Cons. Stato Sez. VI n. 4602 del 16 luglio 2010
Beni Culturali. Alienazione
L’art. 21, secondo comma, del D.P.R. 7 settembre 2000. n. 283, ribadisce, nei confronti degli enti privati privi di fini lucro, l’obbligo, gravante ai sensi del precedente art. 8 sui soggetti che perseguono fini di lucro, di dotarsi delle necessarie autorizzazioni qualora intendano alienare immobili, di loro proprietà, di interesse artistico, e che il potere dell’Amministrazione abbia, in tale fattispecie, il contenuto descritto dal successivo art. 10. Il soprintendente regionale nell’autorizzare l’alienazione di un immobile di interesse storico ha il potere di dettare misure di conservazione del medesimo, mentre le specifiche prescrizioni riguardanti eventuali progetti di intervento edilizio dovranno essere impartite dal soprintendente locale, in risposta all’iniziativa del proprietario.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 04602/2010 REG.DEC.
N. 03212/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso in appello numero di registro generale 3212 del 2005, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali e Soprintendenza ai beni ambientali e del paesaggio di Verona, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
Istituto Salesiano Don Bosco, rappresentato e difeso dagli avv. Paola Campostrini, Bernardino Clementi, Giuseppe Clementi, Pietro Clementi, Giuseppe Gigli, Federica Severino, Maurizio Tolentinati, con domicilio eletto presso l’avv. Giuseppe Gigli in Roma, via G. Pisanelli n. 4;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo del Veneto, Sezione II, n. 00275/2004, resa tra le parti, concernente DICHIARAZIONE INTERESSE STORICO ARTISTICO IMMOBILE DESTINATO A CIVILE ABITAZIONE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2010 il consigliere di Stato Manfredo Atzeni e uditi per le parti l'avvocato dello Stato Maddolo e l'avvocato Gigli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo del Veneto l’Istituto Salesiano Don Bosco in persona del legale rappresentante impugnava, limitatamente al punto c), il provvedimento spedito con lettera prot. 5984 in data 23/10/1983 con il quale il Soprintendente regionale per i beni e le attività culturali del Veneto:
a) aveva dichiarato l’interesse storico artistico dell’immobile denominato “Villa Paronzini” in Verona;
b) aveva approvato la destinazione d’uso ad abitazione;
c) aveva prescritto delle misure di conservazione;
d) aveva autorizzato la cessione dell’immobile, censurando la sua legittimità e chiedendo il suo annullamento.
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale Amministrativo del Veneto, Sezione II, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava il provvedimento impugnato.
Avverso la predetta sentenza insorgono il Ministero per i beni e le attività culturali in persona del Ministro in carica e la Soprintendenza per i beni ambientali e del paesaggio di Verona chiedendo la sua riforma ed il rigetto del ricorso di primo grado.
Si è costituito in giudizio l’Istituto Salesiano Don Bosco in persona del legale rappresentante chiedendo il rigetto dell’appello e riproponendo le censure dedotte in primo grado ed assorbite.
La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 13 aprile 2010.
DIRITTO
A. La controversia riguarda il provvedimento con il quale il Soprintendente regionale per i beni e le attività culturali del Veneto ha dichiarato l’interesse storico artistico dell’immobile denominato “Villa Paronzini” in Verona, di proprietà dell’Istituto, odierno appellato, ed ha autorizzato la sua cessione, nonché la destinazione d’uso ad abitazione; il provvedimento è stato fatto oggetto d’impugnativa nella parte in cui ha prescritto delle misure di conservazione, accolta dai primi giudici con la sentenza in epigrafe.
B. La parte appellata deduce l’inammissibilità del gravame in quanto proposto dalla Soprintendenza ai beni ambientali e del paesaggio di Verona, autorità estranea al rapporto controverso, atteso che il provvedimento impugnato è imputabile alla Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali del Veneto.
L’eccezione non può essere condivisa in quanto l’appello è ammissibile in forza della sua imputazione in capo al Ministero, che incorpora le competenze delle proprie articolazioni locali, ed è comunque irrilevante, come risulterà dal seguito dell’esposizione.
C. I primi giudici hanno accolto l’impugnazione ritenendo inapplicabile, nei confronti dell’odierna appellante, l’art. 10 del D.P.R. 7 settembre 2000, n. 283, (regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico) alla luce del successivo art. 21 secondo comma, non essendo essa persona giuridica privata senza fine di lucro.
L’art. 10 del regolamento citato, intitolato “contenuto dell'autorizzazione” così dispone:
“1. L'autorizzazione non può essere rilasciata qualora l'alienazione pregiudichi la conservazione, l'integrità e la fruizione pubblica del bene ovvero non sia garantita la compatibilità della destinazione d'uso del bene con il suo carattere storico e artistico.
2. L'autorizzazione ad alienare è rilasciata alle condizioni indicate nella richiesta di cui agli articoli 7 e 8 ed approvate dal Soprintendente regionale.
3. L'autorizzazione prescrive:
a) le misure di tutela del bene e, in particolare:
1) le misure di conservazione;
2) l'indicazione degli usi incompatibili con il carattere artistico e storico del bene o pregiudizievoli alla sua integrità;
3) le condizioni di fruizione pubblica, tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso del bene;
4) la previsione, nel contratto di alienazione, della clausola risolutiva espressa di cui all'articolo 11.
4. Per le ipotesi disciplinate dall'articolo 7, l'autorizzazione prescrive altresì la realizzazione, entro il termine indicato nella richiesta, del programma proposto. La valutazione comparativa tra il programma proposto ed altre possibili modalità di valorizzazione del bene è effettuata dal Soprintendente in collaborazione con l'ente richiedente.
5. L'indicazione di cui al comma 3, lettera a), numero 2, non comporta valutazione di compatibilità delle destinazioni d'uso non espressamente menzionate.
6. Nell'atto con il quale è rilasciata l'autorizzazione, il Soprintendente regionale dichiara altresì l'interesse particolarmente importante del bene del quale è stata autorizzata l'alienazione in favore di soggetti diversi da quelli indicati dall'articolo 5, comma 1, del testo unico. Nel provvedimento di dichiarazione sono riportate le misure di tutela prescritte nell'autorizzazione a norma del comma 3.
7. L'autorizzazione e la dichiarazione, su richiesta del Soprintendente regionale, sono trascritte nei registri immobiliari ed hanno efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo, anche ai fini dell'articolo 11 del presente regolamento.
8. La mancata realizzazione del programma di cui all'articolo 7 nel termine indicato nell'autorizzazione costituisce uso del bene incompatibile con il suo carattere storico-artistico.
9. Qualora con la richiesta di autorizzazione siano presentati anche i progetti definitivi delle opere di conservazione e restauro del bene, l'autorizzazione comprende anche l'approvazione dei progetti stessi.
Il successivo art. 21 (modalità particolari di alienazione) così dispone:
“1. Le disposizioni del presente regolamento non si applicano ai trasferimenti tra lo Stato, le regioni, le province e i comuni di beni immobili del demanio artistico e storico.
2. Nelle ipotesi di alienazione di beni appartenenti ai soggetti pubblici non titolari di demanio e alle persone giuridiche private senza fini di lucro, l'autorizzazione è concessa a norma degli articoli 8 e 10.”
L’interpretazione dell’art. 21, secondo comma, del D.P.R. 7 settembre 2000, n. 283, seguita dai primi giudici non è condivisibile.
A seguire il ragionamento esposto nella sentenza appellata, solo gli enti privati che non hanno fini di lucro sarebbero soggetti al regime autorizzatorio disciplinato dai precedenti artt. 8 e 10 all’atto della cessione di immobili di interesse storico ed artistico, mentre gli enti che hanno fini di lucro potrebbero disporre liberamente del proprio patrimonio.
Il Collegio osserva che la disciplina in commento, intesa nel senso fatto proprio dal TAR, risulterebbe priva di logica.
Invero, non è dato comprendere perché un’attività priva di lucro dovrebbe essere ritenuta potenzialmente lesiva dell’interesse alla conservazione del patrimonio storico ed artistico, tanto da imporre il suo assoggettamento ad intervento conformativo, mentre l’attività commerciale verrebbe ritenuta priva di qualsiasi potenzialità lesiva, e quindi lasciata all’iniziativa economica privata.
Afferma quindi il Collegio che l’art. 21, secondo comma, del D.P.R. 7 settembre 2000. n. 283, ribadisce, nei confronti degli enti privati privi di fini lucro, l’obbligo, gravante ai sensi del precedente art. 8 sui soggetti che perseguono fini di lucro, di dotarsi delle necessarie autorizzazioni qualora intendano alienare immobili, di loro proprietà, di interesse artistico, e che il potere dell’Amministrazione abbia, in tale fattispecie, il contenuto descritto dal successivo art. 10.
Di conseguenza, l’intervento dell’appellata è soggetto al regime autorizzatorio di cui ai richiamati artt. 8 e 10 del D.P.R. 7 settembre 2000, n. 283.
D. La fondatezza della censura svolta avverso l’argomentazione seguita dal TAR per accogliere l’impugnazione proposta impone l’esame delle ulteriori censure, dedotte in primo grado, assorbite nella sentenza appellata e nuovamente proposta dalla parte resistente con memoria depositata agli atti del giudizio.
Tra queste, è fondata, ed ha carattere assorbente, la censura con la quale l’appellante sostiene che ai sensi del richiamato art. 10 del D.P.R. 7 settembre 2000, n. 283, (applicabile “ratione temporis” ed il cui contenuto è stato sostanzialmente confermato, per quanto ora interessa, dal D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) il potere del soprintendente regionale si limita alla formulazione di prescrizioni generali, mentre la competenza relativa agli specifici interventi edilizi spetta alla soprintendenza locale.
Invero, la fondatezza della censura è confermata dal testo dell’art. 10, sopra riportato, nella parte in cui circoscrive il contenuto dell’autorizzazione di competenza del soprintendente regionale nell’individuazione delle misure di tutela del bene e, in particolare, delle misure di conservazione, dell'indicazione degli usi incompatibili con il carattere artistico e storico del bene o pregiudizievoli alla sua integrità e delle condizioni di fruizione pubblica, tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso del bene.
La disposizione appena citata non enuncia la volontà di derogare all’ordinario regime di autorizzazione degli interventi edilizi su immobili di interesse storico, ed è evidente che l’interprete non può dare ad essa il significato di una duplicazione di competenze fra soprintendenza regionale e soprintendenza locale, contrario al principio di buon andamento dell’attività amministrativa.
Deve quindi essere concluso che il soprintendente regionale nell’autorizzare l’alienazione di un immobile di interesse storico ha il potere di dettare misure di conservazione del medesimo, mentre le specifiche prescrizioni riguardanti eventuali progetti di intervento edilizio dovranno essere impartite dal soprintendente locale, in risposta all’iniziativa del proprietario.
Giova osservare, con riferimento al caso in esame, che l’appellata ha potuto dimostrare come i progetti di ristrutturazione dell’immobile, presentati dall’acquirente, siano stati sottoposti al vaglio della Soprintendenza di Verona, che li ha espressamente approvati.
E. In conclusione, l’appello deve essere respinto, confermando con diversa motivazione, nei sensi di cui sopra, la sentenza di primo grado.
Le spese devono essere integralmente compensate, in ragione della complessità della controversia.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge confermando, con diversa motivazione, la sentenza di primo grado.
Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Domenico Cafini, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/07/2010