Relazioni Penali della Corte di Cassazione n. 1046-2007
BENI CULTURALI
Patrimonio archeologico o artistico nazionale - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato - Reato di cui all\'art. 176 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno - Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da parte di privato - Orientamento di giurisprudenza.
BENI CULTURALI
Patrimonio archeologico o artistico nazionale - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato - Reato di cui all\'art. 176 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno - Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da parte di privato - Orientamento di giurisprudenza.
Testo del Documento
Rel. n. 46/07
Roma, 21 maggio 2007
OGGETTO: 515000 Patrimonio archeologico o artistico nazionale -
Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato -
Reato di cui all\'art. 176 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene
culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno
- Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da
parte di privato - Orientamento di giurisprudenza.
RIF. NORM.: d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 10, 91, 176; d.lgs.
29 ottobre 1999, n. 490, art. 125.
A) I termini della questione
Con segnalazione n. 21 del 19 marzo 2007, l\'Ufficio del Massimario
(redattore A. Montagna) ha evidenziato come all\'interno della terza
sezione della Corte fossero emerse due opzioni diverse in tema di
impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato,
di cui all\'art. 176 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (cosiddetto
"Codice Urbani").
La configurabilita\' di tale reato, molto spesso integrato (o
ritenuto tale) in relazione a casistiche marginali, quali il
possesso ingiustificato di "cocci antichi", ha diviso da sempre la
giurisprudenza e la dottrina, sia sul versante delle modalita\' di
acquisizione della "culturalita\'" del bene, che su quello del regime
probatorio dell\'esonero da responsabilita\'1.
L\'ultima decisione, in materia, della Corte ha originato la
segnalazione di contrasto di cui sopra, in quanto la terza sezione,
nella pubblica udienza del 24 ottobre 2006 con sentenza depositata
il 28 novembre 2006, n. 39109, Palombo, rv. 235410, ha affermato che
ai fini della configurabilita\' del reato di impossessamento illecito
di beni culturali appartenenti allo Stato, di cui all\'art. 176 del
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non e\' necessaria la preesistenza di
un provvedimento che dichiari l\'interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico delle cose delle quali il privato
sia trovato in possesso.
Una pronuncia che si pone in apparente contrasto con il piu\' recente
precedente della stessa sezione, la quale, con decisione del 27
maggio 2004, dep. 2 luglio 2004, n. 28929, Mugnaini, rv. 229491
aveva ritenuto che, per la configurabilita\' del reato di
impossessamento di beni culturali, attualmente previsto dall\'art.
176 del d.lgs. n. 42 del 2004, a differenza delle disposizioni
previgenti di cui all\'art. 67 della legge n. 1089 del 1939 e
all\'art. 125 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e\' necessario che i
beni oggetto materiale del reato siano qualificati come tali in un
formale provvedimento dell\'autorita\' amministrativa, in quanto
rivestano un oggettivo interesse, che risulti eccezionale o
particolarmente importante. La conseguenza era che, qualora si
trattasse di un bene mai denunziato all\'autorita\' competente, doveva
avere inizio, secondo la Corte, il procedimento per la dichiarazione
di interesse culturale, prevista dall\'art. 13 del citato d.lgs. n.
42 del 2004.
La decisione Palombo riprende un orientamento maggioritario,
precedente all\'entrata in vigore del "Codice Urbani", secondo il
quale, per la configurabilita\' del reato di cui all\'art. 125 del
decreto n. 490, non era necessario che i beni fossero stati
qualificati come culturali da un formale provvedimento della
pubblica amministrazione, e cio\' in quanto era ritenuta sufficiente
la desumibilita\' della sua natura culturale dalle stesse
caratteristiche dell\'oggetto, non essendo richiesto un particolare
pregio per i beni culturali di cui all\'art. 1, comma primo, del
citato decreto n. 490 (in tal senso, Sez. III, 25 novembre 2003,
dep. 16 dicembre 2003, n. 47922, Petroni, rv. 226870).
Un interesse culturale oggettivo che, secondo Sez. III, 14 novembre
2001, dep. 24 dicembre 2001, n. 45814, Cricelli, rv. 220742, poteva
essere desunto dalle caratteristiche della res, non solo per il
valore comunicativo spirituale, ma anche per i requisiti peculiari
attinenti alla "tipologia, alla localizzazione, alla rarita\' e ad
altri analoghi criteri"2, e che, inoltre, (Cass., Sez. III 6
novembre 2001, dep. 26 novembre 2001, n. 42291, Licciardello, rv.
220626) non necessitava di una indagine tecnico-peritale, potendo
risultare anche sulla base di quanto accertato e dichiarato dai
competenti organi della pubblica amministrazione.
B) Il quadro normativo precedente e la possibile soluzione della
questione.
La individuazione della scelta interpretativa migliore non puo\' che
partire dal dettato normativo, come modificato dal richiamato
"Codice Urbani"; infatti, l\'art. 10 del d.lgs n. 42 qualifica quali
"beni culturali" le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato
(e ad altri enti territoriali, persone giuridiche pubbliche e
private) che "presentano interesse artistico, storico, archeologico
o etnoantropologico".
I successivi commi 2 e 3 individuano poi gli altri beni qualificati
culturali senza la dichiarazione prevista dal successivo art. 13, o
a seguito di questa, ovvero della dichiarazione che "accerta la
sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell\'interesse
richiesto". Infine, ai sensi dell\'art. 91 le cose indicate nell\'art.
10 appartengono allo Stato da chiunque e in qualunque modo ritrovate
nel sottosuolo o sui fondali marini 3.
Pur tuttavia, la presunzione di culturalita\' che si ricava dal
complesso normativo in questione puo\' essere definita provvisoria,
in quanto le cose ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, che
appartengono allo Stato, sono sottoposte alle disposizioni in tema
di beni culturali sino a quando non sia effettuata la verifica di
culturalita\' prevista dall\'art. 12 dello stesso decreto, al comma 2,
soltanto all\'esito della quale, se positiva, vi e\' la definitiva
sottoposizione alle disposizioni in esame.
Da quanto sopra si ricava che, dopo la entrata in vigore del decreto
n. 42 del 2004, il reato di impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato si verifica, in attesa
dell\'accertamento di culturalita\' di cui all\'art. 12, sin dal
momento del loro fortuito ritrovamento, ma a condizione che
presentino un almeno potenziale interesse culturale. La decisione
Palombo appare cosi\' pienamente giustificata dal nuovo assetto
normativo, che non richiede, per la configurabilita\' del cosiddetto
furto d\'arte, la dichiarazione di culturalita\' (come ritenuto nella
decisione Mugnaini), ma semplicemente un "fumus di culturalita\'" che
ne giustifica la tutela provvisoria in attesa della sua conferma,
con l\'accertamento di culturalita\', o la sua definitiva
liberalizzazione in caso opposto.
C) Gli ulteriori sviluppi della riflessione.
La riflessione si sposta pertanto sulle modalita\' di accertamento di
tale potenziale interesse, ove appare rischioso affidare al giudice,
caso per caso, anche se con l\'ausilio di periti, la valutazione
della rilevanza di oggetti che occorre sapere "contestualizzare" per
non affidarsi al solo valore oggettivo; ma su tale punto non si e\'
giunti, da parte del legislatore, ad un approdo definitivo, per cui
si attende il decisivo contributo giurisprudenziale in merito.
Un contributo che si e\' gia\' acquisito sul diverso versante del
regime della prova della legittimita\' del possesso; infatti, gia\'
nella citata decisione Mugnaini, la prova della illegittima
provenienza dei beni di interesse archeologico, al fine della
configurabilita\' del reato di impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato, anche nella formulazione
dell\'art. 176 del d.lgs. n. 42 del 2004, non e\' posta a carico
dell\'imputato, ma della pubblica accusa.
Sul punto, secondo Sez. III, 16 marzo 2000, dep. 18 maggio 2000, n.
5714, Dulcimascolo4, rv. 216567, dal fatto che la legge n. 1089
del 1939 configurasse un dominio eminente dello Stato sul
sottosuolo archeologico, non poteva desumersi che i privati
proprietari dovessero fornire la prova della legittimita\' della loro
proprieta\' o del possesso; e cio\' in quanto, anche in materia di
possesso di beni archeologici, vigono le normali regole
processuali secondo le quali l\'onere della prova incombe sulla
pubblica accusa e il detentore non e\' tenuto a dare la prova
contraria della legittimita\' della provenienza degli oggetti
detenuti.
In tali situazioni concrete, gia\' fortemente indizianti, la
giurisprudenza ha ulteriormente precisato (Sez. III, 4 maggio 1999,
dep. 7 giugno 1999, n. 7131, Cilia5, rv. 213740), che la omissione
di indicazioni sulla legittimita\' della provenienza puo\' avere
rilievo nel convincimento del giudice per la chiusura del
costrutto probatorio. La stessa sentenza ha avuto modo di affermare
altresi\' che, se dal fatto che le disposizioni in materia, che
accanto alla appartenenza allo Stato delle cose d\'antichita\' e
d\'arte ritrovate prevedono un possesso privato di tali cose, si
dovesse ricavare la clausola implicita che per i beni
archeologici la proprieta\' privata e\' riconosciuta come tale solo
se provata (e nella generalita\' dei casi di proprieta\' diffusa
occorrerebbe provare che essa risale ad epoca anteriore al
1909), il sistema violerebbe sia l\'art. 42 Cost., in quanto
ablativo delle cose mobili di proprieta\' privata per la cui
legittimazione richiederebbe una prova impossibile, sia l\'art. 24
Cost. perche\', quando il possesso costituisce un addebito, la
gravita\' dell\'onere probatorio imposto renderebbe impossibile il
diritto di difesa.
Il sistema, concludeva la Corte, non consente, se letto in aderenza
ai precetti costituzionali, che venga posta a carico del
cittadino la prova della legittimita\' del possesso di oggetti
archeologici, ma e\' l\'accusa che deve dare la prova della
illegittimita\' del possesso, e su questo non puo\' che esservi
convinta adesione.
Redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Domenico Carcano)
1 In dottrina, per un\'ampia trattazione in merito, G. Pioletti,
Commento all\'art. 176, in Il codice dei beni culturali e del
paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004, Il Mulino, pag. 592.
2 In applicazione di tale principio, la Corte ha nell\'occasione
ritenuto la sussistenza del reato con riferimento a "giare" create
tra la fine dell\'Ottocento e i primi del Novecento, ritenute di
interesse storico-etnologico sulla base di valutazione di merito
congrua e, come tale, insindacabile in sede di legittimita\'.
3 Con la loro inclusione nel demanio o nel patrimonio indisponibile
a seconda che si tratti di beni immobili o mobili.
4 Fattispecie in cui la Corte ha affermato che la illegittimita\' del
possesso puo\' essere desunta da altri elementi, quali la
tipologia, la correlazione con riferimenti noti, la condizione
delle cose che denunci il loro recente rinvenimento, il loro
accumulo, il loro occultamento e altre particolarita\' del caso,
ritenendo nel caso specifico la responsabilita\' dell\'imputato per il
numero degli oggetti, risalenti a prima di cristo, e per il loro
pregio.
5Fattispecie relativa a furto archeologico in cui il ricorrente
era stato trovato in possesso di monete e di oggetti metallici,
in numero rilevante ed indifferenziato e con esclusione di
oggetti fittili, gia\' indizianti del rinvenimento mediante
metal-detector, e la cui responsabilita\' e\' stata ritenuta
legittimamente fondata sul comportamento tenuto nel corso
della perquisizione e nella omissione di qualsiasi allegazione
circa la legittimita\' del possesso, in presenza dei detti
elementi indizianti.
4
Rel. n. 46/07
Roma, 21 maggio 2007
OGGETTO: 515000 Patrimonio archeologico o artistico nazionale -
Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato -
Reato di cui all\'art. 176 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 - Bene
culturale - Natura - Provvedimento dichiarativo - Necessita\' o meno
- Regime della prova in ordine alla legittimita\' del possesso da
parte di privato - Orientamento di giurisprudenza.
RIF. NORM.: d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 10, 91, 176; d.lgs.
29 ottobre 1999, n. 490, art. 125.
A) I termini della questione
Con segnalazione n. 21 del 19 marzo 2007, l\'Ufficio del Massimario
(redattore A. Montagna) ha evidenziato come all\'interno della terza
sezione della Corte fossero emerse due opzioni diverse in tema di
impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato,
di cui all\'art. 176 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (cosiddetto
"Codice Urbani").
La configurabilita\' di tale reato, molto spesso integrato (o
ritenuto tale) in relazione a casistiche marginali, quali il
possesso ingiustificato di "cocci antichi", ha diviso da sempre la
giurisprudenza e la dottrina, sia sul versante delle modalita\' di
acquisizione della "culturalita\'" del bene, che su quello del regime
probatorio dell\'esonero da responsabilita\'1.
L\'ultima decisione, in materia, della Corte ha originato la
segnalazione di contrasto di cui sopra, in quanto la terza sezione,
nella pubblica udienza del 24 ottobre 2006 con sentenza depositata
il 28 novembre 2006, n. 39109, Palombo, rv. 235410, ha affermato che
ai fini della configurabilita\' del reato di impossessamento illecito
di beni culturali appartenenti allo Stato, di cui all\'art. 176 del
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non e\' necessaria la preesistenza di
un provvedimento che dichiari l\'interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico delle cose delle quali il privato
sia trovato in possesso.
Una pronuncia che si pone in apparente contrasto con il piu\' recente
precedente della stessa sezione, la quale, con decisione del 27
maggio 2004, dep. 2 luglio 2004, n. 28929, Mugnaini, rv. 229491
aveva ritenuto che, per la configurabilita\' del reato di
impossessamento di beni culturali, attualmente previsto dall\'art.
176 del d.lgs. n. 42 del 2004, a differenza delle disposizioni
previgenti di cui all\'art. 67 della legge n. 1089 del 1939 e
all\'art. 125 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e\' necessario che i
beni oggetto materiale del reato siano qualificati come tali in un
formale provvedimento dell\'autorita\' amministrativa, in quanto
rivestano un oggettivo interesse, che risulti eccezionale o
particolarmente importante. La conseguenza era che, qualora si
trattasse di un bene mai denunziato all\'autorita\' competente, doveva
avere inizio, secondo la Corte, il procedimento per la dichiarazione
di interesse culturale, prevista dall\'art. 13 del citato d.lgs. n.
42 del 2004.
La decisione Palombo riprende un orientamento maggioritario,
precedente all\'entrata in vigore del "Codice Urbani", secondo il
quale, per la configurabilita\' del reato di cui all\'art. 125 del
decreto n. 490, non era necessario che i beni fossero stati
qualificati come culturali da un formale provvedimento della
pubblica amministrazione, e cio\' in quanto era ritenuta sufficiente
la desumibilita\' della sua natura culturale dalle stesse
caratteristiche dell\'oggetto, non essendo richiesto un particolare
pregio per i beni culturali di cui all\'art. 1, comma primo, del
citato decreto n. 490 (in tal senso, Sez. III, 25 novembre 2003,
dep. 16 dicembre 2003, n. 47922, Petroni, rv. 226870).
Un interesse culturale oggettivo che, secondo Sez. III, 14 novembre
2001, dep. 24 dicembre 2001, n. 45814, Cricelli, rv. 220742, poteva
essere desunto dalle caratteristiche della res, non solo per il
valore comunicativo spirituale, ma anche per i requisiti peculiari
attinenti alla "tipologia, alla localizzazione, alla rarita\' e ad
altri analoghi criteri"2, e che, inoltre, (Cass., Sez. III 6
novembre 2001, dep. 26 novembre 2001, n. 42291, Licciardello, rv.
220626) non necessitava di una indagine tecnico-peritale, potendo
risultare anche sulla base di quanto accertato e dichiarato dai
competenti organi della pubblica amministrazione.
B) Il quadro normativo precedente e la possibile soluzione della
questione.
La individuazione della scelta interpretativa migliore non puo\' che
partire dal dettato normativo, come modificato dal richiamato
"Codice Urbani"; infatti, l\'art. 10 del d.lgs n. 42 qualifica quali
"beni culturali" le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato
(e ad altri enti territoriali, persone giuridiche pubbliche e
private) che "presentano interesse artistico, storico, archeologico
o etnoantropologico".
I successivi commi 2 e 3 individuano poi gli altri beni qualificati
culturali senza la dichiarazione prevista dal successivo art. 13, o
a seguito di questa, ovvero della dichiarazione che "accerta la
sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell\'interesse
richiesto". Infine, ai sensi dell\'art. 91 le cose indicate nell\'art.
10 appartengono allo Stato da chiunque e in qualunque modo ritrovate
nel sottosuolo o sui fondali marini 3.
Pur tuttavia, la presunzione di culturalita\' che si ricava dal
complesso normativo in questione puo\' essere definita provvisoria,
in quanto le cose ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, che
appartengono allo Stato, sono sottoposte alle disposizioni in tema
di beni culturali sino a quando non sia effettuata la verifica di
culturalita\' prevista dall\'art. 12 dello stesso decreto, al comma 2,
soltanto all\'esito della quale, se positiva, vi e\' la definitiva
sottoposizione alle disposizioni in esame.
Da quanto sopra si ricava che, dopo la entrata in vigore del decreto
n. 42 del 2004, il reato di impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato si verifica, in attesa
dell\'accertamento di culturalita\' di cui all\'art. 12, sin dal
momento del loro fortuito ritrovamento, ma a condizione che
presentino un almeno potenziale interesse culturale. La decisione
Palombo appare cosi\' pienamente giustificata dal nuovo assetto
normativo, che non richiede, per la configurabilita\' del cosiddetto
furto d\'arte, la dichiarazione di culturalita\' (come ritenuto nella
decisione Mugnaini), ma semplicemente un "fumus di culturalita\'" che
ne giustifica la tutela provvisoria in attesa della sua conferma,
con l\'accertamento di culturalita\', o la sua definitiva
liberalizzazione in caso opposto.
C) Gli ulteriori sviluppi della riflessione.
La riflessione si sposta pertanto sulle modalita\' di accertamento di
tale potenziale interesse, ove appare rischioso affidare al giudice,
caso per caso, anche se con l\'ausilio di periti, la valutazione
della rilevanza di oggetti che occorre sapere "contestualizzare" per
non affidarsi al solo valore oggettivo; ma su tale punto non si e\'
giunti, da parte del legislatore, ad un approdo definitivo, per cui
si attende il decisivo contributo giurisprudenziale in merito.
Un contributo che si e\' gia\' acquisito sul diverso versante del
regime della prova della legittimita\' del possesso; infatti, gia\'
nella citata decisione Mugnaini, la prova della illegittima
provenienza dei beni di interesse archeologico, al fine della
configurabilita\' del reato di impossessamento illecito di beni
culturali appartenenti allo Stato, anche nella formulazione
dell\'art. 176 del d.lgs. n. 42 del 2004, non e\' posta a carico
dell\'imputato, ma della pubblica accusa.
Sul punto, secondo Sez. III, 16 marzo 2000, dep. 18 maggio 2000, n.
5714, Dulcimascolo4, rv. 216567, dal fatto che la legge n. 1089
del 1939 configurasse un dominio eminente dello Stato sul
sottosuolo archeologico, non poteva desumersi che i privati
proprietari dovessero fornire la prova della legittimita\' della loro
proprieta\' o del possesso; e cio\' in quanto, anche in materia di
possesso di beni archeologici, vigono le normali regole
processuali secondo le quali l\'onere della prova incombe sulla
pubblica accusa e il detentore non e\' tenuto a dare la prova
contraria della legittimita\' della provenienza degli oggetti
detenuti.
In tali situazioni concrete, gia\' fortemente indizianti, la
giurisprudenza ha ulteriormente precisato (Sez. III, 4 maggio 1999,
dep. 7 giugno 1999, n. 7131, Cilia5, rv. 213740), che la omissione
di indicazioni sulla legittimita\' della provenienza puo\' avere
rilievo nel convincimento del giudice per la chiusura del
costrutto probatorio. La stessa sentenza ha avuto modo di affermare
altresi\' che, se dal fatto che le disposizioni in materia, che
accanto alla appartenenza allo Stato delle cose d\'antichita\' e
d\'arte ritrovate prevedono un possesso privato di tali cose, si
dovesse ricavare la clausola implicita che per i beni
archeologici la proprieta\' privata e\' riconosciuta come tale solo
se provata (e nella generalita\' dei casi di proprieta\' diffusa
occorrerebbe provare che essa risale ad epoca anteriore al
1909), il sistema violerebbe sia l\'art. 42 Cost., in quanto
ablativo delle cose mobili di proprieta\' privata per la cui
legittimazione richiederebbe una prova impossibile, sia l\'art. 24
Cost. perche\', quando il possesso costituisce un addebito, la
gravita\' dell\'onere probatorio imposto renderebbe impossibile il
diritto di difesa.
Il sistema, concludeva la Corte, non consente, se letto in aderenza
ai precetti costituzionali, che venga posta a carico del
cittadino la prova della legittimita\' del possesso di oggetti
archeologici, ma e\' l\'accusa che deve dare la prova della
illegittimita\' del possesso, e su questo non puo\' che esservi
convinta adesione.
Redattore: Alfredo Montagna
Il vice direttore
(Domenico Carcano)
1 In dottrina, per un\'ampia trattazione in merito, G. Pioletti,
Commento all\'art. 176, in Il codice dei beni culturali e del
paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004, Il Mulino, pag. 592.
2 In applicazione di tale principio, la Corte ha nell\'occasione
ritenuto la sussistenza del reato con riferimento a "giare" create
tra la fine dell\'Ottocento e i primi del Novecento, ritenute di
interesse storico-etnologico sulla base di valutazione di merito
congrua e, come tale, insindacabile in sede di legittimita\'.
3 Con la loro inclusione nel demanio o nel patrimonio indisponibile
a seconda che si tratti di beni immobili o mobili.
4 Fattispecie in cui la Corte ha affermato che la illegittimita\' del
possesso puo\' essere desunta da altri elementi, quali la
tipologia, la correlazione con riferimenti noti, la condizione
delle cose che denunci il loro recente rinvenimento, il loro
accumulo, il loro occultamento e altre particolarita\' del caso,
ritenendo nel caso specifico la responsabilita\' dell\'imputato per il
numero degli oggetti, risalenti a prima di cristo, e per il loro
pregio.
5Fattispecie relativa a furto archeologico in cui il ricorrente
era stato trovato in possesso di monete e di oggetti metallici,
in numero rilevante ed indifferenziato e con esclusione di
oggetti fittili, gia\' indizianti del rinvenimento mediante
metal-detector, e la cui responsabilita\' e\' stata ritenuta
legittimamente fondata sul comportamento tenuto nel corso
della perquisizione e nella omissione di qualsiasi allegazione
circa la legittimita\' del possesso, in presenza dei detti
elementi indizianti.
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