Cass. Sez. III n. 28239 del 20 luglio 2010 (Cc 22 apr. 2010)
Pres. De Maio Est. Amoresano Ric. Testa
Beni Culturali. Impossessamento
Non occorre alcun provvedimento formale che dichiari l’interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di cui il privato sia Stato trovato in possesso. essendo sufficiente un interesse culturale oggettivo, derivante da tipologia , localizzazione, rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziario
UDIENZA del 22.04.2010
SENTENZA N. 651
REG. GENERALE N. 41663/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.
Dott. Guido De Maio Presidente
Dott. Agostino Cordova Consigliere
Dott. Ciro Petti Consigliere
Dott. Aldo Fiale Consigliere
Dott. Silvio Amoresano Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto da:
1) Testa Mario nato il 00.00.0000
- avverso l'ordinanza del 21.7.2009 del Tribunale di Napoli, sez. dist. di Portici
- sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano
- lette le conclusioni del P. G., dr. Antonio Gialanella, che ha chiesto il rigetto del ricorso
OSSERVA
1) Con sentenza in data 25.11.2008 il Tribunale di Napoli, sez. dist. di Portici, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Testa Mario in ordine al reato di cui agli artt.90 e 175 comma 1 lett.b) D.L.vo n.42/2004 perché estinto per prescrizione. Con ordinanza in data 10.2.2009 il G. E. del Tribunale di Napoli, sez. di Portici, rigettava la richiesta proposta in data 6.2.2009 nell'interesse del Testa di restituzione dei reperti ed ordinava il dissequestro dei reperti medesimi e la restituzione degli stessi in favore del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali.
Con ulteriore istanza in data 13.2.2009 il difensore di Testa Mario proponeva incidente di esecuzione per la restituzione di quanto in sequestro.
Assumeva che, a seguito della sentenza di NDP per intervenuta prescrizione, gli oggetti sequestrati andavano restituiti al legittimo possessore, non emergendo la situazione di particolare valore archeologico dei beni e nemmeno se gli stessi fossero originali o meno, e comunque la prova (a carico dell'accusa) della illegittima provenienza.
Con ordinanza in data 21.7.2009, all'esito dell'udienza camerale, il G.E. rigettava la richiesta difensiva, confermando il proprio provvedimento reso in data 10.2.2009. Assumeva che la culturalità dei beni in sequestro era stata accertata dalla competente autorità amministrativa e che dagli atti non emergevano prove certe in ordine alla legittima appartenenza dei reperti al Testa.
2) Propone ricorso per cassazione Testa Mario, a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione agli artt.90, 175 , 10,11,12, 13 D.L.vo 42/2004, 262 e 263 c.p.p..
Il giudice della cognizione prima e quello della esecuzione poi hanno completamente omesso di considerare le acquisizioni probatorie. Dal verbale di sequestro risulta infatti che l'esperta, dopo aver visionato il materiale, lo considerava "verosimilmente autentico" e dal dibattimento era emerso che tale materiale era stato rinvenuto, in cantina, abbandonato (test. M.llo Calabrese).
Non ricorrevano palesemente "la culturalità dei beni in sequestro", non essendo sufficiente la semplice "antiquitas".
Nel giudizio di merito, pur essendo stata dichiarata la prescrizione, era stato accertato che i reperti archeologici (supposti tali) erano stati acquistati dal ricorrente per successione dal fratello Alessandro Testa e che i residui beni sequestrati erano stati ricevuti da tale ingegnere Ravona. Non era quindi esatto che dagli atti non emergessero prove certe della legittima provenienza dei reperti in sequestro (del resto, se così non fosse stato, il giudizio di cognizione si sarebbe concluso con una sentenza di condanna).
Chiede pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1) Il ricorrente era imputato della contravvenzione di cui agli artt.90 e 175 comma 1 lett.b) D.L.vo 22.1.2004 n.42 "perchè , avendo scoperto fortuitamente 17 reperti archeologici ed altre cose - frammenti marmorei, 5 mensole, acquasantiera, pozzo in tiberno secolo XIX, colonna in granito con capitello in piperno secolo XIX - indicate nell'art.10 del medesimo decreto legislativo, ometteva di farne denuncia entro ventiquattrore al soprintendente o al sindaco e se ne impossessava".
Nella sentenza del Tribunale di Napoli sez. di Portici, in composizione monocratica, si dava semplicemente atto che il possesso dei reperti archeologici risaliva a molti anni prima (come emergeva dalle testimonianze Del Gaudio e Borriello), per cui veniva emessa declaratoria di prescrizione del reato.
Non è esatto, quindi, che nel giudizio di cognizione sia stata accertata la legittima provenienza dei reperti in sequestro. E, comunque, il Tribunale non ha ritenuto accertata tale legittima provenienza, altrimenti avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di assoluzione ex art.129 cpv. c.p.p..
3.1.1) Secondo la giurisprudenza consolidata (salvo qualche decisione isolata) di questa Corte, dal momento che il possesso di oggetti di interesse artistico, storico o archeologico (appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato fin dal momento della loro scoperta) deve ritenersi illegittimo, il detentore ha l'onere di dimostrare di averli legittimamente acquistati ai sensi degli artt. 43, 44, 46 L.1.6.1939 n.1089 (cfr. Cass. pen. sez.2 n.12087 del 27.6.1995 - Dal Lago); e, nel caso di declaratoria di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, al fine di ottenere la restituzione delle cose sequestrate, è possibile fornire la prova della legittimità del possesso davanti al giudice dell'esecuzione. A partire infatti dalla L. 20 giugno 1909 n.364 le cose di interesse archeologico scoperte, appartengono allo Stato, per cui è onere del privato dimostrare la legittimità della provenienza dei reperti detenuti (cfr. sez. 3 n.49439 del 4.11.2009; conf. Cass.sez.3 n.24654 del 3.2.2009; Cass. sez.2 n.12716 del 21.11.1997; Cass. sez.4 n.12618 dell' 1.2.2005).
3.1.2) Neppure in sede di incidente di esecuzione il ricorrente ha fornito la prova della legittima provenienza dei reperti sequestrati.
Nell'istanza con cui si proponeva l'incidente, dopo aver sostenuto che "manca peraltro una prova della legittimità della attribuzione al Ministero dei Beni Ambientali e, in mancanza di una prova data dalla pubblica accusa (v. giurisprudenza della Corte di Cassazione: Cass. pen. sez. III, 2.7.2004 n.28929) della illegittimità della provenienza, si affermava apoditticamente che nel giudizio di cognizione vi era, comunque, già la prova della legittima appartenenza.
Né può pretendere il ricorrente di fornire siffatta prova, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.
3.2) Quanto alla "culturalità" dei beni sequestrati, secondo l'indirizzo interpretativo, già formatosi sotto la vigenza dell'abrogato D.L.vo 29.10.1999 n.490 (Cass. sez.3 200347922, Petroni, RV226870; sez,.3, 200145814, Cricelli, RV 220742; Cass. sez.3 200142291, Licciardello, RV 220626) ed anche successivamente con riferimento al D.L.vo 42/04 (Cass. sez.3 n.39109 del 2006, ric. Palombo), per l'impossessamento illecito di beni appartenenti allo Stato, non è necessario che i beni siano qualificati come tali da un formale provvedimento della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della sua natura culturale dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, non essendo richiesto neppure un particolare pregio.
Non occorre quindi alcun provvedimento formale che dichiari l'interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico delle cose di cui il privato sia stato trovato in possesso. Ed è quindi sufficiente "un interesse culturale oggettivo, derivante da tipologia, localizzazione, rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A.. O da una perizia disposta dall'autorità giudiziaria" (Cass.pen.sez.3 n.35226del 28.6.2007 Signorella).
Il G.E. ha accertato, con motivazione adeguata ed immune da vizi, come tale non sindacabile in questa sede, che la "culturalità " dei beni sequestrati è stata acclarata in modo certo. La dr.ssa Guidabaldi Maria Paola, direttrice degli scavi di Ercolano, dichiarava, infatti, autentici i 17 reperti archeologici, inquadrabili nel periodo compreso tra il il IV ed il II secolo avanti Cristo , e la dr.ssa Ascione Gina, direttrice presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli, a sua volta, dichiarava autentico il materiale visionato, inquadrabile nelle produzione marmorea del XIX secolo.
3.3) Correttamente, pertanto, il G.E. ha ritenuto che i reperti in sequestro andassero restituiti al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. Né era necessaria apposita istanza di restituzione da parte di quest'ultimo. Infatti "...il giudice deve disporre la restituzione dei beni in sequestro al Ministero dei beni culturali ed ambientali, tutte le volte che emerga il requisito della "culturalità" di tali reperti e non sussistano le prove circa la legittima provenienza degli stessi al patrimonio del soggetto privato al quale detti beni furono sequestrati, non essendo necessario che l'organo statale avanzi apposita istanza di restituzione" (Cass.pen.sez.3 n.23295 del 28.4.2004 ).
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 22 aprile 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 20 Lug. 2010