Cass. Sez. III n. 35412 del 24 agosto 2016 (Ud 14 apr.2016)
Pres. Rosi Est. Riccardi Ric. Melis ed altro
Beni Ambientali. Causa di estinzione del reato della rimessione in pristino
    
In tema di tutela penale del paesaggio, anche la condanna non irrevocabile (nella specie irrogata in primo grado) preclude l'operatività della causa di estinzione del reato della rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincolo prevista dall'art. 181, comma primo quinquies, del D.Lgs. 12 gennaio 2004, n. 42

 RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza emessa il 18 marzo 2015 la Corte di Appello di Cagliari confermava l'affermazione di responsabilità contenuta nella sentenza di condanna alla pena di mesi sei di arresto ed Euro 15.000,00 di ammenda emessa dal Tribunale di Oristano nei confronti di M.R. e M.M., per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, per avere eseguito opere edili, consistenti nella demolizione di un muro e rifacimento con sopraelevazione, e nella ristrutturazione di un immobile con realizzazione di due unità abitative, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica in area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale; in parziale riforma, concedeva il beneficio della non menzione, escludendo l'ordine di demolizione e di rimessione in pristino.

    2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione i difensore di M.R. e M.M., Avv. Saiu Rinaldo, deducendo due motivi:

    1) vizio di motivazione in relazione all'art. 161 c.p.p., comma 4: lamenta la nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio, eseguita a mezzo telefax al solo difensore, nonostante egli non fosse domiciliatario, e le imputate avessero indicato il proprio domicilio;

    2) violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies: lamenta che non sia stata dichiarata l'estinzione del reato paesaggistico, nonostante le imputate avessero provveduto alla rimessione in pristino successivamente alla sentenza di primo grado.
    
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è inammissibile.

    2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

    Al riguardo, la sentenza impugnata ha evidenziato, con motivazione immune da censure, che, in assenza di elezione di domicilio delle imputate, le stesse erano state già destinatarie di due notificazioni eseguite nelle forme ordinarie (decreto di ispezione con informazione di garanzia e avviso di conclusione delle indagini preliminari); le successive notifiche, pertanto, sono state eseguite presso il difensore di fiducia, ai sensi dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis.

    In ordine alle modalità, del resto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la notificazione di un atto all'imputato o ad altra parte privata, in ogni caso in cui possa o debba effettuarsi mediante consegna al difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma dell'art. 148 c.p.p., comma 2 bis, (Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250121).

    3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto la rimessione in pristino, rilevante ai fini dell'estinzione del reato paesaggistico, deve essere eseguita "prima che intervenga la condanna".

    Il ricorrente prospetta, nell'ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata, l'applicabilità della causa di estinzione del reato previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, non soltanto prima della emissione di una condanna, bensì prima della pronuncia di una condanna irrevocabile: poichè la sentenza di primo grado non si è consolidata in giudicato essendo stata avviata una fase di appello, ritiene il ricorrente che la suddetta norma sia applicabile anche in quest'ultima sede.

    L'art. 181, comma 1 quinquies, cit., stabilisce che la rimessione in pristino delle aree e/o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore "prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna" estingue il reato di cui al cit. art. 181, comma 1.

    Il legislatore valorizza una condotta di pentimento operoso che reintegra quanto era stato alterato prima che lo Stato intervenga sulle pregiudizievoli conseguenze della condotta criminosa, sia mediante attività amministrativa ripristinatoria, sia mediante attività giurisdizionale sanzionatoria.

    La regola di azione che si evince quindi dalla norma, diretta all'autore del reato, impone un intervento ripristinatorio attuato "il prima possibile", essendo sufficiente già anche un intervento meramente amministrativo per precludere l'estinguibilità del reato.

    In tal modo vengono perseguiti gli scopi generai-preventivi della immediatezza dell'attività ripristinatoria - che di per sè incide in senso delimitativo degli effetti pregiudizievoli del reato -, e, dall'altro, special-preventivi della spontaneità di tale attività, manifestazione oggettiva della resipiscenza che fonda l'estinzione del reato, sul presupposto del venir meno di esigenze rieducative.

    Alla luce di tali finalità, dunque, ritenere che l'attività di pentimento operoso possa essere posticipata alla sentenza irrevocabile di condanna, seppur conforme alle esigenze general-preventive, non appare coerente con le esigenze special-preventive, in quanto condotta post factum non indiziante una spontanea adesione alle regole dell'ordinamento.

    Del resto, il rilievo che l'intervento della P.A. sia sufficiente a escludere la causa estintiva dimostra ulteriormente che essa non può operare allorquando, nell'ambito del processo penale, sia stata già pronunciata un'affermazione di responsabilità, seppur non definitiva; la ragionevolezza della distinzione, invero, emerge dal rilievo che una condotta successiva all'affermazione di responsabilità, seppur non irrevocabile sarebbe connotata dal perseguimento di un interesse processuale (al quale, allo stato, il legislatore non attribuisce rilevanza), non già da un interesse spontaneo al ripristino dell'ordine giuridico violato.

    Tale interpretazione, confermata dal tenore letterale della norma (ubi voluit dixit), che non richiede una sentenza irrevocabile di condanna, bensì una condanna tout court, appare altresì consolidata nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 37140 del 10/04/2013, Anselmi, Rv. 257680: "In tema di tutela penale del paesaggio, anche la condanna non irrevocabile (nella specie irrogata in primo grado) preclude l'operatività della causa di estinzione del reato della rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincolo prevista dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 quinquies"; sulla natura eccezionale della causa estintiva, insuscettibile di applicazione analogica, Sez. 3, n. 33542 del 19/06/2012, Cavaletto, Rv. 253139).

    4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.500,00: infatti, l'art. 616 c.p.p. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 c.p.p., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 c.p.p..
    
    P.Q.M.

    dichiara inammissibile i ricorsi e condanna ciascuna ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

    Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016.

    Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2016