terreni costituenti l’area nota come ex Cava Traversino, identificati nel Catasto Terreni del Comune di Lonato sul Garda al Foglio n. 48, mappali 19, 20, 21, 22, 23, 191, 201, 257, 260, 275, aventi una superficie di circa 100.000 mq.

2. Con ricorso notificato il 30 ottobre 2020 e ritualmente depositato, egli ha impugnato l’ordinanza n. -OMISSIS- del 10 agosto 2020 con cui la Provincia di Brescia lo ha diffidato, ai sensi dell’art. 244 comma 2 del d. lgs. n. 156 del 2006, in solido con la signora -OMISSIS- (quest’ultima in qualità di “coniuge-erede” di -OMISSIS-), a provvedere alla bonifica dei predetti terreni “in qualità di soggetti responsabili del supero delle CSC in falda e per la presenza di rifiuti pericolosi in falda costituenti un rischio concreto ed attuale per le matrici naturali accertate nel sito denominato “ex Cava Traversino”. Unitamente al predetto provvedimento, il ricorrente ha impugnato gli atti prodromici del procedimento amministrativo, con particolare riferimento alle note informative e agli accertamenti tecnici eseguiti da ARPA Lombardia.

3. I fatti e gli accertamenti istruttori che hanno condotto all’adozione del provvedimento impugnato possono essere così riassunti, nei loro elementi essenziali, alla luce di quanto dedotto e documentato in atti dalle parti costituite.

3.1. Il sito in questione, acquistato dai fratelli -OMISSIS- nel 1968 e adibito originariamente a cava di sabbia e ghiaia, dopo l’esaurimento dell’escavazione venne adibito, ai fini del recupero ambientale, a discarica di rifiuti inerti fino ai primi anni ’80.

3.2. Nel 1982 la Regione ordinò la chiusura della discarica, ai sensi dell’art. 28 comma 1 della sopravvenuta Legge Regionale Lombardia 7 giugno 1980, n. 94, non avendo i fratelli -OMISSIS- presentato domanda di autorizzazione alla prosecuzione della gestione.

3.3. Negli anni successivi, tra il 1986 e il 2018, il sito dell’ex discarica Traversino veniva fatto oggetto di due procedimenti di bonifica, entrambi realizzati senza alcuna movimentazione dei rifiuti ivi presenti, il primo avviato nel 1986 e concluso nel 1991 con la realizzazione di una copertura della discarica con uno strato di argilla (c.d. capping), il secondo avviato nel 1999 e concluso nel 2018 con l’accertamento da parte di Arpa dell’assenza di contaminazioni nelle acque di falda. Peraltro, nella conferenza dei servizi conclusiva di tale secondo procedimento di bonifica del 10 luglio 2018, la società -OMISSIS- s.p.a. evidenziò l’intenzione di presentare, una volta chiuso il procedimento di bonifica, una richiesta di permesso di costruire ai fini del riempimento del sito dell’ex discarica – che presentava ancora una depressione di circa 10 metri rispetto al piano di campagna - con terre e rocce da scavo provenienti dai lavori di scavo della vicina galleria di Lonato, nell’ambito dei lavori di realizzazione della linea ferroviaria TAV Brescia-Verona, i quali avevano già prodotto un volume di terre e rocce da scavo per circa 1.000.000 di metri cubi che necessitavano di essere ricollocate.

3.4. Tuttavia, il progetto – per il quale erano già intercorsi accordi tra i fratelli -OMISSIS- e la società -OMISSIS- esecutrice dei lavori - non si concretizzò in quanto il 27 novembre 2018 il sito era sottoposto a sequestro penale da parte della Procura della Repubblica di Brescia nell’ambito di un procedimento avviato a seguito di una segnalazione anonima, nella quale si riferiva che nel sito erano stati stoccati rifiuti pericolosi, sicchè l’eventuale sversamento dei circa 900.000 mc di materiale inerte proveniente dal cantiere della TAV avrebbe potuto determinare lo sfondamento della copertura in argilla, il conseguente schiacciamento dei rifiuti pericolosi verso il fondo e la contaminazione delle acque sotterranee e delle acque di falda.

3.5. Nell’ambito di tale procedimento, i Carabinieri Forestali incaricavano ARPA di eseguire nuovi accertamenti presso il sito dell’ex discarica. In occasione di tali accertamenti - eseguiti per la prima volta con mezzi speciali capaci di attingere notevoli profondità - ARPA prelevava 2 campioni di terreno naturale, 6 campioni di rifiuti e 12 campioni di acque sotterranee. All’esito, con relazione del 7 marzo 2019, ARPA evidenziava:

- che i 2 campioni di terreno erano risultati privi di contaminazioni;

- che i 6 campioni di rifiuti, invece, non rispettavano i requisiti di ammissibilità previsti dalla legge per le discariche di inerti; inoltre, uno di detti campioni era classificato come pericoloso (cancerogeno), un altro era classificato come pericoloso (tossico per la riproduzione); gli altri quattro erano classificati come non pericolosi;

- dei 10 campioni di acque sotterranee: 5 campioni erano risultati conformi alle CSC per tutti i parametri ricercati; 2 campioni erano risultati non conformi per il parametro manganese; 1 campione era risultato non conforme per il parametro manganese e per il parametro 1.2-dicloropropano; 1 campione era risultato non conforme per triclorometano; 1 campione era risultato non conforme per alluminio.

3.6. ARPA trasmetteva in data 27 settembre 2019 l’esito delle proprie indagini agli enti competenti, sottolineando un contesto di particolare gravità e segnalando la necessità di approfondimenti e di provvedimenti d’urgenza, parlando di una “discarica incontrollata di rifiuti pericolosi” e di “rifiuti…a contatto col corpo idrico sotterraneo…”.

4. Da tali accertamenti prendeva avvio il procedimento che ha condotto all’adozione del provvedimento oggetto del presente giudizio.

4.1. Il 12 maggio 2020 la Provincia comunicava ai signori -OMISSIS- e -OMISSIS- (quest’ultima in qualità di vedova ed erede di -OMISSIS-) l’avvio del procedimento ex art. 244 d. lgs. 152/2006 volto all’emissione di un’ordinanza di diffida nei confronti dei destinatari, quali responsabili della contaminazione delle acque di falda.

4.2. Gli interessati presentavano osservazioni.

4.3. Il 10 agosto 2020 era adottato il provvedimento impugnato con cui la Provincia di Brescia individuava i ricorrenti quali soggetti responsabili del supero delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione in falda e dello sversamento di rifiuti pericolosi in falda, con conseguente rischio concreto ed attuale per le matrici naturali del sito in questione, ordinando ai medesimi, ai sensi dell’art. 244 comma 2 del d. lgs. n. 156 del 2006, di provvedere alla bonifica dei predetti terreni.

4.4. Nel contempo, il Comune di Lonato, su sollecitazione della Provincia di Brescia, riattivava in data 9 ottobre 2019 il procedimento finalizzato ad un approfondimento di indagine di caratterizzazione che tenesse conto dei nuovi elementi emersi, e successivamente invitava in data 20 novembre 2019 i proprietari dell’area a presentare una nuova indagine idrogeologica al fine di inquadrare correttamente l’andamento monte-valle delle acque di falda, anche mediante la realizzazione di nuovi piezometri.

4.5. I proprietari ottemperavano a quanto richiesto in data 27 gennaio 2020, e quindi, sulla base delle prescrizioni dell’ARPA, davano avvio il 20 luglio 2020, a seguito dell’avvenuto dissequestro dell’area, alle operazioni propedeutiche alla esecuzione delle indagini integrative previste.

5. Tutto ciò premesso, con il ricorso qui in esame il signor -OMISSIS- ha dedotto quattro motivi, con i quali ha proposto censure di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili, chiedendo conclusivamente l’annullamento dei provvedimenti impugnati, previo eventuale svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio o di verificazione tecnica diretta ad accertare l’effettiva esistenza di un rischio idrogeologico e l’effettivo stato delle matrici ambientali del sito, tenuto conto anche delle relazioni tecniche di parte prodotte in atti.

6. Per resistere al ricorso si sono costituiti la Provincia di Brescia, l’ARPA Lombardia e il Comune di Lonato, depositando documenti e memorie difensive, svolgendo eccezioni in rito e nel merito.

7. Con ordinanza n. 388 del 10 dicembre 2020, la Sezione ha respinto la domanda cautelare proposta dal ricorrente e condannato il medesimo alla rifusione delle spese della fase, liquidate in € 1.000,00 in favore della Provincia, € 1.000,00 in favore di ARPA ed € 500,00 in favore del Comune di Lonato.

8. In prossimità dell’udienza di merito, le parti hanno integrato la propria documentazione e depositato memorie conclusive e di replica nei termini di rito, riferendo anche degli ulteriori accertamenti eseguiti in corso di causa.

8.1. La parte ricorrente ha chiesto l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 54 comma 1 c.p.a., a depositare tardivamente un nuovo elaborato tecnico di parte (“Rapporto finale delle indagini e dei dati raccolti nell’esecuzione del Piano di indagine finalizzato all’individuazione delle caratteristiche idrogeologiche del sito”, a firma del Dr. Geol. -OMISSIS-, datato 27.1.2023: elaborato di 273 pagine), essendo stato ultimato soltanto dopo la scadenza del termine di legge per il deposito di documenti ex art. 73 c.p.a.

8.2. La Provincia si è opposta al deposito tardivo, evidenziando tra l’altro che il nuovo documento tecnico di parte attiene agli studi idrogeologici richiesti dagli enti di controllo nel corso delle indagini ambientali svolte sul sito, i quali devono ancora essere sottoposti all’esame delle autorità competenti.

9. All’udienza pubblica del 22 febbraio 2023, dopo la discussione dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente va respinta l’istanza di autorizzazione al deposito documentale tardivo formulata dalla difesa di parte ricorrente, non essendo stata fornita alcuna comprovata giustificazione in ordine alla “estrema difficoltà” di effettuare il deposito nel termine di legge, così come richiesto dall’art. 54 c.p.a.

2. Sempre in via preliminare, si può prescindere dall’esame delle eccezioni in rito formulate dalla difesa dell’ARPA con riferimento all’impugnazione degli atti adottati dall’Agenzia – sul rilievo del carattere non immediatamente lesivo di detti atti, perché di natura meramente istruttoria ed endoprocedimentale - dal momento che il ricorso è infondato nel merito.

3. Passando quindi all’esame del merito, va osservato che con i primi tre motivi, proposti in modo congiunto, la parte ricorrente ha dedotto censure di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili, in sostanza lamentando che il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in assenza di un danno ambientale concreto e quantificabile, sulla base di una istruttoria superficiale, e in ogni caso in assenza di prove in ordine alla responsabilità dei proprietari nella determinazione dello stato di contaminazione del sito.

3.1. In particolare, sotto un primo profilo, di carattere soggettivo, la parte ricorrente ha sostenuto che il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato in assenza di un rigoroso accertamento in ordine al soggetto effettivamente responsabile dell’inquinamento, a prescindere dalla titolarità di diritti reali sull’area; il provvedimento impugnato si limiterebbe a dare atto degli esiti degli accertamenti eseguiti dall’ARPA, senza nulla dire in ordine alla effettiva riconducibilità di quanto accertato a responsabilità del ricorrente; il provvedimento sarebbe inoltre contraddittorio nella parte in cui attribuisce al ricorrente la responsabilità dell’inquinamento sebbene la discarica sia cessata sin dagli anni 80 e sebbene i fratelli -OMISSIS- avessero già portato a compimento due procedimenti di bonifica del sito, tra il 1986 e il 2018, secondo le richieste delle amministrazioni competenti.

La censura, osserva il Collegio, non può essere condivisa.

3.1.1. Giova premettere che, per giurisprudenza consolidata, "la responsabilità per i danni all'ambiente rientra nel paradigma della responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva; nello specifico, il d.lgs. n. 152/2006 riconosce alla p.a. il potere di ordinare al privato di eseguire la bonifica attraverso l'emanazione dell'ordinanza ex art. 244, comma 2, che, tuttavia, può essere emanata solo nei confronti del responsabile della contaminazione; pertanto, ai sensi dell'art. 242 d.lg. n. 152/2006, gravano sul solo responsabile dell'inquinamento gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito della constatazione di uno stato di contaminazione, non essendo configurabile in via automatica, in maniera oggettiva, per posizione o per fatto altrui, una responsabilità in capo al proprietario dell'area inquinata e, quindi, l'obbligo di bonificare per il solo fatto di rivestire tale qualità, ove non si dimostri il suo apporto causale colpevole al danno ambientale riscontrato" (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1630).

3.1.2. Con specifico riferimento, poi, alle modalità di individuazione del soggetto responsabile, la giurisprudenza ha chiarito che, ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e inquinamento della stessa, occorre utilizzare il canone civilistico del "più probabile che non", con la conseguenza che l'individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.; ne consegue che, qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento (cfr. T.A.R. Brescia, sez. I, 2 agosto 2022, n. 776; T.A.R. Brescia, Sez. I, 5 febbraio 2021, n. 123; T.A.R. Brescia, Sez. I, 6 marzo 2020, n. 202; Cons. Stato, Sez. IV,12 gennaio 2022 n. 217; Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172)

3.1.3. Nel caso di specie, la responsabilità dei fratelli -OMISSIS- in ordine allo stato di potenziale contaminazione rilevato nel sito dell’ex Cava Traversino non può essere seriamente contestata, tenuto conto che i medesimi hanno avuto, non solo la proprietà, ma anche la disponibilità materiale esclusiva ed ininterrotta dell’area dal 1968 ad oggi; né il ricorrente ha fornito nel presente giudizio il benchè minimo elemento indiziario in ordine alla possibilità di ricondurre la fonte di contaminazione del sito ad altri soggetti o ad altre cause.

3.1.4. La circostanza che il sito fosse già stato oggetto in passato di ben due procedimenti di bonifica eseguiti dai fratelli -OMISSIS- - il primo avviato nel 1986 e concluso nel 1991 con la realizzazione di una copertura della discarica con uno strato di argilla (c.d. capping), il secondo avviato nel 1999 e concluso nel 2018 con l’accertamento da parte di ARPA dell’assenza di contaminazioni nelle acque di falda – non è in contraddizione con il contenuto del provvedimento qui impugnato, tenuto conto che l’attuale stato di potenziale contaminazione del sito è stata desunta dai nuovi accertamenti istruttori eseguiti dall’ARPA tra il novembre 2018 e il gennaio 2019; accertamenti che, grazie all’utilizzo di nuovi mezzi escavatori messi a disposizione dal GOS - Gruppo Operativo Speciale – dei Vigili del Fuoco di Brescia, hanno consentito, per la prima volta, di attingere profondità rimaste fino a quel momento inesplorate - e quindi anche non bonificate – in occasione dei precedenti interventi di bonifica e di ripristino ambientale eseguiti nel sito; senza poi contare che il primo intervento di bonifica era stato eseguito, in conformità alle prescrizioni all’epoca impartite dalle Amministrazioni sulla scorta della normativa allora vigente, nella mera copertura dei rifiuti sversati in discarica attraverso un capping in argilla impermeabile; mentre la successiva bonifica è stata disposta ed eseguita sulla base di indagini istruttorie che avevano attinto lo strato più superficiale dell’area, senza quindi pervenire a reperire i rifiuti accertati dall’ARPA in occasione dei più recenti rilievi del 2018-2019, né tanto meno a poter verificare lo stato di possibile contaminazione delle acque sotterranee.

3.2. Sotto un diverso profilo, di carattere per così dire oggettivo, la parte ricorrente ha contestato, in radice, che il sito possa essere qualificato come contaminato, non essendo stato accertato alcun danno alle matrici ambientali né un rischio sufficientemente probabile di danno sanitario o ambientale imminente; l’ARPA avrebbe proceduto alla ricerca “di un ago nel pagliaio”, scavando e scavando fino a quando non si è trovato qualcosa.

3.2.1. In particolare, quanto ai rifiuti rinvenuti nel sito:

- il ricorrente contesta le valutazioni svolte da ARPA in merito ai 6 campioni di rifiuti che non rispetterebbero i criteri di legge, in quanto tali valutazioni sarebbero state effettuate sulla base di una normativa sopravvenuta a molti anni di distanza dalla chiusura della discarica; secondo il ricorrente, quando sono stati smaltiti quei rifiuti erano ammissibili in discarica; l’unica valutazione che oggi potrebbe essere fatta è se portare via i rifiuti da quel sito, ma a parte che non si saprebbe bene dove portarli, i costi sarebbero altissimi; ARPA, nell’incertezza circa la tipologia di rifiuti rinvenuti, avrebbe attribuito dei codici CER previsti dalla normativa attuale, operando una inammissibile applicazione retroattiva della normativa vigente a depositi effettuati in epoche antecedenti alla sua entrata in vigore; ARPA avrebbe dovuto verificare se, allo stato, siano in atto fenomeni di contaminazione o se ci sia un pericolo imminente per la salute pubblica, ma a questo riguardo già nel 2018 ARPA, Regione, Provincia e Comune avevano dato atto dell’assenza di fenomeni di contaminazione del terreno e delle acque di falda sotterranee; sarebbe del tutto oscuro sulla base di quali valutazioni ARPA abbia qualificato come pericolosi due campioni di rifiuti sulla base dei dati analitici ottenuti; ARPA sarebbe partita da dati ignoti, non avendo la minima idea di quale tipologia di rifiuti si trattasse.

3.2.2. Quanto invece al supero delle CSC nelle acque di falda:

- secondo il ricorrente le acque campionate non costituirebbero affatto la falda acquifera, dal momento che nella zona in considerazione la prima falda acquifera si troverebbe ad una profondità di circa 25-30 metri dal piano di campagna e la seconda a circa 40 metri; le acque campionate da ARPA sarebbero soltanto acque di imbibizione dei materiali ivi deposti che non avrebbero alcuna possibilità di migrare nell’ambiente in modo significativo; pertanto, i rifiuti ricercati da ARPA nelle trincee profonde solo 7-8 metri non sarebbero a contatto con la falda ma sarebbero semplicemente imbevuti dell’acqua che ristagna nei medesimi; tutte le valutazioni di ARPA sul supero delle CSC in alcuni dei campioni di acque sotterranee non sarebbero circostanziate, si tratterebbe di valutazioni superficiali che avrebbero fuorviato la Provincia; in particolare, i superi di CSC nel parametro manganese non sarebbero rilevanti trattandosi di un elemento ubiquitario degli acquiferi della pianura padana, al pari di ferro e arsenico; il rischio ambientale sarebbe stato determinato, se mai, dai piezometri TS realizzati nel 2000 su incarico del Comune, i quali, attraversando il corpo dei rifiuti per intercettare le acque naturali al di sotto di essi, rappresenterebbero una via preferenziale di migrazione di sostanze inquinanti verso le acque sottostanti; anche il supero di alluminio non sarebbe rilevane perché registrato solo a monte idrogeologico della discarica e quindi non imputabile alla stessa.

3.3. Anche tali censure, osserva il Collegio, non possono essere condivise.

3.3.1. Il provvedimento impugnato è stato adottato dalla Provincia di Brescia ai sensi dell’art. 242 comma 2 del d. lgs. 152/2006, il quale prevede che “La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1 [ossia la comunicazione, da parte di altre pubbliche amministrazioni, dell’avvenuta individuazione di siti caratterizzati dalla presenza di livelli di contaminazione superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione], dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”.

3.3.2. La norma applicata presuppone che sia stata accertata una situazione di “potenziale contaminazione” di un sito, ossia, come precisato all’art. 240 comma 1 lett. d) dello stesso T.U.A., una situazione tale per cui “uno o più valori di concentrazione delle sostanze inquinanti rilevati nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC)”.

In presenza di un superamento dei valori di CSC, la provincia diffida il soggetto individuato come responsabile di tale superamento a provvedere a tutti gli adempimenti previsti dal titolo V del T.U.A. (“Bonifica di siti inquinati), i quali implicano, nell’ordine, (i) la predisposizione di un “piano di caratterizzazione” del sito, finalizzato alla ricostruzione dei fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali e destinato a sfociare nella elaborazione del “modello concettuale definitivo”; (ii) l’espletamento, sulla base del modello concettuale definitivo, della procedura di “analisi del rischio sito specifico” diretta a verificare i valori di concentrazione soglia di rischio (CSR); (iii) quindi, nel caso in cui gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di CSR, la predisposizione di un progetto di bonifica e di messa in sicurezza, operative e permanente, del sito.

3.3.3. Pertanto, ai fini della adozione del provvedimento in esame, che dà avvio al procedimento di bonifica del sito, è sufficiente che sia stato accertato uno stato di “potenziale contaminazione” di un sito in relazione alla presenza nelle matrici ambientali (aria, acqua, suolo e sottosuolo) di sostanze inquinanti in concentrazioni superiori ai valori soglia di contaminazione.

3.3.4. Nel caso di specie, il provvedimento è stato adottato sulla scorta dei rilievi effettuati dall’ARPA, la quale ha accertato uno stato di potenziale contaminazione del sito in relazione alla presenza all’interno di quest’ultimo: (i) di rifiuti estranei alla tipologia di quelli ammessi in una discarica di inerti, ex D.M. 27 settembre 2010 Tabelle 2 e 3; (ii) di rifiuti denominati “T14-Polveri TQ” e “T12 – Rifiuto c/o fusti” classificati come cancerogeni e tossici per la riproduzione e immersi all’interno del corpo acquifero sotterraneo; (iii) di uno stato di contaminazione delle acque sotterranee per i parametri manganese, 1,2-dicloropropano e triclorometano (cloroformio).

3.3.5. Si tratta di elementi sufficienti a giustificare l’adozione del provvedimento impugnato perché attestano l’esistenza quanto meno di uno stato di “potenziale” inquinamento del sito che impone l’attivazione, ad opera del soggetto responsabile di tale situazione, delle misure precauzionali e degli approfondimenti istruttori finalizzati a verificare se la contaminazione sia o meno effettiva e imponga, quindi, le necessarie opere di bonifica e di messa in sicurezza.

3.3.6. In tale contesto, è irrilevante che i rifiuti siano stati sversati nel sito in epoca antecedente all’introduzione degli obblighi di bonifica di cui al d. lgs. 152/2006, dal momento che la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che anche "in ipotesi di condotte lesive del bene ambiente antecedenti all'entrata in vigore del c.d. codice dell'ambiente, d.lgs. n. 152/2006, trovano comunque applicazione le norme in materia di obblighi di bonifica, di cui alla Parte IV del codice medesimo e, in particolare, gli artt. 244 e 242, che, peraltro, menziona espressamente i casi di "contaminazioni storiche": ciò in quanto tali norme non sanzionano ora per allora la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono un attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l'epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente" (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 1 aprile 2020, n. 2195).

3.3.7. È parimenti irrilevante che nel 2018 ARPA, Regione Provincia e Comune avessero concluso il secondo intervento di bonifica del sito eseguito dai fratelli -OMISSIS- dando atto dell’assenza di fenomeni di contaminazione del terreno e delle acque di falda sotterranee, dal momento che il nuovo provvedimento è stato adottato sulla scorta dei nuovi accertamenti eseguiti da ARPA con l’ausilio di nuovi e più performanti mezzi meccanici, che hanno consentito di estendere le indagini a profondità nel sottosuolo non attinte in occasione dei precedenti interventi: ARPA ha chiarito che, per la prima volta, gli accertamenti si sono svolti con l’ausilio di un “escavatore a benna rovescia” messo a disposizione dai VVFF di Brescia, in grado di scavare fino a 11 metri di profondità, mentre in precedenza le uniche “carote” acquisite erano di circa 10 cm di lunghezza; a tale profondità sono stati rilevati rifiuti pericolosi e non, immersi in acqua: fusti in plastica, fusti metallici contenenti sostanze oleose, pneumatici e parti di asfalto immersi in acqua, parti di motore di autoveicoli, rifiuti car-fluff, rifiuti solidi urbani immersi in acqua, bidoni in metallo, ecc.

3.3.8. Le valutazioni di ARPA sono state desunte dagli esiti degli esami di laboratorio condotti sui campioni prelevati, che hanno messo in evidenza il superamento dei valori di legge e la classificazione dei materiali quali rifiuti pericolosi, tra i quali alcuni con classificazione di rifiuto cancerogeno e un altro come pericoloso per la riproduzione. La classificazione inziale di alcuni dei rifiuti reperiti in loco, di non agevole identificazione ad un primo esame, è stata operata dall’ARPA, in base ai principi di prevenzione e precauzione, con l’attribuzione dei codici generici previsti dalla normativa tecnica di settore per il caso di rifiuti non identificabili con precisione, in attesa dei successivi approfondimenti da eseguire in sede di caratterizzazione e di definizione del modello concettuale del sito, in esecuzione del provvedimento impugnato.

3.3.9. Quanto al supero delle CSC nelle acque sotterranee, è irrilevante che esso non sia stato rilevato nella falda acquifera, ma nelle acque sotterranee, dal momento che ai fini dell’adozione degli interventi di cui agli artt. 240 e ss. del TUA è sufficiente che il supero delle CSC sia stato rilevato in una qualsiasi delle matrici ambientali, e d’altra parte è ragionevole e intuitivo che, in presenza di uno stato di contaminazione delle acque sotterranee, si debba già provvedere ad adottare gli opportuni interventi di messa in sicurezza e di bonifica prima che la contaminazione si estenda in profondità fino ad attingere le acque di falda, con effetti ancora più gravi ed estesi, tenuto anche conto che il fondo naturale della vasca della discarica è costituito da materiale permeabile.

3.3.10. La tesi di parte ricorrente secondo cui non si tratterebbe neppure di acque sotterranee ma di acque di imbibizione dei rifiuti presenti in discarica porterebbe a qualificare le stesse come percolato, e quindi come rifiuto liquido, che costituisce notoriamente fonte primaria di contaminazione.

3.3.11. Il superamento delle CSC nelle acque sotterranee è stato documentato dalle amministrazioni resistenti alla luce dei rilievi eseguiti dall’ARPA, ed è di per sé idoneo ad attestare lo stato di potenziale contaminazione del sito e di rischio concreto e attuale per le matrici naturali, alla luce della normativa applicata. Al riguardo, va anzi evidenziato che nelle proprie memorie conclusive sia l’ARPA che la Provincia hanno richiamato gli esiti delle campagne stagionali di indagine svolte nelle more del giudizio, fino al gennaio 2022, dalle quali sembrerebbe evincersi un netto peggioramento dello stato qualitativo delle acque sotterranee. In particolare, le amministrazioni riferiscono e documentano che in occasione di ciascuno degli accertamenti effettuati - che sono proseguiti nel corso del 2022 e sono tuttora in corso - sono stati confermati superi delle CSC nei piezometri presenti all’interno del perimetro della discarica ((Z1, Z3, Z5 Pz0, PzTs1 ) per i parametri ferro, manganese e 1,2 diclopropano (gennaio 2022), arsenico, alluminio, ferro, piombo, cloruro di vinile e 1, 2 dicloropropano (ottobre 2021), piombo, alluminio, 1,2 dicloropropano, cromo VI (marzo 2021); e anche i dati prodotti dalla parte ricorrente in seno al procedimento in corso confermerebbero il supero delle CSC per le acque sotterranee per diversi metalli: Alluminio, Arsenico, Cromo totale, Ferro, Manganese, Nichel, Piombo. Riferisce la Provincia che i superi accertati confermano la bontà del quadro istruttorio posto a fondamento del provvedimento impugnato e contribuiranno alla definizione della caratterizzazione del sito e alla successiva adozione degli eventuali provvedimenti di messa in sicurezza e di bonifica;

3.3.12. In definitiva, ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato sia stato adottato sulla scorta di un quadro istruttorio sufficientemente approfondito e adeguato, attestante uno stato di potenziale contaminazione del sito in relazione alla presenza di rifiuti pericolosi sommersi dalle acque sotterranee, non isolati dalle acque di falda attraverso opere di impermeabilizzazione del fondo e in procinto (o in pericolo) di disperdere sostanze inquinanti nel sottosuolo e nelle acque di falda, con effetti potenzialmente catastrofici; tanto più alla luce dell’intenzione manifestata nel recente passato dalla proprietà di utilizzare ancora la discarica in questione per ulteriori sversamenti, fino al definitivo riempimento della depressione ancora esistente rispetto al piano di campagna; prospettiva che renderebbe attuale il pericolo che la compressione operata dalle nuove masse di rifiuti inerti possa determinare la rottura dello strato di copertura superficiale e lo schiacciamento dei rifiuti pericolosi sottostanti verso gli strati più profondi e le acque sotterranee e di falda; di qui la necessità avvertita dalle amministrazioni competenti di scongiurare tale scenario imponendo la previa bonifica integrale del sito, o quanto meno l’esecuzione delle operazioni preliminari di caratterizzazione e di messa in sicurezza, con riserva di adottare le conseguenti valutazioni in ordine agli interventi di bonifica eventualmente necessari.

Alla luce di tali considerazioni, i primi tre motivi vanno disattesi.

4. Con il quarto e ultimo motivo, il ricorrente ha lamentato che la Provincia avrebbe adottato il provvedimento impugnato quando era ancora in corso, su iniziativa del Comune, l’approfondimento idrogeologico del sito, prodromico ad ogni valutazione circa l’effettiva contaminazione delle acque di falda; secondo il ricorrente, il procedimento provinciale avrebbe dovuto essere sospeso in attesa dei primi risultati del Piano di indagini e della nuova campagna di campionamento acque, per non violare i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’attività amministrativa.

4.1. La censura, osserva il Collegio, è infondata alla luce delle medesime considerazioni già sviluppate in relazione ai primi tre motivi. L’ordinanza ex art. 244 comma 2 d. lgs. n. 152/2006 è legittimamente adottata dall’amministrazione competente in presenza di una situazione di “potenziale contaminazione”, al fine di attivare, a carico del soggetto ritenuto responsabile dell’inquinamento, gli interventi di cui al titolo V dello stesso Codice dell’Ambiente finalizzati a verificare lo stato di “effettiva” contaminazione attraverso le operazioni di caratterizzazione e definizione del modello concettuale del sito e di analisi del rischio, a loro volta prodromiche alla eventuale bonifica e messa in sicurezza del sito. In altre parola, l’ordinanza in parola non presuppone l’approfondimento geologico del sito, ma lo dispone in presenza di una situazione di potenziale inquinamento, al fine di accertarne l’effettiva sussistenza e, in caso affermativo, di definire gli interventi necessari a porvi rimedio.

4.2. Peraltro, come detto, nelle more del giudizio lo stato di potenziale contaminazione del sito sembrerebbe essersi persino aggravato ed esteso rispetto a quello accertato inizialmente dall’ARPA, secondo quanto documentato in giudizio dalle Amministrazioni resistenti.

5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni di cui sopra, il ricorso va respinto.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in misura differenziata in rapporto al diverso ruolo processuale e, correlativamente, al diverso impegno difensivo delle tre Amministrazioni resistenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 4.000,00 (quattromila) oltre accessori di legge in favore della Provincia di Brescia; in € 4.000,00 (quattromila) oltre accessori di legge in favore dell’ Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Lombardia; e in € 2.000,00 (duemila) oltre accessori di legge in favore del Comune di Lonato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente -OMISSIS- e di altri soggetti comunque menzionati in sentenza, in particolare -OMISSIS- e -OMISSIS-.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Gabbricci, Presidente

Ariberto Sabino Limongelli, Consigliere, Estensore

Luca Pavia, Referendario