Cass. Sez. III n. 27683 del 16 luglio 2010 (Ud. 21 apr. 2010)
Pres. Onorato Est. Fiale Ric. Di Meo
Beni Ambientali. Aree marine e perimetrazione
Le aree marine protette sono sottratte alla necessità di perimetrazione tabellare giacché istituite e delimitate con appositi provvedimenti, completi delle indicazioni tecniche e topografiche necessarie per l'individuazione, la cui conoscenza è assicurata dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, sicché l'ignoranza colpevole circa l'esatta perimetrazione dell'area non è scusabile. (Nella specie, relativa ad illecita attività di pesca subacquea, la Corte ha sottolineato l'irrilevanza della disciplina che, con riferimento al divieto di navigazione, prescrive, invece, la necessità di individuazione, con mezzi e strumenti di segnalazione, delle aree protette).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 21/04/2010
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 773
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 44318/2009
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DI MEO SERGIO, N. IL 15/06/1943;
avverso la sentenza n. 1252/2006 TRIBUNALE DI NAPOLI SEZ. DIST. DI POZZUOLI, del 15/01/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/04/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Passacantando Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. ALIANI Angela, sost. processuale dell'avv. ARTIACO Giuseppe la quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Napoli - Sezione distaccata di Pozzuoli, con sentenza del 15.1.2009, affermava la responsabilità penale di Di Meo Sergio in ordine al reato di cui:
- alla L. 6 dicembre 1991, n. 394, art. 19, comma 3, e art. 30 (per avere illecitamente effettuato attività di pesca subacquea all'interno dell'area marina protetta denominata "Parco sommerso di Baia", istituita con D.I. n. 303 del 2002 - acc. in Bacoli, il 25.6.2005).
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena (interamente condonata) di Euro 200,00 di ammenda. Il Tribunale osservava, a fondamento della decisione, che la zona nella quale il Di Meo era stato sorpreso ad esercitare la pesca subacquea era chiaramente indicata, nelle mappe di navigazione, come zona "A" di riserva integrale; essa inoltre era ben delimitata da boe e cartelli nautici segnalanti il divieto assoluto di navigazione e di ogni altra attività idonea a compromettere l'integrità geofisica dei luoghi, ivi compresi "la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie animali e vegetali".
Argomentava altresì che il prevenuto, essendo un pescatore subacqueo, doveva essere a conoscenza del divieto e che, in ogni caso, un'eventuale ignoranza sarebbe inescusabile perché dipendente da negligenza.
Avverso la sentenza di condanna ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per mezzo del suo difensore, denunciando violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione anche in punto di mancato riconoscimento degli estremi dell'errore scusabile. Il ricorrente assume che la prova della consapevolezza di trovarsi in area protetta non poteva desumersi dalla stessa attività svolta (come erroneamente ritenuto dal Tribunale), poiché, anche se per ipotesi il proprio assistito fosse stato un pescatore esperto, il divieto di pesca in quell'area specifica non poteva considerarsi notorio, non potendosi pretendere che egli dovesse conoscere con chiarezza la dislocazione e soprattutto i limiti spaziali di estensione del Parco sommerso di Baia.
L'istruttoria dibattimentale aveva accertato soltanto l'installazione di boe di segnalazione, ma tale segnaletica dovrebbe ritenersi del tutto insufficiente alla delimitazione di un'area protetta, sicché il Tribunale incongruamente aveva rigettato l'istanza difensiva, formulata ai sensi dell'art. 507 c.p.p., di inoltro di specifica richiesta alla Capitaneria di Porto, affinché specificasse a quale distanza erano collocate le boe rispetto alla spiaggia dalla quale il Di Meio si era presumibilmente introdotto in acqua.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. La zona in oggetto, come chiarito dal militare della Guardia Costiera escusso in dibattimento, era indicata nelle carte nautiche come zona di riserva integrale marina e ritualmente segnalata da boe e da cartelli apposti anche sulla terraferma. Essa, inoltre, era raggiungibile solo dal mare.
In ogni caso, come correttamente puntualizzato dal Tribunale, qualora il prevenuto non avesse percepito la segnalazione o non ne avesse compreso il significato, sarebbe ugualmente responsabile perché l'ignoranza sarebbe derivata da sua colpa. Invero, colui il quale esercita la pesca sportiva subacquea, anche come principiante, ha il dovere di informarsi sulle norme che regolano tale attività e sulle zone in cui la stessa può essere esercitata liberamente e senza divieti.
2. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., sez. 3, 6.8.2007, n. 32021, Marciano e altri), inoltre, in tema di tutela delle aree protette, dette aree sono sottratte alla necessità di perimetrazione tabellare in quanto istituite e delimitate con appositi provvedimenti, completi di tutte le indicazioni tecniche e topografiche necessarie per l'individuazione, la cui conoscenza è assicurata dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dal momento di tale pubblicazione sorge la presunzione di conoscenza dell'estensione dell'area protetta da parte di tutti i consociati e costituisce onere di chi si introduce nella zona di prendere cognizione degli esatti confini dell'area, onde evitare comportamenti di rilevanza penale. Ne consegue che non può considerasi scusabile, a norma dell'art. 5 cod. pen. (come interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 364/1988), l'ignoranza colpevole circa l'esatta perimetrazione dell'area protetta, stante l'irrilevanza del difetto di perimetrazione tabellare e tenuto conto della mancata ottemperanza del dovere di informazione e di conoscenza incombente ad ogni soggetto che intraprende una attività normativamente regolata in vista della osservanza dei precetti penali.
3. Per completezza espositiva appare opportuno evidenziare che non è rilevante, nella specie, la previsione della L. n. 394 del 1991, art. 2, comma 9 bis (introdotto dalla L. 8 luglio 2003, n. 172, art. 4, comma 1 - Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico), secondo la quale "i limiti geografici delle aree protette marine entro i quali è vietata la navigazione senza la prescritta autorizzazione sono definiti secondo le indicazioni dell'Istituto idrografico della Manna ed individuati sul territorio con mezzi e strumenti di segnalazione conformi alla normativa emanata dall'Association Internazionale de Signalisation Marittime - International Association of Manne Aids to Navigation and Lighthouse Authorities (AISM - IALA)".
La vicenda in esame, invero, non riguarda la nautica da diporto, sicché l'anzidetta normativa non può svolgere alcuna influenza sulla configurabilità della contravvenzione contestata. 4. Il reato non è prescritto.
L'accertamento risale al 25.6.2005 e la scadenza del termine ultimo di prescrizione coinciderebbe pertanto con il 25.12.2009. Va computata, però (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese), una sospensione per complessivi mesi 10 e giorni 25, in seguito a rinvio disposto su richiesta del difensore dall'8.2.2007 al 2.1.2008, non per esigenze di acquisizione della prova ne' a causa del riconoscimento di termini a difesa. Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 19.11.2010.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.;
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010