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Cass. Sez. III n. 9642 del 21 marzo 2006
Pres. Vitalone Est. Franco Ric. Topa
L’attività di verniciatura di autovetture non rientra tra quelle ad inquinamento atmosferico poco significativo bensì in quelle a ridotto inquinamento atmosferico quando sussistano le caratteristiche richieste
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Svolgimento del processo
Con ordinanza del 19 luglio 2005 il tribunale del riesame di Napoli confermò il decreto di sequestro preventivo emesso il 23 maggio 2005 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Nola nei confronti di Topa Raimondo ed avente ad oggetto delle attrezzature, un forno e un compressore per la verniciatura di auto rinvenuti all'interno di un capannone adibito ad autocarrozzeria, in relazione al reato di cui all'art. 12 D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, per avere esercitato attività di verniciatura di auto in assenza della prescritta autorizzazione per le emissioni in atmosfera.
Il Topa propone ricorso per cassazione deducendo violazione di legge e mancanza assoluta di motivazione. Osserva che egli è titolare di una piccola officina di autoverniciatura, priva di dipendenti, che non costituisce né una industria né una piccola o media impresa. Ai sensi dell'art. 2, comma 9, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, sono soggetti all'obbligo di chiedere l'autorizzazione gli impianti che servano per uso industriale e possano provocare inquinamento atmosferico. E' vero che la giurisprudenza ha esteso l'obbligo anche agli impianti non industriali, ma in tal caso deve essere documentato il potere inquinante della struttura produttiva sottoposta a sequestro. Nella specie l'attività produttiva non costituisce impianto industriale ai sensi dell'art. 2, co. 9, cit., e non è stata fornita la benché minima motivazione, nemmeno sul piano presuntivo o indiziario, sull'esistenza di un potere inquinante uguale o maggiore a quello di un impianto industriale.
Va in via preliminare ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro:
- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Sez. Un., 1 novembre 1992, Midolini);
- l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (Sez. Un., 20 novembre 1996, Bassi, m. 206.657).
Nel caso in esame, gli elementi addotti dall'accusa - della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi (demandandosi ogni ulteriore approfondimento al prosieguo delle indagini e spettando poi al giudice del merito la compiuta verifica) - consentono congruamente di configurare l'ipotesi di reato contestata, in una situazione in cui le contrarie prospettazioni difensive del ricorrente non valgono ad escludere la configurabilità del fumus del reato medesimo.
Va infatti in via generale rammentato che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, citata anche dalla ordinanza impugnata:
- «in tema di inquinamento atmosferico, con il D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 il legislatore non ha inteso limitare la tutela della salubrità dell'aria ed il controllo delle emissioni atmosferiche solo agli impianti definibili come industriali ai sensi dell'art. 2195 del cod. civ., ma vi ha incluso anche gli altri impianti non industriali che pure possano avere uguale o maggiore potere inquinante, attesa la portata generale delll'art. 1 del citato D.P.R., che prevede la sottoposizione alla disciplina in esso contenuta di tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione nell'atmosfera (Sez. III, 23 maggio 2001, Feletto, m. 219.986);
- «in tema di controllo delle emissioni nell’atmosfera il concetto di impianto non implica necessariamente una struttura di notevoli dimensioni, e neppure una struttura complessa dell'insediamento, essendo sufficiente anche una postazione parziale, che abbia attitudine concreta a cagionare l'inquinamento dell'atmosfera» (Sez. III, 1 aprile 1998, Dainese, m. 210.960);
- «nel campo di applicazione della normativa dell'inquinamento atmosferico, di cui al D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, devono considerarsi comprese anche le officine di autoverniciatura, in quanto idonee ad immettere veleni nell’atmosfera e necessitanti di una preventiva autorizzazione» (Sez. III, 11 gennaio 1999, Alfonso, m. 213.002; Sez. III, 27 giugno 2001, Trovato, m. 220.195).
In particolare, va ricordato che il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, nel dettare - in attuazione delle direttive C.E.E. nn. 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 - la disciplina delle emissioni inquinanti in atmosfera derivanti da impianti industriali, ha fissato in termini assai ampi la propria sfera applicativa estendendola «a tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione nell'atmosfera» (art. 1, comma 2, lett. a) e specificando che l'emissione considerata è soltanto quella in grado di produrre inquinamento atmosferico (art. 2, punto 4).
Per «impianto» si deve intendere, ai sensi dell’art. 2, punto 9, dello stesso D.P.R., «lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale».
II D.P.C.M. 21 luglio 1989 (emanato dal Governo nell’ambito dei poteri di indirizzo e coordinamento alle regioni previsti, in via generale, dall’art. 9 della legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del ministero dell'ambiente, e riconosciuti, con specifico riferimento alla materia dell'inquinamento atmosferico, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 9 marzo 1989) ha esteso l’ambito di applicazione del D.P.R. n. 203/1988 anche agli impianti di imprese artigiane e di servizi ed ha introdotto le categorie:
- delle «attività i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo» (punto 25), da individuarsi con apposito decreto e non soggette ad alcuna autorizzazione (punto 26);
- delle «attività a ridotto inquinamento atmosferico» (punto 19), stabilendo unicamente al riguardo che le regioni possono predisporre «modelli semplificati di domande di autorizzazione in base alle quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione della quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo produttivo».
Il D.P.R. 25 luglio 1991 (emanato, in base alle previsioni dell'art. 1 della legge 12 gennaio 1991, n. 13, quale atto normativo di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni) ha modificato parzialmente il D.P.C.M. 21 luglio 1989 ed ha previsto che le «attività ad inquinamento atmosferico poco significativo» - elencate nell'Allegato 1 - non necessitano di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (art. 2), mentre le regioni possono unicamente prevedere l'obbligo, per i titolari di tali attività, di comunicare la sussistenza delle condizioni che consentono di ritenere poco significative le emissioni dell'impianto.
Lo stesso D.P.R. 25 luglio 1991 ha altresì individuato le «attività a ridotto inquinamento atmosferico» (art. 4) ed ha specificate che le stesse sono:
- quelle i cui impianti producono flussi di massa degli inquinanti inferiori a quelli indicati nei decreti ministeriali che dettano le linee guida per il contenimento delle emissioni ed i valori minimi e massimi di emissione;
- quelle che «utilizzano, nel ciclo di produzione, materie prime ed ausiliarie che non superano le quantità ed i requisiti indicati nell'Allegato 2» al decreto stesso.
Tale Allegato 2 contiene un elenco di 27 attività, per ciascuna delle quali è indicato il quantitativo massimo giornaliero di prodotti che possono essere utilizzati affinché l'attività possa essere ricompresa nel settore in questione.
Le regioni autorizzano in via generale le attività a ridotto inquinamento atmosferico e possono «altresì predisporre procedure specifiche anche con modelli semplificati di domande di autorizzazione in base ai quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione delle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo» (art. 5).
Ossia, in caso di «attività a ridotto inquinamento atmosferico» è richiesto solo l'onere di comunicare alle regioni l'intenzione di avvalersi di detto provvedimento abilitativo generale ovvero di seguire le procedure semplificate di domanda di autorizzazione eventualmente predisposte.
Alla stregua di quanto previsto dal D.P.C.M. 21 luglio 1989 e dal D.P.R. 25 luglio 1991, l'attività di verniciatura di carrozzerie di autoveicoli in oggetto non rientra tra quelle «i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo», non soggette ad alcuna autorizzazione.
Il punto 2 dell'Allegato 2, invece, include tra le «attività a ridotto inquinamento atmosferico» la «riparazione e verniciatura di carrozzerie di autoveicoli, mezzi e macchine agricole con utilizzo di impianti a ciclo aperto e utilizzo di prodotti vernicianti pronti all'uso non superiore a 20 kg/g», sicché l'impianto in esame potrebbe eventualmente, ove ne sussistano le suddette caratteristiche, essere incluso fra queste attività.
Va però precisato che sia l'omissione della comunicazione sia la mancata attuazione della procedura semplificata per ottenere un'autorizzazione singola, ove sussista la normativa regionale attuativa e siano contemplate entrambi detti regimi autorizzatori oppure uno solo di essi, comportano la configurabilità della contravvenzione in esame (cfr. Sez. III, 20 dicembre 2002, Cardillo, m. 224.180; Sez. III, 4 ottobre 2002, Stramazzo, m. 222.702; Sez. III, 27 novembre 2003, n. 978/2004, Marino).
Nel caso in esame la difesa non ha mai prospettato, tanto meno con il ricorso per cassazione, che 1'impianto in questione (per la quantità effettiva di prodotti vernicianti pronti all'uso effettivamente utilizzata, secondo la previsione dell'Allegato 2 al D.P.R. 25 luglio 1991) potesse essere riconducibile a quelle «attività a ridotto inquinamento atmosferico» che le regioni autorizzano in via generale e per le quali possono altresì predisporre procedure semplificate e, comunque, non ha mai prospettato di avere chiesto ed ottenuto una autorizzazione sia pure sulla base delle dette procedure semplificate eventualmente previste dalla regione Campania.
Alla stregua degli elementi di fatto allo state disponibili, pertanto, non può disconoscersi la sussistenza del fumus del reato ipotizzato.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.