Cass. Sez. III n. 5750 del 10 febbraio 2023 (UP 2 feb 2023)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. PM in proc. D’Alterio
Beni Ambientali.Nozione di superficie utile

Con riferimento ai casi eccezionali di rilascio postumo di autorizzazione  paesaggistica, ai sensi dell’art. 181 comma 1 ter del Dlgs. 42/04, la nozione di superficie utile, va individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica, considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio tale da determinare una compromissione ambientale. Nè occorre, peraltro, accertare che la "superficie utile" realizzata, per essere qualificabile come tale, debba inferire un concreto pregiudizio all'assetto territoriale in cui viene inserita, poiché il concetto deve essere rapportato alla natura del reato di cui circoscrive la sanatoria postuma, e il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, è un reato di pericolo.


RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 31 maggio 2022, il Gip del tribunale di Napoli, adito quale giudice dell’esecuzione, nell’interesse di D’Alterio Luigi, revocava l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo, adottato con sentenza emessa dal G.M. della sezione distaccata di Pozzuoli in data 26 marzo 2008, divenuta irrevocabile  in data 25 agosto 2010.
 
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il Pubblico Ministero del tribunale di Napoli, con un unico motivo di impugnazione.

3.    Deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, avendo il giudice contraddittoriamente ipotizzato, esclusivamente, l’emissione di un provvedimento di sanatoria per l’accertato e contestato ampliamento mediante creazione di due terrazzini con tettoia, senza neanche valutarne una tempistica certa. Si rappresenta come l’abuso predetto sarebbe stato realizzato su un manufatto oggetto di istanza di condono non ancora definita al momento dell’accertamento del contestato ampliamento, con realizzazione dei terrazzini e della tettoia, cosicchè tale abuso avrebbe modificato lo stato dei luoghi oggetto della domanda di condono ancora pendente. Il giudice, quindi, non avrebbe verificato adeguatamente la sussistenza dei presupposti fondanti il provvedimento poi rilasciato in relazione alla istanza di condono e quelli a base della depositata istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/01 inerente l’ampliamento predetto. Avendo seguito pedissequamente le indicazioni dei testi dell’ufficio tecnico comunale, nonostante le loro dichiarazioni non fossero conformi con i presupposti necessari per il rilascio di permessi di costruire in sanatoria. Nello specifico, si aggiunge che i manufatti da demolire non integrerebbero, in area vincolata, opere di lieve entità a fronte di una complessiva superficie di 55 mq., e si osserva, altresì, che l’oggetto della richiesta sanatoria sarebbe solo la creazione di una tettoia senza includere l’ampiamento, mediante creazione di due terrazzini, di un balcone (laddove quest’ultimo sarebbe stato invece oggetto del provvedimento di condono 22/22).  Pertanto, emergerebbe l’illegittimità del provvedimento di condono siccome relativo ad un oggetto non corrispondente allo stato dei luoghi al momento del rilascio del predetto provvedimento. Si sottolinea poi che il giudizio di compatibilità postuma con riguardo alle opere da demolire in area vincolata può operare solo se gli interventi interessati non abbiano creato superficie utile o volumetria.
Si aggiunge, infine, che il giudice non avrebbe considerato la preclusione derivante da una decisione negativa su analoga istanza del germano D’Alterio Crescenzo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è fondato, con riguardo alla ordinanza impugnata nella parte in cui il giudice ha innanzitutto considerato la questione, presso lo stesso sollevata in prima battuta, della prossima sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01. La soluzione adottata, circa la prossima adozione di un permesso in sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01, tale da essere incompatibile con la disposta demolizione, appare erronea sotto plurimi profili. Innanzitutto, il riferimento alla “lieve entità”, quale circostanza che sarebbe stata indicata dagli organi comunali come dirimente ai fini della richiesta sanatoria, non appare adeguato - e in esso riposa il fondamento della censura del P.M. in termini di pedissequa accettazione delle affermazioni dei tecnici sentiti -. Tale tema tuttavia, deve essere esaminato all’interno di una organica considerazione dell’istituto della sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01, rispetto al quale il dato preliminare e più complesso, da esaminare al riguardo, è innanzitutto quello della cd. “doppia conformità” al momento dei fatti e al momento della richiesta, di cui non emerge traccia. Va al riguardo ribadito che il giudice dell'esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, non deve limitarsi a prenderne atto ai fini della sospensione o revoca dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, ma deve esercitare il potere-dovere di verifica della validità ed efficacia del titolo abilitativo, ancorchè da adottarsi, valutando la sussistenza dei presupposti per l'emanazione dello stesso e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio oltre, ovviamente, alla rispondenza di quanto autorizzato o da autorizzarsi, con le opere destinate alla demolizione (tra le altre, sez. 3 n. 2635/2018 CC - 09/11/2018 R.G.N. 19522/2018). In tale quadro, rientra dunque, come accennato, anche il dovere di un’attenta verifica della corrispondenza tra la richiesta di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01 e l’oggetto della demolizione, per cui, alla luce del noto principio della non frammentarietà dell’abuso edilizio, non è ammissibile  la sanatoria predetta ove limitata solo ad una parte del complessivo abuso ( nel caso di specie comprensivo di più terrazzini e di una tettoia). In tal senso si è già espressa questa Suprema Corte, che ha precisato che in tema di reati urbanistici, non è ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria parziale, dovendo l'atto abilitativo postumo contemplare tutti gli interventi eseguiti nella loro integrità. (Sez. 3, n. 22256 del 28/04/2016 Rv. 267290 – 01).
Quanto ai requisiti del menzionato articolo 36, è opportuno ricordare che la sanatoria può essere ottenuta quando l'opera eseguita in assenza del permesso sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati o non in contrasto con quelli adottati, tanto al momento della realizzazione dell'opera, quanto al momento della presentazione della domanda, che può avvenire fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e, comunque, fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative. Sulla richiesta di sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi - con adeguata motivazione - entro sessanta giorni, trascorsi inutilmente i quali la domanda si intende respinta. L'istanza è subordinata, inoltre, al pagamento di una somma a titolo di oblazione, secondo le modalità descritte nello stesso articolo. In base a quanto espressamente disposto dall'articolo 45, il rilascio della sanatoria «estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti», con esclusione, quindi, di altri reati eventualmente concorrenti.
A ciò si aggiunga, con riferimento alla circostanza della sussistenza, nel caso di specie, di area vincolata paesaggisticamente, che, come anche di recente affermato dalla Suprema Corte, essendo la possibilità di una autorizzazione paesaggistica postuma espressamente esclusa dalla legge - ad eccezione dei casi, tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, relativi agli "abusi minori"- tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è correlata al rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell'art. 36 D.P.R. 380/01; e l'eventuale emissione della predetta autorizzazione paesaggistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino (in motivazione Cass. Sez. III n. 544 del 11 gennaio 2023; Sez. 3, n. 190 del 12/11/2020 - dep. 07/01/2021, Rv. 281131 – 01).
Si tratta di un orientamento che questo collegio intende ribadire. In proposito, a sostegno dello stesso si osserva, per la migliore comprensione della tematica, quanto segue: in caso di abusi in area vincolata, il reato ex art. 44 lett. c) DPR 380/01 richiede l’assenza del titolo edilizio e della autorizzazione  paesaggistica e, in caso di rilascio, prima dell’edificazione, del solo permesso di costruire, in assenza comunque della autorizzazione paesaggistica, tale ultima circostanza determina l’inefficacia del titolo edilizio rilasciato, il quale,  in altri termini, non è in grado, in tale peculiare caso, di spiegare di per sé alcun effetto giuridico, nemmeno nel limitato ambito del solo profilo edilizio che, nella fattispecie in esame, è strettamente connesso, lo si ripete, al profilo paesaggistico. Consegue che nel caso, ulteriore, ma certamente correlato sotto il profilo della logica giuridica, di avvio, in presenza di opera abusiva già realizzata, di una procedura di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01, in zona vincolata, il rilascio postumo del permesso di costruire, in assenza di autorizzazione paesaggistica (la quale ultima, per quanto prima osservato non può adottarsi legittimamente in via successiva al fatto, salvo casi eccezionali) non può sanare neppure il limitato profilo urbanistico dell’intervento già posto in essere. Pena, in caso contrario, il paradosso per cui, in caso di rilascio, ab origine, ovvero prima dell’edificazione poi contestata, di un permesso di costruire tuttavia non accompagnato dalla preventiva autorizzazione paesaggistica, ricorrerebbero, come è stabilmente acclarato, tanto il reato ex art. 44 lett. c) del DPR 380/01 che il reato paesaggistico ex art. 181 del Dlgs. 42/04. Mentre, nel caso certamente più grave, in cui si costruisca già senza alcun previo titolo, neppure edilizio, e tuttavia si ottenga, solo successivamente, il solo permesso di costruire, si verrebbe quantomeno a “sanare” il reato edilizio ex art. 44 lett. c) citato.
Vanno poi formulate talune precisazioni circa la ratio e il conseguente ambito di operatività dei casi eccezionali di rilascio postumo di autorizzazione  paesaggistica, ai sensi dell’art. 181 comma 1 ter del Dlgs. 42/04, secondo il quale  “ferma restando l'applicazione delle sanzioni  amministrative pecuniarie   di   cui   all'articolo   167,    qualora    l'autorità amministrativa competente  accerti  la  compatibilità  paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:
    a)  per  i  lavori,   realizzati   in   assenza   o   difformità dall'autorizzazione  paesaggistica,  che  non   abbiano   determinato creazione di superfici  utili  o  volumi  ovvero  aumento  di  quelli legittimamente realizzati;
    b) per l'impiego di materiali in difformità  dall'autorizzazione paesaggistica;
    c) per i lavori configurabili quali  interventi  di  manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3  del  decreto  del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
Invero, con particolare riferimento ai caso concreto e quindi al tema della sussistenza o meno, a fronte di terrazzini (con tettoia), di superfici utili, va evidenziato che tra gli interventi che il legislatore non consente di qualificare neppure ex post - cioè alla luce della concreta valutazione del loro effettivo impatto – come compatibili con l'ambiente, è inclusa la creazione di "superfici utili". Se è vero che il legislatore non fornisce, contestualmente, una definizione del concetto di "superfici utili" in modo espresso, questa Suprema Corte ha precisato (cfr. in motivazione Sez. 3, n. 44189 del 19/09/2013 Rv. 257527 – 01) che alla luce della ratio normativa di preservazione dello status quo ambientale e mediante altresì una logica contestualizzazione – in quanto ogni concetto giuridico è pragmaticamente relativo al contesto in cui opera -, il suo significato è agevolmente identificabile in una immutazione stabile dell'assetto territoriale, attuata a discapito della vincolata conformazione originaria, dalla quale nettamente prescinde, non integrandone alcuna specie di manutenzione. Cosicchè, la nozione di superficie utile, va "individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalità della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica, ... considerando l'impatto dell'intervento sull'originario assetto paesaggistico del territorio" tale da "determinare una compromissione ambientale" (cfr. Cass. sez. 3, 29 novembre 2011-13 gennaio 2012 n. 889). Nè occorre, peraltro, accertare che la "superficie utile" realizzata, per essere qualificabile come tale, debba inferire un concreto pregiudizio all'assetto territoriale in cui viene inserita, poiché il concetto deve essere rapportato alla natura del reato di cui circoscrive la sanatoria postuma, e il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, è un reato di pericolo (Cass. sez. 3, 20 ottobre 2009-22 gennaio 2010 n. 2903; Cass. sez. 6, 3 aprile 2006 n. 19733).
I rilievi finora esposti assorbono ogni altra ulteriore censura formulata.

2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l’ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Napoli.
P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata con invio al tribunale di Napoli.


Così deciso il 02/02/2023.