Corte costituzionale sent. n. 29 del 3 marzo 2021
Oggetto: Paesaggio - Beni culturali - Norme della Regione Puglia - Turismo rurale - Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 20 del 1998 - Previsione che sono consentiti e fatte salve le caratteristiche architettoniche e artistiche dell'immobile, il consolidamento, il restauro e la ristrutturazione di edifici di interesse storico o artistico, al fine della trasformazione in strutture ricettive - Eventuale ampliamento vincolato alla conservazione e al recupero di manufatti sotterranei preesistenti.
Dispositivo: non fondatezza
SENTENZA N. 29
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a), numeri 2) e 4), e b), della legge della Regione Puglia 9 agosto 2019, n. 43, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale) e interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 12 dicembre 2016, n. 38 (Norma in materia di contrasto agli incendi boschivi e di interfaccia)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato l’8-11 ottobre 2019, depositato in cancelleria il 15 ottobre 2019, iscritto al n. 105 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’avvocato Anna Bucci per la Regione Puglia, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2021.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato l’11 ottobre 2019 e depositato il 15 ottobre 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a), numeri 2) e 4), e b), della legge della Regione Puglia 9 agosto 2019, n. 43, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale) e interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 12 dicembre 2016, n. 38 (Norma in materia di contrasto agli incendi boschivi e di interfaccia)», in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
1.1.– Secondo la difesa statale, la denunciata legge regionale, modificando l’art. 1, commi 2 e 3, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, amplierebbe «considerevolmente, rispetto alla precedente formulazione, la platea degli interventi finora assentibili sui manufatti storici pugliesi», così «confliggendo con le competenze esclusive attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali (e per esso, alle Soprintendenze), dalla parte Seconda» del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
In tal modo, la legge reg. Puglia n. 20 del 1998, come modificata dalle disposizioni impugnate, contrasterebbe con le competenze statali in materia di paesaggio e ambiente e con l’impostatura e la ratio della legislazione statale in materia. Quest’ultima, infatti, pur rimanendo «ferma […] la necessità dell’autorizzazione culturale di cui all’art. 21», non individuerebbe – ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato – gli interventi consentiti sui beni culturali e rimetterebbe alla pianificazione «la vestizione dei vincoli paesaggistici, anche ai fini della disciplina e dell’autorizzazione» prevista dagli artt. 145 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 (d’ora in avanti anche: cod. beni culturali).
La legge reg. Puglia n. 20 del 1998, come risultante a seguito delle denunciate modifiche, permetterebbe, infatti, interventi di particolare rilevanza su immobili vincolati secondo la legislazione statale, vietati prima di detta modifica. Nello specifico, l’art. 1, comma 1, lettera a), della legge reg. Puglia n. 43 del 2019, mediante la soppressione delle parole «“, immutata la volumetria fuori terra esistente” [punto 2] e “i prospetti originari e” [punto 4]» e lettera b), abrogando le parole «da effettuarsi esclusivamente mediante la realizzazione di volumi interrati», consentirebbe «sia interventi fuori terra sia la modifica dei prospetti».
Non varrebbe, a sanare le rilevate censure, il richiamo alla necessaria acquisizione dell’autorizzazione della Soprintendenza, di cui all’art. 1, comma 4, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, in quanto la normativa regionale, peraltro in materia di competenza esclusiva statale, ingenererebbe «confusione e aspettative nell’utenza, indotta a ritenere possibili ampie trasformazioni dell’immobile, a scapito della sua “conservazione” e “integrità”».
Viene inoltre posto in rilievo che le modifiche contrasterebbero con l’iniziale spirito della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, che avrebbe inteso, tanto valorizzare il patrimonio storico artistico rurale, quanto assicurarne la tutela.
1.2.– A supporto delle denunciate violazioni delle competenze statali in materia, l’Avvocatura generale dello Stato richiama il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, che avrebbe tracciato una precisa linea di demarcazione tra le competenze legislative statali e quelle regionali, alla luce del quale la competenza esclusiva statale si configurerebbe «tutte le volte in cui oggetto della disciplina sia un bene tutelato, anche avendo riguardo al “supporto materiale” inciso dalla normativa». In particolare, con la sentenza n. 9 del 2004, questa Corte avrebbe chiarito che rientrerebbe tra le attività da tutelare quella diretta a conservare beni culturali o ambientali, volta, in altri termini, ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale. Limiti questi alla competenza regionale che sarebbero stati ribaditi in molteplici occasioni dalla giurisprudenza costituzionale, di cui il ricorrente dà puntualmente conto.
1.3.– Con specifico riferimento alla tutela del paesaggio, che trova copertura negli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s) Cost., il ricorrente afferma che essa è ascrivibile alla competenza esclusiva statale, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte e del Consiglio di Stato, nell’ambito della tutela dell’ambiente rientrerebbe anche quella del paesaggio, in forza del principio costituzionale della tutela del «“paesaggio-ambiente”» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 14 dicembre 2001, n. 9). Il combinato disposto degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. delineerebbe in modo chiarissimo i valori costituzionali garantiti e gli ambiti di intervento dello Stato e della Regione: entrambi questi profili sarebbero violati dalla disciplina regionale oggetto di gravame.
Così, le disposizioni impugnate violerebbero i principi codificati nel d.lgs. n. 42 del 2004, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza amministrativa. In tal senso, il primato della competenza legislativa statale, per un verso, ossia mediante l’imposizione di vincoli paesistici, garantirebbe la tutela del paesaggio e dell’ambiente e, per l’altro, costituirebbe limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali e ambientali (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 29 gennaio 2013, n. 533). Da ciò deriverebbe che la tutela del paesaggio, concretamente prevista dalla normativa statale, rappresenterebbe un limite non derogabile da parte delle Regioni e delle Province autonome nelle materie urbanistica e edilizia (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 marzo 2017, n. 1183), e, nello specifico, la disciplina contenuta nell’art. 145 cod. beni culturali, in tema di coordinamento della pianificazione paesaggistica, ponendosi quale norma interposta, imporrebbe «la prevalenza della pianificazione paesaggistica non alterabile ad opera della legislazione regionale» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 24 novembre 2015, n. 5325).
Su tali basi la Regione non potrebbe, pertanto, ingerirsi con propri atti in materia di tutela del paesaggio e ridurre il livello di tutela paesaggistica fissato dalla legge statale, e ciò anche al fine di assicurare pari standard di protezione minima in tutto il territorio nazionale.
2.– Con atto depositato il 14 novembre 2019, si è costituita in giudizio la Regione Puglia, chiedendo che siano dichiarate inammissibili e, comunque sia, non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1.– La difesa regionale ritiene, in primo luogo, il ricorso inammissibile, essendo privo di qualsiasi motivazione specifica: il Presidente del Consiglio dei ministri, per un verso, non avrebbe dedotto i termini concreti in forza dei quali le disposizioni impugnate avrebbero violato i parametri costituzionali e le invocate norme interposte; per l’altro, non avrebbe neppure individuato la disciplina statale relativa ai manufatti rurali vincolati, implicati nel caso di specie, che costituirebbe lo standard minimo di tutela violato o derogato in peius dalla denunciata normativa regionale.
Non risulterebbe, inoltre, neppure spiegato in che modo le disposizioni impugnate sarebbero risultate invasive della sfera di competenza dello Stato.
In definitiva, difetterebbero i requisiti minimi atti a consentire l’esame nel merito delle questioni.
2.2.– La resistente ritiene, ad ogni modo, infondate le questioni sotto tutti i profili.
Le questioni sarebbero, infatti, frutto di un errore di prospettiva, in quanto moverebbero dall’erroneo presupposto che le norme regionali impugnate violerebbero i richiamati parametri costituzionali, solo perché consentirebbero interventi prima vietati dalla previgente versione dell’art. 1, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, vale a dire «da una disposizione (tutta e solo regionale)».
2.3.– Deduce, infatti, la Regione che la legge reg. Puglia n. 43 del 2019 è stata adottata per consentire l’utilizzazione turistica, mediante il recupero e la valorizzazione, di diverse strutture e manufatti rurali, diversamente non suscettibili di una effettiva fruizione; ciò in conformità con le norme costituzionali e legislative statali in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici.
Nella legislazione statale non sarebbe contemplato, infatti, alcun divieto assoluto e aprioristico di effettuare gli interventi previsti dalle censurate disposizioni, né sarebbero previsti obblighi di eseguire eventuali ampliamenti solo entroterra, ovvero «prescrizioni di alcun genere».
Ciò risulterebbe con evidenza dagli artt. 20, 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, i quali, al contrario, consentirebbero interventi sui beni culturali e paesaggistici, previa acquisizione dell’autorizzazione del ministero, della sovrintendenza o delle amministrazioni competenti.
Pertanto, non solo il limite rimosso dalle disposizioni censurate non avrebbe trovato alcun referente nella legislazione statale, ma, non indicando quest’ultima «preventivamente gli interventi assentibili sui beni vincolati», la previsione normativa regionale antecedente alla modifica si sarebbe posta, altresì, in contrasto con la sua ratio.
A ciò la Regione aggiunge che le disposizioni censurate non obbligherebbero ad eseguire gli interventi indicati, non offrirebbero una elencazione tassativa ed esauriente di quanto si possa eseguire sui manufatti rurali, né, tantomeno, vincolerebbero «le amministrazioni competenti ad autorizzare ed abilitare tout court ed ex se gli stessi interventi». Esse, al contrario, consentirebbero astrattamente interventi di vario genere su detti beni, i quali potranno essere concretamente eseguiti solo a seguito della verifica di compatibilità con la normativa vincolistica sovraordinata, tra cui quella a tutela dell’ambiente, dei beni culturali e del paesaggio, effettuata dalle preposte autorità, «secondo le disposizioni procedimentali vigenti, che non sono affatto derogate o eluse, ma anzi espressamente richiamate».
2.4.– Sotto altro profilo, la resistente sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa statale, le disposizioni impugnate non contrasterebbero con la ratio della legislazione statale in materia, che rimetterebbe «alla pianificazione regionale la vestizione dei vincoli paesaggistici, anche ai fini della disciplina e del rilascio dell’autorizzazione ex artt. 145 e 146», del d.lgs. n. 42 del 2004, né si porrebbe in contrasto con il principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica.
Infatti, il piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia (d’ora in avanti anche: PPTR), adottato in seguito all’intesa interistituzionale tra Ministero per i beni e le attività culturali e la stessa Regione, contiene al proprio interno le «Linee guida per il recupero la manutenzione e il riuso dell’edilizia e dei beni rurali», che consentirebbero espressamente l’ampliamento dei manufatti rurali, anche al fine di dotarli di servizi igienici.
Tale disciplina, tuttavia, sarebbe stata nei fatti vanificata dalla versione previgente dell’art. 1 della legge regionale n. 20 del 1998: in quanto il «contenuto “impeditivo e restrittivo”» di tale disposizione era di ostacolo alla piena operatività del PPTR, poiché le limitazioni in essa contenute avrebbero impedito il recupero e l’utilizzazione di diverse strutture. Dal che, l’intervento del legislatore regionale, operato mediante la normativa censurata, sarebbe volto a dare effettività alla perseguita valorizzazione dei manufatti rurali per finalità turistiche, richieste dal già richiamato piano paesaggistico.
2.5.– La difesa regionale mette in evidenza, infatti, come l’impostatura restrittiva della legge reg. Puglia n. 20 del 1998 fosse dettata dalla necessità di sopperire all’assenza di una legislazione statale organica sui beni culturali e alla mancanza di uno strumento di pianificazione paesaggistica regionale, al fine di evitare «effetti deleteri sul territorio».
Mutato l’assetto normativo statale, con il cod. dei beni culturali e attuata la pianificazione regionale, con il piano paesistico regionale, nonché, da ultimo, alla luce del «progressivo adeguamento degli strumenti urbanistici comunali di ultima generazione (PUG – piani urbanistici generali) alla legislazione attualmente vigente (LR n. 20/2001)», sarebbe venuta meno la ragion d’essere di «una disposizione ([…] tutta e solo regionale) eccessivamente restrittiva», la quale, peraltro, avrebbe impedito l’operatività di una parte importante del piano paesistico territoriale regionale e avrebbe vanificato la legislazione regionale a supporto del turismo rurale e della valorizzazione dei manufatti rurali. Ciò, anche in considerazione del fatto che la gravata legge regionale n. 43 del 2019 non contrasterebbe affatto con la normativa statale.
2.6.– Secondo la Regione, dal richiamato contesto normativo deriverebbe «la piena legittimità costituzionale della legge regionale in esame», la quale rappresenterebbe uno strumento di valorizzazione dei manufatti rurali del territorio pugliese. La citata legge non contrasterebbe con le esigenze di tutela e conservazione stabilite dal legislatore regionale in attuazione della propria competenza legislativa in materia di «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e organizzazione di attività culturali», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., e sarebbe, altresì, esercizio della potestà residuale regionale in materia di turismo, ai sensi del comma quarto della citata disposizione costituzionale.
2.7.– La resistente deduce, inoltre, che le impugnate disposizioni afferirebbero alla materia della valorizzazione e non a quella della tutela del paesaggio: la seconda atterrebbe alla manutenzione e alla salvaguardia del bene, al fine di garantire, in una dimensione statica, la conservazione nel tempo dell’identità culturale; mentre, la prima, caratterizzata da una natura dinamica, ricomprenderebbe una varietà di azioni ed interventi volti ad «assicurare e sviluppare le potenzialità economiche connesse alla fruizione e ottimizzazione del bene».
In questa prospettiva si sarebbe mosso il legislatore regionale, il quale, nel rispetto «della vincolistica sovraordinata», avrebbe perseguito l’intento di consentire interventi di modificazione dei manufatti, finalizzati soprattutto alle esigenze funzionali o all’adeguamento delle norme igienico-sanitarie, nell’ottica di una effettiva valorizzazione economica del bene culturale e del connesso sviluppo turistico dei luoghi e delle comunità interessate.
Conclusivamente, pertanto, le modifiche apportate dalle disposizioni impugnate consentirebbero un ventaglio maggiore di interventi di trasformazione, in connessione con esigenze tecnico funzionali e igienico-sanitarie, volti a rendere effettiva la valorizzazione dei manufatti rurali per finalità turistiche; ciò nel pieno rispetto dell’ambito di competenza regionale e della sovraordinata normativa costituzionale e statale.
3.– Il 14 settembre 2020, la Regione Puglia ha depositato memoria nella quale ha insistito nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.
4.– In data 15 settembre 2020, anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, con la quale ha risposto alle deduzioni della Regione Puglia, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
4.1.– Preliminarmente la difesa statale ritiene infondata l’eccezione di inammissibilità, poiché – contrariamente a quanto dedotto dalla resistente – nel ricorso sarebbero indicati tanto i parametri costituzionali quanto, come normativa interposta, la Parte Seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio, e il ricorso sarebbe, inoltre, anche adeguatamente motivato attraverso il richiamo alle numerose sentenze sia di questa Corte, sia del Consiglio di Stato.
4.2.– Per quanto riguarda il merito, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la legge reg. Puglia n. 43 del 2019, snaturando le finalità perseguite dalla legge reg. Puglia n. 20 del 1998 (ossia consentire la trasformazione delle costruzioni rurali in strutture ricettizie e incrementare, del pari, la tutela dei manufatti rurali) avrebbe diminuito, in un ambito rientrante nella esclusiva competenza statale, il livello di tutela dei beni culturali e, altresì, riguardo ai beni paesaggistici, avrebbe potenzialmente esteso il novero degli interventi ammessi fuori dai casi previsti dal piano paesaggistico territoriale approvato, nel 2015, previa intesa con lo Stato.
4.3.– Contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, l’intervento normativo oggetto di gravame non sarebbe conforme al PPTR, poiché, consentendo unilateralmente l’aumento delle volumetrie esterne e la modifica dei prospetti, costituirebbe in sé una violazione del piano paesaggistico territoriale e delle intese con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
4.4.– Secondo la difesa statale, decisiva rilevanza per la fondatezza del ricorso andrebbe inoltre riconosciuta alle conseguenze in ordine al riparto di competenze, derivanti dalla distinzione tra tutela e valorizzazione, nella lettura fornita dalla stessa giurisprudenza costituzionale.
Alle regioni, infatti, non sarebbe consentito disciplinare con proprie leggi «gli interventi (tra i quali rientrano anche le destinazioni d’uso) ammissibili sui manufatti» tutelati – poiché tale ambito sarebbe riservato alla competenza esclusiva dello Stato, l’esercizio della quale avrebbe trovato concretizzazione, per i beni culturali, negli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 42 del 2014 e, per i beni paesaggistici, negli artt. 135, 143, 145 e 146 del citato decreto – ma sarebbe riconosciuto solo uno spazio “integrativo”, in funzione dell’eventuale incremento della tutela, non potendo esse incidere su tali prioritarie esigenze di tutela, dettando norme finalizzate alla valorizzazione di detti beni.
4.5.– In definitiva, la normativa regionale impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima perché, disciplinando in via generale e astratta le trasformazioni consentite sui beni tutelati, sarebbe invasiva della competenza esclusiva statale in materia, non valendo a sanare detta illegittimità il richiamo, contenuto nell’art. 1, comma 4, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, alle autorizzazioni previste dal cod. dei beni culturali, il quale, per un verso, sarebbe improntato all’opposto principio che nessuna trasformazione sarebbe ammissibile, salva l’autorizzazione del Ministero e, per l’altro, non si fonderebbe su una predeterminazione, neppure di massima, degli interventi consentiti, essendo, al contrario, privilegiata la necessità di valutare caso per caso le esigenze di tutela del singolo bene culturale.
4.6.– Non spettando alla Regione la disciplina degli interventi astrattamente possibili sui beni culturali vincolati, secondo l’Avvocatura generale, di nessun pregio sarebbe l’affermazione della Regione in base alla quale la norma impugnata non sarebbe costituzionalmente illegittima, poiché non obbligherebbe ad eseguire gli interventi, ma indicherebbe solo semplificativamente e per macro-categorie gli interventi eseguibili. Così come, per le stesse ragioni, e contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, la normativa impugnata farebbe sorgere «aspettative nei soggetti interessati, depotenziando l’azione degli Uffici di tutela».
Non condivisibile sarebbe anche l’ulteriore considerazione della Regione, secondo la quale la legge reg. Puglia n. 43 del 2020 perseguirebbe il fine di consentire l’utilizzazione dei manufatti rurali, impedita nell’effettiva fruizione dalla legge reg. Puglia n. 20 del 1998 nella sua formulazione originaria, poiché, prima delle modifiche qui contestate, l’effettiva fruizione dei beni non era affatto impedita o limitata, in quanto erano vietate solo le trasformazioni particolarmente invasive.
4.7.– Nella cornice della novellata normativa regionale, «un effetto pregiudizievole “espansivo”» avrebbe anche la disposizione sul cambio di destinazione d’uso, poiché quest’ultimo sarebbe oggi consentito anche mediante la realizzazione di ampliamenti fuori terra e modifiche di prospetti. In tal modo la norma risultante dalle modifiche apportate dalla legge reg. n. 43 del 2019 si porrebbe in contrasto con l’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale, invece, impedirebbe di adibire i beni culturali ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico, oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione.
4.8.– Da ultimo, la difesa statale, nella stessa memoria, mette in evidenza come la norma censurata contrasterebbe anche con il principio di leale collaborazione, poiché sarebbe il risultato di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, fuori dal percorso condiviso con lo Stato che ha condotto all’adozione del piano paesaggistico territoriale regionale.
5.– A seguito del rinvio a nuovo ruolo, disposto con decreto del Presidente della Corte costituzionale del 5 ottobre 2020, e della nuova fissazione in udienza pubblica del 26 gennaio 2021 per la discussione del presente giudizio, la Regione Puglia ha depositato un’ulteriore memoria, nella quale ha insistito nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a), numeri 2) e 4), e b), della legge della Regione Puglia 9 agosto 2019, n. 43, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale) e interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 12 dicembre 2016, n. 38 (Norma in materia di contrasto agli incendi boschivi e di interfaccia)», in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
1.1.– L’art. 1, comma 1, lettere a), numero 2, e b), della legge reg. Puglia n. 43 del 2019, è impugnato in quanto abroga, all’art. 1, comma 2, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, le parole «, immutata la volumetria fuori terra esistente» e, all’art. 1, comma 3, della citata legge reg. Puglia, le parole «, da effettuarsi esclusivamente mediante la realizzazione di volumi interrati,»; è impugnato, altresì, l’art. 1, comma 1, lettera a), numero 4, della legge reg. Puglia n. 43 del 2019, poiché abroga, all’art. 1, comma 2, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, le parole «i prospetti originari e».
Nella sostanza le sopra richiamate disposizioni sono censurate in quanto – mediante l’abrogazione espressa di alcune parti di testo – avrebbero consentito interventi di particolare rilevanza su immobili vincolati in base alla legislazione statale e vietati dall’originaria formulazione dalla legge regionale del 1998, così invadendo le competenze statali in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio. Esse, infatti, contrasterebbero con l’impostatura e la ratio della legislazione statale in materia, la quale, pur rimanendo «ferma […] la necessità dell’autorizzazione culturale di cui all’art. 21», non individuerebbe gli interventi consentiti sui beni culturali e rimetterebbe alla pianificazione «la vestizione dei vincoli paesaggistici, anche ai fini della disciplina dell’autorizzazione» prevista dagli artt. 145 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
1.2.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le norme impugnate si porrebbero in contrasto anche con il principio di leale collaborazione, in quanto l’ampliamento degli interventi effettuabili sui beni paesaggistici avrebbe dovuto essere concordato con lo Stato e non determinato unilateralmente dalla Regione, in violazione, peraltro, del Piano paesaggistico territoriale regionale (d’ora in avanti anche PPTR), adottato di intesa tra Stato e Regione Puglia.
Occorre rilevare sin d’ora, però, che la pretesa violazione del principio di leale collaborazione, evocata soltanto nella memoria depositata a ridosso dell’udienza pubblica e non nel ricorso introduttivo del giudizio, è estranea al thema decidendum e la tardività della deduzione ne comporta l’inammissibilità, in quanto – secondo il costante orientamento di questa Corte – «nei giudizi in via principale il thema decidendum è fissato dal ricorso introduttivo, in conformità alla delibera dell’organo politico, e non può essere esteso ad ulteriori profili, né con le memorie presentate in prossimità dell’udienza, né tanto meno nel corso dell’udienza» (sentenza n. 74 del 2012; in senso analogo, fra le molte, anche sentenza n. 272 del 2016).
2.– La difesa regionale ha eccepito l’eccessiva genericità e la non adeguata motivazione delle censure, nonché la carenza della congrua indicazione delle ragioni del contrasto con i parametri evocati.
L’eccezione non può essere accolta.
È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione e di svolgere una motivazione che non sia meramente assertiva; il ricorso deve contenere una specifica indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati e una, sia pur sintetica, argomentazione di merito a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 194 e 25 del 2020, n. 201 del 2018 e n. 32 del 2017).
Nella specie va osservato che l’atto introduttivo contiene una, seppur sintetica, argomentazione di merito a sostegno dell’impugnazione, per cui può ritenersi raggiunta quella «soglia minima di chiarezza e di completezza» (sentenza n. 83 del 2018) che rende ammissibile l’impugnativa proposta (ex plurimis, sentenze n. 194 del 2020 e n. 201 del 2018).
3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
3.1.– Al fine di valutare le censure mosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, è preliminarmente utile esaminare il testo dell’art. 1, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, nelle parti incise dalle modifiche in questa sede contestate. Tale legge regionale ha come finalità (emergente già dal proprio titolo: «Turismo rurale») quella del potenziamento del turismo rurale e il recupero degli immobili situati in aree rurali, nonché la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico-rurale pugliese (così il comma 1).
Il comma 2 di detto articolo, nella versione precedente alle censurate modifiche, statuiva che – immutata la volumetria fuori terra esistente, fatti salvi i prospetti originari e le caratteristiche architettoniche e artistiche dell’immobile – «sono consentiti […] il consolidamento, il restauro e la ristrutturazione di edifici rurali, quali masserie, trulli, torri, fortificazioni e, in genere, antichi manufatti censiti nel catasto agricolo urbano rientranti nel regime giuridico» della legge 1° Giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d’interesse artistico o storico) – ossia, date le modifiche normative succedutesi nel tempo, nel regime giuridico dei beni culturali di cui alla Parte seconda del Codice di settore – o suscettibili di essere assoggettati a tale regime, per essere stati eseguiti da oltre cinquant’anni.
Il comma 3 (anch’esso nella versione precedente alle modifiche introdotte dalla legge reg. Puglia n. 43 del 2019) stabiliva che l’«eventuale ampliamento, da effettuarsi esclusivamente mediante la realizzazione di volumi interrati, deve assicurare la conservazione e il recupero dei manufatti sotterranei preesistenti».
3.2.– Con la legge reg. Puglia n. 43 del 2019 sono state abrogate le parole «immutata la volumetria fuori terra esistente» e «fatti salvi i prospetti originari», di cui all’art. 1, comma 2, della legge reg. n. 20 del 1998, nonché «da effettuarsi esclusivamente mediante la realizzazione di volumi interrati», di cui al comma 3 del medesimo articolo.
In forza di tali modifiche, da un lato, per il consolidamento, il restauro e la ristrutturazione, l’unico limite espressamente previsto è quello di far salve le caratteristiche architettoniche e artistiche dell’immobile, e, dall’altro, è venuto meno il divieto espresso di modificare i prospetti ed effettuare gli ampliamenti fuori terra.
3.3.– Occorre considerare, poi, che la legge reg. Puglia n. 20 del 1998, anche a seguito delle modifiche qui contestate, mantiene ferme sia l’autorizzazione della Soprintendenza per i beni culturali, sia l’autorizzazione paesaggistica per quelli paesaggistici. Dispone, infatti, l’art. 1, comma 4, secondo periodo, che deve essere in ogni caso acquisito il previo nulla osta della Soprintendenza (disposizione che a seguito delle modifiche intervenute deve leggersi come acquisizione dell’autorizzazione di cui all’art. 21, comma 4, cod. dei beni culturali) e per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico il nulla osta previsto dall’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, recante «Protezione delle bellezze naturali» (anche qui, a seguito delle modifiche intervenute, tale disposizione deve leggersi come acquisizione dell’autorizzazione della Regione o dei comuni, previo parere della Soprintendenza, di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004).
4.– Dalla disamina dei contenuti della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, risultanti dalle modifiche qui contestate, si evince come il legislatore pugliese, per un verso, si sia limitato ad eliminare un divieto che si collocava – come messo in evidenza dalla stessa resistente e come si dirà meglio tra breve – in una dimensione tutta e solo regionale e, per l’altro, abbia mantenuto ferma l’espressa previsione che gli interventi sui manufatti rurali restano soggetti all’applicazione della disciplina generale concernente il rilascio e il rispetto delle autorizzazioni previste dalla normativa statale.
Quanto rilevato vale a smentire l’asserito sconfinamento del legislatore regionale nella competenza esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.
4.1.– Il cod. dei beni culturali – per ciò che in questa sede rileva – prevede che «[i] beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione» (così art. 20, comma 1); viene stabilito, inoltre, che «l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all’articolo 20, comma 1» (art. 21, comma 4). In senso analogo il citato codice dispone anche per i beni paesaggistici, prevedendo all’art. 146, comma 1, che «[i] proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione»; gravando su tali soggetti «l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione» (così il comma 2 del citato articolo).
4.2.– Come risulta chiaramente dalle disposizioni richiamate, il sistema normativo dei beni culturali e paesaggistici non contempla i divieti originariamente previsti dall’art. 1, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998 e neppure prevede un divieto aprioristico di compiere interventi sui beni vincolati: gli interventi sono infatti consentiti, a condizione che siano compatibili con il valore culturale e paesaggistico del bene, e tale compatibilità deve essere in concreto accertata mediante il procedimento di autorizzazione.
In altri termini, per un verso, la disciplina statale non è riducibile, sempre e comunque sia, all’immodificabilità assoluta e aprioristica dei beni vincolati; per l’altro, l’astratta possibilità di intervenire sui beni tutelati, nonché i limiti di tale intervento, sono contenuti già nel vincolo gravante sul bene, in funzione della tutela dei valori culturali, storici e paesaggistici che detti beni esprimono.
È, in definitiva, dalla disciplina vincolistica gravante sul bene tutelato che dipendono le possibilità di modifica di tali beni, e la tutela in concreto espressa da detti vincoli può (e deve) propendere verso la più rigida conservazione statica, ovvero verso la più elastica conservazione dinamica, secondo che i valori culturali, storici e paesaggistici si identifichino (e soprattutto dal grado di tale identificazione) con la struttura complessiva, con alcune forme, ovvero solo con singoli elementi del bene vincolato.
Da ciò deriva, del resto, la centralità dell’autorizzazione delle amministrazioni competenti, che è lo strumento volto al controllo della compatibilità degli interventi sul bene tutelato con il valore culturale, storico o paesaggistico espresso dallo stesso, nonché – con il relativo procedimento – la sede deputata al connesso bilanciamento degli interessi che insistono sul bene vincolato; bilanciamento il quale, se e in quanto ontologicamente incompatibile con la logica meramente inibitoria, può concludersi con il rilascio dell’autorizzazione ogni qual volta gli interventi su detti beni non siano suscettibili di incidere sulla conservazione e sulla fruizione pubblica dei valori culturali, storici, ambientali e paesaggistici costituzionalmente tutelati.
5.– Delineato il contenuto normativo dell’art. 1, della legge reg. Puglia n. 20 del 1998, conseguente alle modifiche apportate dalle censurate disposizioni della legge reg. Puglia n. 43 del 2019, e quello della disciplina statale di riferimento, non si configura pertanto l’invasione della competenza legislativa statale denunciata nel ricorso. Ciò, in quanto, per un verso, il legislatore regionale ha rimosso divieti di intervento sui beni vincolati non previsti dal cod. dei beni culturali e, per l’altro, la normativa regionale, anche a seguito delle modifiche in questa sede impugnate, mantiene ferma l’applicazione della disciplina generale concernente il rilascio e il rispetto delle autorizzazioni previste dalla normativa statale, risultando, così, a quest’ultima conforme (in senso analogo, sentenze n. 138 del 2020 e n. 201 del 2018).
6.– Alla luce di tali considerazioni, sono prive di fondamento anche le preoccupazioni espresse dalla difesa statale, ossia che la normativa regionale risultante dalle modifiche contestate ingenererebbe confusione e aspettative nell’utenza sulla possibilità di compiere ampie trasformazioni dei beni tutelati e, quindi, determinerebbe la percezione di una sorta di liberalizzazione incontrollata degli interventi su detti beni.
Sul punto correttamente rileva la difesa regionale che tali preoccupazioni devono considerarsi fugate dal richiamo espresso alla disciplina dell’autorizzazione, che non può far sorgere alcuna aspettativa sulla possibilità di compiere ampie trasformazioni a scapito della conservazione e dell’integrità del bene tutelato.
7.– Le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio di ministri devono in conclusione ritenersi non fondate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a), numeri 2) e 4), e b), della legge della Regione Puglia 9 agosto 2019, n. 43, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 luglio 1998, n. 20 (Turismo rurale) e interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 12 dicembre 2016, n. 38 (Norma in materia di contrasto agli incendi boschivi e di interfaccia)», promosse, in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2021.