La transazione in materia ambientale alla luce della l. n. 13 del 2009 tra diritto privato e diritto pubblico

di Paola Angela DE SANTIS

pubblicato su Giur. Merito n. 11\2012, si ringrazia l'Editore

Sommario: 1. Premessa. 2. Che differenza c'è tra la transazione ex art. 1965 c.c. e quella ambientalee? 3. Quali sono gli elementi di raccordo e di criticità della transazione ambientale rispetto agli accordi amministrativi? 3.1. Quali sono i rapporti con gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento? 3.2. Quali sono i rapporti tra la transazione ambientale e gli accordi di programma nel d.lg. n. 152 del 2006? 3.3. Quali sono i rapporti tra la transazione ambientale e gli accordi fra le Pubbliche Amministrazioni? 3.4. Quali sono i rapporti con gli accordi di collaborazione? 4. Qual è, in sintesi, la filosofia dell'intervento normativo? 5. Bibliografia essenziale.

1. PREMESSA

A poco meno di tre anni di distanza dall'adozione, con il d.lg. n. 152 del 2006, del c.d. «Testo Unico dell'Ambiente», il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina del danno ambientale e dei relativi effetti attraverso il d.l. 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, nella l. 27 febbraio 2009, n. 13, recante «Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente».

Le norme in oggetto hanno introdotto significative disposizioni di contenuto eterogeneo: in particolare, l'art. 2, intitolato appunto al danno ambientale, disciplina la possibilità di predisporre uno schema contrattuale di concerto con i soggetti (enti locali, associazioni ecc.) a vario titolo interessati nell'eventualità «che il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio stipuli transazioni con una o più imprese pubbliche o private, circa la spettanza e la quantificazione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, nonché del danno ambientale di cui agli artt. 18 l. 8 luglio 1986, n. 349, e 300 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, e degli altri eventuali danni di cui lo Stato o altri enti pubblici territoriali possano richiedere il risarcimento».

L'utilizzo dello strumento della transazione con riferimento al danno ambientale non rappresenta una novità assoluta: già la l. 27 dicembre 2006, n. 296 (c.d. «Finanziaria 2007»), all'art. 1 comma 868, conteneva un pur generico riferimento alle somme incassate dallo Stato a seguito di accordi transattivi in materia.

Inoltre, in passato, vari procedimenti conseguenti a richieste di risarcimento per danni c.d. «catastrofali», si sono conclusi con l'utilizzo isolato dello strumento della transazione: si pensi al caso di Seveso o a quello di Stava, i quali rappresentano i principali esempi di mass torts verificatisi in Italia.

L'innovatività delle disposizioni citate si può riassumere in due direttrici.

Per un verso, la transazione introdotta nel 2009 si pone come alternativa esplicita e potenzialmente «onnicomprensiva» in tutte le ipotesi di danno ambientale «pubblicistico».

Per altro verso, fornisce una soluzione teleologicamente difforme sia quanto a ratio, sia quanto ad obiettivi, rispetto a quelle contenute nel d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto affianca ed, in parte, sovrappone, ai vigenti strumenti di riparazione del danno ambientale un meccanismo di «contabilizzazione» del danno, ossia una sorta di «condono».

L'intento appare dunque quello di velocizzare gli interventi di riparazione del danno ambientale e di rilancio produttivo delle aree inquinate ricomprese in «siti di interesse nazionale», superando, ove possibile, con una transazione i contenziosi legali che spesso paralizzano e, conseguentemente, penalizzano gli interventi di bonifica.

Il modello legale di cui all'art. 2 l. 27 febbraio 2009, n. 13, mutua talune caratteristiche delle disposizioni civilistiche in tema di transazione, ed altre da quelle pubblicistiche inerenti gli accordi amministrativi: ci si chiede, pertanto, se costituisca un istituto di matrice privatistica o piuttosto pubblicistica, ovvero se rappresenti una sorta di tertium genus.

Similmente agli artt. 1965 ss. c.c., infatti, la legislazione speciale prevede i presupposti della res litigiosa e della res dubia; la reciprocità delle concessioni, con riferimento alle conseguenze dell'illecito ed alle singole pretese, avanzate in giudizio o stragiudizialmente, e non già alla situazione pregressa; il carattere preclusivo dell'istituto utilizzato; l'applicabilità degli artt. 1372 e 1304 c.c., specie con riferimento agli ulteriori danni rivendicabili iure privatorum; l'ambito di applicazione, dal quale sono esclusi i diritti indisponibili.

In analogia con le ipotesi tipiche di transazione in diritto amministrativo (come, ad esempio, quella contenuta nell'art. 239 d.lg. n. 163 del 2006), invece, l'art. 2 presuppone il parere obbligatorio preventivo del Consiglio di Stato; una pretesa patrimoniale conseguente ad un danno «pubblicistico» che dunque sottende necessariamente un interesse pubblico.

Elementi di specificità del contratto in questione sono, viceversa, quanto ai presupposti, la sua azionabilità limitata ai «siti di interesse nazionale», ed, in secondo luogo l'iniziativa riservata ai soli soggetti pubblici. Essi si rinvengono, peraltro, anche in relazione alla normativa applicabile, giacché la transazione in materia di danno ambientale si caratterizza per l'utilizzo di istituti pubblicistici (come la conferenza di servizi) unitamente a categorie privatistiche (quale è quella del «contratto di transazione»). Il rimedio di cui alla l. n. 13 del 2009 si distingue, in aggiunta, specificamente dalla transazione disciplinata dal codice civile per la disciplina in tema di inadempimento delle obbligazioni: a differenza dell'art. 1455 c.c., infatti, la legge speciale subordina la risoluzione del contratto alla «gravità» piuttosto che alla «non scarsa importanza» dell'inadempimento, rivelandosi, anche per questo aspetto, ingiustificatamente premiale nei confronti dei soggetti privati coinvolti a vario titolo nella verificazione di un pregiudizio ambientale.

Orbene, se è vero che l'art. 1 comma 1-bis l. 8 agosto 1990, n. 241, così come modificata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, sancisce il principio generale secondo il quale le Pubbliche Amministrazioni, salvo che la legge disponga diversamente, agiscono «secondo il diritto privato», ossia avvalendosi anche di moduli negoziali per la realiz zazione dei propri compiti istituzionali, il negozio giuridico di diritto privato viene privilegiato solo in quanto rappresenti, in concreto, lo strumento più idoneo al perseguimento dell'interesse pubblico sotteso all'azione amministrativa.

Da questo punto di vista, perciò, se in astratto non può escludersi ed, anzi deve ammettersi la possibilità che la disciplina di diritto comune contenuta negli artt. 1965 ss. c.c. venga applicata anche nelle ipotesi in cui lo Stato interviene a tutela del «diritto dell'ambiente», occorre tuttavia confrontare i requisiti ed i presupposti richiesti, giustificati dal perseguimento degli interessi pubblici ai quali è preordinata ed in virtù dei quali si giustifica la previsione di cui al citato art. 2, con lo scopo di collocare l'istituto introdotto dalla l. n. 13 del 2009 nell'ambito delle tecniche di tutela del danno ambientale contemplate e disciplinate nel nostro ordinamento, verificarne le assonanze con gli istituti già vigenti ed, infine, delimitarne in concreto l'ambito di operatività.

2. CHE DIFFERENZA C'È TRA LA TRANSAZIONEEXART. 1965 C.C. E QUELLA «AMBIENTALE»?

La disciplina prevista dall'art. 2 l. 27 febbraio 2009, n. 13 differisce, sia pure in parte, dalla figura delineata dagli artt. 1965 ss. c.c.

Questa norma ha, anzitutto, un ambito di applicazione limitato ai « siti di interesse nazionale»; in secondo luogo, richiede, al pari di altre ipotesi di transazione operanti nel diritto amministrativo, il parere obbligatorio preventivo del Consiglio di Stato, sia sulla convenienza amministrativa dell'affare (anche nei suoi riflessi economici), sia sulla regolarità della procedura seguita; diversamente da queste, non richiama, invece, quello dell'Avvocatura dello Stato.

Muovendo da questi limiti oggettivi occorre, pertanto, individuarne la disciplina di riferimento.

Secondo la definizione contenuta nell'art. 1965 comma 1 c.c. la transazione (non novativa) è il contratto con il quale «le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già insorta o prevengono una lite che può insorgere tra loro».

Si tratta dunque di un contratto che presuppone una res litigiosa ed una res dubia.

Quanto al primo requisito, il concetto di «lite» è connesso alla finalità pratica di eliminare il contrasto intersoggettivo in ordine all' an ed al quomodo della concreta attuazione di una norma giuridica.

La res dubia riguarda invece il fatto oggettivo che ognuna delle due parti afferma, nei confronti dell'altra, ossia l'esistenza o l'inesistenza di un diritto che l'altra correlativamente contesta.

Cionondimento, l'utilizzo di questo contratto rischia di rivelarsi, nei casi di cui alla l. n. 13 del 2009, una sorta di «clausola di stile» che consente all'impresa o alle imprese «interessate», attestando valutazioni discordanti circa la sussistenza di un danno ambientale e le proprie responsabilità in proposito, di accedere alla stipula della transazione, pur se subordinata alla sola iniziativa dei soggetti pubblici.

Un altro requisito che distingue la transazione da altri modi di risoluzione delle controversie è l'esistenza di « reciproche concessioni».

Esse possono concernere, a norma dell'art. 1966 c.c. solo diritti disponibili per propria natura o per disposizione di legge, pena la sanzione della nullità (testuale) del contratto per illiceità dell'oggetto: è dunque transigibile la lite avente contenuto patri moniale, nella cui nozione possono includersi anche le conseguenze patrimoniali di un illecito.

Se ci si attiene, dunque, a questa accezione, il modello delineato dall'art. 2 l. n. 13 del 2009 ben può corrispondere allo schema legale civilistico: si tratta, in altri termini, di riferire la transazione non all'«ambiente» in sé che, in quanto bene indisponibile, non può formare oggetto di «reciproche concessioni»; ma alle conseguenze patrimoniali che l'illecito abbia prodotto a danno dello Stato, in una prospettiva sia di ripristino, che di risarcimento per equivalente.

Si tratta, invero, di una soluzione che ha trovato l'avallo della giurisprudenza amministrativa, la quale ha opportunamente ribadito che l'oggetto della transazione ambientale non è rappresentato dal bene-ambiente o più in generale dall'«integrità attuale dell'ambiente» (di cui né lo Stato né gli Enti territoriali minori possono disporre), bensì dalla «azione civile risarcitoria nascente da un fatto illecito già realizzato», ovvero dall'«obbligazione civile nascente da un fatto illecito collocato nel passato e per il quale la menomazione dell'integrità ambientale è già storicamente avvenuta» che rientrano, invece, nella disponibilità delle parti.

In ogni caso, tuttavia, appare quantomeno impropria la terminologia utilizzata dal legislatore che, al comma 5, parla di «fatti» oggetto di transazione, posto che, secondo la tradizionale classificazione, il criterio discretivo tra l'«atto» ed il «fatto» giuridicamente rilevante è ravvisato nella partecipazione dell'uomo alla causazione dell'evento: cosicché «se l'uomo ne è causa, si tratterebbe di un atto giuridico, se l'uomo ne è estraneo, si tratterebbe di un fatto giuridico in senso stretto» (così Gazzoni, 83, che osserva come anche nell'art. 2043 c.c. il legislatore abbia adottato una terminologia impropria).

In ragione delle caratteristiche sinora delineate, l'efficacia della transazione ha carattere preclusivo, giacché tale contratto incide definitivamente sui rapporti giuridici sostanziali: ed, in particolare, esiste una relazione tra la reciprocità delle concessioni quale presupposto della lite e l'equivalenza delle prestazioni quale contenuto della transazione (cfr. Palazzo, 385).

In generale, l'effetto preclusivo di cui alla disciplina civilistica, non comprende i danni non ancora manifestati che non potevano essere previsti al momento del contratto transattivo, i quali potranno pertanto essere fatti valere successivamente.

Al contrario, l'art. 2 l. n. 13 del 2009 nega espressamente questa possibilità e fa riferimento a tutti gli aspetti patrimoniali connessi alla tutela ambientale, sia pure, secondo quanto si avrà occasione di esaminare, limitatamente all'aspetto pubblicistico.

Quanto alla compatibilità con il principio della relatività degli effetti del contratto, la formulazione dell'art. 2 appare alquanto imprecisa: difatti, secondo il comma 5, «la stipula del contratto di transazione, non novativo, conforme allo schema autorizzato ai sensi del comma 4, comporta abbandono del contenzioso pendente e preclude ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale, ai sensi dell'art. 18 l. 8 luglio 1986, n. 349, o della Parte VI d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, nonché per le altre eventuali pretese risarcitorie azionabili dallo Stato e da enti pubblici territoriali, per i fatti oggetto della transazione».

Il richiamo generico al Testo Unico del 2006 sembra non valorizzare adeguatamente la regola di cui all'art. 313 comma 7, che fa salvo il diritto dei singoli direttamente danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale nella loro salute o nei beni di loro proprietà di agire in giudizio, secondo le regole ordinarie, nei confronti del responsabile, a tutela dei diritti e degli interessi lesi.

L'aspetto che, tuttavia, rimane maggiormente controverso è quello relativo alla equivalenza delle attribuzioni.

Infatti, l'interesse prioritario dei soggetti pubblici al ripristino della condizione dei siti «di interesse nazionale» antecedente al danno ambientale non dovrebbe poter essere sacrificato, né sotto un profilo meramente economico, né sotto quello di un eventuale risarcimento in forma specifica.

In generale, pertanto, può ammettersi la stipula di un contratto di transazione tra pubblica amministrazione e altri soggetti, pubblici o privati, soltanto allorché incida su profili di carattere esclusivamente patrimoniale, e comunque senza che venga precluso al soggetto pubblico per un verso il preventivo utilizzo di criteri pubblicistici, per l'altro il successivo perseguimento delle proprie finalità.

L'art. 2 comma 8 l. n. 13 del 2009 individua i soggetti proponenti nel Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare se il danno ambientale è quantificabile in un ammontare uguale o superiore a dieci milioni di euro, ovvero nei titolari dei competenti uffici dirigenziali generali se l'ammontare del danno ambientale è inferiore a tale somma.

In base all'art. 2 comma 1 della legge citata, tali soggetti «concordano» lo schema di contratto con le imprese interessate (che, in forza del successivo comma 4, lo sottoscrivono per accettazione) e lo comunicano a regioni, province e comuni, ovvero lo rendono noto alle associazioni ed ai privati interessati mediante idonee forme di pubblicità.

Si tratta, tuttavia, di un percorso «monco», giacché la legge, nel distribuire le competenze attraverso le modalità suindicate, non indica come esse vadano calcolate; inoltre, se è pacifica l'attribuzione delle competenze ai dirigenti nella fase di avvio, per quella finale la norma sembra rinviare alla disciplina di cui all'art. 299 d.lg. n. 152 del 2006.

La transazione di cui alla 1. n. 13 del 2009 ha per oggetto soltanto il danno «pubblico», ossia i pregiudizi subìti dallo Stato e/o da altri enti pubblici territoriali.

In questa ottica, se per un verso si giustificano le restrizioni in tema di legittimazione attiva, per altro si avallano le tesi favorevoli ad una ricostruzione prevalentemente pubblicistica del danno ambientale.

Resta ferma la possibilità per i soggetti privati di agire per i pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, ad essi occorsi attraverso gli strumenti risarcitori e, ove possibile, ripristinatori, di diritto comune.

Quanto, poi, alla destinazione dei proventi dei contratti di transazione eventualmente stipulati, il comma 7 dell'art. 2 l. n. 13 del 2009 nello stabilire, così come l'art. 317 comma 5 d.lg. n. 152 del 2006, che i proventi di spettanza dello Stato derivanti dalla transazione a titolo di risarcimento del danno ambientale siano versati all'entrata del bilancio statale allo stato di previsione del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio, opera una distinzione fra le transazioni che hanno ad oggetto, oltre il risarcimento monetario del danno ambientale, anche oneri di bonifica e ripristino della situazione quo ante ovvero quelle che hanno ad oggetto prestazione di carattere sol tanto pecuniario, ma lasciando comunque intendere uno stretto legame tra la ratio sottesa all'istituto e le esigenze di finanza pubblica.

La stipula del contratto di transazione comporta altresì la facoltà, per l'impresa o le imprese coinvolte, di (continuare ad) utilizzare i terreni o singoli lotti o porzioni degli stessi, in conformità alla loro destinazione urbanistica.

Le condizioni per l'utilizzo dei terreni sono innanzitutto l'assenza di intralcio con gli interventi di bonifica e con gli impegni assunti con il contratto di transazione; in secondo luogo la funzionalità all'esercizio dell'attività imprenditoriale.

Anche in virtù di quanto sancito dagli artt. 41 comma 2 e 44 Cost., tale previsione, se per un verso si giustifica in virtù della necessità di tutelare l'iniziativa economica privata, per altri aspetti sembrerebbe introdurre un meccanismo ingiustificatamente premiale nei confronti di coloro che si rendano autori e responsabili di danno ambientale.

Cionondimento, essa potrebbe sortire proprio l'effetto di recuperare la componente ripristinatoria dell'illecito ambientale che la legislazione nazionale ha, negli ultimi decenni, progressivamente privilegiato, laddove, insieme al corrispettivo economico versato, divenga uno strumento di recupero delle risorse naturali in una prospettiva di sviluppo sostenibile.

3. QUALI SONO GLI ELEMENTI DI RACCORDO E DI CRITICITÀ DELLA TRANSAZIONE AMBIENTALE RISPETTO AGLI ACCORDI AMMINISTRATIVI?

In ragione delle peculiarità sinora richiamate, parte della dottrina suggerisce di inquadrare la fattispecie di cui all'art. 2 l. n. 13 del 2009 piuttosto che in base agli artt. 1965 ss. c.c., nell'ambito degli accordi sostitutivi conclusi dalla Pubblica Amministrazione con i privati che l'art. 11 l. 8 agosto 1990, n. 241, così come novellato dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, ha reso atipici, ovvero degli accordi di programma di cui all'art. 15 l. n. 241 del 1990 e all'art. 34 d.lg. 18 agosto 2000, n. 267.

Una analogia può, inoltre, ravvisarsi anche rispetto ai cc.dd. «accordi di collaborazione», di cui all'art. 43 l. 27 dicembre 1997, n. 449 e all'art. 119 d.lg. n. 267 del 2000 con riferimento agli enti locali. Tali istituti testimoniano, infatti, la progressiva «contaminazione» tra diritto pubblico e diritto privato, essendo il risultato di una «concertazione tra regolatore e regolato». Gli « accordi ambientali» possono essere definiti, infatti, quali accordi contrattuali tra autorità pubbliche e industria o tra autorità pubbliche e settori economici interessati, stipulati nel «tentativo di coinvolgere sempre più le imprese nella dinamica delle politiche ecologiche» (così Pozzo, 2003, 124).

3.1. Quali sono i rapporti con gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento?

Ove si aderisca alla impostazione dominante secondo la quale gli accordi ambientali hanno natura pubblicistica e dunque sono riconducibili alla figura del contratto di diritto pubblico, varie sono le utilità pratiche che ne potrebbero conseguire, tra le quali l'ammissibilità dell'autotutela, l'applicabilità dei rimedi pubblicistici in caso di violazione. Sarebbe, viceversa, esclusa l'operatività dell'art. 2932 c.c.

Orbene, mentre elemento caratterizzante degli accordi amministrativi è l'attitudine a disciplinare, sia pure consensualmente e con i privati interessati, l'esercizio del potere, nella transazione, pur permanendo le esigenze pubblicistiche dei soggetti pubblici proponenti, viene convenzionalmente escluso lo svolgimento, anche successivo, di un'azione amministrativa. Inoltre, le singole fattispecie di accordi in materia ambientale sono accomunate dalla circostanza di intervenire, conformemente alla ratio sottesa al d.lg. n. 152 del 2006, in una prospettiva preventiva piuttosto che riparatoria, come nel caso della transazione.

Viceversa, con il contratto di transazione lo Stato e le imprese interessate, pervengono ad una soluzione concertata muovendo dal presupposto della verificazione di un illecito ambientale e quindi dalla violazione di un disposto normativo.

3.2. Quali sono i rapporti tra la transazione ambientale e gli accordi di programma nel d.lg. n. 152 del 2006?

A differenza che nella normativa previgente (ossia il decreto Ronchi, d.lg. n. 22 del 1997), nell'art. 245 del testo unico in materia ambientale l'estraneità all'evento del proprietario o di altri soggetti titolari di diritti reali e di godimento sul sito non esclude un loro coinvolgimento attivo nelle opere di risanamento, fermi restando gli obblighi del soggetto responsabile della potenziale contaminazione (ove individuato o individuabile), e sempre che si tratti di un soggetto diverso.

Negli stessi termini, gli artt. 304 ss. prevedono la possibilità che le necessarie misure di prevenzione e messa in sicurezza vengano attuate, in caso di «minaccia imminente» di un pregiudizio ambientale, da qualsiasi «operatore interessato», ossia prescindendo dai requisiti richiesti dal successivo art. 311 comma 2 per l'esercizio di un'azione risarcitoria. Tali premesse consentono, pertanto, di distinguere differenti ipotesi: quella in cui la figura del soggetto responsabile di un pregiudizio ambientale coincida con quella del proprietario del sito; quella in cui non si verifichi tale coincidenza. Si ripropone, dunque, a questo punto, il dibattito già in precedenza anticipato. Invero, la ricostruzione della situazione giuridica soggettiva del terzo risente del più generale inquadramento degli accordi nell'alveo dei provvedimenti amministrativi concordati ovvero nell'alveo dell'autonomia negoziale. Ove, infatti, gli accordi siano ritenuti espressione di autonomia negoziale, non potranno considerarsi idonei ad incidere sulla sfera dei terzi preservata dagli artt. 1372 e 1304 c.c., risultando relativamente inefficaci. Laddove, invece, si accolga la soluzione secondo la quale gli accordi conserverebbero la natura pubblicistica ed il relativo regime (salva l'applicazione dei principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti per aspetti non incompatibili con la generale disciplina pubblicistica), la facoltà di utilizzo concessa ai soggetti responsabili assumerebbe, nei confronti del proprietario del bene, la veste di una vera e propria «espropriazione» di fatto.

Alle citate soluzioni individuate in base al testo unico deve poi aggiungersi quella introdotta dall'art. 2 comma 5 l. n. 13 del 2009, ossia la facoltà di utilizzare i terreni connessa alla stipulazione di transazioni ambientali.

3.3. Quali sono i rapporti tra la transazione ambientale e gli accordi fra le Pubbliche Amministrazioni?

L'istituto descritto appare, peraltro, ancora più distante dagli accordi di programma di cui all'art. 15 l. n. 241 del 1990 e all'art. 34 d.lg. n. 267 del 2000: oltre alle differenze relative ai soggetti coinvolti, rileva ancor più la circostanza che, mentre la transazione di cui all'art. 2 l. n. 13 del 2009 ha effetti circoscritti al suo oggetto, gli accordi di programma instaurano tra gli enti che vi aderiscono un rapporto collaborativo di durata, che determina, a sua volta, l'insorgenza di precisi obblighi in ordine al successivo svolgimento delle competenze di rispettiva pertinenza ed è destinato ad interferire anche con attribuzioni di vera e propria amministrazione attiva.

In ultima analisi, l'unico profilo di (parziale) contiguità tra i due istituti attiene, invero, all'attività di impulso rispetto alla conclusione dell'accordo, che è necessariamente rimessa, in entrambi i casi, al soggetto pubblico.

3.4. Quali sono i rapporti con gli accordi di collaborazione?

L'art. 43 l. n. 449 del 1997 e l'art. 119 d.lg. n. 267 del 2000 individuano gli «accordi di collaborazione» quali strumenti volti a favorire una «migliore qualità dei servizi prestati» in un'ottica, appunto, di collaborazione tra soggetti pubblici e privati. L'ambito soggettivo di applicazione di questi istituti sembra, dunque, il medesimo richiesto per l'applicazione dell'art. 2 l. n. 13 del 2009: entrambi rinvengono la loro giustificazione nella individuazione di formule di «partenariato pubblico-privato» secondo le indicazioni della Commissione Europea del 1993, in quanto miranti alla predisposizione di una infrastruttura o alla garanzia di un servizio.

Muta, tuttavia, la prospettiva: gli « accordi di collaborazione» appaiono, infatti, giustificati in una prospettiva preventiva di raccordo e cooperazione piuttosto che recuperatoria. Essi intervengono, in altri termini, al momento dell'avvio di un iter procedimentale (quale che ne sia l'oggetto, anche non connesso alla tutela ambientale); la transazione, invece, si pone a conclusione dello stesso, per cui il profilo «collaborativo» emerge, paradossalmente, soltanto nel momento in cui possa palesarsi un (possibile) disaccordo.

4. QUAL È, IN SINTESI, LA FILOSOFIA DELL'INTERVENTO NORMATIVO?

La previsione di una transazione come possibile strumento di risoluzione delle controversie in materia ambientale comporta l'adozione di una prospettiva volutamente parziaria quanto ai danni risarcibili, che sono solo quelli patrimoniali; alle porzioni di territorio interessate, che sono i soli «siti di interesse nazionale»; alla azionabilità del rimedio; all'ambito oggettivo di applicazione che è limitato al danno «pubblico» all'ambiente.

Se dunque è sempre vero che la transazione non riguarda il diritto all'ambiente in sé, che rimane indisponibile, ma solo le conseguenze patrimoniali di un illecito a prescindere dall'accertamento dei relativi elementi costitutivi, la sostanziale rinuncia ad una verifica dei suddetti presupposti potrebbe, nondimeno, riverberarsi anche sugli aspetti e sugli elementi non «coperti» dalla transazione, con inevitabili conseguenze anche nell'accertamento e nella quantificazione dei pregiudizi, anche non patrimoniali, eventualmente patiti dai privati.

Si possono, pertanto, formulare alcune conclusioni.

Rispetto alla disciplina delineata dal d.lg. n. 152 del 2006, la l. n. 13 del 2009 presenta talune assonanze. Difatti, la stessa previsione della possibilità, per la Pubblica Amministrazione, di optare tra due diverse azioni, quella amministrativa e quella giurisdizionale, sembra richiamare la praticabilità, ed anzi, l'auspicabilità, di soluzioni preventive rispetto alle controversie in materia, senza che peraltro questa scelta comporti un arretramento degli standard di tutela.

In sostanza, l'unico effettivo elemento di distinzione è la circostanza che, nel d.lg. n. 152 del 2006, l'intera azione è orientata in primo luogo al ripristino, per cui la compensazione monetaria è residuale ed, in taluni casi, eventuale come risulta dagli artt. 311 comma 1, 313, 314, 315, oltre che, in linea di principio, dall'art. 299 comma 1 e la prospettiva accolta dal legislatore appare, di conseguenza, molto distante dalla logica sanzionatoria di cui alla l. n. 349 del 1986, tranne che nelle ipotesi di cui agli artt. 239 ss. del testo unico.

Ciò che, dunque, alla luce dell'analisi sinora condotta, emerge è una sostanziale inversione metodologica nell'approccio alla tematica del danno ambientale. La transazione, affiancandosi alla legislazione vigente senza modificarne il contenuto e senza, però, introdurre alcuna disciplina di coordinamento tra i vari istituti (se non quella relativa ai pregiudizi patiti dai privati) risponde ad una logica di contabilizzazione del danno: il che, tuttavia, non può esimere dalla necessità di coordinare le disposizioni vigenti, non solo tra di loro, ma anche con i principi comunitari.

Ciò che, perciò, desta perplessità nell'istituto introdotto dall'art. 2 l. n. 13 del 2009 è, dunque, soltanto la possibilità che si presti ad un utilizzo distorto e, di conseguenza, ancor più pregiudizievole per la tutela dell'ambiente: la soluzione potrebbe pertanto, essere quella di attribuire all'istituto una portata residuale, sì da coniugare le esigenze di sviluppo sostenibile del territorio con la tutela del mercato e dell'attività di impresa.

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Note

(*) Le opinioni e le valutazioni espresse hanno carattere personale, sono frutto del personale convincimento dell'Autrice e non impegnano in alcun modo l'Amministrazione di appartenenza.