Cass. Sez. III n. 9872 del 5 marzo 2018 (Ud 9 gen 2018)
Presidente: Ramacci Estensore: Di Stasi Imputato: Portaccio
Beni Ambientali.Mancata rimozione di opere stagionali e reato paesaggistico
La mancata rimozione dell’opera stagionale allo spirare del termine stabilito configura il reato di cui al art 44 d.P.R. n. 380 del 2001, poiché, in tale ipotesi, la responsabilità discende dal combinato disposto del medesimo art. 44 e dell'art. 40, comma 2 cod.pen., per la mancata ottemperanza all'obbligo di rimozione insito nel provvedimento autorizzatorio temporaneo. I suesposti principi trovano applicazione anche in relazione alla sussistenza del reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, osservandosi, in particolare, che la stabile permanenza delle opere edilizie, ancorché amovibili, ne qualifica l'attitudine a incidere sul territorio e, a maggior ragione, sugli interessi paesaggistici sulla cui valutazione incide anche la stagionalità e provvisorietà dell'opera
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 25.3.2015, il Tribunale di Lecce dichiarava Portaccio Sandro responsabile dei reati di cui agli artt. 44 lett. c) d.P.R. n. 380/2001 e 181 d.lgs n.42/2004 e, unificati i fatti nel vincolo della continuazione e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi uno di arresto ed euro 23.000 di ammenda, con ordine di demolizione delle opere abusive e rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Con sentenza del 19.12.2016, la Corte di appello di Lecce, in riforma della predetta sentenza dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine ai reati commessi sino al 31.3.2011 perché estinti per prescrizione e rideterminava la pena in ordine ai residui reati in giorni 24 di arresto ed euro 22.400 di ammenda.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Portaccio Sandro, a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 11 della L.R. 23.6.2006 n. 17, argomentando che l’opera realizzata, una volta autorizzata per la stagione, doveva intendersi uniformata al dettato della legge che ne consentiva la permanenza anche ultrastagionale.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento dell’errore scusabile, desumibile dalla diversità delle decisioni di merito e dalla successione nel tempo di varie leggi e sentenze.
Con il terzo motivo deduce omessa motivazione in relazione al reato ambientale, avendo la Corte equiparato la mancanza di autorizzazione alla sussistenza del reato, senza valutare se l’opera realizzata comportasse o meno alterazione del paesaggio.
Con il quarto motivo rileva la prescrizione, intervenuta dopo la pronuncia della sentenza di appello, anche del reato commesso sino al 31.3.2012.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso va dichiarato inammissibile, sulla base delle considerazioni che seguono.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
2.1. Va premesso, in punto di fatto, che Portaccio Sandro è stato dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 44 lett. c) del D.P.R. 380/01 e 181 comma 1 D. Lgs. 42/04 per non aver proceduto alla rimozione di un prefabbricato adibito a servizi igienici installato a servizio dello stabilimento balneare “Torre Pizzo” ovvero per aver abusivamente mantenuto, oltre il termine di validità autorizzato dal permesso di costruire stagionale n. 127/2007 (dal 1 aprile al 30 ottobre) la predetta struttura, nei periodi dal 1.11.2010 al 31.3.2010 e dal 1.11.2012 al 31.3.2012.
2.2. In punto di diritto, va osservato che costituisce affermazione pacifica che deve escludersi ogni dipendenza tra i titoli abilitativi e la concessione demaniale, diversi essendo i presupposti per il rilascio, in quanto il permesso di costruire legittima l'esecuzione di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio secondo la relativa disciplina e dando concreta attuazione alle scelte operate con gli strumenti di pianificazione, l'autorizzazione paesaggistica concerne una valutazione circa l'incidenza di un intervento sull'originario assetto dei luoghi soggetti a particolare protezione, mentre la concessione demaniale consente il godimento del bene demaniale entro i limiti stabiliti dal provvedimento (Sez.3,n.8110 del 07/11/2002, dep.19/02/2003, Rv.224161; Sez. 3, n. 37250 del 11/06/2008, dep. 01/10/2008, Rv. 241077; Sez.3, n.21158 del 2013, non massimata; Sez. 3, n.5461 del 04/12/2013, dep.04/02/2014,Rv.258692).
Non coglie nel segno, pertanto, il richiamo da parte del ricorrente dell’art. 11 della legge regionale 23 giugno 2006, n. 17 “Disciplina della tutela e dell’uso della costa” (che al comma 4 prevede: La gestione di stabilimenti balneari e di altre strutture connesse alle attività turistiche ricadenti su aree demaniali regolarmente concesse è consentita per l’intero anno, al fine di svolgere attività collaterali alla balneazione, con facoltà di mantenere le opere assentite, ancorché precarie, qualora, prima della scadenza della concessione, sia stata prodotta regolare istanza di rinnovo e, comunque, sino alle relative determinazioni dell’autorità competente) il quale regola l’uso dei beni demaniali in concessione.
2.3. Occorre, poi, ricordare che il permesso di costruire è senz'altro richiesto per l'esecuzione di opere stagionali, differenziandosi da quelle precarie che, per la loro stessa natura e destinazione, non comportano effetti permanenti e definitivi sull'originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo.
L'opera stagionale, diversamente da quella precaria, non è, infatti, destinata a soddisfare esigenze contingenti ma ricorrenti, sia pure soltanto in determinati periodi dell'anno e, per tale motivo, è soggetta a permesso di costruire (Sez.3, n.36107 del 30/06/2016, Rv.267759; Sez.3, n.34763 del 21/06/2011, Rv.251243; Sez. 3 n. 23645, 13 giugno 2011;Sez. 3 n.22868, 13 giugno 2007;Sez. 3 n.13705, 19 aprile 2006;Sez. 3 n.11880, 12 marzo 2004).
La mancata rimozione dell’opera stagionale allo spirare del termine stabilito configura, quindi, il reato di cui al art 44 d.P.R. n. 380 del 2001, poiché, in tale ipotesi, la responsabilità discende dal combinato disposto del medesimo art. 44 e dell'art. 40, comma 2 cod.pen., per la mancata ottemperanza all'obbligo di rimozione insito nel provvedimento autorizzatorio temporaneo (Sez.3,n.21158 del 2013, cit; Sez. 3 n.23645/2011, Sez. 3 n. 42190, 29 novembre 2010;Sez. 3 n.29871, 11 settembre 2006).
I suesposti principi trovano applicazione anche in relazione alla sussistenza del reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, osservandosi, in particolare, che la stabile permanenza delle opere edilizie, ancorché amovibili, ne qualifica l'attitudine a incidere sul territorio e, a maggior ragione, sugli interessi paesaggistici sulla cui valutazione incide anche la stagionalità e provvisorietà dell'opera (cfr Sez.3, n.925 del 06/10/2015, dep.13/01/2016, Rv.266013, la quale, in fattispecie analoga, ha affermato che in tema di tutela delle zone sottoposte a vincolo, il mantenimento delle strutture degli stabilimenti balneari oltre il termine di scadenza stagionale del titolo concessorio demaniale, autorizzato dall'art. 1, comma 42, della legge della Regione Campania n. 16 del 2014, richiede necessariamente il concorrente titolo paesistico, la cui mancanza integra il reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004).
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo prospetta deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte (p. 6) nella sentenza impugnata (confronto doveroso per l'ammissibilità dell'impugnazione, ex art. 581 c.p.p., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso: Sez. 6, n. 20377 dell'11.3- 14.5.2009 e Sez.6, n. 22445 dell'8 - 28.5.2009).
La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità del ricorso (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
Trova dunque applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez.2, n.19951 del 15/05/2008, Rv.240109;Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez.2, n.11951 del 29/01/2014, Rv.259425).
4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il reato formale e di pericolo previsto dall'art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, si perfeziona mediante l’esecuzione di interventi (anche non edilizi) potenzialmente idonei ad arrecare nocumento alle zone vincolate in assenza della preventiva autorizzazione e senza che sia necessario l’accertamento dell’intervenuta alterazione, danneggiamento o deturpamento del paesaggio, in quanto per la sua configurabilità, è sufficiente - come nella specie- che l’agente faccia del bene protetto dal vincolo un uso diverso da quello a cui è destinato, essendo il vincolo imposto prodromico al governo del territorio stesso (Sez.3, n.34764 del 21/06/2011, Rv.251244; Sez.3, n.6299 del 15/01/2013, Rv.254493;Sez.3, n.11048 del 18/02/2015, Rv.263289).
5. Il terzo motivo di ricorso non è proponibile.
Non ricorrendo, nella specie, l’ipotesi di intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito (integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen), va richiamato il principio consolidato che esclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod.proc.pen., ivi compresa la prescrizione in presenza di ricorso inammissibile, come nella specie, perché un siffatto ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (Sez.U. n. 12602 del 25.3.2016, Ricci; Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463; Sez.U, n.23428 del 22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 09/01/2018