Consiglio di Stato Sez. IV n. 8260 del 11 settembre 2023
Beni ambientali.Impianti agrivoltaici
Deve ritenersi impropria la valutazione di un progetto agrivoltaico alla stregua dei criteri previsti per gli impianti fotovoltaici, che mal si conciliano con le caratteristiche proprie degli impianti agrivoltaici. Il che non vuol dire che una simile tipologia di impianti debba ritenersi sempre e comunque consentita in deroga al regime vincolistico posto a presidio dei valori paesaggistici ed ambientali ma che le autorità competenti ad esprimere il giudizio di compatibilità debbano necessariamente tenere conto delle peculiarità tecnologiche ed impiantistiche finalizzate ad evitare – o comunque a ridurre fortemente – il consumo di suolo che limita l’utilizzo per fini agricoli e che rappresenta una delle principali finalità di tutela sottese alle prescrizioni limitative di tutela ambientale e paesaggistica. Non rileva dunque la questione meramente nominalistica se l’agrivoltaico rappresenti o meno una species del più ampio genus fotovoltaico, quanto la questione di ordine sostanziale circa la necessità di esprimere il giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica tenendo conto delle concrete ed effettive caratteristiche di tali impianti di ultima generazione nel quadro di una disciplina univocamente orientata nel senso della ricerca di scelte amministrative capaci rendere compatibili interessi pubblici comprimari.
Pubblicato il 11/09/2023
N. 08260/2023REG.PROV.COLL.
N. 00442/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 442 del 2023, proposto dalla Provincia di Brindisi, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Tanzarella, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
contro
Canadian Solar Construction S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Sticchi Damiani, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
Ministero della Transizione Ecologica e Ministero della Cultura, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Regione Puglia, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Tiziana Teresa Colelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Soprintendenza Archeolgica, Belle Arti e Paesaggio Br -Le, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Seconda) n. 01750/2022.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Canadian Solar Construction S.r.l., della Regione Puglia, del Ministero della Cultura e del Ministero della Transizione Ecologica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con nota prot. n. 38935 del 20/12/2019, la società Canadian Solar Construction s.r.l. (d’ora innanzi Canadian) presentava istanza di VIA, per la realizzazione di un “Impianto solare agro-voltaico di 46,99 MW, denominato “Progetto Apulia_Lotto 9 in territorio di Latiano”.
L’Autorità procedente, con nota prot. n. 17956 del 28/05/2021 convocava la seduta decisoria in modalità sincrona della Conferenza di Servizi avente quale ordine del giorno l’espressione del giudizio di compatibilità ambientale del progetto in questione.
Agli atti della Conferenza di Servizi venivano acquisiti i pareri contrari all’intervento del Comune di Latiano, nonché dei Servizi Agricoltura e Paesaggio della Regione Puglia, dell’Autorità Idrica della Regione Puglia, della locale Soprintendenza e di Arpa Puglia.
Pertanto, come risultante dal relativo verbale dalla conferenza emergeva la non compatibilità ambientale dell’intervento in relazione alla tutela del paesaggio ed all’utilizzo di aree agricole.
Di seguito, l’Autorità provinciale con nota prot. n. 24712 del 22/07/2021, ai sensi dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 comunicava all’odierna ricorrente i motivi ostativi all'accoglimento positivo dell’istanza di PAUR.
Avverso il predetto atto Canadian proponeva ricorso dinanzi al T.a.r. per la Puglia sezione staccata di Lecce per chiederne l’annullamento.
Con provvedimento n. 101 del 14/10/2021, la Provincia negava in via definitiva il rilascio del PAUR.
Avverso il predetto provvedimento la società odierna appellata proponeva ricorso per motivi aggiunti chiedendone l’annullamento.
Con sentenza n. 1750 del 4/11/2022, il T.a.r. per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha dichiarato improcedibile il ricorso principale ed accolto i motivi aggiunti proposti dalla Canadian.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento di diniego, muovendo dall’assunto di fondo della netta distinzione sussistente tra gli impianti agrivoltaici e quelli fotovoltaici. Ha conseguentemente rilevato un difetto istruttorio e motivazionale del provvedimento impugnato, indicando al contempo i criteri direttivi per la riedizione del potere.
In particolare, la sentenza del T.a.r. prende le mosse dall’irragionevole automatismo in forza del quale, in assenza di espressi vincoli, le Amministrazioni interessate hanno ritenuto preclusa la possibilità di rilasciare una positiva valutazione ambientale per effetto di una impropria assimilazione degli impianti agrivoltaici e quelli fotovoltaici.
Contro tale decisione la Provincia di Brindisi ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza impugnata articolando sette motivi di doglianza.
Canadian si è costituita nel presente giudizio chiedendo la reiezione del gravame in quanto infondato; ha anche riproposto i motivi di ricorso non esaminati dal T.a.r..
Si sono costituiti in giudizio la Regione Puglia, il Ministero della Transizione ecologica e il Ministero della Cultura, chiedendo l’accoglimento dell’appello.
In vista dell’udienza del 4 maggio 2023 le parti hanno depositato memorie con le quali hanno chiarito e ulteriormente argomentato le rispettive posizioni difensive.
All’udienza pubblica del 4 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione all’esame del Collegio concerne la individuazione del regime normativo applicabile al progetto di realizzazione di un impianto agrivoltaico.
Con il primo mezzo di gravame la Provincia di Brindisi deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, muovendo dalla netta distinzione ontologica tra impianti agrivoltaici e fotovoltaici, trae – a detta della appellante - il successivo corollario del mancato assoggettamento dei primi ai vincoli ed ai limiti ambientali e paesaggistici valevoli per i secondi.
Ad avviso della Provincia tutte le considerazioni di ordine generale contenute nella lunga ed articolata premessa della sentenza impugnata e finalizzate a sostenere la differenziazione tra le tipologie di impianti agrivoltaici e fotovoltaici non sarebbero condivisibili.
Il motivo non è fondato.
L’agrivoltaico è un settore di recente introduzione e in forte espansione, caratterizzato da un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli, a metà tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica, che si sviluppa con l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici, che non impediscono tuttavia la produzione agricola classica.
In particolare, mentre nel caso di impianti fotovoltaici il suolo viene reso impermeabile e viene impedita la crescita della vegetazione, (ragioni per le quali il terreno agricolo perde tutta la sua potenzialità produttiva) nell’agrivoltaico l’impianto è invece posizionato direttamente su pali più alti, e ben distanziati tra loro, in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola.
Per effetto di tale tecnica, la superficie del terreno resta, infatti, permeabile e quindi raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola.
Alla luce di quanto osservato, non si comprende, pertanto, come un impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola (l’agrivolotaico) possa essere assimilato ad un impianto che produce unicamente energia elettrica (il fotovoltaico), ma che non contribuisce, tuttavia, neppure in minima parte, alle ordinarie esigenze dell’agricoltura.
Contrariamente a quanto accade nei progetti che utilizzano la metodica fotovoltaica, infatti, nell’agrivoltaico le esigenze della produzione agricola vengono soddisfatte grazie al recupero, da un punto di vista agronomico, di fondi che versano in stato di abbandono.
L’assunto trova, nel caso di specie, puntuale riscontro nella relazione tecnica, relativa alle peculiarità agro-voltaiche del progetto, depositata nel giudizio di primo grado dalla Canadian, dalla quale si ricava (non essendo smentita da risultanze di segno contrario) che il 94,00% del sito sarà interessato da attività agricole.
Logico corollario della delineata differenza tra impianti agrivoltaici e fotovoltaici è, come correttamente osservato dalla sentenza impugnata, quello secondo cui gli stessi non possono essere assimilati sotto il profilo del regime giuridico, come impropriamente ha fatto la Provincia nel procedimento conclusosi con il provvedimento di PAUR negativo.
In tale direzione è oramai orientata la prevalente giurisprudenza amministrativa di primo grado (cfr., TAR Bari, sent. n. 568/2022; nonché TAR Lecce, sentenze nn. 1799/2022 e 586/22, 1267/22, 1583/22, 1584/22, 1585/22, 1586/22) che ha ripetutamente annullato analoghi dinieghi assunti sulla base di una errata assimilazione dell’agro-voltaico al fotovoltaico.
Nel solco di tali indirizzi intrepretativi della giurisprudenza di primo grado si inscrive anche una recente decisione resa da questa Sezione in sede di appello cautelare (cfr., ord. n. 5480/2022).
Più in generale, il Collegio non condivide l’assunto, contenuto nel parere negativo del Servizio Osservatorio e Pianificazione Paesaggistica della Regione Puglia di cui alla nota prot. n. 5478 del 17.6.2021, secondo cui “Il termine agrifotovoltaico, introdotto dal proponente al fine di giustificare l’intervento, non trova alcun riscontro nella normativa nazionale o regionale”, trovando esso una netta smentita sulla base di una attenta analisi del diritto positivo nazionale ed euro-unitario.
L’art. 3 Reg. UE 2021/241, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (attuato dall’Italia con il d. lgs. n. 77/21), pone tra i sei pilastri del Piano di resilienza (cfr. art. 3 lett. a Reg. cit.) la “transizione verde”. Il successivo art. 4 conferma, quale obiettivo del Piano di resilienza, il sostegno alla: “transizione verde, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi climatici dell'Unione per il 2030 stabiliti nell'articolo 2, punto 11, del regolamento (UE) 2018/1999, nonché al raggiungimento dell'obiettivo della neutralità climatica dell'UE entro il 2050”.
L’All. V al suddetto Reg. UE 2021/241 stabilisce (cfr. punto 2.5) che: “Il piano per la ripresa e la resilienza prevede misure che contribuiscono efficacemente alla transizione verde, compresa la biodiversità, o ad affrontare le sfide che conseguono da tale transizione, e tali misure rappresentano almeno il 37 % dell'assegnazione totale del piano di ripresa e resilienza”.
L’All. VI al suddetto Reg. UE 2021/241 pone come coefficiente di calcolo del sostegno agli obiettivi in materia di cambiamenti climatici quello del 100%, cioè la misura massima assentibile.
L’art. 2.11, Reg. UE 2018/1999, sulla Governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima, afferma testualmente: “obiettivi 2030 dell'Unione per l'energia e il clima»: l'obiettivo vincolante a livello unionale di una riduzione interna di almeno il 40 % delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico rispetto ai livelli del 1990, da conseguire entro il 2030; l'obiettivo vincolante a livello unionale di una quota di energia rinnovabile pari ad almeno il 32 % del consumo dell'UE nel 2030”.
Coerentemente con le predette fonti di regolazione, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia ed il Clima (PNIEC) del dicembre 2019 persegue l’obiettivo generale di accelerare il percorso di decarbonizzazione e favorire l’evoluzione del sistema energetico da un assetto centralizzato ad uno basato principalmente su fonti rinnovabili, proponendosi di superare l’obiettivo del 30% di produzione energetica da tali fonti.
Se ne ricava che obiettivo assolutamente prioritario del PNIEC è quello del passaggio a forme di energie green. Ciò sulla base della considerazione che la politica energetica è strettamente correlata all’azione volta a contrastare il noto fenomeno del riscaldamento globale (global warming).
In linea con tali coordinate, il Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza (PNRR) dedica un apposito settore di intervento all’agrivoltaico. Vi si afferma che il Governo punta all’implementazione: “… di sistemi ibridi agricoltura-produzione di energia che non compromettano l’utilizzo dei terreni dedicati all’agricoltura, ma contribuiscano alla sostenibilità ambientale ed economica delle aziende coinvolte”.
A tal fine, il PNRR ha stanziato 2,6 miliardi di euro in favore delle energie rinnovabili, così ripartiti:
- € 1,1 miliardi destinati all’implementazione dell’agrivoltaico;
- € 1,5 miliardi destinati all’installazione di impianti fotovoltaici sui i tetti degli edifici agricoli.
L’attenzione specifica all’agrivoltaico è poi confermata dall’art. 65 co. 1-quinquies, d.l. n. 1/12, che ammette a finanziamento pubblico gli: “… impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche consentendo l'applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione”.
Il 27 giugno 2022 il Ministero della Transizione Ecologica ha pubblicato le Linee Guida sull’agrivoltaico, le quali recano le seguenti definizioni:
- “Impianto agrivoltaico (o agrovoltaico, o agro-fotovoltaico): impianto fotovoltaico che adotta soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione” (art.1.1. lett d);
- “Impianto agrivoltaico avanzato: impianto agrivoltaico che, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, e ss. mm.:
i) adotta soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche eventualmente consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione;
ii) prevede la contestuale realizzazione di sistemi di monitoraggio che consentano di verificare l’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici” (art. 1.1 lett. e);
- “Sistema agrivoltaico avanzato: sistema complesso composto dalle opere necessarie per lo svolgimento di attività agricole in una data area e da un impianto agrivoltaico installato su quest’ultima che, attraverso una configurazione spaziale ed opportune scelte tecnologiche, integri attività agricola e produzione elettrica, e che ha lo scopo di valorizzare il potenziale produttivo di entrambi i sottosistemi, garantendo comunque la continuità delle attività agricole proprie dell'area” (art. 1.1 lett f).
Alla luce di quanto sin qui osservato, gli impianti agrivoltaici costituiscono una documentata realtà nell’attuale quadro ordinamentale, al punto che il legislatore statale, a certe condizioni, li ammette a finanziamento pubblico.
Il legislatore statale (cfr. art. 20 co. 1 d. lgs. n. 199/21, recante attuazione della direttiva UE 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili) ha espressamente stabilito che: “Con uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili. …”.
In particolare, ai sensi del successivo comma 8 lett. c-quater, si prevede che: “Nelle more dell'individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini di cui al comma 1 del presente articolo: … le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, né ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'articolo 136 del medesimo decreto legislativo. …”.
Il successivo art. 22 co. 1 lett. a) stabilisce che: “nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili su aree idonee, ivi inclusi quelli per l'adozione del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, l'autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l'espressione del parere non vincolante, l'amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione”.
È pertanto di tutta evidenza la volontà del legislatore statale di creare un comune quadro normativo di riferimento, nella consapevolezza che soltanto in tal modo la politica energetica – che pure rientra tra le materie di legislazione concorrente – potrà seguire un indirizzo coerente con i sopra descritti obiettivi comunitari di decarbonizzazione e di neutralità climatica.
Dal che discende, anche sotto il profilo da ultimo esaminato, l’erroneità della riconduzione del progetto in esame all’ambito del fotovoltaico puro, come invece hanno fatto la Regione, la Provincia e la stessa Soprintendenza.
Del resto, come puntualmente rilevato nella sentenza impugnata, la stessa Regione Puglia, con DGR n. 1424/18, di aggiornamento del Piano energetico Ambientale Regionale (PEAR), ha dichiarato di voler adottare: “una strategia per l’utilizzo controllato del territorio anche a fini energetici facendo ricorso a migliori strumenti di classificazione del territorio stesso, che consentano l’installazione di impianti fotovoltaici senza consentire il consumo di suolo ecologicamente produttivo e, in particolare, senza precludere l’uso agricolo dei terreni stessi (ad esempio impianti rialzati da terra)” (cfr. All. 2 alla DGR n. 1424/18 cit, p. 76).
Ne discende che la Soprintendenza per le Belle Arti ed il Paesaggio, la Sezione Tutela e Valorizzazione del Territorio della Regione Puglia, l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Puglia e Arpa Puglia hanno impropriamente valutato il progetto agrivoltaico alla stregua dei criteri previsti per gli impianti fotovoltaici, che, per le ragioni evidenziate, mal si conciliano con le caratteristiche proprie degli impianti agrivoltaici.
Il che non vuol dire che una simile tipologia di impianti debba ritenersi sempre e comunque consentita in deroga al regime vincolistico posto a presidio dei valori paesaggistici ed ambientali ma che le autorità competenti ad esprimere il giudizio di compatibilità debbano necessariamente tenere conto delle peculiarità tecnologiche ed impiantistiche finalizzate ad evitare – o comunque a ridurre fortemente – il consumo di suolo che limita l’utilizzo per fini agricoli e che rappresenta una delle principali finalità di tutela sottese alle prescrizioni limitative di tutela ambientale e paesaggistica.
Non rileva dunque la questione meramente nominalistica se l’agrivoltaico rappresenti o meno una species del più ampio genus fotovoltaico, quanto la questione di ordine sostanziale circa la necessità di esprimere il giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica tenendo conto delle concrete ed effettive caratteristiche di tali impianti di ultima generazione nel quadro di una disciplina univocamente orientata nel senso della ricerca di scelte amministrative capaci rendere compatibili interessi pubblici comprimari.
Sulla base di tali coordinate va pertanto respinto il primo motivo di appello.
Con il secondo mezzo di gravame si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la concentrazione territoriale di impianti FER ai fini dell’espressione del giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica sull’intervento proposto.
Partendo da questa premessa la Provincia lamenta che il Giudice di prime cure avrebbe sacrificato l’interesse paesaggistico sulla base del principio di massima diffusione delle fonti rinnovabili.
Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla Provincia appellante, non ha affermato l’inapplicabilità dei vincoli previsti dal piano paesaggistico, ma si è limitata ad evidenziare il deficit che ha connotato l’istruttoria della Provincia, che, ad avviso del giudice di primo grado, mostra di non aver adeguatamente considerato la qualificazione giuridica dell’area nonché la comprensione fattuale del quadro di riferimento.
Il T.a.r Lecce ha, a tal proposito, rilevato che le linee guida di cui all’elaborato 4.4.1 allegato al PPTR (linee guida sulla progettazione e localizzazione di impianti di energie rinnovabili) non sono idonee (in quanto risalenti) a contemplare una tipologia progettuale, quale quella oggetto di esame, di recente sviluppo e implementazione tecnica.
Come puntualmente osservato dal giudice di prime cure, il legislatore statale ha trovato un punto di equilibrio, tra valori costituzionali potenzialmente antagonisti, nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, che disciplina il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili.
Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la norma richiamata è volta, da un lato, a realizzare le condizioni affinché tutto il territorio nazionale contribuisca all’aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili, sicché non possono essere tollerate esclusioni pregiudiziali di determinate aree; e, dall’altro lato, a evitare che una installazione massiva degli impianti possa vanificare gli altri valori coinvolti, tutti afferenti la tutela, soprattutto paesaggistica, del territorio (ex pluribus, sentenze n. 224 del 2012, n. 308, n. 275, n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011, n. 366, n. 168 e n. 124 del 2010, n. 282 del 2009).
In particolare, il comma 10, del citato art. 12, dispone che le “Linee guida” devono essere approvate in Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive (oggi Ministro per lo sviluppo economico), di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali, al fine di «assicurare un corretto inserimento degli impianti”.
La disposizione in esame prevede che le Regioni possano procedere soltanto alla individuazione dei siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti in attuazione della normativa summenzionata, atteso che la ratio del criterio residuale deve essere individuata nel “principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea”.
Le predette “Linee guida” sono state adottate con il d.m. 10 settembre 2010, il quale, all’allegato 3 indica i criteri che le Regioni devono rispettare al fine di individuare le zone nelle quali non è possibile realizzare gli impianti alimentati da fonti di energia alternativa.
La Corte Costituzionale ha affermato (cfr., più di recente, sent. n. 177/2021; 77/2022; 121/2022) che il bilanciamento tra gli interessi in gioco deve essere effettuato in sede di adozione dell’atto di programmazione ai sensi del d.m. 10.9.2010 (ossia mediante l’individuazione delle c.d. aree non idonee).
Nel caso di specie il progetto non ricade in area “non idonea” con la conseguenza per cui, nei suoi confronti, non è ravvisabile, a monte, alcun pregiudizio all’interesse paesaggistico, dal momento che la stessa Regione nell’atto a tal fine adottato ha ritenuto che la specifica area in questione non fosse caratterizzata da elementi tali da sconsigliare la realizzazione di impianti.
Sul punto il T.a.r. nella ricognizione degli elementi di fatto rilevanti ai fini della decisione, con affermazione rimasta incontrastata, ha accertato che la proposta di intervento “riguarda terreni: a) situati in area agricola (come tale potenzialmente idonea ad ospitare impianti FER, ex art. 12 co. 7 d. lgs. n. 387/03), e in area non qualificabile come inidonea ai sensi del d.m. 19.9.2010 e del Reg. reg. n. 24/10; b) non soggetti a vincolo idrogeologico, archeologico, culturale, paesaggistico, né ospitanti colture di pregio.”.
Ad avvalorare ulteriormente la ricorrenza dei vizi accertati dal T.a.r., la Sezione evidenzia che:
a) il preteso contrasto con le previsioni del PPTR è stato rilevato, in primo luogo, rispetto alle Linee Guida sulle Energie rinnovabili del PPTR nella parte in cui ritengono “sconsigliabile l’utilizzo di ulteriore suolo per l’installazione di impianti fotovoltaici, valutando anche gli impatti cumulativi di questi sul territorio. La direzione verso cui tendere deve essere l’integrazione in contesti differenti (aree produttive, siti contaminati o nelle aree urbane)”. (cfr. Linee guida 4.4.1 - Linee guida sulla progettazione e localizzazione di impianti di energia rinnovabile - Sezione B2.1.3).
Senonchè, come già chiarito dalla sezione (Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5122), le linee guida non sono vincolanti ma operano alla stregua di mere raccomandazioni e cioè alla stregua di criteri di indirizzo suscettibili di essere assunti quale ipotesi decisionale preferenziale ma non vincolante per l’autorità procedente, e comunque da ponderare con le altre possibili, rispetto agli ulteriori criteri normativi direttivi, tra cui primeggia quello del favor per lo sviluppo delle energie rinnovabili, soprattutto a fronte di impianti di ultima generazione con caratteristiche tali da ridurre il consumo di suolo e idonei a non ostacolare oltre misura lo sfruttamento del terreno per fini di coltivazione o di pascolo, in linea peraltro proprio con le finalità di tutela del PPTR sottese al richiamato criterio direttivo preferenziale contenuto nelle Linee guida;
b) l’area interessata dalla installazione non è gravata da vincoli paesaggistici, architettonici o archeologici mentre risultano interferenze con gli ulteriori contesti paesaggistici; nel parere reso dalla locale Soprintendenza prot. 9250 del 22.3.2021 si legge in particolare che: “Nell’area direttamente interessata dall’impianto di progetto e nelle sue immediate adiacenze, considerando una fascia di 500 m, non insistono vincoli inerenti beni archeologici ai sensi degli art. 10, 12, 13 e 45 del D.Lgs. 42/2004 o procedimenti di vincolo in itinere, né Beni Paesaggistici o Ulteriori Contesti Paesaggistici di interesse archeologico censiti dal PPTR vigente o segnalazioni archeologiche riportate in altri strumenti di pianificazione vigenti.” e che “Ai fini della verifica dei possibili impatti del progetto sull’ambiente e sul patrimonio culturale, questa Soprintendenza rileva che i lotti interessati dal parco fotovoltaico di progetto non coinvolgono direttamente beni o aree di interesse monumentale vincolati architettonicamente a norma della Parte Seconda del D.Lgs. n. 42/2004 – Codice dei beni culturali e del paesaggio. Per quanto attiene la Parte Terza dello stesso Codice, si rileva che i suddetti lotti non coinvolgono beni o aree di interesse paesaggistico vincolati ai sensi dell’art. 136, né beni tutelati ai sensi dell’art. 142. Tuttavia si evidenziano di seguito le interferenze rilevate con gli Ulteriori contesti paesaggistici (UCP) individuati dal PPTR vigente ai sensi dell’art. 143 dello stesso Codice” mentre “Si rileva che la porzione più a ovest e una parte a nord-ovest del parco fotovoltaico interferisce con gli Ulteriori contesti paesaggistici (UCP) che rientrano tra le Componenti Geomorfologiche – Doline. In particolare la Dolina posta a ovest per oltre il 50% della sua estensione rientra all’interno dei lotti interessati dalle trasformazioni proposte. Inoltre nella parte a sud-est del parco fotovoltaico si rilevano delle interferenze con l’area di rispetto di Masseria Sant’Elmi, individuata come UCP tra le Componenti culturali ed insediative come Testimonianza della stratificazione insediativa”.
Al contempo non rileva nel caso di specie la distanza minima di un chilometro degli impianti fotovoltaici dalle zone tutelate, ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, prescritta dall’art. 20, comma 8, lett. c-quater del d.lgs. 199/2021 poiché, come correttamente rilevato dal T.a.r., “il citato art. 20 co. 8 lett.c-quater d. lgs. n. 199/21 è stato introdotto con d.l. 17.5.2022 n. 50, ed è pertanto successivo sia alla presentazione del progetto, sia all’emanazione dell’atto impugnato (14.10.2021)” mentre la questione dovrà essere approfondita in sede di riesercizio del potere, anche in relazione alla natura del profilo di contrasto rilevato (UCP e non bene culturale in senso stretto), come peraltro correttamente prescritto dal T.a.r. nella enucleazione dei criteri conformativi (cfr. lett. a).
Quanto al preteso contrasto con gli obiettivi di tutela previsti alla sezione C2 della scheda d’ambito “Campagna Brindisina” del P.P.T.R. è risultata incontestata la affermazione della società appellata secondo cui il progetto non è riconducibile tra gli interventi di rilevante trasformazione del territorio di cui all’art. 89 delle NN.TT.AA. del P.P.T.R. in quanto non rimesso a V.I.A. “dalla normativa nazionale e regionale vigente” e, comunque, pervenuto alla V.I.A. non all’esito dell’espletamento di una “procedura di verifica di assoggettabilità a V.I.A. di competenza regionale o provinciale”, bensì su base volontaria sicchè non paiono sussistere i presupposti normativi per l’accertamento di compatibilità paesaggistica previsto dall’art. 89 delle NTA al PPTR per il perseguimento degli obiettivi di qualità di cui all’art. 37 delle predette NTA.
In ogni caso, come evidenziato anche dalla Soprintendenza con il parere prot. 9250 del 22.3.2021, le indicazioni contenute nella Sezione C2 della Scheda d’Ambito della Campagna brindisina rappresentano mere “direttive”, come tali non vincolanti, prefigurando pertanto ipotesi decisionali preferenziali, da ponderare tuttavia con quelle poste dai concorrenti criteri ed indirizzi normativi di favor per gli impianti di produzione di energia alternativa, analogamente a quanto già evidenziato in relazione alle Linee Guida sulle Energie rinnovabili del PPTR, dove l’apparente aporia si risolve, in concreto, secondo il principio di ragionevolezza, attraverso una attenta analisi di tutti i dati di contesto, da ordinare con motivazione congrua ed analitica.
c) L’area in questione non può neppure essere qualificata come sito inidoneo ai sensi del regolamento regionale n. 24 del 30 dicembre 2010 attuativo del D.M. 10 settembre 2010 del Ministero per lo Sviluppo Economico, “Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, recante la individuazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Puglia.
Ciò in quanto all’allegato 2, contenente la classificazione delle diverse tipologie di impianti per fonte energetica rinnovabile, funzionale alla definizione dell’inidoneità delle aree rispetto a specifiche tipologie di impianti, non è contemplato l’agrivoltaico ma solo il fotovoltaico “con moduli ubicati al suolo”; inoltre nell’allegato 3 - che contiene la individuazione delle aree e siti non idonei alla localizzazione di determinate tipologie di impianti - si precisa, per quanto concerne le aree agricole interessate da produzioni agro alimentari di qualità, alla voce “tipologie di impianti non compatibili” che sono tali solo quelli che comportano, in fase di realizzazione, “espianto” di piante della specie sottoposta a riconoscimento di denominazione, mentre nel caso di specie non emerge che la realizzazione dell’impianto comporterebbe espianto di produzioni agro-alimentari di qualità.
Non può condividersi neppure la doglianza della Regione Puglia per cui il T.a.r. avrebbe riconosciuto la natura di impianto agrivoltaico esclusa in sede istruttoria, sostituendo il proprio giudizio a quello degli organi tecnici, poiché, in realtà, ferma la inammissibilità della censura – in quanto non proposta tramite la rituale proposizione di ricorso in appello - l’istruttoria non ha preso posizione espressa sul punto e soprattutto non è stata resa una motivazione chiara sulle ragioni ostative ad una tale qualificazione ed il T.a.r., anche in questo caso, rilevata la astratta riconducibilità dell’impianto alla tipologie di agrivoltaico, ha correttamente evidenziato la lacuna istruttoria, fermo restando che saranno gli organi competenti, in sede di rinnovazione dell’attività procedimentale, a dover chiarire se la proposta progettuale abbia le caratteristiche di un impianto agrivoltaico, anche alla luce della normativa nelle more sopravvenuta che ne chiarisce le tipologie e le caratteristiche tecniche, secondo quanto prescritto dal T.a.r. con il criterio conformativo sub c).
Nemmeno può rilevare, per giungere a diverse conclusioni, la questione della presenza nell’area di altri impianti.
In senso contrario occorre sottolineare che la Provincia muove dall’erronea premessa che valorizza, ai fini della valutazione di che trattasi, non solo gli impianti già realizzati, bensì, e par la maggior parte, impianti in corso d’esame.
L’impostazione della Provincia incontra, invero, l’obiezione per cui ogni nuova istanza verrebbe elisa dalla valutazione di altra istanza e così via.
Alla luce di quanto sin qui osservato emerge l’inconferenza dei richiami, contenuti nel provvedimento negativo di PAUR, al fatto che il territorio di Brindisi sarebbe interessato da numerose istanze inerenti a impianti FER ovvero alla presenza di altri campi fotovoltaici (non agrivoltaici) nelle “vicinanze”, ragioni per le quali l’impianto proposto genererebbe un ulteriore “artificializzazione” dei luoghi.
Con il terzo mezzo di gravame, la Provincia deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui – a suo dire - avrebbe affermato l’inapplicabilità delle limitazioni recate dal PPTR all’installazione di impianti agro-voltaici.
Più nello specifico, ad avviso della Provincia, anche a volere ammettere l’effettiva novità dell’agrivoltaico, ciò non potrebbe implicare la sottrazione degli impianti agrivoltaici ai limiti che incontra il fotovoltaico nell’ambito dell’attività di bilanciamento tra interessi contrapposti sottesa a singoli procedimenti autorizzativi. Sotto altro profilo, si osserva che dall’impianto motivazionale della pronuncia di primo grado si ricava la non corretta deduzione per cui, per effetto della introduzione del comma 8 c-quater dell’art. 20 del d.lgs. 199/2021, si verificherebbe una sorta di implicita abrogazione delle previsioni contenute nel PPTR, ostativa alla possibilità per la Pubblica Amministrazione di riferirsi al predetto strumento pianificatorio, nell’esercizio delle scelte relative alla valutazione di compatibilità ambientale e paesaggistica dei progetti di impianti agrivoltaici.
Secondo l’appellante, inoltre, l’argomentazione del giudice di prime cure violerebbe il principio del tempus regit actum, sulla scorta del quale la legittimità di un provvedimento amministrativo va scrutinata alla luce della disciplina normativa vigente al momento della sua emanazione.
Ciò in quanto alla data dell’adozione del provvedimento di diniego di PAUR n. 124 del 17.12.2021, il comma 8 c-quater dell’art. 20 del d.lgs. 199/2021 non era ancora entrato in vigore, essendo stato introdotto solo successivamente, mediante il d.l. 50 del 17 maggio 2022.
Il motivo non è fondato.
Il principale vizio che inficia le tesi della Provincia appellante risiede, ancora una volta, nella ritenuta applicazione meccanicistica di indirizzi e direttive, contemplate dal PPTR in relazione agli impianti fotovoltaici, anche agli impianti agrivoltaici, così elidendone le strutturali differenze di fondo.
In tale errore di impostazione sono incorsi tutti gli enti e gli organi chiamati a rendere parere in sede istruttoria, come rilevato dal T.a.r. (cfr. punto 24 della motivazione).
In relazione alla prima parte del motivo in esame, il Collegio ribadisce quanto già rilevato nell’esame del secondo motivo, ovvero che il T.a.r. non ha inteso affermare il principio della non applicabilità delle previsioni del Piano Paesaggistico ai progetti recanti l’utilizzo di tecniche agrivoltaiche, ma si è limitato, per un verso, a rilevare l’insufficienza dell’istruttoria condotta dalla Provincia e dagli altri enti intervenuti in relazione alle peculiarità della proposta progettuale, e, per altro verso, a ritenere lo specifico progetto esterno al perimetro dei vincoli paesaggistici, in particolare ritenendo che il progetto proposto non ricada in area “non idonea” ai sensi del regolamento regionale n. 24 del 2010.
Muovendo da tale premessa il T.a.r ha tratto la ragionevole conclusione per cui, in relazione al progetto in esame, non sono ravvisabili pregiudizi all’interesse paesaggistico tali da giustificare il diniego impugnato.
Ne consegue che, contrariamente a quanto ritenuto nell’atto di appello, la sentenza impugnata non ha disapplicato lo strumento di pianificazione paesaggistica, ma lo ha ritenuto in concreto non ostativo alla realizzazione dell’impianto agri-voltaico di che trattasi.
In relazione alla seconda parte del motivo in esame, con la quale si lamenta la violazione da parte della sentenza impugnata del principio del tempus regict actum, il Collegio rileva che l’assunto è testualmente smentito dal paragrafo 20 della decisione di primo grado, nel quale si legge che “Fatte queste precisazioni, occorre tuttavia chiarire che il citato art. 20 co. 8 lett. c-quater d. lgs. n. 199/21 è stato introdotto con d.l. 17.5.2022 n. 50, ed è pertanto successivo sia alla presentazione del progetto, sia all’emanazione dell’atto impugnato (14.10.2021). Pertanto, è evidente che di esso non può tenersi conto in sede di esame della legittimità dell’atto impugnato.”.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Provincia, il Giudice di prime cure si è limitato a fare corretta applicazione del consolidato principio di diritto eurounitario secondo cui gli organi giurisdizionali devono, nella misura del possibile, interpretare il diritto interno ( a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva) alla luce del testo e della finalità della direttiva da attuare al fine di raggiungere i risultati perseguiti da quest’ultima, privilegiando l’interpretazione delle disposizioni nazionali che è maggiormente conforme a tale finalità, per giungere così ad una soluzione compatibile con le disposizioni della direttiva ( cfr. Cort. Giust. 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler e a).
Sotto tale profilo va, infatti, ricordato che il citato D. lgs. n. 199/21 costituisce diretta attuazione della direttiva UE 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ed è dunque una norma di stretta attuazione di una previsione di diritto eurounitario.
Ed in effetti, diversamente da quanto sostenuto nell’atto di appello, prima dell’introduzione dell’art. 20 co. 8 lett. c-quater, D. lgs. n. 199/21 (per effetto del d.l. 17.5.2022 n. 50) non sussisteva alcun vuoto normativo.
La disciplina di riferimento in materia di fonti di energia rinnovabili era rinvenibile nei D.lgs. n. 387/2003 e n. 28/2011, rispettivamente di attuazione della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2009/28/CE.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione l’attività di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” è stata inserita all’interno delle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, comma terzo, della Costituzione.
Con il D.lgs. n. 387/ 2003, così come modificato più volte a partire dal d.lgs. n. 28/2011, lo Stato, nell'esercizio della suddetta potestà legislativa concorrente, mira a promuovere l’utilizzo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e a sviluppare impianti, sia di piccole che di grandi dimensioni, anche in zone non facilmente accessibili, prevedendo un costante monitoraggio dello stato di diffusione degli impianti e dei risultati raggiunti in materia di utilizzo delle energie rinnovabili.
Particolare importanza assume, nell’ambito del predetto D.lgs. n. 387/ 2003, l’art. 12 rubricato “Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative”, secondo cui le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti, il quale prefigura il cd. “procedimento unico” per la costruzione e l’esercizio di siffatti impianti affidato alla Regione o a soggetto dalla stessa delegato e incentrato sulla convocazione della Conferenza dei Servizi e sul rilascio di un’autorizzazione cd. unica, con la precisazione, contenuta nel comma 6, che siffatta autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province.
L’importanza che gli impianti in esame riveste per il legislatore è evidenziata nel comma 7 della predetta disposizione nel quale si prevede espressamente la possibilità di collocare gli impianti in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici.
Tra i criteri localizzativi dettati in sede statale, l’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387/2003, stabilisce che “7. Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001, n. 57, articoli 7 e 8, nonché del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14”.
In coerenza con quanto previsto dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, il legislatore, in sede di recepimento della Direttiva 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, con l'obiettivo di facilitare la pianificazione e l'individuazione delle aree nelle quali collocare gli impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili, ha stabilito, con il D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 199, che, con uno o più decreti, il Ministero della transizione ecologica, di concerto con i Ministeri della cultura e delle politiche agricole e d'intesa con la Conferenza unificata, definisce i criteri necessari all'individuazione delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti da fonti rinnovabili. Le Regioni, quindi, nel rispetto dei criteri disposti dai decreti interministeriali, entro 180 giorni dall'entrata in vigore di questi ultimi, identificano con legge le aree idonee. Al comma 5 dell’art. 20, del D. Lgs. n. 199/2021, viene poi precisato che nell'individuazione delle superfici da ritenersi idonee devono essere privilegiate le soluzioni capaci di ridurre il più possibile l'impatto sull'ambiente e sul paesaggio, tenendo tuttavia a mente che gli obiettivi di decarbonizzazione da raggiungere entro il 2030, devono essere considerati vincolanti.
Al successivo comma 7, si puntualizza che le aree non ricomprese tra quelle idonee non devono per ciò solo essere considerate non idonee. Di talché, in sede di programmazione, le aree non espressamente qualificate idonee potrebbero comunque essere ritenute tali dalle Regioni o dalle Province.
Alla luce di quanto sin qui osservato, la sentenza di primo grado non ha, in definitiva, disapplicato il piano paesaggistico territoriale, ma ha valorizzato le predette fonti di regolazione, interpretandole in maniera conforme alle direttive euro-unitarie.
Con il quarto mezzo di gravame la Provincia ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata per avere trascurato il contenuto del parere espresso dal Servizio Osservatorio e Pianificazione Paesaggistica con la nota prot. n. 5478 del 17.6.2021 e quello dei precedenti ivi richiamati.
E ciò in quanto il predetto Servizio, nei già menzionati pareri, avrebbe rilevato che il Progetto presentato insisterebbe in prossimità di beni archeologici e paesaggistici, con la conseguenza che:
a) non si sarebbe al cospetto di una area idonea ai sensi del d.lgs. n. 199/2021;
b) il Progetto contrasterebbe con le NTA del piano paesaggistico.
Analoghe criticità sarebbero state espresse nel parere della locale Soprintendenza prot. 16605 del 18.5.2021.
Il motivo non è fondato.
Fermo quanto già osservato nella disamina del secondo motivo di appello cui si rinvia, va qui ribadito che l’argomentazione della parte appellante non trova corrispondenza nelle risultanze istruttorie acquisite nel presente giudizio.
Dalla documentazione in atti, e segnatamente dalla relazione tecnica depositata nel giudizio di primo grado dalla società appellata, emerge che il progetto in esame non ricade nel perimetro di alcun vincolo paesaggistico, architettonico o archeologico, come ammesso anche dalla Soprintendenza, mentre, per quanto concerne la necessità di garantire le fasce di rispetto, come già evidenziato, alla presente fattispecie non si applica, per il principio tempus regit actum, la disciplina sopravvenuta di cui all’art. 20 comma 8 lett. c-quater del d.lgs. 199/2021 che introduce una più ampia fascia di rispetto dal perimetro del bene paesaggistico tutelato.
Peraltro non risponde al vero che il T.a.r. non avrebbe tenuto in alcuna considerazione le criticità emerse in sede istruttoria circa la compatibilità paesaggistica della proposta progettuale.
Al contrario il T.a.r. ha affrontato la questione al punto 32 della motivazione.
Secondo la Provincia la sentenza trascura colpevolmente la rilevanza del tracciato della Via Appia quale testimonianza di pregio nel contesto storico-culturale; contesta inoltre che il progetto possa ritenersi compatibile con gli Ulteriori contesti paesaggistici (UCP) individuati dal PPTR vigente ai sensi dell’art. 143 dello stesso Codice: ciò in quanto la porzione più a ovest e una parte a nord-ovest del parco fotovoltaico interferisce con gli Ulteriori contesti paesaggistici (UCP) che rientrano tra le Componenti Geomorfologiche – Doline, secondo quanto evidenziato anche dalla Soprintendenza.
Rileva il collegio che anche il giudizio della Soprintendenza resta complessivamente inficiato dalla erronea assimilazione degli impianti agrivoltaici a quelli fotovoltaici di tipo tradizionale, come confermato dalla affermazione - in palese contrasto con il sistema di funzionamento della nuova tecnologia di impianti in questione - per cui “La realizzazione dei previsti campi fotovoltaici comporterebbe un rilevante consumo di suolo a discapito delle aree agricole, in quanto la progettazione implica la trasformazione, mediante un intervento di lunga durata temporale, di una superficie seminativa complessiva di dimensioni imponenti anche rispetto agli impianti già presenti sul territorio, compromettendo il gradiente ecologico degli agro-ecosistemi, senza tutelare le forme naturali e seminaturali dei paesaggi rurali. Infatti il suddetto impianto, di una durata temporale ultradecennale, per quanto sia tecnicamente reversibile e sia stata prevista la dismissione dei singoli, è in realtà destinato a permanere in loco per un tempo sufficientemente lungo ad alternare la morfologia dei luoghi, i caratteri strutturanti del territorio agricolo e lo stato del terreno sottostante ai pannelli. Tali presupposti non consentono di perseguire le direttive previste dal PPTR per l’Ambito della Piana Brindisina, ovvero incentivare l’estensione, il miglioramento e la corretta gestione delle superfici foraggere permanenti e a pascolo; tutelare la conservazione dei lembi di naturalità costituiti da boschi, cespuglietti e arbusteti; conservare e valorizzare gli elementi della rete ecologica minore dell’agro-paesaggio quali muretti a secco e favorire pratiche agro ambientali quali l’inerbimento degli oliveti e la coltivazione promiscua e intercalare”.
Si rende pertanto necessario che anche la Soprintendenza rinnovi le proprie valutazioni, tenendo in debita considerazione le caratteristiche degli impianti agrivoltaici, come pure la circostanza che le direttive contenute nella Sezione C2 della Scheda d’Ambito della Campagna brindisina e quelle di cui alle Linee Guida sulle Energie rinnovabili del PPTR, oltre a non rivestire carattere vincolante, sono state calibrate in relazione al fotovoltaico tradizionale c.d. “a terra” mentre le nuove tecnologie rendono possibili nuove forme di coesistenza tra produzione agricola e produzione energetica, in un quadro normativo aggiornato di cui pure occorrerà tenere conto, a partire dall’articolo 20 co. 8 lett. c-quater d. lgs. n. 199/21.
Alla luce di quanto precede, nel caso di specie si è in presenza di una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in relazione alla quale, recentemente, questa Sezione ha avuto modo di affermare che “l’impianto (c.d. agrivoltaico) di cui trattasi ricade in una zona: - non interessata da vincoli, ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, e, comunque, non classificata come inidonea ai sensi della disciplina vigente nella Regione Puglia, anche sotto il profilo della valutazione dei c.d. impatti cumulativi; - non interessata, in atto, da colture di pregio” (cfr., Cons. St., IV, ord. n. 5480/2022).
Ne discende l’infondatezza anche del motivo in esame.
Con il quinto motivo di appello, la Provincia lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha considerato che le colture correlate al progetto presentato non sarebbero coerenti con la vocazione del sito (che prevede la coltivazione del carciofo), con il conseguente rischio di “perdita della sua vocazione naturale”.
Il motivo non è fondato.
Nel richiamare quanto già osservato con valenza dirimente in merito alla interpretazione del regolamento regionale n. 24 del 2010, occorre osservare, in senso contrario alle tesi dell’appellante, che l’assunto in base al quale l’area in esame sarebbe contraddistinta da colture di pregio non trova conferma nelle risultanze istruttorie.
Va osservato che del tutto generica e indimostrata appare la considerazione della parte appellante per cui “Il progetto di impianto di cui si discute introduce colture che si discostano in maniera rilevante dalla vocazione agricola del territorio, votata alla coltivazione del carciofo brindisino e dei rinomati vitigni della zona”.
In generale, va rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, un impianto agrivoltaico, come già evidenziato, mira proprio ad adottare soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione.
Nemmeno può essere condivisa la censura, contenuta nella seconda parte del presente mezzo di gravame, secondo cui la sentenza impugnata avrebbe avallato una “inversione dell’onere della prova” derivante dal “riferimento svolto dal giudice in sentenza in ordine alla mancanza di eventuali sopralluoghi corredati da documentazione fotografica”.
Il Giudice di primo grado si è, infatti, limitato a prendere atto del fatto che la Provincia ha preso le mosse, nell’effettuare le sue valutazioni, da una descrizione generica dei luoghi, sulla base di tavole ormai risalenti nel tempo, senza, pertanto, tenere in considerazione lo stato effettivo dei luoghi prescelti per l’installazione dell’impianto che non registra la presenza di colture di pregio.
Lo stesso parere del Dipartimento agricoltura n. 20158 del 22.4.2021 richiamato parla di contesto rurale votato a colture di qualità ma non attesta la presenza di tali colture sui terreni in questione mentre la ratio del regolamento regionale n. 24 del 2010, come si è visto, è quella di tutela non della mera potenzialità o vocazione agricola di qualità ma delle colture in essere, evitando il rischio di espianto di coltivazioni di pregio per la realizzazione di impianti.
Infine, non coglie nel segno il tentativo della Provincia di revocare in dubbio la natura agri-voltaica del progetto in disamina, in base alla considerazione per cui le linee guida ministeriali prescriverebbero, in relazione agli impianti in esame, una altezza minima dei moduli da terra pari a 210 cm.
In senso inverso va osservato che l’art., 1, lett. d) delle predette linee guida, senza operare alcun riferimento all’altezza minima dei moduli da terra, definisce l’agro-voltaico come “impianto fotovoltaico che adotta soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione”.
La tematica sarà in ogni caso oggetto di specifico approfondimento istruttorio in sede di riesame dell’istanza alla luce della normativa sopravvenuta.
Con il sesto motivo di appello la Provincia ha lamentato l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha adeguatamente valutato la questione degli impatti cumulativi del progetto in esame e, in particolare, dell’impatto che il progetto potrebbe avere sul territorio provinciale alla luce degli “impianti già installati e quelli per i quali è stata presentata istanza di autorizzazione”.
Il motivo non è fondato.
Come rilevato già in precedenza, l’argomentazione della Provincia incorre nell’errore metodologico di considerare, ai fini della valutazione degli impatti cumulativi, anche gli impianti in corso di realizzazione mentre l’allegato VII al Testo Unico dell’Ambiente richiede che tale valutazione sia limitata solo ad “ad altri progetti esistenti e/o approvati”.
Inoltre la DGR n. 22 del 2012 approva i parametri per la valutazione degli impatti cumulativi, limitatamente agli impianti eolici e a “quelli fotovoltaici al suolo”; l’allegato tecnico conferma che l’impatto cumulativo è riferito a tali due tipologie di impianto; da qui la necessità – nelle more di un aggiornamento della normativa regionale - di una motivazione rafforzata idonea a giustificare l’applicazione del regolamento anche ad impianti di nuova generazione.
Infine, il richiamo, da parte della Provincia, al criterio A di cui alla DGR n. 162/2014 non appare pertinente rispetto al caso di che trattasi, avendo quest’ultima previsione lo scopo di prevenire il consumo di suolo derivante dalla installazione di impianti fotovoltaici a terra. Esso, pertanto, mal si attaglia alla fattispecie di un impianto agro-voltaico che si caratterizza per una decisa schermatura dell’area di riferimento e che, per tale ragione, non implica ulteriore consumazione di suolo, ma avendo come scopo quello di coordinare l’attività di produzione di energia e attività agricola.
Di qui l’infondatezza anche di quest’ultimo motivo di appello.
Con il settimo motivo l’appellante deduce eccesso di potere giurisdizionale e violazione dell’art. 34 comma 2 c.p.a in quanto nella sua parte finale, la sentenza di prime cure, nell’indicare gli effetti conformativi del giudicato, avrebbe violato il precetto di cui all’art. 34 comma 2 del c.p.a., spingendosi a giudicare su poteri amministrativi non ancora esercitati.
Il motivo non è fondato poiché tra i criteri direttivi impartiti, alla lettera c) (oggetto di specifica doglianza da parte della Provincia), il T.a.r. non ha imposto alcun criterio di bilanciamento - che attiene al merito della scelta amministrativa - limitandosi a porre l’obbligo di garantire che il bilanciamento avvenga tra tutti gli interessi pubblici e privati rilevanti, ivi compreso quello strategico all’approvigionamento energetico, secondo il regime giuridico di favore posto dalla legislazione all’epoca già vigente e ribadito da quella sopravvenuta, senza obliterare gli interessi paesaggistici ed ambientali come tutelati dalla disciplina nazionale e regionale, da interpretare tuttavia in chiave evolutiva, tenuto altresì conto delle caratteristiche tecnologiche dei nuovi impianti, precipuamente finalizzate a rendere compatibile la produzione agricola con quella di energia, riducendo il consumo di suolo.
Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto, con conseguente assorbimento dei motivi di ricorso non esaminati da T.a.r. e riproposti dalla società appellata nel presente grado di giudizio.
In ragione della parziale novità delle questioni sottese al gravame in esame, il Collegio ravvisa eccezionali ragioni, ex artt. 26 comma 1, c.p.a, e 92, c.p.c, per compensare integralmente le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese del grado tra tutte le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
Fabrizio Di Rubbo, Consigliere