TAR Emilia Romagna (BO), Sez. I, n. 91, del 3 febbraio 2015.
Beni Culturali. Imposizione del vincolo diretto ex art. 45 D.lgs 42/2004
Va premesso che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’imposizione del “vincolo indiretto” di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l’istruttoria si riveli insufficiente o errata, o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità, anche per l’insussistenza di un’obiettiva proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico. Il vincolo indiretto, inoltre, non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento dell’Amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale protezione del bene principale, fino all’inedificabilità assoluta, se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall’obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un àmbito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante. (Segnalazione e massima a cura di F. albanese
N. 00091/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01054/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 1054 del 2012 proposto da Valentina Zini, Pietro Vanicelli, Aldo Bassi, Francesca Celli, Francesco Pirazzini, Gianna Zini, Paola Vanicelli, Marta Bassi, Renzo Celli, Maurizio Pirazzini, Giovanna Pasi, Luigi Marangoni, Giuseppe Baldassarri, Ugo Rambelli, Pellegrino Montuschi, Dolores Ricci, Giacomina Mancini, Morena Pirazzini e Ottavio Celli, rappresentati e difesi dall’avv. Federico Gualandi e dall’avv. Francesca Minotti, e presso gli stessi elettivamente domiciliati in Bologna, Galleria Marconi n. 2;
contro
il Ministero per i Beni e le Attività culturali e la Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., difesi e rappresentati dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege;
nei confronti di
Powercrop S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. Francesco Pacifico, difesa e rappresentata dall’avv. Gualtiero Pittalis e presso lo stesso elettivamente domiciliata in Bologna, via San Vitale n. 55;
per l'annullamento
- quanto all’atto introduttivo della lite - del decreto della Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna n. 2707 del 26 marzo 2012, con cui sono state dettate prescrizioni di «tutela indiretta» ex art. 45 del d.lgs. n. 42/2004 a salvaguardia del complesso architettonico denominato “Villa Rasponi e Chiesa di San Giacomo” nel Comune di Russi (RA), nonché – per quanto occorrer possa – del silenzio-rigetto formatosi ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 1199/1971 sul ricorso gerarchico di impugnativa del suddetto provvedimento (presentato al Ministero per i Beni e le Attività culturali in data 27 aprile 2012);
- quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 10 gennaio 2014 - del provvedimento rep. n. 858 del 14 ottobre 2013, a firma del Direttore generale della “Direzione generale per il Paesaggio, le Belle arti, l’Architettura e l’Arte contemporanee” del Ministero dei Beni e della Attività culturali e del Turismo, con cui è stato deciso il ricorso gerarchico (dichiarandosene l’inammissibilità per la parte riguardante gli attuali ricorrenti e rigettandolo per la parte riguardante l’associazione Italia Nostra);
- quanto all’atto di “motivi aggiunti” depositato il 4 luglio 2014 - della nota prot. n. 1488 del 29 gennaio 2013 (con cui la Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna ha formulato le proprie controdeduzioni al ricorso gerarchico), nonché della Relazione istruttoria prot. int. n. 11834 in data 23 aprile 2013 della “Direzione generale per il Paesaggio, le Belle arti, l’Architettura e l’Arte contemporanee”, nonché del parere del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici di cui al verbale della seduta del 15 luglio 2013 (approvato nella seduta successiva del 23 settembre 2013) nonché – per quanto occorrer possa – della circolare ministeriale prot. n. 24197 del 19 novembre 2008.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di “motivi aggiunti” depositati il 10 gennaio 2014 e il 4 luglio 2014;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività culturali e della Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, nonché di Powercrop S.r.l.;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 15 gennaio 2015 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Rappresentando che al “…fine di salvaguardare il decoro, la luce e la prospettiva del bene tutelato denominato Villa e Chiesa di San Giacomo, si rendono necessarie particolari misure e prescrizioni affinché non vengano compromessi i valori culturali propri dello stesso e venga salvaguardata la visuale (decoro, luce e prospettiva) davanti alla villa, nell’area prossima ad essa, attraversata dal viale d’accesso …”, la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì - Cesena e Rimini dava comunicazione dell’avvio del procedimento di «tutela indiretta», ai sensi dell’art. 46 del d.lgs. n. 42 del 2004, e a tale scopo indicava le misure e prescrizioni ritenute necessarie per la protezione del complesso architettonico “Villa Rasponi e Chiesa di San Giacomo” nel Comune di Russi (v. nota prot. n. 20730 del 24 novembre 2011). A séguito, poi, dell’esame delle osservazioni presentate dalla società Powercrop S.r.l. e della convocazione del Comitato regionale di coordinamento ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 233 del 2007, la Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna dettava le definitive prescrizioni di «tutela indiretta» ex art. 45 del d.lgs. n. 42/2004 a salvaguardia del complesso architettonico in questione (v. decreto n. 2707 del 26 marzo 2012).
Avverso tale decreto proponevano ricorso gerarchico gli attuali ricorrenti, proprietari di immobili limitrofi all’area interessata; in ragione, però, dell’addotta formazione del silenzio-rigetto ex art. 6 del d.P.R. n. 1199 del 1971, essi hanno poi adito il giudice amministrativo per vedere annullato il medesimo decreto, a loro dire illegittimo. Assumono censurabile l’atto impugnato, se da intendersi come un ripensamento del parere negativo a suo tempo espresso dall’Amministrazione nell’àmbito del procedimento di autorizzazione unica regionale alla costruzione e all’esercizio del “Polo energie rinnovabili” in area limitrofa al complesso monumentale in questione, giacché si sarebbero potute al più estendere le maglie di tutela ma non certo consentire interventi che si erano già ritenuti intollerabili; denunciano, poi, la violazione dell’art. 46 del d.lgs. n. 42/2004 e l’inosservanza del principio del giusto procedimento, per non essersi provveduto ad una nuova comunicazione di avvio del procedimento in favore dei ricorrenti (già destinatari della comunicazione iniziale) dopo che l’esame delle osservazioni presentate dalla società Powercrop S.r.l. aveva indotto l’Amministrazione ad una sostanziale revisione e ad un’evidente attenuazione delle prescrizioni originariamente prospettate agli interessati; lamentano, infine, che l’ingiustificato e indebito ridimensionamento delle misure di tutela seguìto all’accoglimento delle osservazioni della società Powercrop S.r.l. abbia definitivamente compromesso la conservazione del valore di contestualizzazione e fruibilità pubblica del complesso monumentale, a fronte dell’omessa considerazione del carattere di “zona naturalistica” dell’area ciò nonostante espressamente ammessa ad ospitare nuovi manufatti, della mancata valutazione dei pericoli di un’edificazione incontrollabile sia dal punto di vista volumetrico che altimetrico (per l’assentita altezza massima di 11 metri e la totale liberalizzazione degli “elementi tecnologici speciali”), dell’incomprensibile riduzione dell’estensione della fascia di rispetto di metri 100, della contraddittorietà con il precedente parere a proposito dell’allora dichiarata inammissibilità in loco di manufatti di rilevanti dimensioni. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività culturali e la Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna (a mezzo dell’Avvocatura dello Stato), nonché la società Powercrop S.r.l., resistendo al gravame.
Successivamente, a séguito del sopraggiunto decreto di decisione del ricorso gerarchico (v. provvedimento rep. n. 858 del 14 ottobre 2013, a firma del Direttore generale della “Direzione generale per il Paesaggio, le Belle arti, l’Architettura e l’Arte contemporanee” del Ministero dei Beni e della Attività culturali e del Turismo), recante il rigetto della domanda proposta dall’associazione Italia Nostra e la declaratoria di inammissibilità della domanda proposta dagli attuali ricorrenti, questi ultimi hanno impugnato il nuovo provvedimento con atto di “motivi aggiunti” depositato il 10 gennaio 2014. Censurano la declaratoria di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in quanto la legittimazione alla proposizione del ricorso amministrativo sarebbe scaturita sia dall’avvenuta comunicazione in loro favore dell’avvio del procedimento di apposizione del vincolo indiretto, sia dalla loro posizione di residenti nel territorio interessato dalla presenza del bene culturale; deducono, inoltre, il difetto di motivazione, per essere stata dichiarata anche l’infondatezza del ricorso, ma sulla base del rinvio ad atti non allegati; fanno valere, infine, i vizi di legittimità già denunciati con l’atto introduttivo della lite.
Indi, con atto di “motivi aggiunti” depositato il 4 luglio 2014, i ricorrenti hanno censurato gli atti che venivano richiamati dal decreto di decisione del ricorso gerarchico e che solo in un secondo tempo essi hanno avuto modo di conoscere integralmente. Insistono sull’incomprensibile e contraddittoria adozione di prescrizioni di tutela indiretta con portata decisamente più blanda e inefficace rispetto alle limitazioni sottese al parere negativo a suo tempo espresso dall’Amministrazione nell’àmbito del procedimento di autorizzazione unica regionale alla costruzione e all’esercizio del “Polo energie rinnovabili” in area limitrofa al complesso monumentale in questione, discordanza che non potrebbe giustificarsi con la diversità – solo formale – dei due procedimenti, stante l’identità delle esigenze in concreto da soddisfare, come si evincerebbe anche dai vari atti procedimentali esibiti in giudizio; insistono, inoltre, sulla violazione dell’art. 46 del d.lgs. n. 42/2004 e sull’inosservanza del principio del giusto procedimento, per non essere a loro dire convincenti le argomentazioni che vorrebbero le determinazioni conclusive del procedimento – radicalmente diverse da quelle prospettate nella comunicazione di avvio – quale fisiologico risultato dello svolgimento dell’ordinaria attività istruttoria arricchita dalla partecipazione del privato, giacché nella fattispecie le osservazioni presentate dalla sola Powercrop S.r.l. avrebbero invero dato luogo ad un vero e proprio stravolgimento delle impostazioni iniziali e ciò avrebbe quindi richiesto un nuova comunicazione di avvio a favore di chi non poteva prevedere un simile rovesciamento di contenuti, come ammesso in via generale anche dalla circolare ministeriale del 19 novembre 2008; insistono, infine, sull’illogicità ed incomprensibilità di scelte che, anche alla luce delle inconsistenti osservazioni e giustificazioni poste a fondamento del decreto di decisione del ricorso gerarchico, finirebbero per definitivamente sacrificare anziché tutelare l’esigenza di conservazione del valore di contestualizzazione e fruibilità pubblica del complesso storico in questione.
All’udienza del 15 gennaio 2015, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Il Collegio è preliminarmente chiamato a vagliare le eccezioni di inammissibilità dedotte dalle controparti, in particolare per l’asserito difetto di interesse a censurare determinazioni che, lungi dal restringere l’àmbito di tutela del complesso monumentale, in realtà introducono misure di protezione prima inesistenti, ma anche per il denunciato difetto di legittimazione al ricorso in capo a soggetti che, per presentarsi quali meri proprietari di immobili della zona, nessun effettivo pregiudizio addurrebbero per differenziare la loro posizione da quella di qualsiasi consociato. Sennonché, quanto alla prima eccezione, appare evidente come l’obiettivo dei ricorrenti non sia la caducazione sic et simpliciter degli atti impugnati, quanto piuttosto il riesercizio del potere con ampliamento delle misure di «tutela indiretta» ex art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004; quanto, poi, alla legittimazione al ricorso, è noto che l’unitarietà del contesto territoriale di appartenenza di un immobile fa sì che il proprietario dello stesso risenta degli effetti negativi degli atti amministrativi che in vario modo incidono sull’assetto edilizio, urbanistico, paesaggistico od ambientale della zona, da intendersi ivi necessariamente ricomprese anche le misure che, pur dichiaratamente preordinate alla cura dell’integrità o della prospettiva o luce o delle condizioni di ambiente o di decoro dei beni di interesse storico, artistico o archeologico inquadrati in quel contesto, possano tuttavia risultare inidonee allo scopo e di conseguenza tali da alterare taluni tratti distintivi del territorio e da pregiudicare quanti traggono beneficio, anche in termini di valore economico della loro proprietà immobiliare, dalla vicinanza ad un bene culturale salvaguardato nella sua conservazione materiale, nella sua visibilità complessiva e nella sua coerenza con la cornice ambientale in cui è contestualizzato, quindi nella sua piena fruibilità pubblica.
Nel merito, una prima questione è incentrata sulla lamentata discrepanza tra il parere sfavorevole in passato reso dall’Amministrazione nell’àmbito del procedimento di autorizzazione unica regionale alla realizzazione in loco del “Polo energie rinnovabili” e il contenuto, meno rigoroso, delle successive misure di «tutela indiretta» ex art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 oggetto della presenta controversia, discrepanza che rivelerebbe un inammissibile ripensamento dell’avviso negativo in precedenza espresso e concreterebbe al contempo uno sviamento di potere. Secondo il Collegio, tuttavia, si tratta di atti emanati nell’esercizio di poteri diversi e a tutela di interessi solo apparentemente coincidenti, visto che quel parere era stato formulato ai sensi dell’art. 152 del d.lgs. n. 42 del 2004 per tutelare i valori racchiusi in beni di rilievo paesaggistico e che l’atto in questa sede impugnato provvede invece all’adozione di prescrizioni di «tutela indiretta» ex art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 a protezione di immobili ascrivibili alla categoria dei beni di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico; le diverse esigenze da soddisfare, pur con riferimento ad un àmbito territoriale che è pressoché lo stesso e a profili valutativi in parte comuni, conducono quindi all’autonomia dei giudizi e all’indipendenza delle conclusioni, ragion per cui è anche da escludere la configurabilità di uno sviamento di potere, in assenza di precisi e concordanti elementi di prova idonei a dare conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo.
Un ulteriore motivo di doglianza è legato alla circostanza che le prescrizioni dettate ai sensi dell’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 sarebbero il frutto di una radicale modifica di quelle prospettate ai ricorrenti nella comunicazione di avvio del procedimento, sicché sarebbe stato necessario un nuovo avviso dopo che, per effetto dell’esame delle osservazioni presentate dalla società Powercrop S.r.l., l’Amministrazione si era decisa ad un sostanziale ripensamento dell’orientamento iniziale. Sennonché, come la giurisprudenza ha avuto occasione di rilevare (v. Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008 n. 2009), è ben possibile che, successivamente all’avviso ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, lo svolgimento dell’istruttoria faccia emergere elementi favorevoli all’adozione di un provvedimento finale parzialmente difforme da quello in origine ipotizzato – sempreché rientrante nella medesima tipologia e incidente sul medesimo bene – e che il privato rimasto inerte in questa fase si trovi improvvisamente al cospetto di un atto meno favorevole del previsto, senza peraltro potersi egli lamentare di ciò in quanto, pur messo nelle condizioni di partecipare al procedimento e di incidere sull’istruttoria, ha liberamente inteso non giovarsi di una simile facoltà.
Altro capo di doglianze investe il contenuto delle scelte operate dall’Amministrazione, cui i ricorrenti imputano di avere ingiustificatamente ridimensionato le misure di tutela prospettate nella comunicazione di avvio del procedimento di apposizione del vincolo indiretto, con il risultato di vanificare il dichiarato obiettivo della salvaguardia della cornice ambientale e, in generale, della fruibilità pubblica del bene tutelato. Si censura, in particolare, l’incongrua riduzione dell’area interessata dalle prescrizioni, l’errata individuazione delle caratteristiche urbanistico/edilizie del territorio, l’illogica previsione di blandi limiti all’attività edificatoria in loco, l’immotivata diminuzione della fascia di rispetto, la contraddittoria ammissione di nuovi manufatti in un ambito territoriale che si era in precedenza detto del tutto incompatibile con impianti tecnologici.
Va premesso che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’imposizione del “vincolo indiretto” di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l’istruttoria si riveli insufficiente o errata, o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità, anche per l’insussistenza di un’obiettiva proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico. Il vincolo indiretto, inoltre, non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento dell’Amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale protezione del bene principale, fino all’inedificabilità assoluta, se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall’obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un àmbito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante.
Orbene, dal verbale della seduta del Comitato regionale di coordinamento – convocato ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 233 del 2007 – emerge l’iter logico sotteso alla decisione che ha portato al parziale diverso contenuto delle misure di tutela originariamente proposte (“…si sviluppa un approfondito dibattito, riguardante in particolare le prescrizioni di inedificabilità relative all’area identificata alla particella 25 parte, di cui alla lettera a), nella quale è prevista la realizzazione di un impianto bio-gas, collegato funzionalmente con l’impianto bio-masse. Si è osservato in particolare che l’area in questione ha dimensioni ridotte e che verrebbe interessata in modo abbastanza leggero da un impianto tecnologico per la cui realizzazione la recente normativa prevede procedure accelerate di approvazione e il cui progetto, nel caso di specie, è già stato autorizzato (in Conferenza di servizi). Si ipotizza quindi la possibilità di consentire una certa edificabilità nell’area, con l’imposizione di prescrizioni riguardanti i manufatti in questione che garantiscano i valori culturali propri del complesso e che salvaguardino la visuale (decoro, luce, prospettiva), davanti alla villa e nell’area prossima ad essa, attraversata dal viale d’accesso, ad esempio favorendo nell’area la realizzazione di interventi di arte contemporanea … Al termine della discussione, come sintetizza il dott. Fabbroni, si potrebbe estrapolare una parte della particella 25 del Foglio 8 dall’area di inedificabilità, individuando una serie di calibrate prescrizioni riguardanti l’altezza, le superfici, le distanze, i materiali di rivestimento, eccetera, dei manufatti finalizzati all’impianto bio-gas). In proposito si concorda di effettuare in data 20 marzo p.v. un sopralluogo presso il complesso, le cui risultanze verranno allegate al presente verbale …”), per poi esserne derivate in parte qua le seguenti prescrizioni: “ … L’area, identificata con la parte occidentale della particella n. 25 segnata al Foglio n. 8, è delimitata a sud-ovest dalla linea ferroviaria Lugo-Ravenna, a nord dalla via Fiumazzo e ad est e sud-est dal confine ovest con la particella n. 26 segnata al Foglio n. 8 fino all’intersezione con la linea posta a 100 metri dal viale di accesso (indicata nella prescrizione b), il confine dell’area prosegue quindi lungo la linea parallela alla Via Fiumazzo fino all’intersezione con la linea di prosecuzione, in linea retta, del confine ovest tra le particelle nn. 144 e 191 segnate al Foglio n. 7 e lungo questa linea fino all’intersezione con il confine con la particella n. 32 del Foglio n. 8. Nell’area possono essere realizzati manufatti purché in forma non aggregata e tali da non costituire un fronte edilizio, l’altezza massima dei manufatti non potrà superare i metri 11, salvo elementi tecnologici speciali. L’elevato dei nuovi manufatti dovrà essere schermato attraverso la riprofilatura, l’integrazione e la piantumazione della sponda che già insiste lungo la via Fiumazzo …”. Si tratta di prescrizioni che, lungi dal rivelare quanto a parametro di riferimento e a procedimento applicativo l’evidente inattendibilità delle sottostanti operazioni tecniche, si presentano piuttosto come il prodotto di valutazioni opinabili, tali cioè da prestarsi obiettivamente ad una pluralità di risultati in quanto comportanti l’utilizzo di canoni tecnici non univoci, espressione di sensibilità e idee diverse; del resto, come è noto, quando per una valutazione tecnica sono possibili criteri differenti, il giudice non può sostituire il proprio criterio o la propria soluzione a quelli adottati dall’Amministrazione, ma ha solo titolo a verificare che siano stati emanati provvedimenti coerenti con il criterio tecnico assunto e che quest’ultimo non sia assurdo o inaccettabile. In particolare, la scelta di ammettere talune tipologie di costruzioni e di incrementare entro certi limiti le relative dimensioni, così come la disposta riduzione dell’àmbito di area interessata dalle restrizioni, a fronte delle illustrate peculiarità del contesto territoriale interessato (anche per la presenza di pregresse parziali compromissioni dei luoghi) e della significativa visibilità complessiva che viene comunque preservata al complesso monumentale, non appare in sé opzione inconciliabile con la salvaguardia della cornice ambientale del bene protetto, in quanto la diversa graduazione degli interventi edificatori nella zona, per non essere espressione di un criterio tecnico illogico e per non discostarsi dallo stesso – posto che già la comunicazione di avvio del procedimento prefigurava la possibilità di nuove costruzioni e le determinazioni conclusive ne hanno solo diversamente calibrato i limiti in un quadro di perdurante tutela delle fondamentali condizioni di fruibilità e decoro del complesso storico –, appartiene a quella sfera di opinabilità delle valutazioni tecniche che restringe il sindacato giurisdizionale di legittimità ai casi del tutto particolari già indicati. Va altresì sottolineato che l’ampiezza della zona da preservare in via indiretta non può essere determinata aprioristicamente, ma dipende in concreto dalla natura e dalla conformazione del bene direttamente tutelato e dallo stato dei luoghi che lo circondano, per cui può ritenersi che l’estensione sia inadeguata alla corretta cura dell’interesse tutelato solo quando venga dimostrato che il vincolo esclude terreni necessari a contrastare il rischio per l’integrità dei beni culturali, o il danneggiamento della loro prospettiva, o l’alterazione delle loro condizioni di ambiente e di decoro; ma, nella fattispecie, dell’assoluta necessità di una diversa delimitazione dell’area da sottoporre al vincolo non emerge in realtà una prova univoca, restandosi nel campo delle mere convinzioni soggettive e dell’opinabilità delle soluzioni proposte, in un quadro generale di intervento che risulta adeguatamente analizzato nelle sue specifiche caratteristiche.
Quanto, poi, alle censure formulate con l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 10 gennaio 2014, esse riguardano il sopraggiunto decreto di rigetto/inammissibilità del ricorso gerarchico.
Il Collegio ritiene di potere prescindere dalle doglianze che investono la declaratoria di inammissibilità del rimedio per la parte relativa ai ricorrenti (considerati dall’Amministrazione privi di interesse all’impugnativa), giacché il contestuale rigetto del medesimo ricorso e l’articolazione di censure dirette a contestare anche tale esito finisce per trasferire la controversia sul merito della decisione, assorbendo i profili di rito.
Viene imputato inoltre all’Amministrazione di avere giustificato il rigetto con il rinvio ad atti che non sono stati allegati al provvedimento, che per questo si presenterebbe inficiato da difetto di motivazione. E’ noto però che, per costante giurisprudenza, il concetto di disponibilità di cui all’art. 3 delle legge n. 241 del 1990 non comporta che l’atto amministrativo menzionato nel provvedimento debba essere unito imprescindibilmente a quest’ultimo o che il suo contenuto debba essere riportato testualmente nel corpo motivazionale, bensì che esso sia reso disponibile a norma di legge, vale a dire che possa essere acquisito utilizzando l’accesso ai documenti amministrativi (v., ex multis, TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 25 gennaio 2013 n. 166).
Quanto, infine, alla riproposizione delle censure già formulate con l’atto introduttivo della lite, il Collegio non può che rimandare alle considerazioni in precedenza esposte.
Le restanti censure scaturiscono dall’atto di “motivi aggiunti” depositato il 4 luglio 2014.
Quanto, innanzi tutto, alla riproposta questione dell’introduzione di misure di tutela indiretta asseritamente incompatibili con il ben più rigoroso orientamento espresso dall’Amministrazione in sede di procedimento di autorizzazione unica regionale alla realizzazione in loco del “Polo energie rinnovabili”, il Collegio ritiene di dover ribadire che si tratta di atti emanati nell’esercizio di poteri diversi e a tutela di interessi solo apparentemente coincidenti, visto che quel parere era stato formulato ai sensi dell’art. 152 del d.lgs. n. 42 del 2004 per tutelare i valori racchiusi in beni di rilievo paesaggistico e che il nuovo atto provvede invece all’adozione di prescrizioni ex art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004 a protezione di immobili ascrivibili alla categoria dei beni di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. E’ pur vero che l’àmbito territoriale interessato è pressoché lo stesso e che i profili valutativi sono in parte comuni, ma la diversità delle esigenze da soddisfare, secondo un novero di interessi che la legge codifica in modo distinto, determina quell’autonomia di giudizi e quell’indipendenza di conclusioni che, pur eventualmente in presenza di accentuazioni discordi e apprezzamenti variati circa singoli aspetti della cornice ambientale da preservare, escludono in sé un illegittimo agire dell’Amministrazione pubblica.
Quanto, poi, alla lamentata carenza di una nuova comunicazione di avvio del procedimento – asseritamente resa necessaria dalla radicale revisione (per effetto delle osservazioni presentate dalla società Powercrop S.r.l.) delle misure prospettate nell’avviso iniziale –, si è già detto che lo svolgimento dell’istruttoria ben può far emergere indicazioni favorevoli all’adozione di un provvedimento finale parzialmente difforme da quello in origine ipotizzato, sempreché rientrante nella medesima tipologia e incidente sul medesimo bene, condizioni che nella circostanza sussistono. Che poi i ricorrenti fossero rimasti inattivi, giacché soddisfatti dal contenuto delle prescrizioni in principio prospettate, e che la partecipazione degli altri privati abbia invece concorso ad una significativa correzione di quelle soluzioni rappresenta evenienza, non imprevedibile e patologica, di una dialettica procedimentale che i primi erano stati messi in condizione di condividere e che hanno però liberamente rinunciato ad alimentare.
Quanto, infine, alla denunciata illogicità ed incomprensibilità di scelte che, anche alla luce delle inconsistenti osservazioni e giustificazioni poste a fondamento del decreto di decisione del ricorso gerarchico, finirebbero per sacrificare anziché tutelare l’esigenza di conservazione del valore di contestualizzazione e fruibilità pubblica del complesso storico in questione, il Collegio è dell’avviso che, secondo quanto già rilevato, le “prescrizioni” contestate dai ricorrenti perché eccessivamente blande rientrino in realtà in un àmbito di valutazioni che non denunciano palesi incongruenze o travisamenti di fatto, sì da doversi ricondurre le stesse a quella sfera di opinabilità delle soluzioni tecniche che è tipica dei settori in cui non si applicano scienze esatte e quindi non si giunge ad un risultato certo e univoco, ma in cui vengono formulati giudizi connotati da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare il quale non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la manifesta inattendibilità o l’evidente insostenibilità del giudizio tecnico, perché in caso contrario non può il giudice sovrapporre la propria alla valutazione opinabile dell’Amministrazione. Come si è visto, nel caso di specie la diversa graduazione dei limiti di intervento edificatorio nella zona, lungi dall’introdurvi un’indiscriminata liberalizzazione delle attività umane o comunque dall’impedire un’effettiva tutela della cornice ambientale del bene protetto, integra unicamente una delle possibili soluzioni per la salvaguardia indiretta del complesso storico, la cui “misura” resta apprezzabile solo in un àmbito di opportunità dell’azione amministrativa che sfugge al sindacato di legittimità di questo giudice.
In conclusione, il ricorso va respinto.
La peculiarità e la complessità delle questioni esaminate giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 15 gennaio 2015, con l’intervento dei magistrati:
Alberto Pasi, Presidente FF
Ugo Di Benedetto, Consigliere
Italo Caso, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)