Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24057 del 27/04/2006 Ud. (dep. 12/07/2006 ) Rv. 234478
Presidente: De Maio G. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Giovannini. P.M. Fraticelli M. (Diff.)
(Rigetta, Trib. Benevento, 6 ottobre 2004)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Inquinamento atmosferico - Reato di costruzione di impianto senza autorizzazione - Successione di titolarità nell'impianto - Responsabilità a carico del solo costruttore iniziale - Esclusione - Fondamento.

Il reato di cui all'art. 24, comma primo, d.P.R. n. 203 del 1988 (ora sostituito dall'art. 279, comma primo, parte prima, del D.Lgs. n. 152 del 2006) non si esaurisce con il comportamento del legale rappresentante della società al momento nel quale è iniziata la costruzione dell'impianto senza la preventiva autorizzazione, ma, trattandosi di reato permanente, è integrato anche da coloro che successivamente assumono la qualità di legali rappresentanti, atteso che anche su questi grava l'obbligo di chiedere l'autorizzazione, o di cessare l'attività in assenza della stessa.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DE MAIO Guido - Presidente - del 27/04/2006
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 700
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 9334/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GIOVANNINI Tullio, nato a Roma il 27 marzo 1935;
avverso la sentenza emessa il 6 ottobre 2004 dal giudice del tribunale di Benevento;
udita nella Pubblica udienza del 27 aprile 2006 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non aver commesso il fatto. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Benevento dichiarò Giovannini Tullio colpevole del reato di cui al D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 24, per avere, quale legale rappresentante della Ditta Telestampa Sud s.r.l., iniziato la costruzione dell'impianto senza autorizzazione alle immissioni in atmosfera, e lo condannò alla pena di Euro 400,00 di ammenda.
L'imputato propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) mancata assunzione di una prova decisiva; conseguente assoluzione per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste. Lamenta che il giudice non ha ammesso la richiesta prova testimoniale diretta a provare la circostanza (peraltro risultante anche dalla documentazione depositata) che egli all'epoca dell'inizio della costruzione non era amministratore o legale rappresentante della Telestampa Sud s.r.l., essendo divenuto tale solo dal 1 marzo 1991, mentre i lavori di costruzione dello stabilimento avevano avuto inizio il 12 febbraio 1990, nonché a provare la circostanza che le rotative per la stampa di giornali non producevano inquinamento od emissioni inquinanti;
b) mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulla sua responsabilità ed in particolare sulla documentazione da cui risultava che lo stabilimento era stato costruito ben 12 anni prima quando egli non era amministratore;
c) violazione degli artt. 516, 518, 521 e 522 cod. proc. pen.;
nullità della sentenza.
Lamenta mancanza di correlazione tra fatto contestato e sentenza perché la contestazione era di aver iniziato la costruzione dell'impianto senza autorizzazione, mentre è poi stato giudicato per il fatto diverso di averne continuato l'esercizio;
d) violazione del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 24, dell'art. 157 cod. pen., dell'art. 525 cod. proc. pen.. Osserva che egli non ha evidentemente commesso il fatto contestato perché ben anteriore alla data in cui ha assunto la carica di amministratore. La disposizione in esame non contempla poi il fatto della continuazione della attività dell'impianto in assenza di autorizzazione, perché punisce solo chi inizia la costruzione di un nuovo impianto e che ne continua l'esercizio con autorizzazione sospesa, rifiutata o revocata. Nella specie egli ha solo continuato l'esercizio dell'impianto senza autorizzazione, tanto da richiederne poi il rilascio all'organo competente. Non vi è inoltre prova che l'impianto fosse inquinante. In ogni caso il reato era prescritto essendo decorsi oltre 14 anni dalla effettiva consumazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La prima parte del primo motivo, nonché il secondo motivo e la prima parte del quarto motivo sono infondati. E difatti, è irrilevante la circostanza che il Giovannini sia divenuto legale rappresentante della Tecnostampa Sud solo dal marzo del 1991, ossia quando la costruzione dell'impianto era già terminata e lo stabilimento era già in funzione, mentre non ricopriva tale carica nel febbraio del 1990, epoca in cui erano iniziati i lavori di costruzione dello stabilimento stesso. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di impianti originanti emissioni nell'atmosfera, la contravvenzione di cui al D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 24, comma 1, ha natura di reato omissivo permanente, e la consumazione si protrae sino a quando il responsabile dell'impianto non presenta, anche oltre il termine prescritto, la domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte (Sez. 3^, 12 febbraio 2004, Armenio, m. 228.879; Sez. 3^, 27 marzo 2002, Pinori, m. 221.954; Sez. 3^, 1 febbraio 2002, Magliulo, m. 221, 267; Sez. 3^, 7 ottobre 1999, Cipriani, m. 214.989; Sez. 3^, 18 novembre 1997, Pasini, m. 209.339).
Ne consegue che il reato non si è esaurito con il comportamento omissivo di colui che era legale rappresentante della società al momento in cui è iniziata la costruzione dello stabilimento senza la previa autorizzazione, ma è proseguito con i comportamenti omissivi di tutti coloro - e quindi anche dell'attuale imputato - che hanno successivamente assunto la qualità di legali rappresentanti, sui quali anche continuava a permanere l'obbligo di chiedere la autorizzazione in questione e che invece hanno continuato a rimanere inadempienti a tale obbligo.
La giurisprudenza di questa Corte, del resto, ha da tempo precisato che in materia di inquinamento atmosferico, la permanenza del reato di omessa presentazione della domanda di autorizzazione, radica la responsabilità anche di coloro i quali hanno proseguito nell'esercizio dell'impianto sapendo e comunque dovendo sapere (e controllare) che la domanda di autorizzazione non era stata presentata, a suo tempo, con le prescritte modalità, dal precedente amministratore (Sez. 3^, 29 maggio 1996, Simonetti, m. 206.237). L'imputato, quindi, è stato esattamente ritenuto responsabile di un comportamento omissivo proprio, avendo colpevolmente omesso di presentare la domanda di autorizzazione ed avendo quindi violato colpevolmente l'obbligo che continuava ad incombere anche su di lui. È poi infondato il terzo motivo, non essendo ravvisabile alcuna violazione del principio di corrispondenza tra imputazione e condanna riportata in sentenza. È vero che il capo di imputazione parlava - conformemente del resto al testo letterale della disposizione - di inizio della costruzione dell'impianto senza autorizzazione, ma in ciò potrebbe riscontrarsi, a tutto voler concedere, una semplice imprecisione che non può incidere sull'esercizio del diritto di difesa, essendo del resto evidente che l'organo dell'accusa (che peraltro non poteva ovviamente essere a conoscenza preventivamente dell'assunto difensivo secondo cui il Giovannini non era ancora amministratore all'epoca di inizio della costruzione) ha correttamente contestato il comportamento indicato dalla norma incriminatrice, nel quale deve ritenersi evidentemente compreso non solo l'inizio della costruzione dell'impianto ma anche la permanenza del reato consistente nella prosecuzione della attività senza l'ottenimento della autorizzazione.
Del resto, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, affinché si verifichi un'immutazione del fatto, rilevante ai fini dell'art. 522 c.p.p., comma 2, è necessario, da un lato, che la struttura dell'imputazione sia modificata in uno dei suoi elementi essenziali (materiale, psicologico o nesso di causalità) e, dall'altro lato, che essa risulti tanto divergente dall'originaria da essere incompatibile con le difese apprestate dall'imputato per discolparsi. Ne consegue che la verifica dell'osservanza del principio in esame va condotta non nel senso rigorosamente formale, ma in base alla possibilità assicurata all'imputato di interloquire in relazione a tutte le circostanze del fatto. Orbene, nel caso di specie, quand'anche vi fosse stata una mutatio libelli, la stessa non sarebbe comunque sufficiente per ritenere violato il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza in quanto l'imputato è stato messo in grado di confutare e difendersi concretamente anche sulla parte di condotta non formalmente inserita nel capo di imputazione ed ha anzi sul punto effettuato una fattiva contestazione.
È altresì infondata la seconda parte del primo e del quarto motivo, essendo irrilevante che lo stabilimento in questione producesse o meno in concreto inquinamenti o emissioni effettivamente inquinanti. Va infatti ricordato che il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, nel dettare - in attuazione delle direttive C.E.E. nn. 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 - la disciplina delle emissioni inquinanti in atmosfera derivanti da impianti industriali, ha fissato in termini assai ampi la propria sfera applicativa estendendola "a tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissione nell'atmosfera" (art. 1, comma 2, lett. a) e specificando che l'emissione considerata è soltanto quella in grado di produrre inquinamento atmosferico (art. 2, punto 4).
Per "impianto" si deve intendere, ai sensi dell'art. 2, punto 9, dello stesso D.P.R., "lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale".
Il D.P.C.M. 21 luglio 1989 (emanato dal Governo nell'ambito dei poteri di indirizzo e coordinamento alle regioni previsti, in via generale, dalla L. 8 luglio 1986, n. 349, art. 9, istitutiva del ministero dell'ambiente, e riconosciuti, con specifico riferimento alla materia dell'inquinamento atmosferico, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 9 marzo 1989) ha esteso l'ambito di applicazione del D.P.R. n. 203 del 1988 anche agli impianti di imprese artigiane e di servizi ed ha introdotto le categorie:
- delle "attività i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo" (punto 25), da individuarsi con apposito decreto e non soggette ad alcuna autorizzazione (punto 26);
- delle "attività a ridotto inquinamento atmosferico" (punto 19), stabilendo unicamente al riguardo che le regioni possono predisporre "modelli semplificati di domande di autorizzazione in base alle quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione della quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo produttivo".
Il D.P.R. 25 luglio 1991 (emanato, in base alle previsioni della L. 12 gennaio 1991, n. 13, art. 1, quale atto normativo di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni) ha modificato parzialmente il D.P.C.M. 21 luglio 1989 ed ha previsto che le "attività ad inquinamento atmosferico poco significativo" - elencate nell'Allegato 1 - non necessitano di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (art. 2), mentre le regioni possono unicamente prevedere l'obbligo, per i titolari di tali attività, di comunicare la sussistenza delle condizioni che consentono di ritenere poco significative le emissioni dell'impianto.
Lo stesso D.P.R. 25 luglio 1991 ha altresì individuato le "attività a ridotto inquinamento atmosferico" (art. 4) ed ha specificato che le stesse sono:
- quelle i cui impianti producono flussi di massa degli inquinanti inferiori a quelli indicati nei decreti ministeriali che dettano le linee guida per il contenimento delle emissioni ed i valori minimi e massimi di emissione;
- quelle che "utilizzano, nel ciclo di produzione, materie prime ed ausiliarie che non superano le quantità ed i requisiti indicati nell'Allegato 2" al decreto stesso.
Tale Allegato 2 contiene un elenco di 27 attività, per ciascuna delle quali è indicato il quantitativo massimo giornaliero di prodotti che possono essere utilizzati affinché l'attività possa essere ricompresa nel settore in questione.
Le regioni autorizzano in via generale le attività a ridotto inquinamento atmosferico e possono "altresì predisporre procedure specifiche anche con modelli semplificati di domande di autorizzazione in base ai quali le quantità e le qualità delle emissioni siano deducibili dall'indicazione delle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate nel ciclo" (art. 5). Ossia, in caso di "attività a ridotto inquinamento atmosferico" è richiesto solo l'onere di comunicare alle regioni l'intenzione di avvalersi di detto provvedimento abilitativo generale ovvero di seguire le procedure semplificate di domanda di autorizzazione eventualmente predisposte.
Alla stregua di quanto previsto dal D.P.C.M. 21 luglio 1989 e dal D.P.R. 25 luglio 1991, l'attività di tipografia in oggetto non rientra tra quelle "i cui impianti provocano inquinamento atmosferico poco significativo", non soggette ad alcuna autorizzazione. Il punto 3 dell'Allegato 2, invece, include tra le "attività a ridotto inquinamento atmosferico" la "tipografia, litografia serigrafia con utilizzo di prodotti per la stampa (inchiostri, vernici e similari) non superiori a 30 Kg/g", sicché l'impianto in esame potrebbe eventualmente, ove ne sussistessero le suddette caratteristiche, essere incluso fra queste attività. Va però precisato che sia l'omissione della comunicazione sia la mancata attuazione della procedura semplificata per ottenere un'autorizzazione singola, ove sussista la normativa regionale attuativa e siano contemplate entrambi detti regimi autorizzatori oppure uno solo di essi, comportano la configurabilità della contravvenzione in esame (cfr. Sez. 3^, 20 dicembre 2002, Cardillo, m. 224.180; Sez. 3^, 4 ottobre 2002, Stramazzo, m. 222.702; Sez. 3^, 27 novembre 2003, n. 978/2004, Marino; Sez. 3^, 16 dicembre 2005, Topa).
Nel caso in esame la difesa non ha mai prospettato, tanto meno con il ricorso per cassazione, che l'impianto in questione (per la quantità effettiva di prodotti per la stampa utilizzati, secondo la previsione dell'Allegato 2 al D.P.R. 25 luglio 1991) potesse essere riconducibile a quelle "attività a ridotto inquinamento atmosferico" che le regioni autorizzano in via generale e per le quali possono altresì predisporre procedure semplificate e, comunque, non ha mai prospettato di avere chiesto ed ottenuto una autorizzazione sia pure sulla base delle dette procedure semplificate eventualmente previste dalla regione Campania.
Il reato infine non è ancora prescritto in quanto, essendo la permanenza cessata, secondo la contestazione, il 31/01/2002, la prescrizione si maturerà il 31/07/2006.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2006