Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2806, del 30 maggio 2014
Beni Ambientali.La tutela del paesaggio non consente l’autorizzazione paesaggistica a sanatoria
L’art. 167, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non consente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica a sanatoria quando il manufatto realizzato in assenza di valutazione di compatibilità abbia determinato la creazione o l’aumento di superfici utili o di volumi”. La premessa, da cui occorre prendere le mosse, è che il paesaggio, come bene oggetto di tutela, non è suscettibile né di reintegrazioni, né di incrementi: ciò giustifica una disciplina particolarmente rigorosa, che è ragionevole ritenere, è stata adottata anche per arginare esperienze pregresse, non pienamente rispettose del disposto dell’art. 9 della Costituzione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02806/2014REG.PROV.COLL.
N. 04808/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4808 del 2009, proposto da:
Trovato Giuseppe, rappresentato e difeso dagli avv. Claudio Linzola e Giuseppe Ramadori, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Marcello Prestinari, 13;
contro
Provincia di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Angela Bartolomeo, con domicilio eletto presso Piero D’Amelio in Roma, via di Porta Pinciana, 6;
Ministero per i beni e le attività culturali ed Ente Gestore Parco Agricolo Sud Milano, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione IV, n. 1762/2009, resa tra le parti, concernente accertamento compatibilità paesaggistica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 3 dicembre 2013 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati Linzola e Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. Giuseppe Trovato è titolare di un allevamento di cavalli sito all’interno del perimetro del Parco Agricolo Milano Sud. Al fine di ampliare le strutture della propria azienda, lo stesso ha edificato, in assenza di titolo edilizio e delle necessarie autorizzazioni, una scuderia, un deposito attrezzi, due tettoie aperte su tre lati ed un porticato.
A seguito della contestazione dell’abuso da parte del Comune, il sig. Trovato ha presentato al Comune di Rosate istanza di permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ritenendo che l’intervento presenti i caratteri della doppia conformità e, contestualmente, ha inoltrato domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica al competente ente gestore del Parco.
Il 23 gennaio 2008 il Parco Agricolo Sud Milano comunicava al sig. Trovato il preavviso di rigetto, che presentava, quindi, le proprie memorie difensive.
Ciononostante, il Parco, con due separati provvedimenti, da un lato certificava la compatibilità paesaggistica delle due tettoie e del porticato e dall’altro denegava identico accertamento con riguardo alla nuova scuderia e al deposito attrezzi, poiché le realizzazioni “pur non creando danno paesaggistico … non rispettano il comma 4 lettera a) dell’art. 167 del d. lgs. 42/2004”.
Il sig. Trovato impugnava pertanto il provvedimento prot. 136231/2.8/05/8155 del 4 marzo 2008 del Parco Agricolo Sud Milano, con il quale si rigettava la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 167 e 181 del d.lgs. n. 42/2004.
2. È pacifico in atti che il ricorrente ha ottenuto l’autorizzazione in sanatoria per tutte quelle opere che non hanno comportato la realizzazione di nuovi volumi (tettoie, porticato etc.).
Al contrario l’Ente Parco ha negato l’ammissibilità della sanatoria con riferimento a quelle specifiche opere che hanno comportato la realizzazione di nuovi volumi.
Il punto nodale della controversia è rappresentato dalla legittimità del diniego dell’accertamento di conformità in presenza della realizzazione di nuovi volumi, anche laddove l’ente preposto alla tutela del vincolo ambientale abbia espresso il proprio parere positivo.
3. In effetti la norma preclude all’Amministrazione la possibilità di procedere ad un accertamento della compatibilità paesaggistica in tale specifica ipotesi, alla luce del combinato disposto degli art. 146 e dei commi 4 e 5 dell’art. 167 del d. lgs. 42/2004, il quale esclude espressamente la possibilità di sanare la realizzazione, in assenza della necessaria autorizzazione, di nuovi volumi.
Il ricorrente sostiene, infatti, che laddove provvedesse, dopo aver demolito il fabbricato in questione, a chiedere il rilascio della necessaria autorizzazione secondo l’iter ordinario previsto per la realizzazione di manufatti in aree soggette a vincolo ambientale, egli potrebbe legittimamente costruire il manufatto di cui è stata intimata la demolizione.
Si otterrebbe, così, a detta di parte ricorrente, l’unico risultato di far gravare sul proprietario delle opere l’onere della loro demolizione e successiva ricostruzione, senza che ciò comporti alcun apprezzabile profilo di tutela dei beni ambientali.
4. La sentenza qui impugnata ha rigettato il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni.
L’istituto dell’accertamento di conformità, infatti (attualmente disciplinato dagli artt. 36 e 45 del T.U. n. 380 del 2001), può eccezionalmente trovare applicazione anche in caso di opere eseguite su aree soggette a vincolo paesaggistico.
In tal caso il rilascio del permesso di costruire in sanatoria rimane comunque subordinato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Poiché, però, tale rilascio deve normalmente intervenire prima dell’inizio dei lavori, tant’è che l’art. 146, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004 perentoriamente stabilisce che l’autorizzazione paesaggistica “non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”, tale disposizione ha limitato la possibilità dell’acquisizione dell’autorizzazione in parola “in sanatoria” alle sole ipotesi di cui ai commi 4 e 5 del successivo art. 167, escludendo che ciò possa avvenire nel caso in cui, come in quello in esame, siano stati illegittimamente realizzati nuovi volumi.
Ciò appare intimamente connesso con la particolare rilevanza costituzionale attribuita ai beni ambientali dal legislatore, in quanto la garanzia degli stessi non sarebbe solo fine a sé stessa, ma anche strumentale alla preservazione di beni fondamentali come la salute e la vita.
Nel confronto tra interesse pubblico all’utilizzazione controllata del territorio e interesse del privato alla sanatoria deve, quindi, ritenersi senz’altro prevalente l’interesse pubblico a che lo stato dei luoghi sia ripristinato.
5. Il giudice di primo grado ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 146 del d. lgs. n. 42 del 2004 rispetto agli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione, ciò in considerazione del rango primario attribuito dalla Costituzione e dalla sensibilità giuridico-sociale al valore paesaggistico, che si ritiene possa essere garantito proprio richiedendo che ogni intervento incidente in modo sostanziale sullo stesso (quale deve qualificarsi la realizzazione di nuovi volumi) sia preceduto da una compiuta valutazione della compatibilità del progetto edificatorio con il contesto ambientale di riferimento, escludendo l’ammissibilità di valutazioni postume, operate laddove l’opera sia stata già realizzata ed il bene già compromesso.
6. Propone ricorso in appello il sig. Giuseppe Trovato deducendo la questione di costituzionalità degli articoli (del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) 167, comma 4, lett. a), limitatamente alle parole “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, e 181, comma 1, ter lett. a), limitatamente alle parole “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
La questione di costituzionalità viene sollevata con riferimento agli art. 3 (sotto un triplice profilo), 97 e 118 della Costituzione.
6.1. Sotto un primo profilo il ricorrente ha evidenziato che la legge prevede la sanabilità per interventi e lavori (che non comportano aumento di volumi e superfici) idonei a vulnerare molto più gravemente il paesaggio (taglio di boschi, chiusura di zone umide, riempimenti di alvei di canali, paludi, etc.) per i quali però la richiesta di accertamento di compatibilità è ammessa.
6.2. Sotto un secondo profilo, in coerenza con quanto previsto anche dall’art. 36 del T.U. dell’edilizia, il codice dei beni culturali e del paesaggio avrebbe dovuto prevedere la “sanatoria”, o quantomeno la possibilità di un accertamento ex post per tutti gli interventi eseguiti su beni paesaggistici.
6.3. Sotto un ultimo profilo la norma è pure intrinsecamente irragionevole per eccesso di rigidità della disciplina. Tale rigidità impedisce all’amministrazione competente di apprezzare liberamente il caso concreto, alla luce delle risultanze di fatto.
6.4. L’articolo 97 della Costituzione prevede che l’azione dei pubblici poteri sia improntata all’economicità e alla proporzionalità di questa rispetto ai fini perseguiti.
Le norme che non consentono l’accertamento di conformità paesaggistica, se non in determinati casi, violano apertamente tali principi, giacché impongono la demolizione di un’opera che potrebbe essere immediatamente riedificata, senza possibilità alcuna di intervento della p.a. in ordine alla verifica della sua compatibilità con l’interesse pubblico alla tutela del paesaggio.
6.5. Urta contro il principio di sussidiarietà il fatto che l’autorità preposta alla gestione dei vincoli ambientali sia “espropriata” del potere di pronunciarsi sulla compatibilità paesaggistica ex post di un manufatto, quando poi spetti a essa il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per il medesimo manufatto, una volta demolito e ricostruito.
7. Il ricorso in appello è infondato.
8. La premessa, da cui occorre prendere le mosse, è che il paesaggio, come bene oggetto di tutela, non è suscettibile né di reintegrazioni, né di incrementi: ciò giustifica una disciplina particolarmente rigorosa, che (è ragionevole ritenere) è stata adottata anche per arginare esperienze pregresse, non pienamente rispettose del disposto dell’art. 9 della Costituzione.
L’argomento di maggior impatto utilizzato dal ricorrente è l’affermata irragionevolezza della previsione legislativa che impone la demolizione di un’opera che potrà essere ricostruita previo rilascio dell’autorizzazione.
Tale impostazione muove, verosimilmente, da numerosi interventi legislativi, che, in vari settori, hanno consentito la sanatoria di situazioni originariamente contra legem. Poiché i predetti provvedimenti legislativi esauriscono la propria efficacia nel limiti di tempo e di oggetto in essi contenuti, essi non possono costituire il fondamento di una situazione soggettiva di generalizzata aspettativa di sanatoria.
La norma della cui costituzionalità si dubita impedisce la sanatoria allorquando vi sia stato un incremento di volumi: la specificità della previsione esclude qualsiasi violazione dell’art. 3 della Costituzione, applicabile solo quando si attribuisca trattamento differenziato a situazioni analoghe.
Né appaiono violate le altre norme della Costituzione in quanto, così come evidenziato nella sentenza impugnata, la finalità della norma è di costituire un più solido deterrente contro gli abusi (al fine di prevenirli) dei privati (verificatisi nel recente passato in dimensioni notevoli sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo), a tutela di beni costituzionalmente protetti.
9. Il Collegio non può quindi che confermare il proprio orientamento di recente espresso (sez. VI, 20 giugno 2013, n. 3373) secondo il quale: “L’art. 167, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non consente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica a sanatoria quando il manufatto realizzato in assenza di valutazione di compatibilità abbia determinato la creazione o l’aumento di superfici utili o di volumi”.
10. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)