Corte costituzionale sent. n. 88 del 15 maggio 2020
Oggetto: Caccia - Norme della Regione Basilicata - Piani di abbattimento autorizzati dalla Regione - Previsione che tali piani sono attuati dal corpo di Polizia provinciale che potrà avvalersi di personale dell'Arma dei Carabinieri Forestali e della Polizia locale, purché munito di licenza per l'esercizio venatorio. Ambiente - Disposizioni sulla gestione dei fanghi di depurazione - Previsione che, ai fini dell'utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione delle acque reflue di cui all'art. 2, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 99 del 1992, per la concentrazione di idrocarburi e fenoli, vigono i valori limite sanciti dalla Tabella 1, allegato 5, Titolo V, parte IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006. Sicurezza pubblica - Processi di controllo del territorio - Previsione che la Regione, al fine di migliorare i processi di controllo del territorio e fornire maggiore sicurezza ai cittadini lucani, utilizza il Fondo Unico Autonomie Locali di cui alla legge regionale n. 23 del 2019 - Previsione di convenzioni tra i Comuni e le imprese private di vigilanza.
Dispositivo: illegittimità costituzionale - non fondatezza
SENTENZA N. 88
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 7, 5 e 8 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 13-20 maggio 2019, depositato in cancelleria il successivo 21 maggio 2019, iscritto al n. 60 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;
udito il Giudice relatore Giuliano Amato nell’udienza del 7 aprile 2020, svolta, ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c), senza discussione orale, su conforme istanza delle parti, pervenuta in data 31 marzo 2020;
deliberato nelle camere di consiglio del 7 e del 20 aprile 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 13-20 maggio 2019 e depositato il 21 maggio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato tra gli altri, gli artt. 2, comma 7, 5 e 8 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata).
La prima delle disposizioni indicate attribuisce alla Polizia provinciale la facoltà di avvalersi del personale dell’Arma dei Carabinieri forestali per l’attuazione dei piani di abbattimento della fauna selvatica, ove si dimostrino inefficaci gli interventi di controllo selettivo mediante l’utilizzo di metodi ecologici. Nel consentire alla Regione di attribuire nuovi compiti a una forza di polizia statuale, questa disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
È inoltre impugnato l’art. 5 della stessa legge reg. Basilicata n. 4 del 2019. Ai fini dello spandimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue in agricoltura, questa disposizione impone il rispetto – per la concentrazione degli idrocarburi e dei fenoli – dei limiti di concentrazione soglia di contaminazione stabiliti nella Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V, Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Ciò violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché la Regione avrebbe disciplinato la gestione dei rifiuti, che rientra nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», riservata alla competenza esclusiva statale.
Infine, è impugnato l’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, che consente ai Comuni interessati da significativi e ricorrenti episodi di attentati alla proprietà privata di avvalersi delle risorse del Fondo Unico Autonomie Locali, di cui alla legge regionale 19 settembre 2018, n. 23, recante «Istituzione del Fondo Unico Autonomie Locali (F.U.A.L.)», per stipulare apposite convenzioni con imprese di vigilanza privata. Questa disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva statale la disciplina della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
2.– È denunciata, in primo luogo, l’illegittimità dell’art. 2, comma 7, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.
L’Avvocatura generale dello Stato fa rilevare che la disposizione regionale impugnata, nel modificare l’art. 28, comma 2, della legge della Regione Basilicata 9 gennaio 1995, n. 2 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), attribuisce alla Polizia provinciale la facoltà di avvalersi, per i piani di abbattimento, del personale specializzato dell’Arma dei Carabinieri nel settore del patrimonio agro-forestale, istituito con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».
Ad avviso della parte ricorrente, la Regione avrebbe previsto l’attribuzione di nuovi compiti a una forza di polizia statuale, i Carabinieri forestali, che sarebbero posti al servizio della polizia provinciale per il perseguimento di obiettivi individuati dalla Regione. Sarebbe così violato l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
Al riguardo, è richiamata la giurisprudenza costituzionale che afferma che le Regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati dalla legge statale, né possono disciplinare unilateralmente, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa, forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono attribuzioni di organi statali (è richiamata la sentenza n. 134 del 2004).
2.1.– È inoltre denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della stessa legge regionale n. 4 del 2019, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 41 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2018, n. 130.
La disposizione oggetto di censura, rubricata «Disposizioni sulla gestione dei fanghi di depurazione», al comma 1 prevede che «[s]ul territorio della Regione Basilicata, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all’art. 2 comma 1, lettera a) del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99 vigono i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto nonché, per la concentrazione di idrocarburi e fenoli, i valori limite sanciti dalla Tabella 1, all. 5, Titolo V, parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152».
Nel disciplinare l’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione delle acque reflue, la disposizione impugnata prevede il rispetto dei limiti di concentrazione dei metalli pesanti e degli altri parametri previsti dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 (Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura) e, per la concentrazione degli idrocarburi e dei fenoli, impone il rispetto dei valori limite di concentrazione stabiliti nella Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V, Parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006.
L’Avvocatura dello Stato osserva che questi valori tabellari sono finalizzati alle verifiche del suolo per la destinazione d’uso dei siti da bonificare e sono distinti in funzione dell’utilizzazione, ossia a seconda che si tratti di siti destinati a verde pubblico, privato e residenziale, ovvero a uso commerciale e industriale. Si tratterebbe, dunque, di valori elaborati in relazione ad una diversa tipologia di intervento e, pertanto, non sarebbero applicabili allo smaltimento di rifiuti mediante spargimento in aree agricole.
Si fa inoltre rilevare che l’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018, per taluni analiti non previsti nel d.lgs. n. 99 del 1992, tra cui proprio gli idrocarburi, ha introdotto un valore limite di 1000 mg/kg di “sostanza secca” (recte: “tal quale”), corrispondente a quanto indicato, in base alla normativa europea, quale limite massimo per la determinazione dei rifiuti pericolosi.
Pertanto, nell’imporre il rispetto di limiti più restrittivi per gli idrocarburi e per i fenoli, la disposizione regionale censurata si porrebbe in contrasto con il parametro statale, costituito dall’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018, che ha stabilito i valori limite da assumere per gli idrocarburi e per altri composti. Ciò determinerebbe, inoltre, un aggravio sulla filiera gestionale del rifiuto, atteso l’obbligo di conferire in discarica, o presso gli impianti di incenerimento o coincenerimento, i fanghi di depurazione delle acque reflue, non recuperabili in agricoltura.
La disposizione eccederebbe, pertanto, dalla competenza regionale, poiché la disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», riservata alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La difesa statale sottolinea come il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale debba intendersi riservato allo Stato, ferma restando la competenza delle Regioni in ordine alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In riferimento alla gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad essa connessi, viene citata la giurisprudenza costituzionale, secondo cui la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenza n. 58 del 2015; nello stesso senso, sono richiamate le sentenze n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007).
2.2.– È infine denunciata l’illegittimità dell’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
La disposizione impugnata consente ai Comuni interessati da significativi e ricorrenti episodi di attentati alla proprietà privata di avvalersi delle risorse del Fondo Unico Autonomie Locali, di cui alla legge reg. n. 23 del 2018, per stipulare apposite convenzioni con imprese di vigilanza privata.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, questa disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva statale la disciplina della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza. La parte ricorrente evidenzia che, con il richiamo al «controllo del territorio», la disposizione censurata si riferisca all’attività di prevenzione dei reati, che è tipica della funzione di pubblica sicurezza. Questa costituisce, tuttavia, un’attività riservata allo Stato, diretta a tutelare beni fondamentali, come l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza di possessi e ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l’esistenza stessa dell’ordinamento (è richiamata la sentenza n. 407 del 2002).
La parte ricorrente fa inoltre rilevare che l’art. 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini) prevede che il Ministro dell’interno emana le direttive per la realizzazione, a livello provinciale, dei piani coordinati di controllo del territorio, attuati, in via prioritaria, dalle forze di polizia a competenza generale, Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, sotto il coordinamento dell’autorità di pubblica sicurezza. La polizia locale è chiamata a concorrere a questi piani nell’ambito delle proprie competenze.
L’Avvocatura dello Stato evidenzia, inoltre, che, in attuazione dell’art. 118, terzo comma, Cost., il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48, ha introdotto misure per realizzare azioni integrate dello Stato, delle Regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e di altri soggetti istituzionali, per il concorso all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza, per il benessere delle comunità locali e per contrastare il degrado delle aree urbane.
3.– Con atto depositato il 21 giugno 2019, si è costituita in giudizio la Regione Basilicata, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. n. 4 del 2019 sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
In via subordinata, la difesa regionale ha chiesto che l’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018 sia dichiarato non applicabile, nella parte in cui impone limiti diversi da quelli stabiliti nella Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V, Parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006, per contrasto con la direttiva 86/278/CEE del Consiglio del 12 giugno 1986, concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, e con il principio di precauzione sancito dall’art. 174, paragrafo 2, del Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997.
In via ulteriormente gradata, la parte resistente ha chiesto che, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, sia sollevata la questione pregiudiziale dell’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018 o, alternativamente, che sia sollevata questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai parametri interposti costituiti dalla direttiva 86/278/CEE e dal principio di precauzione di cui all’art. 174, paragrafo 2, del Trattato di Amsterdam, oltre che per violazione della competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.
3.1.– In via preliminare, la difesa regionale deduce che la disposizione impugnata è stata formulata nel contesto di un radicale cambiamento del territorio regionale, conseguente a un intenso sfruttamento della risorsa petrolifera, che ha dato origine ad allarmanti fenomeni pregiudizievoli per la comunità lucana. La Regione ha ritenuto, dunque, doveroso attivare misure di maggior tutela dell’ambiente, della salute della popolazione, della salubrità del territorio, nonché della produzione agricola.
Dopo avere richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in riferimento alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», la difesa regionale sottolinea come il carattere trasversale della materia, e la sua capacità di estendersi anche nell’ambito delle competenze riconosciute alle Regioni, fa salva la facoltà di queste ultime di adottare, nell’esercizio delle proprie attribuzioni legislative, norme di tutela più elevata (è citata la sentenza n. 7 del 2019).
3.2.– Si fa rilevare che già l’art. 6, numero 2, del d.lgs. n. 99 del 1992 assegnava alla competenza regionale la definizione di «ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento».
La Regione, con la norma censurata, solo per la concentrazione di idrocarburi e fenoli, ha richiamato i valori limite stabiliti dalla Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V, Parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006. Si tratterebbe di criteri più restrittivi, in ogni caso definiti dallo Stato, finalizzati a una più intensa tutela del territorio e della salute dei cittadini. D’altra parte, osserva la difesa regionale, anche la giurisprudenza ha evidenziato ragioni di preoccupazione in ordine ai limiti, più ampi, posti dall’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018 rispetto a alcune sostanze ritenute cancerogene, quali appunto idrocarburi e fenoli.
Pur riconoscendo il potere statale di individuare gli standard minimi di tutela in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, la Regione Basilicata rivendica il potere regionale di introdurre livelli di tutela più elevati, in conformità al principio di precauzione e ai più stringenti valori soglia indicati dalla normativa europea recepita dal d.lgs. n. 152 del 2006.
D’altra parte, il d.lgs. n. 99 del 1992 sarebbe coerente con l’art. l della direttiva 86/278/CEE, che, all’art. 3, comma 2, prevede che «i fanghi di cui all’articolo 2, lettera a), punto II), possono essere utilizzati in agricoltura nel rispetto delle condizioni che lo Stato membro interessato può ritenere necessarie per garantire la tutela delle salute dell’uomo e dell’ambiente» e, all’art. 12, consente agli Stati membri di «adottare misure più severe di quelle previste nella presente direttiva».
Ad avviso della difesa regionale, questa impostazione sarebbe più aderente alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che anteporrebbe la tutela del diritto alla salute, garantito dagli artt. 3 e 35, perfino alla tutela dell’ambiente (art. 37).
L’esigenza di armonizzazione della disciplina nazionale con la normativa europea in materia ambientale deve tenere conto del principio di precauzione, di cui all’art. 174, paragrafo 2, del Trattato di Amsterdam, che riprende l’art. 130 R del Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993. In quanto discende direttamente dal Trattato UE, tale principio costituisce criterio interpretativo valido in Italia, a prescindere da singoli atti di recepimento delle direttive in cui esso si compendia (è citato il Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 21 agosto 2013, n. 4227). Ciò vale anche per la normativa di cui al d.lgs n. 152 del 2006, che impone di privilegiare trattamenti di tutela dell’ambiente e della salute più elevati (art. 301, comma l, del d.lgs. n. 152 del 2006, espressamente richiamato quale principio fondamentale, anche in tema di rifiuti dall’art. 178, comma l, dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006).
Primato dell’Unione europea e principio di precauzione imporrebbero dunque un’interpretazione della norma statale conforme al diritto europeo. Dovrebbe, quindi, ritenersi legittimo l’intervento regionale volto a garantire, attraverso l’imposizione di limiti più stringenti, livelli di tutela più elevati.
La difesa regionale osserva che il contrasto di una norma nazionale con una norma della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, si traduce in una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. Ove non sia possibile un’interpretazione della prima conforme alla seconda, il giudice, non potendo applicare la norma nazionale in contrasto con quella convenzionale (e, pertanto, con la Costituzione), deve sollevare la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost. Tale sorte meriterebbe la norma statale interposta richiamata dalla parte ricorrente, l’art. 41 del d.l. n. 209 del 2018, laddove sia intesa nel senso di precludere alla Regione di elevare i livelli di tutela della salute e dell’ambiente nella disciplina dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione.
3.3.– La Regione Basilicata non ha svolto alcun argomento difensivo, né ha avanzato alcuna istanza in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 7, e 8 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, degli artt. 2, comma 7, 5 e 8 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata).
1.1.– Va riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe.
1.2.– In primo luogo, è impugnato l’art. 2, comma 7, che – nel modificare il secondo comma dell’art. 28, comma 2, della legge della Regione Basilicata 9 gennaio 1995, n. 2 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) – attribuisce alla Polizia provinciale la facoltà di avvalersi del personale dell’Arma dei Carabinieri forestali, per l’attuazione dei piani di abbattimento della fauna selvatica, ove si dimostrino inefficaci gli interventi di controllo selettivo mediante l’utilizzo di metodi ecologici. Nel consentire alla Regione di attribuire nuovi compiti a una forza di polizia statuale, la disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
1.3. – È inoltre censurato l’art. 5 della stessa legge reg. Basilicata n. 4 del 2019. Ai fini dello spandimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue in agricoltura, questa disposizione impone il rispetto – per la concentrazione degli idrocarburi e dei fenoli –dei limiti di concentrazione soglia di contaminazione stabiliti nella Tabella I, allegato 5 al titolo V, parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Ciò violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché la Regione avrebbe disciplinato la gestione dei rifiuti, che rientra nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», riservata alla competenza esclusiva statale.
1.4.– Infine, è impugnato l’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, che consente ai Comuni interessati da significativi e ricorrenti episodi di attentati alla proprietà privata di avvalersi delle risorse del Fondo Unico Autonomie Locali, di cui alla legge della Regione Basilicata 19 settembre 2018, n. 23, recante «Istituzione del Fondo Unico Autonomie Locali (F.U.A.L.)», per stipulare apposite convenzioni con imprese di vigilanza privata. Questa disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva statale la disciplina della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
2.– Con riferimento alla prima disposizione impugnata, occorre preliminarmente rilevare che, nelle more del presente giudizio, è entrata in vigore la legge della Regione Basilicata 20 marzo 2020, n. 12 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2020). L’art. 1, recante «Modifiche alla legge regionale 9 gennaio 1995, n. 2 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio)», sostituisce il secondo periodo del comma 2 dell’art. 28 della legge reg. Basilicata n. 2 del 1995 con il seguente: «Tali piani di abbattimento vengono attuati dal Corpo di polizia provinciale e dalla Polizia locale muniti di licenzia per l’esercizio venatorio nonché, previa intesa tra Regione Basilicata ed il Ministero delle politiche agricole e forestali, dall’Arma dei carabinieri, ai sensi del comma 5, dell’articolo 13, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche)».
Pertanto, rispetto alla previsione di cui alla disposizione impugnata, la recente legge reg. Basilicata n. 12 del 2020 ha introdotto la necessità della previa intesa tra la stessa Regione ed il Ministero delle politiche agricole e forestali, al fine di potersi avvalere dell’Arma dei Carabinieri per l’attuazione dei piani di abbattimento della fauna selvatica. In considerazione delle censure poste a fondamento dell’impugnazione statale, il nuovo intervento regionale è volto a realizzare, attraverso lo strumento dell’intesa, una forma di coordinamento tra apparati statali e regionali. Nell’introdurre l’intesa tra la Regione e il Ministero, la novella legislativa appare, dunque, satisfattiva delle pretese fatte valere dal ricorrente.
2.1.– Peraltro, «la modifica normativa della norma oggetto di questione di legittimità costituzionale in via principale intervenuta in pendenza di giudizio determina la cessazione della materia del contendere solo quando ricorrono simultaneamente le seguenti condizioni: occorre che il legislatore abbia abrogato o modificato le norme censurate in senso satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e occorre che le norme impugnate, poi abrogate o modificate, non abbiano ricevuto applicazione medio tempore» (ex plurimis, sentenze n. 287 e n. 180 del 2019, n. 238, n. 185, n. 44 e n. 5 del 2018, n. 191, n. 170, n. 59 e n. 8 del 2017).
Nel caso in esame, la disposizione impugnata è rimasta in vigore per circa un anno (dal 15 marzo 2019 al 24 marzo 2020) e non sono disponibili informazioni circa la sua effettiva applicazione. Si tratta, dunque, di un arco temporale piuttosto ampio e la Regione Basilicata, pur essendo costituita nel presente giudizio, non ha svolto alcun argomento a sostegno della legittimità della disposizione impugnata, né ha fornito indicazioni circa la sua mancata applicazione.
In assenza di un presupposto imprescindibile per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, si deve, quindi, ritenere che persiste l’interesse dello Stato alla trattazione del ricorso.
3.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 7, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 è fondata.
Come si è già osservato, nel modificare il comma 2 dell’art. 28 della legge reg. Basilicata n. 2 del 1995, la disposizione impugnata ha previsto che – laddove si dimostrino inefficaci gli interventi di controllo selettivo della fauna selvatica mediante l’utilizzo di metodi ecologici – la Polizia provinciale può avvalersi, per l’attuazione dei piani di abbattimento, del personale dell’Arma dei Carabinieri forestali.
Con la disposizione impugnata, la Regione Basilicata si è, dunque, attribuita il potere di assegnare unilateralmente ad un corpo di polizia dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli stabiliti dalla legge statale, per il perseguimento di obiettivi individuati dalla stessa Regione. Questa previsione contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che le Regioni non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato compiti ulteriori rispetto a quelli individuati dalla legge statale, né possono disciplinare unilateralmente, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa, forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono attribuzioni di organi statali (ex plurimis, sentenze n. 2 del 2013, n. 167 del 2010, n. 104 del 2010, n. 10 del 2008 e n. 322 del 2006).
4.– È fondata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019.
4.1.– Con la disposizione impugnata, la Regione Basilicata ha disciplinato l’impiego in agricoltura dei fanghi di depurazione di acque reflue, richiamando – solo per la concentrazione di idrocarburi e fenoli – i valori limite stabiliti dalla Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V, Parte IV, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). In applicazione di questa tabella, la concentrazione soglia di contaminazione è stabilita in 50 mg/kg di “sostanza secca”.
Questi criteri stabiliti dal legislatore regionale risultano, invero, più restrittivi, quanto alla concentrazione di idrocarburi e fenoli, di quelli stabiliti dall’art. 41 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2018, n. 130. Infatti, quest’ultima disposizione, dopo avere confermato i limiti dell’Allegato IB del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 (Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura) per gli idrocarburi (C10-C40) stabilisce il valore limite di 1.000 mg/kg “tal quale” (ossia non sulla “sostanza secca”).
4.2.– Tale valore limite è stato anche oggetto di controversia e di critica in sedi diverse. Tuttavia, la verifica di legittimità costituzionale che il ricorrente rimette a questa Corte attiene al riparto di competenze stabilito dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Ed è la stessa Regione Basilicata, nelle proprie istanze difensive, a prospettare la questione sempre a difesa del corretto riparto di competenze.
La verifica demandata a questa Corte deve allora tenere conto, in primo luogo, della qualificazione prevista dall’art. 127 del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo la quale «i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile».
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la disciplina della gestione dei rifiuti debba essere ricondotta alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», materia naturalmente trasversale, idonea perciò a incidere sulle competenze regionali (ex plurimis, sentenze n. 289 e n. 142 del 2019, n. 215, n. 151 e n. 150 del 2018, n. 101 del 2016, n. 180, n. 149 e n. 58 del 2015, n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 314, n. 61 e n. 10 del 2009).
È altresì costante l’affermazione secondo la quale, in materia ambientale, il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale è riservato allo Stato, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex plurimis, sentenze n. 129 del 2019, n. 215, n. 151 e n. 150 del 2018, n. 85 del 2017, n. 180, n. 149 e n. 58 del 2015, n. 67 del 2014, n. 314, n. 249, n. 225 e n. 164 del 2009, n. 437 e n. 62 del 2008, n. 378 del 2007 e n. 536 del 2002).
Quanto a tali interventi, la Corte ha affermato che la collocazione della materia «tutela dell’ambiente [e] dell’ecosistema» tra quelle di esclusiva competenza statale «non comporta che la disciplina statale vincoli in ogni caso l’autonomia delle Regioni, poiché il carattere trasversale della materia, e quindi la sua potenzialità di estendersi anche nell’ambito delle competenze regionali, mantiene salva la facoltà delle Regioni di adottare, nell’esercizio delle loro competenze legislative, norme di tutela più elevate» (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2019, n. 215 del 2018, n. 77 del 2017, n. 58 del 2015, n. 278 del 2012, n. 30 del 2009, n. 104 del 2008, n. 246 del 2006 e n. 407 del 2002).
D’altra parte, nel disciplinare l’utilizzo agronomico dei fanghi di depurazione, la disposizione regionale impugnata dispiega i suoi effetti anche in materia di agricoltura, definita dalla giurisprudenza costituzionale come ambito materiale in cui è individuabile un “nocciolo duro”, assegnato alla competenza residuale regionale, che «ha a che fare con la produzione di vegetali ed animali destinati all’alimentazione» (sentenze n. 250 del 2009, n. 116 del 2006, n. 282 e n. 12 del 2004).
4.3.– Ciò posto, il contenuto precettivo della disposizione regionale impugnata impone il rispetto di criteri diversi e più restrittivi, quanto alla concentrazione di idrocarburi, di quelli stabiliti dall’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018. Si tratta, allora, di verificare se – nel richiamare i valori tabellari di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 – la Regione Basilicata abbia disciplinato l’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione, da un lato, pervenendo a un più elevato livello di tutela ambientale, dall’altro rimanendo nel “nocciolo duro” della propria competenza in materia di agricoltura, giacché quel più elevato livello concorre anche a migliorare la produzione agricola destinata all’alimentazione. Alla luce dei principi sopra richiamati, l’esito di tale verifica si rivela negativo.
Va infatti riconosciuto che la competenza a stabilire i valori limite delle sostanze presenti nei fanghi di depurazione ai fini del loro utilizzo agronomico non può che spettare allo Stato, per insuperabili esigenze di uniformità sul territorio nazionale, sottese all’esercizio della competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Tali esigenze di uniformità non discendono soltanto dalla necessità di applicare metodiche di valutazione e standard qualitativi che siano omogenei e comparabili su tutto il territorio nazionale, ma, non di meno, dal carattere integrato, anche a livello internazionale, del complessivo sistema di gestione e smaltimento dei rifiuti, al servizio di interessi di rilievo ultraregionale.
4.3.1.– È pur vero che l’utilizzo dei fanghi di depurazione delle acque reflue in agricoltura deve essere calibrato per soddisfare i fabbisogni nutritivi delle colture agrarie, avendo riguardo agli eventuali effetti correttivi di talune matrici ed evitando l’accumulo di elementi e sostanze tossiche e pericolose nel terreno.
Tuttavia, la disposizione regionale impugnata, che si fa interprete di questa legittima esigenza, concretizza una visione frammentaria del sistema integrato di gestione dei fanghi di depurazione. La limitazione al relativo utilizzo, derivante dall’applicazione dei più restrittivi criteri regionali, è infatti suscettibile di incidere sul complessivo sistema nazionale di gestione dei fanghi di depurazione, sull’adempimento degli obblighi di riduzione del conferimento in discarica di tutti i rifiuti recuperabili e riciclabili (art. 1, punto 4), lettera c), della direttiva 2018/850/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti), nonché sulla cessazione della qualità di rifiuto (end of waste) che, in base alla normativa europea, spetta agli Stati membri decidere (art. 6 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Le restrizioni introdotte dalla Regione Basilicata con la disposizione impugnata si traducono, infatti, nell’incremento della quantità di rifiuti, destinato a ripercuotersi sul complessivo sistema di gestione, recupero e smaltimento. Le medesime limitazioni regionali finiscono per gravare sulla complessiva capacità degli impianti di depurazione e trattamento, sui corpi idrici ai quali afferiscono le acque reflue dopo il trattamento, sui flussi interni e transfrontalieri di rifiuti destinati allo smaltimento.
Il punto di equilibrio fra la legittima esigenza regionale e le richiamate ragioni di uniformità non può realizzarsi attraverso l’interferenza della Regione nella competenza statale in materia di disciplina della gestione dei rifiuti. La Regione deve attenersi all’esercizio della propria competenza a tutela della qualità delle produzioni agricole. Tale competenza ben le potrebbe consentire, in primo luogo, l’adozione di limiti e condizioni nell’utilizzazione in agricoltura dei diversi tipi di fanghi, avuto riguardo alle concrete caratteristiche dei suoli, con riferimento in particolare alla loro vulnerabilità, nonché ai tipi di colture praticate. Inoltre, fermo restando il rispetto dei valori limite stabiliti dalla normativa statale, l’intervento delle Regioni potrebbe anche tradursi nel miglioramento della qualità dei fanghi prodotti sul loro territorio nell’ambito del servizio idrico integrato.
4.3.2.– D’altra parte, va rilevato che nel caso del richiamato art. 41, si tratta di una composizione di interessi individuata in via temporanea, «[a]l fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore». Infatti, nella recente legge 4 ottobre 2019, n. 117 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2018), all’art. 15, lettera b), è stata prevista l’adozione di una «nuova disciplina organica in materia di utilizzazione dei fanghi, anche modificando la disciplina stabilita dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, al fine di garantire il perseguimento degli obiettivi di conferimento in discarica previsti dalle disposizioni di cui all’articolo 1, numero 4), della direttiva (UE) 2018/850».
Va inoltre rilevato che il 1° agosto 2018 la Conferenza Stato-Regioni aveva già espresso parere favorevole sullo schema di decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, recante regolamento concernente modifiche agli allegati IA, IIA, IB e IIB al d.lgs. n. 99 del 1992. Tale schema già conteneva la previsione di un valore limite per idrocarburi. Dal dialogo istituzionale che, in seguito, ha accompagnato anche lo schema di decreto legislativo in corso di elaborazione, nel quadro di un’approfondita interlocuzione con le autonomie regionali, non emergono puntuali contestazioni, neppure da parte della stessa Regione Basilicata, in ordine alla condivisione dei valori soglia stabiliti per il parametro idrocarburi (C10-C40) nei fanghi destinati ad utilizzo in agricoltura. Inoltre, l’introduzione di nuovi limiti per tale parametro, oggetto di approfonditi studi sia da parte dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, sia dell’Istituto superiore di sanità, risulta dagli stessi condivisa.
Nel disciplinare la destinazione agronomica dei fanghi, la disposizione regionale impugnata viola, dunque, la competenza statale esclusiva in materia di gestione dei rifiuti.
4.4.– Infine, non possono essere accolte le ulteriori istanze avanzate dalla difesa regionale, volte ad ottenere che sia presentata richiesta di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, in ordine all’art. 41 del d.l. n. 109 del 2018, ovvero che sia sollevata questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
A sostegno di tali richieste, la Regione deduce il non adeguato rispetto del principio di precauzione, ma non identifica con chiarezza i parametri europei dei quali assume la violazione, limitandosi ad un generico richiamo dei principi posti dalla direttiva 86/278/CEE, la quale, tuttavia, non contiene indicazioni circa la presenza di idrocarburi nei fanghi destinati all’utilizzo agricolo.
5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 non è fondata.
La disposizione impugnata consente ai «Comuni interessati da ricorrenti e significativi episodi di attentati alla proprietà privata» di stipulare «apposite convenzioni con le imprese private di vigilanza», avvalendosi delle risorse del Fondo Unico Autonomie Locali, istituito dalla legge della Regione Basilicata 19 settembre 2018, n. 23, recante «Istituzione del Fondo Unico Autonomie Locali (F.U.A.L.)» e finanziato con fondi del bilancio regionale, al fine di «migliorare i processi di controllo del territorio e fornire maggiore sicurezza ai cittadini lucani».
Ad avviso della parte ricorrente, questa attività sarebbe connessa all’attività di prevenzione dei reati, che è tipica della funzione di pubblica sicurezza. La disposizione regionale impugnata avrebbe quindi violato l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva statale la disciplina della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
Tuttavia, nel caso in esame, la stipula di convenzioni con istituti privati di vigilanza si configura come un’attività ordinaria di gestione del patrimonio iure privatorum, che non interferisce con la disciplina della prevenzione dei reati e il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza, ma attiene soltanto alla prudente amministrazione e custodia dei beni patrimoniali. Va da sé che gli istituti di vigilanza con i quali sono stipulate le predette convenzioni non hanno, né potrebbero avere, compiti e tanto meno poteri di pubblica sicurezza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 7, della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2020.