Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 718, del 10 febbraio 2015Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 718, del 10 febbraio 2015
Beni Ambientali.Lavori di miglioria fondiaria finalizzati all’impianto di un vigneto in area con vincolo paesistico.
I lavori di miglioria fondiaria finalizzati all’impianto di un vigneto andavano considerati ex lege senz’altro compatibili con il vincolo paesistico. Il vincolo steso, infatti, pur proteggendo il valore delle “formule ambientali” del “sistema montano” locale, non afferma che la coltivazione della vite vi è incompatibile. Né questo è detto da alcuna previsione di pianificazione paesaggistica. Non è detto che il sistema montano da tutelare impedisca l’impianto di vigneti e di coltivazioni rurali in genere. Non è fuor di luogo osservare che quanto sopra rammentato circa la colture agricole e la tutela del paesaggio risponde ai generali principi di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza: per cui un normale mutamento di coltura, in area agricola come nella specie, non è limitata dagli strumenti di tutela paesaggistica. Resta la questione del gradonamento del terreno, che di suo non rientra nell’esenzione dell’art. 149 del Dlgs 42/2004. Ma la riprofilatura del pendio a gradoni di cui si verte è all’evidenza strumentale all’impianto del vigneto, la quale di suo non è condizionabile: sicché la Soprintendenza avrebbe dovuto esternare ragioni specifiche, autonome rispetto all’impianto, per cui questa modifica del terreno contrastava con il vincolo; mentre invece dalla motivazione manifestata si evince con chiarezza che è il vigneto stesso ad essere (indebitamente) reputato incompatibile con la“naturalità”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00718/2015REG.PROV.COLL.
N. 06890/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6890 del 2014, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e e paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
contro
Maso della Corona società agricola, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Sabrina Fortuna, Barbara Ferrari, con domicilio eletto presso Maria Ida Leonardo in Roma, Via Principessa Clotilde, 2;
nei confronti di
Comune di Caprino Veronese;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 00044/2014, resa tra le parti, concernente diniego autorizzazione paesaggistica
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Maso della Corona società agricola;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Valentina Fico e l'avvocato Francesco Idone per delega dell'avvocato Barbara Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tribunale amministrativo del Veneto n.1763 del 2013 la società agricola Maso della Corona agiva per l’annullamento del provvedimento n. 23519 del 22 agosto 2013 con cui la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Provincie di Verona, Rovigo e Vicenza aveva espresso parere negativo, ostativo all’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di lavori di miglioria fondiaria finalizzati all’impianto di un vigneto su area condotta in locazione dalla ricorrente e del successivo atto del Comune di Caprino Veronese del 20 settembre 2013, con cui veniva comunicato il parere negativo della Soprintendenza e conseguentemente negato il rilascio della stessa autorizzazione paesaggistica; la società chiedeva anche la condanna della Soprintendenza al rilascio del provvedimento e al danno da ritardo.
L’atto negativo era così motivato: “L’intervento proposto, consistente nell’impianto di un vigneto con riprofilatura del pendio a gradoni, è tale da incidere negativamente sull’equilibrio e sull’armonia del contesto sottoposto a tutela, alterando la connotazione montana dei luoghi, caratterizzata da masse forestali e cespugliose alternate a radure con morbidi prati e pascoli, secondo configurazioni ad elevata naturalità di grande pregio”.
La società ricorrente evidenziava invece la compatibilità paesaggistica dell’intervento, già secondo gli uffici del Comune (Commissione comunale per il paesaggio e Responsabile dell’Area tecnica urbanistica e territorio), che avevano rilevato la destinazione agricola dell’area interessata e l’insussistenza di un incisivo impatto della nuova coltura con l’ambito tutelato, stante anche la presenza nelle vicinanze di analoghe coltivazioni e stante anche il giudizio di compatibilità del Servizio Forestale regionale di Verona.
Il Tribunale amministrativo, accoglieva il ricorso con sentenza in forma semplificata per inidoneità e vaghezza e insufficienza della motivazione del parere sfavorevole e carenza di istruttoria: seppure apparentemente articolata e ricognitiva dello stato dei luoghi, non lasciava comprendere le reali ragioni dell’incompatibilità dell’intervento, considerata l‘attuale conformazione dell’ambito con presenza di altre analoghe coltivazioni e la destinazione agricola, come aveva rilevato l’amministrazione comunale e senza che vi sia stata la considerazione (o i motivi del discostamento) dei diversi orientamenti del Comune e del Servizio Forestale.
Avverso la sentenza propone appello il Ministero per i beni e le attività culturali, che deduce quanto segue:
1) ai sensi dell’art. 146, commi 5 e 8, d.lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) la Soprintendenza deve valutare, per ogni intervento di modifica dello stato dei luoghi da realizzare in ambiti sottoposti alle disposizioni di tutela di cui alla Parte III del codice “la compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso”, con riguardo quindi alla immagine visiva del territorio;
2) la zona dell’intervento – località Spiazzi, nel complesso montuoso del Monte Baldo, a circa 800 metri sul livello del mare – è sottoposta a vincolo paesaggistico dal d.m. 16 novembre 1968. Questo contempla la preventiva approvazione di ogni progetto che possa modificare “l’aspetto esteriore della località”, attese “le caratteristiche paesaggistiche di primaria importanza proprie del sistema montano che si sviluppa tra la Val d’Adige ed il lago di Garda con formule ambientali che si sono costituite attraverso i secoli con l’apporto umano e che rappresentano nel caso in oggetto motivi di alto valore ambientale.
Il parere negativo aveva valutato la modifica consistente nell’intervento “consistente nell’impianto di un vigneto con riprofilatura del pendio a gradoni […] tale da incidere negativamente sull’equilibrio e sull’armonia del contesto sottoposto a tutela, alterando la connotazione montana dei luoghi, caratterizzata da masse forestali e cespugliose, alternate a radure con morbidi prati e pascoli, secondo configurazioni ad elevata naturalità di grande pregio”; pertanto, il motivo del diniego, ben argomentato, era che la costruzione artificiale a gradoni su cui far alloggiare il vigneto determinava l’alterazione del luogo, caratterizzato da morbide curve collinari e destinato a prato e pascolo; la creazione di gradoni, con sbancamento e riporto, ben percepibile visivamente, avrebbe modificato totalmente l’andamento morbido del pendio di alta collina e alterato la configurazione plano-altimetrica.
Riguardo a quanto ritenuto dal primo giudice circa i pareri discordanti e positivi, l’Amministrazione appellante deduce che non erano vincolanti e non riguardavano la valenza paesaggistica, profilo che è proprio della sola Soprintendenza e caratterizzato da insindacabile discrezionalità tecnica sulla compatibilità paesaggistica; e che non ha valore il riferimento ad altre analoghe coltivazioni in zona, per di più solo dichiarate e non documentate tanto che la prodotta documentazione fotografica non le evidenzia.
Con ordinanza cautelare n.4414 del 30 settembre 2014 questa VI Sezione sospendeva la sentenza rinviando per il merito alla udienza pubblica del 27 gennaio 2015.
Si è costituita l’appellata società, che deduce:
- la Soprintendenza ha già autorizzato altri impianti di vigneti, in zona circostante e alla stessa altitudine a favore dell’azienda agricola Dose dei Caporai di Angeli Roberto (permesso di costruire del 12 maggio 2009 e autorizzazione paesaggistica del 19 febbraio 2009 n.3234) e a favore della ditta Valmenone società agricola s.s. di Muller Sabine Liselotte (permesso di costruire dell’8 luglio 2001 e autorizzazione paesaggistica dell’8 aprile 2011 n.5771); - il parere favorevole della Commissione comunale per il paesaggio faceva riferimento al fatto su terreni circostanti erano già stati impiantati altri vigneti per cui il versante aveva già i connotati tipici di questa coltura, in sostituzione dei vecchi prati;
- quanto al profilo paesaggistico, l’intervento può essere ammesso perché si riqualifica nella coltura un terreno praticamente ormai incolto, con beneficio anche per il paesaggio e per la godibilità dei luoghi; nella Relazione tecnica-illustrativa del Responsabile Area Tecnica Urbanistica e Territorio del Comune di Caprino Veronese redatta ai sensi dell’art. 146, comma 7, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, si affermava che “già altri terreni sullo stesso versante collinare sono stati trasformati in vigneto al posto dei prati precedenti e che man mano non venivano più coltivati […] l’impatto della nuova coltura non sia lesivo dei valori paesaggistici tutelati dal vincolo[…]..La zona è agricola, pertanto vocata all’attività medesima, tra cui è prevista anche la coltivazione dei vigneti […].non pare esserci una diminuzione della qualità del paesaggio, ma anzi una riqualificazione di terreni che peraltro contrariamente rimarrebbero incolti….come peraltro fatto per i casi vicini […] è necessario imporre prescrizioni a carattere rafforzativo che tutte le scarpate modificate nuove siano inerbite (misura mitigatoria) […] non c’è diminuzione della godibilità del paesaggio […] meritevole di approvazione” (come si evince anche dalla relazione tecnica di parte depositata dalla società appellata alla Soprintendenza).
L’appellata società fa fa presente che il paesaggio è la risultante dell’opera dell’uomo nei secoli e che il paesaggio rurale è pienamente compatibile con il vincolo apposto; insiste per il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 27 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’Amministrazione statale appellante afferma che sua funzione in sede di parere ai sensi dell’art. 146.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 è di valutare la compatibilità paesaggistica di ogni intervento di modifica dello stato dei luoghi nel suo complesso con riguardo alla immagine visiva del territorio. La zona dell’intervento in questione – località Spiazzi, facente nel complesso montuoso del Monte Baldo, a circa 800 metri sul livello del mare – è sottoposta a vincolo paesaggistico dal d.m. 16 novembre 1968, che prevede la preventiva approvazione della Soprintendenza di ogni progetto che possa modificare “l’aspetto esteriore della località”, attese “le caratteristiche paesaggistiche di primaria importanza proprie del sistema montano che si sviluppa tra la Val d’Adige ed il lago di Garda con formule ambientali che si sono costituite attraverso i secoli con l’apporto umano e che rappresentano nel caso in oggetto motivi di alto valore ambientale. Il parere negativo ha ritenuto l’incompatibilità dell’intevento perché il vigneto, con andamento a gradoni, avrebbe modificato la percepibilità esteriore del paesaggio montano (“consistente nell’impianto di un vigneto con riprofilatura del pendio a gradoni […] tale da incidere negativamente sull’equilibrio e sull’armonia del contesto sottoposto a tutela, alterando la connotazione montana dei luoghi, caratterizzata da masse forestali e cespugliose, alternate a radure con morbidi prati e pascoli, secondo configurazioni ad elevata naturalità di grande pregio”). Il motivo del diniego è che la costruzione artificiale a gradoni su cui alloggiare il vigneto determina l’alterazione del luogo, caratterizzato da morbide curve collinari e destinato a prato e pascolo; la creazione di gradoni, con sbancamento e riporto, ben percepibile dal punto di vista visivo, avrebbe modificato totalmente l’andamento morbido del pendio di alta collina a alterato la configurazione plano-altimetrica. È erronea la sentenza che ha rinvenuto il difetto di motivazione sia perché non ha adeguatamente motivato il discostamento dai pareri favorevoli, non aventi valenza paesaggistica, rimessa alla valutazione insindacabile della Soprintendenza, sia perché le altre analoghe coltivazioni sono state solo dichiarate e non documentate.
L’appello è infondato.
Ai sensi dell’art. 146, commi 5 e 8, la Soprintendenza in relazione ad interventi su aree vincolate esprime parere obbligatorio e vincolante in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento.
L’art. 146, comma 7, prevede che l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica effettui gli accertamenti per la conformità dell’intervento proposto rispetto alle prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e trasmette al soprintendente la documentazione presentata dall’interessato, accompagnandola con una relazione tecnica illustrativa nonché con una proposta di provvedimento.
Nella specie, il vincolo amministrativo (imposto con d.m. 16 novembre 1968) relativo alla zona prevede la tutela delle “caratteristiche paesaggistiche di primaria importanza propria del sistema montano”.
L’amministrazione statale ha ritenuto che l’intervento a gradoni, necessario per l’impianto del vigneto, avrebbe comportato l’alterazione dello stato dei luoghi, caratterizzato da curve collinari morbide e dedite al pascolo e prato.
In diritto, va rilevato qui che l’art. 149 (Interventi non soggetti ad autorizzazione), comma 1, lett. b) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) esenta dall’autorizzazione paesaggistica «gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio».
La disposizione ripete il testo dell’art. 152 (Interventi non soggetti ad autorizzazione) d.lgs. 29 ottobre 1999, n, 490 (Testo unico dei beni culturali e ambientali) e quello il testo dell’art. 82, ottavo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, aggiunti dal d.-l. 27 giugno 1985, n. 312 come convertito con modificazioni dall’art. 1 l. 8 agosto 1985, n. 431.
Il significato della disposizione è che – salvo lo speciale caso dei «territori coperti da foreste e da boschi», di cui all’art. 142, comma 1, lett. g) (già art. 146, comma 1, lett. g) d.lgs. n. 490 del 1999, e art. 82, quinto comma, lett. g)d.P.R. n. 616 del 1997, integrato come sopra ricordato) e la sua speciale rilevanza, e per i quali vale comunque l’art. 149, comma 1, lett. c) – l’ordinamento esenta dalla necessità della valutazione di compatibilità paesaggistica, e dunque dalla relativa autorizzazione, gli interventi sulla forma del territorio che siano funzionali alla pratica agronomica o silvicolturale e non comportino opere edilizie o civili né alterino – come di solito è per i movimenti di terra - l’assetto idrogeologico.
Si tratta infatti di modificazioni normali della forma del territorio, inerenti all’usuale pratica agricola anche per le piante da frutto o da legna, e alla parabola di esseri viventi e produttivi delle piante stesse, quand’anche interessino uliveti, vigne, pioppeti, frutteti e simili e dunque abbiano frequenza di rimozione tutt’altro che annuale. Normalmente, infatti, non sono oggetto di uno specifico valore espressamente tutelato dal vincolo paesaggistico e non ne sono elementi identificativi (come invece vuole la legge stessa per i boschi e le foreste). Diversamente opinando si incorrerebbe in una compressione eccessiva delle facoltà proprietarie e si otterrebbe il controproducente effetto di una disincentivazione della pratica agricola, con effetti negativi paradossali sulla buona manutenzione del territorio.
Resta salvo il caso in cui un vincolo paesaggistico sia stato introdotto proprio per salvaguardare una specifica presenza di piantagioni, quali elementi costitutivi essenziali della tipicità di un certo e qualificato paesaggio agrario: del che dev’essere la motivazione del vincolo a descrivere espressamente il rilievo e l’oggetto. In tal caso domina la salvaguardia di un tipo particolare di paesaggio e la compressione delle facoltà agrarie trova base nell’art. 9 Cost., essendo i paesaggi agrari tipici elementi del paesaggio nazionale di particolare pregio.
Non si versa dunque in questa particolare esenzione dell’art. 149, comma 1, lett. b) quando si tratta non già di pratiche agricole o silvicolturali, bensì di interventi su elementi arborei del paesaggio vincolato posti, ad esempio, a ornamento o arredo (es. viali di piante, piante decorative, ecc.): in quel caso la valutazione di compatibilità paesaggistica resta necessaria se la zona è paesisticamente vincolata.
È anche il caso di precisare che queste valutazioni afferiscono alla tutela paesaggistica: la quale non è condizionata, né nell’uno né nell’altro senso, dalla tutela silvicolturale delle piante (che segue i suoi distinti procedimenti amministrativi, ove necessari).
Nel caso di specie ricorre questa esenzione dell’art. 149, comma 1, lett. b).
Consegue da quanto sopra che l’intervento in questione andava considerato ex lege senz’altro compatibile con il vincolo. Il vincolo steso, infatti, pur proteggendo il valore delle “formule ambientali” del “sistema montano” locale, non afferma che la coltivazione della vite vi è incompatibile. Né questo è detto da alcuna previsione di pianificazione paesaggistica. Non è detto che il sistema montano da tutelare impedisca l’impianto di vigneti e di coltivazioni rurali in genere.
Ne consegue che, da parte della Soprintendenza, è difettata qui, a monte, la completezza della indagine sui presupposti per un vaglio paesaggistico.
Non è fuor di luogo osservare che quanto sopra rammentato circa la colture agricole e la tutela del paesaggio risponde ai generali principi di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza: per cui un normale mutamento di coltura, in area agricola come nella specie, non è limitata dagli strumenti di tutela paesaggistica.
Resta la questione del gradonamento del terreno, che di suo non rientra nell’esenzione dell’art. 149. Ma la riprofilatura del pendio a gradoni di cui si verte è all’evidenza strumentale all’impianto del vigneto, la quale di suo non è condizionabile: sicché la Soprintendenza avrebbe dovuto esternare ragioni specifiche, autonome rispetto all’impianto, per cui questa modifica del terreno contrastava con il vincolo; mentre invece dalla motivazione manifestata si evince con chiarezza che è il vigneto stesso ad essere (indebitamente) reputato incompatibile con la“naturalità”. Sussiste pertanto, in questi termini, il vizio di motivazione correttamente ritenuto dal primo giudice.
Non è fuor di luogo rilevare ai suddetti fini che la caratterizzazione agricola in questione bene era stata evidenziata con l’avviso favorevole della Commissione comunale per il paesaggio, che aveva rilevato che “sui terreni circostanti sono già stati impiantati altri vigneti per cui il versante ha già i connotati tipici di questa coltura, in sostituzione dei vecchi prati”; e dall’avviso favorevole del Responsabile dell’Area Tecnica del Comune, che nella Relazione tecnico-illustrativa ai sensi del comma 7 dell’art. 146 affermava che “gli altri terreni sullo stesso versante collinare sono stati trasformati in vigneto al posto dei prati precedenti e che man mano non venivano più coltivati. Per gli interventi anzidetti a suo tempo fu già fatta la valutazione positiva di compatibilità paesaggistica e furono rilasciate le relative autorizzazioni […].La zona è agricola, pertanto vocata all’attività medesima, tra cui è prevista anche la coltivazione dei vigneti”. A questo avviso si aggiungeva che, come per i vicini, era necessario imporre prescrizioni a carattere rafforzativo e misure mitigatorie e che tutte le scarpate modificate nuove dovessero essere quindi inerbite.
Vero è che in tema di autorizzazione paesaggistica la disparità di trattamento è vizio assai difficilmente riscontrabile, atteso il giocoforza diverso impatto sul paesaggio di due progetti, quand’anche simili tra loro (Cons. Stato, VI, 13 febbraio 1984, n. 81; 8 agosto 2000, n. 4345; 24 ottobre 2008, n. 5267; 11 settembre 2013, n. 4497; 5 marzo 2014, n. 1059; 1 aprile 2014, n. 1559). Nondimeno, anche senza invocare la disparità, la mitigazione prescritta andava valutata per la sua positività dal punto di vita della percezione visiva del gradonamento, così come nei documentati casi analoghi: il che non risulta fatto dalla Soprintendenza, evidentemente perché assorbito dall’assunto radicale contrasto del vigneto stesso con il vincolo. Questo realizza, seppure per diverso profilo, il vizio di motivazione già ritenuto in primo grado.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando l’appellata sentenza.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di giudizio del presente grado liquidandole in complessive euro duemila.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)