Cons. Stato Sez. VI sent. 408 dell\'8 febbraio 2008
Beni Ambientali. Nulla osta paesaggistico

Ai sensi dell’art. 1-quinquies del decreto legge convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431/1985, “le aree e i beni individuati ai sensi dell\'articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1984, sono inclusi tra quelli in cui è vietata, fino all\'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all\'articolo 1-bis, ogni modificazione dell\'assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l\'aspetto esteriore degli edifici”. La giurisprudenza ha ritenuto che la detta norma avesse efficacia retroattiva, volta a dare stabile assetto agli effetti già prodotti dagli atti amministrativi emanati in attuazione dell’art. 2 del D.M. 21.9. 1984 (decreto cd. “Galasso”), ma che gli effetti di tali disposizioni operassero solo nei confronti dei decreti di vincolo pubblicati sulla G.U. prima dell’entrata in vigore della legge n. 431/1985, che ha sottratto al Ministero dei beni culturali e ambientali il potere di imporre vincoli di immodificabilità su aree assistite da tutela paesistica, devolvendo la relativa competenza alle Regioni
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.408/2008
Reg.Dec.
N. 43 Reg.Ric.
ANNO 2003
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 43 del 2003 proposto da Giberti Anna, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ermes Coffrini e Massimo Colarizi ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Panama n.12;
c o n t r o
il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici dell’Emilia-Romagna, in persona dei rispettivi rappresentati legali pro-tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n.12;
e nei confronti
del Comune di Reggio Emilia, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Santo Gnoni ed elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. Gian Marco Grez in Roma, Lungotevere Flaminio n.46;
per l’annullamento
previa sospensione della sua esecuzione, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma n.784/02 in data 12 novembre 2002, resa tra le parti;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visto l\'atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;
viste le memorie delle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
alla pubblica udienza del 30 ottobre 2007, relatore il consigliere Domenico Cafini, uditi l’avvocato Colarizi, l’avv. Chierroni per delega dell’avv. Gnoni e l’avvocato dello Stato Massarelli;.
ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. La sig.ra Anna Giberti, proprietaria di un terreno in località Rivalta del Comune di Reggio Emilia, impugnava, con ricorso (n.52/1999) dinanzi alla sezione di Parma del TAR per l’Emilia Romagna, il provvedimento in data 23.12.1998, con il quale la Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici dell’Emilia Romagna aveva annullato l’atto del detto comune 2.10.1998 n.27453/98, di autorizzazione in favore della ricorrente alla costruzione di un fabbricato d’uso abitazione sito nella menzionata località, nonché il decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali in data 1°.8.1985 ed ogni altro atto connesso e presupposto.
A sostegno del gravame l’istante - dopo avere premesso che il lotto di cui era proprietaria, classificato nel PRG comunale a zona residenziale di completamento, era l’ultimo ancora rimasto inedificato - prospettava, con cinque motivi di diritto, censure di violazione di legge (in particolare, dell’art.1 L. 8.8.1985 n.431 e dell’art. 7 L. n. 241/1990), incompetenza ed eccesso di potere, sotto vari profili, concludendo per l’annullamento degli atti impugnati.
2. Con la sentenza in epigrafe specificata l’adito TAR respingeva il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi ivi dedotti.
3. Avverso tale sentenza è stato interposto l’odierno appello, affidato dalla sig.ra Giberti ai seguenti motivi di diritto:
a) violazione ed erronea applicazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990; travisamento illogicità; in quanto avrebbe errato il TAR nel respingere la censura relativa alla dedotta violazione della citata norma per non essere stato preceduto il contestato annullamento dalla comunicazione dell’avvio del procedimento;
b) violazione ed erronea applicazione dell’art. 151 D.Lgs. 29.10.1999 n. 490 (già art. 1 L. n. 431/1985), con particolare riferimento ai limiti del potere sopraintendentizio di annullamento ministeriale; travisamento; falso presupposto; contraddittorietà; difetto di motivazione; violazione del regime di leale collaborazione tra Stato e Regioni; e ciò, in particolare, perché i primi giudici, al pari della Soprintendenza, avrebbero omesso di considerare le esatte finalità del D.M. 1.8.1985 (cd. Galassino, avente per oggetto “il sistema Cristolo- Rivalta”), con l’aspetto essenziale della sua provvisorietà, e non avrebbero tenuto conto che lo stesso aveva affidato al piano paesistico regionale la individuazione di “una adeguata disciplina d’uso del territorio” e perché, inoltre, avrebbero errato nel ritenere infondate le censure del ricorso originario relative alla non consentita valutazione nel merito effettuata dalla Soprintendenza e al non corretto comportamento della stessa in relazione alla mancata leale collaborazione tra Stato e Regioni o enti delegati;
c) ulteriore profilo di violazione dell’art. 151 D. Lgs 29.10.1999, n. 490; falso presupposto, travisamento, illogicità contraddittorietà; giacchè avrebbe errato il TAR nel ritenere sussistente nell’atto autorizzatorio comunale la mancanza di una adeguata motivazione in ordine alle ragioni di compatibilità effettive dell’intervento edilizio progettato e ai valori paesistici protetti dal vincolo ambientale nello specifico contesto, applicandosi nella specie il principio che la motivazione di un atto è superflua se essa risulta implicitamente dall’istruttoria compiuta;
d) violazione ed erronea applicazione dell’art. 162 D. Lgs. n. 490/1999, nonché, occorrendo, dell’art. 1 ter e 1 quinquies della L. n. 431/1985; illogicità, travisamento e difetto di motivazione (e ciò, con richiamo anche ai primi tre motivi del ricorso di primo grado), non potendosi condividere la tesi del TAR, secondo cui l’art. 162 cit. comporterebbe la salvaguardia dei decreti cd. Galassini, giacchè tale disposizione (transitoria) si riferisce solo ai decreti pubblicati in data anteriore al 6.9.1985.
Nelle conclusioni, l’appellante ha chiesto la riforma della sentenza impugnata con ogni conseguente pronuncia anche in ordine alle spese dei due gradi di giudizio.
Alla camera di consiglio del 21.1.2003 l’istanza incidentale di sospensione della detta sentenza è stata respinta.
Le Amministrazioni appellate, costituitesi in giudizio, hanno controdedotto ai motivi di ricorso con memoria in data 10.10.2007, concludendo per la reiezione del proposto gravame.
La parte appellante, con le due memorie depositate, ha ribadito le tesi già esposte, insistendo per l’accoglimento della propria impugnativa.
4. La causa, infine, su richiesta delle parti, è stata spedita in decisione alla pubblica udienza del 30 ottobre 2007.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la sentenza oggetto dell’odierno appello il TAR per l’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, ha respinto il ricorso proposto dalla sig.ra Giberti per l’annullamento del provvedimento in data 23.12.1998, con il quale la Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici dell’Emilia Romagna ha annullato il provvedimento comunale 2.10.1998 n. 27453/98 di autorizzazione in favore della ricorrente alla costruzione di un fabbricato d’uso abitazione di sua proprietà, nonché il decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali in data 1°.8.1985 (pubblicato sulla G. U. del 18.11.1995) ed ogni altro atto connesso e presupposto.
Nel riconoscere l’infondatezza del gravame, i primi giudici hanno respinto tutti i profili di censura in esso dedotti: sia quello relativo alla inefficacia del vincolo di cui al D.M. 1.8.1985, sia quello secondo cui nel provvedimento contestato l’Amministrazione statale, annullando il provvedimento autorizzatorio comunale, avrebbe effettuato una illegittima valutazione nel merito, sia quello riferito al non corretto comportamento della Soprintendenza per la mancata leale collaborazione tra Stato e Regioni, sia, infine, quello riguardante l’asserita mancata comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7. L . n. 241 del 1990.
2. La sig.ra Giberti, nel criticare, con l’appello in esame, le statuizioni del TAR, rimodula ora, nella sostanza, i rilievi mossi nel giudizio di primo grado, prospettando le specifiche doglianze sopra indicate al punto 3) dell’esposizione in fatto, doglianze che - a prescindere dai possibili profili di inammissibilità che pur sembrano emergere, riproducendo esse, in definitiva, argomentazioni già motivatamente disattese nella sentenza impugnata - non possono essere, tuttavia, condivise dal Collegio.
2.1. Il primo rilievo dell’appello da esaminare (censura di cui al punto 3 a) che precede) si incentra sulla questione della necessità e modalità di comunicazione dell’avviso di avvio di procedimento, ai sensi dell’art.7 della legge n. 241 del 1990, nel caso dell’adozione del provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico, rilasciato dall’autorità regionale o “sub-delegata” (nella specie il Comune di Reggio Emilia) da parte della competente Soprintendenza.
Al riguardo, con riferimento al tempo dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado (datato 23.12.1998), la questione è stata definita dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Sezione nel senso che la detta comunicazione era dovuta e, oltretutto, prevista dall’art. 4 del regolamento approvato con D.M. 13.6.1994, n. 495, (sia pure soppresso, in tale parte, dall’art. 2 del D.M. 19.6.2002, n.165, inapplicabile, però, alla fattispecie “ratione temporis”), pur ammettendo, tuttavia, quale equipollente, la formula di trasmissione al Ministero contenuta nell’autorizzazione stessa (in tal senso, cfr. Sez VI, 3.3.2004, n. 1063, 11.11.2004, n. 7285, 6.9.2005, n. 4552).
Ed invero la Sezione, pur avendo interpretato le disposizioni del regolamento n. 495/1994 nel senso che l’originario richiedente debba essere posto in qualche modo in condizione di sapere che la sua istanza è sottoposta all’esame dell’autorità statale nella nuova fase di controllo (cfr. Sez. VI, nn. 909 e 4546/2000, n.685/2001, n.3233/2001), ha tuttavia ritenuto - nel rispetto di una interpretazione attenta più all’elemento sostanziale della possibile partecipazione che al profilo formale dell’osservanza dell’obbligo della comunicazione di rito - che la comunicazione concernente il passaggio alla fase di controllo può essere effettuata, per le sue finalità, in qualsiasi modo e che la medesima può ammettere atti equipollenti.
Ciò posto, si deve ritenere quindi che l’Amministrazione statale non aveva, nel caso in questione, l’obbligo di trasmettere alla originaria richiedente la comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento di controllo.
E ciò in quanto, a prescindere dalla considerazione che il procedimento aveva avuto inizio a seguito della istanza al Comune di Reggio Emilia della stessa sig.ra Giberti, il detto Comune aveva comunque avvisato l’interessata di avere avviato la fase di controllo statale, fase che quindi la ricorrente ben conosceva e che avrebbe potuto concludersi anche con l’annullamento dell’autorizzazione rilasciata in suo favore nel termine di sessanta giorni.
Infatti, in calce all’autorizzazione comunale del 2.10.1998, annullata con il provvedimento impugnato in primo grado, può leggersi chiaramente: “il presente atto, unitamente alla relativa documentazione, ai sensi dell’art. 1 della L. n. 431/1985, viene trasmesso al Ministero per i beni culturale e ambientali, per il tramite della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Bologna”, atto questo che ha reso certamente edotta l’interessata della successiva fase procedimentale, consentendole di esercitare le facoltà partecipative, e che ha determinato il sorgere del procedimento di competenza statale, con obbligo per la Soprintendenza, dal momento della trasmissione dell’autorizzazione stessa, di portare a termine l’iter di competenza nel previsto termine, non essendo tale procedimento statale né eventuale né disponibile da parte dell’Amministrazione, come del resto, successivamente comprovato dall’art. 148 del D.Lgs. n. 42/2004.
Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall’appellata, la garanzia procedimentale apprestata dall’art. 7 della legge n. 241/1990 può ritenersi soddisfatta nel caso in questione in conseguenza dell’invio anche alla sig.ra Giberti della autorizzazione trasmessa dal Comune di Reggio Emilia alla competente Soprintendenza (autorizzazione di cui peraltro la ricorrente non ha mai negato l’avvenuta ricezione).
2.2. Anche la seconda censura, come precisata al sopra indicato punto 3 b), non può essere condivisa .
In proposito il Collegio deve premettere che, ai sensi dell’art. 1-quinquies del decreto legge convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431/1985, “le aree e i beni individuati ai sensi dell\'articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1984, sono inclusi tra quelli in cui è vietata, fino all\'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all\'articolo 1-bis, ogni modificazione dell\'assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l\'aspetto esteriore degli edifici”, e che la giurisprudenza ha ritenuto che la detta norma avesse efficacia retroattiva, volta a dare stabile assetto agli effetti già prodotti dagli atti amministrativi emanati in attuazione dell’art. 2 del D.M. 21.9. 1984 (decreto cd. “Galasso”), ma che gli effetti di tali disposizioni operassero solo nei confronti dei decreti di vincolo pubblicati sulla G.U. prima dell’entrata in vigore della legge n. 431/1985, che ha sottratto al Ministero dei beni culturali e ambientali il potere di imporre vincoli di immodificabilità su aree assistite da tutela paesistica, devolvendo la relativa competenza alle Regioni (in tal senso, cfr. Sez. VI, 22.12.1993, n. 1022).
La Sezione deve ritenere, tuttavia, che il D.M 1°.8.1985, che qui interessa, non sia decaduto ai sensi del citato art. 1-quinquies.
Infatti le argomentazioni svolte dall’appellante riguardano il vincolo di inedificabilità assoluta, ma non incidono sulla possibilità per il decreto stesso di apporre vincoli di inedificabilità relativa, conseguenti alla dichiarazione del notevole interesse pubblico effettuata dal detto decreto ai sensi dell’art. 1, nn. 3 e 4, della legge n. 1497/1939; dal che la conseguenza che l’attività di trasformazione delle aree in questione deve essere autorizzata ai sensi dell’art. 7 della legge. n. 1497/1939 (in tal senso, cfr. Sez. VI, 19.6.2001, n. 3242).
Il Collegio non ha motivo, dunque, di discostarsi dalle conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza in relazione al rapporto tra il regime vincolistico imposto con i decreti c.d. galassini pubblicati dopo la legge n. 431/1985 e alla pretesa operatività dell’esclusione dalla tutela paesaggistica delle aree comprese nei programmi pluriennali di attuazione, ai sensi dell’art.82, comma 6, del D.P.R. n. 616/1977.
Quanto al primo aspetto, infatti, è sufficiente richiamarsi alle decisioni n.1069/1992 e n.788/1987 di questa Sezione, per ribadire che il D.M. del 1985 ha una duplice valenza: individuazione di località aventi pregio ambientale con la sottoposizione delle stesse al regime di tutela paesistica di cui alla legge n.1497 del 1939 operata dal Ministero per i beni culturali e ambientali in via di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali; applicazione nelle medesime località vincolate di un divieto assoluto e temporaneo di modificazione dei luoghi predetti.
Per quanto attiene al secondo aspetto, il vincolo di inedificabilità assoluta, imposto con il citato decreto sino al 31.12.1985, ha perduto invece efficacia a causa della mancata pubblicazione del decreto di imposizione del vincolo prima dell’entrata in vigore della legge n. 431/1985 (Corte Cost. n. 153/1986) e quindi la dichiarazione delle aree di interesse paesaggistico individuate dallo stesso decreto, emanato dal Ministero in virtù di un concorrente potere statale di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali meritevoli di tutela, mantiene la sua piena efficacia (in tal senso, cfr. Sez. VI, 13.12.1988 n. 1351; 21.7.1990, n. 740; 30.3.1994, n. 450), con ogni conseguenza in ordine al regime di inedificabilità relativa dell’area in questione, la cui attività di trasformazione dovrà essere autorizzata necessariamente ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939.
E ciò risulta peraltro confermato dalla successiva disposizione transitoria di cui all’articolo 162 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), poiché tale disposizione precisa la permanenza del vincolo di inedificabilità assoluta, fino all’approvazione dei piani previsti dall’articolo 149 della stessa legge, soltanto per i decreti pubblicati in data anteriore al 6.9.1985.
Il venir meno del vincolo d’inedificabilità assoluta, per le ragioni sopra indicate, non ha fatto venire meno dunque, come evidenziato dal TAR, l’individuazione delle località aventi pregio ambientale al fine di sottoporle allo stesso regime di tutela paesistica di cui alla legge n. 1497 del 1939, in via di integrazione degli elenchi delle bellezze naturali; e ciò comporta l’applicabilità anche alle località individuate dai decreti cd. Galassini pubblicati, come nel caso in esame, pubblicati posteriormente alla predetta data del 6.9.1985, del regime di inedificabilità relativa, con conseguente obbligo di munirsi della prescritta autorizzazione, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939, per ogni attività di trasformazione edilizia.
2.3.1. Deve essere poi disatteso anche l’ulteriore profilo di censura, dedotto pur’esso nel motivo in esame, con il quale si è criticata la gravata pronuncia per non avere rilevato che la Soprintendenza, con il provvedimento impugnato, aveva compiuto un riesame di merito delle scelte comunali e non aveva rispettato il principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni o enti delegati.
Detto provvedimento, infatti, risulta incentrato essenzialmente nella riscontrata mancanza da parte dell’autorità comunale di ogni spiegazione sul perché l’intervento autorizzato sia compatibile con le peculiarità paesaggistiche dell’area tutelata, anche se viene dato conto delle risultanze della verifica condotta, per quanto di competenza, dalla Soprintendenza stessa; sicchè, in tale situazione, era certamente doveroso, per l’Amministrazione statale, procedere all’annullamento del nulla osta sottoposto al suo esame.
L’annullamento in questione non risulta adottato, dunque, in base a valutazioni di merito, bensì per i riscontrati vizi, nell’autorizzazione comunale sottoposta all’esame della Soprintendenza, dell’eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione e della violazione di legge per contrasto con l’art. 82, comma 3. del D.P.R. n.616/1977; il che è di certo sufficiente a sorreggere l’adottato annullamento (cfr: in tal senso, Sez VI, 3.2.2004, n.331), rientrando nel novero dei vizi di legittimità che l’autorità statale è abilitata a rilevare, esteso a tutti i profili di violazione di legge e di eccesso di potere, ivi compreso il riscontro della presenza di una motivazione e della sua congruenza e ragionevolezza.
Nel caso in esame, l’autorizzazione comunale risulta dunque priva della necessaria motivazione da cui possa emergere, sotto il profilo della legittimità qui in rilievo, non soltanto la ragionevolezza e completezza della valutazione di compatibilità paesaggistica, ma altresì lo stesso preliminare riscontro dell’effettuazione di siffatta valutazione.
Né può soccorrere, al riguardo, il parere della Commissione edilizia integrata, che, come accennato, risulta anch’essa immotivata.
A tali scarne indicazioni si è, in definitiva, conformata integralmente l’annullata autorizzazione, mancando in essa uno svolgimento logico, in fatto ed in diritto, riconoscibile come motivazione enunciante i termini della valutazione eseguita, come correttamente, evidenziato nella decisione impugnata.
2.3. Priva di pregio è anche la successiva doglianza sopra specificata al punto 3 c) dell’esposizione in fatto, secondo la quale avrebbe errato il TAR nel ritenere sussistente nell’atto autorizzatorio comunale la mancanza di una adeguata motivazione in ordine alle ragioni di compatibilità effettive dell’intervento edilizio progettato e i valori paesistici protetti dal vincolo ambientale nello specifico contesto, applicandosi nella specie il principio che la motivazione di un atto è superflua in presenza di una adeguata istruttoria.
Come giustamente evidenziato dal primo giudice, infatti, dalla documentazione prodotta a seguito della disposta istruttoria, è emerso che l\'autorizzazione comunale non conteneva una propria motivazione, facendo riferimento esclusivamente al parere della commissione edilizia integrata, la quale, a sua volta, si è limitata ad apporre il 26.8.1988 solo un timbro con indicazione “parere favorevole”, senza alcuna precisazione o giustificazione; e ciò in violazione del principio che l\'atto autorizzatorio necessario per gli interventi edificatori in zone paesisticamente protette, deve essere adeguatamente motivato in ordine alle ragioni di compatibilità effettive tra le caratteristiche dell\'intervento edilizio progettato ed i valori paesistici protetti dal vincolo ambientale nello specifico contesto in cui si inserisce.
Sotto tale profilo non è censurabile pertanto la sentenza impugnata, che - a prescindere dall’iter istruttorio svoltosi nel procedimento in questione al quale si richiama l’appellante per sostenere in concreto la superfluità di una motivazione specifica - ha ritenuto che il provvedimento della Soprintendenza impugnato evidenziava, in primo luogo, proprio il difetto di motivazione dell\'autorizzazione annullata, non spiegando l’autorità comunale le ragioni della compatibilità dell’intervento autorizzato “con le caratteristiche e le peculiarità paesaggistiche dell\'area tutelata” e non fornendo “esaurienti motivazioni, comunque tali da spiegare il rilascio dell\'autorizzazione ex articolo 7" e, quindi, un profilo di illegittimità dell\'atto autorizzatorio che giustificava pienamente l\'annullamento dello stesso ad opera della Soprintendenza.
2.4. Infine, non può essere positivamente valutata nemmeno la censura sopra specificata al punto 3 d), relativa alla dedotta violazione ed erronea applicazione dell’art. 162 D. Lgs. n.490/1999, oltre che dell’art. 1 ter e 1 quinquies della L. n. 431/1985, e al rilevato eccesso di potere, per illogicità, travisamento e difetto di motivazione, non condividendosi la tesi del TAR, secondo cui l’art. 162 cit. comporterebbe la salvaguardia dei decreti cd. Galassini.
Trattasi, infatti, di argomentazioni nella sostanza già svolte dall’interessata e disattese nel corso dell’esame delle precedenti doglianze; esame in cui è stata evidenziata la correttezza delle statuizioni del TAR con riguardo, in particolare, alla necessaria salvaguardia dei decreti cd. Galassini e alla illegittimità riscontrata, sotto i profili della violazione di legge e dell’eccesso di potere, nel provvedimento annullato dalla Soprintendenza, oggetto dell’impugnativa di primo grado.
3. Per le considerazioni che precedono il ricorso in appello deve essere, in conclusione, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata. La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese per entrambi i gradi di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2007, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l\'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Giuseppe Romeo Consigliere
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Domenico Cafini Consigliere est.
Francesco Caringella Consigliere
Presidente
Giovanni Ruoppolo
Consigliere Segretario

Domenico Cafini Giovanni Ceci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il...08/02/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva


CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa

al Ministero..............................................................................................

a norma dell\'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

Il Direttore della Segreteria