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LA QUESTIONE DEI FORNI A LEGNA PER ALIMENTI TRA NORMATIVA SULL'INQUINAMENTO ATMOSFERICO, HACCP E DPCM 8 MARZO 2002

- Dott. Massimo Latini -

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E' stato recentemente chiarito attraverso una nota del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio che "Non sussistono divieti per l'esercizio di forni a legna ma solo norme che regolamentano le emissioni in atmosfera. Per i forni a legna il rispetto di tali limiti non richiede l'istallazione di sistemi di abbattimento ma solo l'applicazione di buone pratiche di gestione".

L'esercizio dei forni a legna, dunque, dovrebbe riferirsi solamente alla normativa che disciplina le immissioni in atmosfera (Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203) nonché alla applicazione di generiche e vaghe pratiche di buona gestione, sfatando preoccupanti quanto fantomatici divieti provenienti dalla legislazione europea circolati sui mezzi di stampa e facendo tirare un sospiro di sollievo alle associazioni di categoria del settore della ristorazione e ai commercianti stessi. Divieti presto smentiti dalla stessa Unione Europea; nessuna direttiva, infatti, è stata trovata contro i forni a legna per alimenti, facendo nascere un piccolo "giallo informativo". Di fatto, tuttavia, i forni in questione hanno una scarsissima rilevanza dal punto di vista dell'inquinamento atmosferico prodotto, diversamente da altre attività industriali di altra importanza.

La notizia aveva di certo creato serie preoccupazioni, rimanendo per buona parte incompresa. E' noto, infatti, che la pizza (o altri generi alimentari come, ad esempio, il pane) cotta nel forno a legna, una pietanza da sempre alla base della tradizione gastronomica italiana e mediterranea in genere, offre di per se garanzia di igiene proprio per le modalità di cottura prevista.

Garanzia di igiene che trova riscontro anche nel rispetto del Decreto Legislativo sulla igiene dei prodotti alimentari (il n. 155 del 26.05.1997), che ha visto la validazione dei manuali "HACCP" (Hazard Analysis Critical Control Points) previsti da tale norma della pizzeria effettuata dal Ministero della Sanità e dall'Istituto Superiore della Sanità i quali non hanno escluso tale tipo di cottura che, tramite il raggiungimento di altissime temperature (400 gradi), assicurano la distruzione di qualsiasi microrganismo patogeno, delle spore e delle tossine. La sistematica e organizzata attività di autocontrollo prevista dal Decreto n. 155 (la quale muove dalla identificazione e dalla analisi dei vari danni associati ai vari stadi del processo produttivo di una derrata alimentare, per giungere alla definizione dei mezzi per neutralizzarli assicurando che questi siano messi in pratica in modo efficace e efficiente) non identificherebbe, in senso generico, nella cottura a legna dei cibi un punto critico né un rischio del processo di preparazione del prodotto da forno.

Dunque se per un verso il pericolo è scampato, tuttavia, la cottura di alimenti come la pizza in forni alimentati a legna, trova ancora insidie nel panorama normativo italiano. Stavolta il decreto a cui riferirsi esiste, in particolare trattasi del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 8 marzo 2002 "Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini
dell'inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione" e successive modificazioni.

Una normativa, severa e meticolosa, che costringendo gli addetti ai lavori a nuovi investimenti e all'impiego di tempo per seguire una burocrazia più articolata, potrebbe favorire l'opzione da parte questi ultimi del forno elettrico in luogo del forno legna. Si tratterebbe, in questo caso, di una scelta di carattere strategico-commerciale, più che di una abolizione tout court erroneamente paventata dal caso precedente.

I limiti di emissione previsti dal provvedimento sono fissati a seconda della potenza complessiva dell'impianto e vanno da 150 a 100 milligrammi per metro cubo per l'ossido di carbonio, da 300 a 200 milligrammi per gli ossidi di azoto, da 30 a 20 milligrammi per il carbonio organico totale e 30 milligrammi per i composti inorganici del cloro sotto forma di gas o vapori. Limiti che porterebbero i ristoranti e le pizzerie a predisporre, qualora questi limiti fossero superati, un nuovo forno a legna a norma, oppure probabilmente a rinunciarvi.

Entro il marzo 2006, secondo il decreto, i forni a legna dovranno essere adeguati a severi requisiti tecnici e costruttivi. Inoltre dal primo settembre prossimo, dovrebbero essere vietati i forni a carbone e carbonella, anche se non è chiaro se tali combustibili potranno essere impiegati nelle grigliate dei camini. Molte associazioni di categoria hanno chiesto a gran voce proroghe in tal senso, ma in realtà le cose non stanno proprio come

Questo da una analisi superficiale della norma. Venendo, invece, nel dettaglio, bisogna annunciare che anche in merito a questo decreto si è generata una certa confusione e spesso falsi allarmismi, anch'essi provocati da informazioni imprecise fornite da superficiali organi di stampa.

Innanzitutto l'uso, nei pubblici esercizi e nei panifici, di forni a legna, non è assolutamente vietato; sia la legna da ardere che il carbone di legna sono ammessi come combustibili; per la legna da ardere vanno rispettati determinati limiti di emissione, che si ritiene siano ben al di sopra di quelli raggiunti dai forni in uso nei pubblici esercizi e nei panifici, considerato anche che, ai sensi del DPR 25 luglio 1991, è attività a inquinamento atmosferico poco significativo quella esercitata da rosticcerie e friggitorie, cucine, ristorazione collettiva e mense, panetteria, pasticceria e affini con non più di 300 kg di farina al giorno, e comunque panificazione, pasticceria e affini con consumo di farina non superiore a 1500 kg/g sono considerate, secondo lo stesso regolamento, attività a ridotto inquinamento atmosferico; molti elementi convincono circa l'esclusione, per i titolari degli esercizi, dagli obblighi di procedere a misurazione annuale delle emissioni e registrazione nel libretto di impianto, che comunque sarebbero in vigore già dal 12 marzo 2004; per ciò che concerne i requisiti tecnici e costruttivi degli impianti, si propende per l'esclusione dagli obblighi per i forni a legna e a carbone di legna dei pubblici esercizi e dei panifici (detti obblighi, comunque, sorgerebbero solo dal 12 marzo 2006); l'uso di carbone di legna, oltre a non essere vietato, non patisce limiti di emissione.

I media hanno dato grande risalto, negli ultimi giorni, alla notizia secondo cui, in applicazione di disposizioni entrate in vigore nello scorso mese di marzo, l'attività dei pubblici esercizi (specie pizzerie), nonché dei forni da pane, che utilizzino forni a legna, sarebbero da considerare a rischio, tanto da doverne temere la chiusura. Le conclusioni cui giunge la stampa, anche sulla scorta dell'intervento di alcune associazioni dei consumatori, che avrebbero chiesto deroghe per consentire la continuazione nell'uso dei forni a legna, sembrano alquanto affrettate, oltre che, per certi versi, fuorvianti. La normativa cui si fa riferimento è il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2002, in vigore dal 12 marzo dello stesso anno. Detto provvedimento è stato approvato allo scopo di aggiornare i contenuti del previgente DPCM 2 ottobre 1995, recante "Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell'inquinamento atmosferico nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione". All'art. 7, il decreto del 1995 considerava tra i combustibili per uso civile quelli utilizzati nei forni da pane e nelle mense ed altri pubblici esercizi destinati ad attività di ristorazione e consentiva, per tali impianti, l'uso, senza particolari limitazioni, della legna tal quale e del carbone di legna. Il nuovo DPCM, al contrario, consente l'utilizzo della legna da ardere all'interno dei forni da pane e delle mense ed altri pubblici esercizi destinati ad attività di ristorazione solo alle condizioni previste nell'Allegato III, punto 2. L'Allegato, nel punto indicato, determina, in apposita tabella e in relazione alla potenza termica nominale complessiva installata (MW) i valori limite delle emissioni in termini di polveri totali, carbonio organico totale, monossido di carbonio, ossidi di azoto, ossidi di zolfo. Ai sensi dell'art. 6, comma 6, del DPCM dell'8 marzo 2002, gli impianti termici che, alla data del 12 marzo 2002, utilizzassero già quale combustibile la legna da ardere, avrebbero dovuto, già dal 12 marzo 2004, rispettare i menzionati valori limite, oltre alle prescrizioni indicate nell'Allegato III. Queste ultime sono relative alle misurazioni con frequenza almeno annuale, da parte del responsabile dell'esercizio e della manutenzione, delle concentrazioni negli effluenti gassosi delle sostanze i cui limiti sono fissati nella citata tabella. Detti valori, dovrebbero poi essere allegati al libretto di centrale o di impianto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412. Ma il DPR n. 412/93, che detta norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, riguarda esclusivamente gli impianti termici destinati alla climatizzazione degli ambienti o alla sola produzione centralizzata di acqua calda per usi igienici e sanitari. Non pare, dunque, che il DPCM dell'8 marzo 2002 possa introdurre, senza apposita delega, modifiche normative tali da comportare, per i forni dei pubblici esercizi, l'introduzione di obblighi corrispondenti a quelli già previsti per gli edifici civili. Inoltre, ai sensi del punto 2.5 dell'Allegato III, agli impianti di potenza termica nominale complessiva inferiore o pari a 1 MW si applica l'articolo 2, comma 1, del D.P.R. 25 luglio 1991, che già, di per sé (senza riferimento alla potenza termica), considera attività ad inquinamento atmosferico poco significativo quella esercitata da rosticcerie e friggitorie, cucine, ristorazione collettiva e mense, panetteria, pasticceria ed affini con non più di 300 kg di farina al giorno. Altra novità da considerare è quella prevista dall'art. 7 del DPCM del 2002, laddove stabilisce che gli impianti di potenza termica nominale per singolo focolare superiore a 0,035 MW devono possedere i requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1970, n. 1391. L'applicazione di quest'ultimo, concernente finora tutti gli impianti termici di potenzialità superiore alle 30.000 kcal/h, non inseriti in un ciclo di produzione industriale, installati nelle zone A e B del territorio nazionale previste dalla legge n. 615/66, e cioè in zone aventi caratteristiche industriali o urbanistiche e geografiche o meteorologiche particolarmente sfavorevoli nei riguardi dell'inquinamento atmosferico, sarebbe dunque estesa ora a tutti gli impianti. Gli impianti installati precedentemente al 12 marzo 2002 hanno l'obbligo di adeguarsi ai suddetti requisiti tecnici e costruttivi entro il 12 marzo 2006. Orbene, il DPR n. 1391/70 prescrive i requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici, stabilendo gli obblighi relativi: alle dimensioni delle aperture esterne per l'aerazione in relazione alla potenzialità dell'impianto; alle stesse dimensioni del locale (la minima superficie in pianta ammessa per un locale contenente focolari è di m² 6); alle caratteristiche dei locali per il deposito dei combustibili; a quelle dei camini e dei canali da fumo, degli accessori, dei focolari, dei bruciatori, degli indicatori (termometri, misuratori di pressione). Senonchè, l'art. 14 del decreto individua le caratteristiche dei combustibili impiegati (solidi o liquidi), fra i quali non compaiono assolutamente la legna da ardere o il carbone da legna. Ciò ci dà modo di pensare che le prescrizioni di cui al DPR n. 1391 non siano applicabili alle fattispecie di nostro interesse. Infine, la questione "carbone e carbonella". I richiamati articoli di stampa paventano il divieto di usare detti combustibili, dal 1° settembre 2005, per le "grigliate" negli esercizi pubblici. L'art. 10 del DPCM consente, non oltre la data ora indicata, l'impiego del carbone da vapore rispondente a determinate caratteristiche negli impianti funzionanti a tali combustibili alla data di entrata in vigore del decreto. In realtà, l'uso del carbone da vapore - che nulla ha a che vedere con il carbone e la carbonella usati per i forni degli esercizi pubblici, trattandosi di un combustibile utilizzato nelle caldaie per la produzione del vapore necessario alla produzione elettrica o ad altri usi industriali - è già vietato nei forni da pane, nelle cucine, nelle mense e negli altri pubblici esercizi destinati ad attività di ristorazione. Si consideri, poi, che per la combustione del carbone di legna il DPCM non prevede limiti di emissione, per cui rimarrebbero da rispettare solo gli obblighi relativi ai requisiti tecnici degli impianti, tenuto conto, in proposito, di quanto si è detto in precedenza. Sulle questioni aperte, l'Ufficio Legislativo ha già interpellato il Ministero della salute, Direzione Generale per la salvaguardia ambientale, al quale sarà rivolto ufficialmente un quesito.