Cass. Sez. III n. 10247 del 12 marzo 2024 (CC 29 feb 2024)
Pres. Ramacci Rel. Reynaud Ric. Servitur 
Ambiente in genere.Occupazione suolo demaniale

Per accertare la sussistenza del reato cui all’art. 1161 cod. nav., quando l’imputato invochi la liceità dell’occupazione di suolo demaniale in forza di provvedimenti concessori ottenuti, il giudice penale ben può affermare l’arbitrarietà della condotta ritenendo l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi, essendo a ciò impedito soltanto quando la legittimità dell’atto sia stata affermata da una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo. Tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa. Quest’operazione, peraltro, non comporta la disapplicazione dell’atto illegittimo nel senso di cui all’art. 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E (legge abolitrice del contenzioso amministrativo, di seguito, l.a.c.a.).


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 settembre 2023, il Tribunale di Cosenza ha rigettato l’istanza di riesame proposta dalla Servitur La Ginestra Srl avverso il decreto di sequestro preventivo dell’area e delle strutture costituenti lo stabilimento balneare gestito dalla predetta società sull’area demaniale marittima situata in comune di Mandatoriccio, ravvisando nei confronti di Giovanni Iozzi, legale rappresentante della società, il fumus del reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. per abusiva occupazione di suolo demaniale e realizzazione di innovazioni non autorizzate.
 
2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario la società ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, l’erronea applicazione degli artt. 4 e 5 l. 2248/1865 in relazione agli artt. 54 e 1161 cod. nav. per aver il Tribunale disapplicato illegittimamente le concessioni demaniali e le relative proroghe ottenute dalla ricorrente, travalicando il potere attribuito al giudice penale in tema di sindacato amministrativo. Secondo la ricorrente detto sindacato sarebbe ammesso soltanto nei confronti di provvedimenti mancanti dei requisiti di forma e di sostanza, ovvero inesistenti perché emessi da un organo assolutamente privo di potere ovvero frutto di attività criminosa, essendo invece escluso nel caso di mero mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere, come nella specie avvenuto senza che il Tribunale avesse peraltro individuato la categoria dei profili di illegittimità ravvisati.
Si allega, inoltre, che il Tribunale non aveva considerato come – anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della c.d. direttiva Bolkestein – la concessione demaniale abbia natura complessa che la rende assimilabile ad un contratto dal quale nascono diritti soggettivi, sicché non può essere trattata come un provvedimento amministrativo di unilaterale provenienza della pubblica amministrazione che incide su interessi legittimi.

3.  Con il secondo motivo di ricorso si lamentano la violazione dell’art. 5 cod. pen. in relazione agli artt. 54 e 1161 cod. nav. e la mancanza della motivazione su un punto decisivo della  controversia, vale a dire il difetto di fumus del reato ipotizzato per insussistenza dell’elemento soggettivo.
La società ricorrente richiama – e allega anche al ricorso – i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali sottoposti al tribunale del riesame ed in relazione ai quali aveva sostenuto la non rimproverabilità della condotta addebitata al legale rappresentante Giovanni Iozzi. Mentre i provvedimenti amministrativi non presentavano profili di macroscopica illegittimità – neppure in relazione ai rilievi mossi nell’ordinanza impugnata – nei provvedimenti giurisdizionali penali e amministrativi resi nel corso degli anni in relazione alla vicenda in esame non era mai stata contestata l’inesistenza delle concessioni demaniali e delle relative proroghe.
Nonostante la prospettazione difensiva contenuta nei motivi di riesame, l’ordinanza impugnata non aveva affrontato il tema dell’elemento soggettivo del reato, la cui insussistenza emergeva pacificamente dagli atti prodotti dalla difesa, e non aveva evidenziato condotte commissive od omissive che denotassero una possibile forma di consapevolezza dell’occupazione sine titulo dell’area in sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Va premesso che i giudici del merito cautelare hanno riconosciuto nei confronti di Giovanni Iozzi, legale rappresentante della società ricorrente, il fumus del reato di cui all’art. 1161 cod. nav. che, al primo comma, per quanto qui interessa, punisce   «chiunque arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo…ne impedisce l'uso pubblico o vi fa innovazioni non autorizzate».
1.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l'occupazione dello spazio demaniale marittimo è "arbitraria" ed integra il reato di cui all'art. 1161 cod. nav. se non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio, rilasciato in precedenza e non surrogabile da altri atti, ovvero allorquando sia scaduto o inefficace il provvedimento abilitativo (Sez. 3, n. 50145 del 10/05/2018, Marzio, Rv. 274520; Sez. 3, n. 37866 del 04/05/2004, Davì, Rv. 230046).
Salvo quanto più oltre specificamente si dirà sull’istituto della disapplicazione dell’atto amministrativo, non v’è peraltro dubbio che, quando necessario ai fini del giudizio sull’integrazione di un reato, il giudice penale possa scrutinare la legittimità di atti amministrativi, salvo soltanto il giudizio sull’esercizio dei poteri discrezionali che esclusivamente competono alla pubblica amministrazione. Quando si tratti, peraltro, dell'accertamento della correttezza dei procedimenti amministrativi per il rilascio di titoli abilitativi, il giudice di merito rende al proposito un giudizio di fatto, fondato sulla verifica di atti della pubblica amministrazione, a lui riservato ed insindacabile in sede di legittimità, ove lo scrutinio è limitato alla correttezza giuridica di tale accertamento (Sez. 3, n. 13075 del 08/02/2019, Perrella, Rv. 275858).
 1.2. L’ordinanza impugnata ha rilevato che l’occupazione dell’area demaniale in sequestro da parte della società ricorrente era arbitraria per plurime ragioni.
In primo luogo, essa non trovava fondamento in alcun valido titolo concessorio, posto che i provvedimenti invocati dalla società erano palesemente  illegittimi per contrasto con la l.r. Calabria 21 dicembre 2005, n. 17, ed in particolare con l’art. 14, essendo stati rilasciati dal Comune di Mandatoriccio benché lo stesso non si fosse dotato del necessario P.C.S. (Piano Comunale di Spiaggia) richiesto dalla citata disposizione. La stessa Regione Calabria – attesta l’ordinanza – con nota del 31 luglio 2017 aveva invitato il Comune di Mandatoriccio a riconsiderare come contrari alla disciplina normativa tutti i provvedimenti adottati in favore della società ricorrente  ed a sospenderne l’efficacia in regime di autotutela.
 In secondo luogo, era stata palesemente violata l’unica autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Provincia di Cosenza in data 23 giugno 2008 per la realizzazione sulla spiaggia di un chiosco-bar, trattandosi di autorizzazione che prescriveva la provvisorietà e facile rimozione delle strutture temporanee consentite su un’area occupante 150 mq. di superficie coperta e 207 mq. di superficie scoperta, con specifico obbligo di rimozione al temine della stagione balneare  e di ripristino dello stato naturale dei luoghi, mentre, in forza di illegittimi provvedimenti adottati dal Comune ed in violazione della richiamata autorizzazione paesaggistica, la struttura era dapprima stata autorizzata con durata annuale anziché stagionale, la concessione era stata poi prorogata per un triennio e quindi sino al 31 dicembre 2020, con ampliamento e modificazione delle condizioni di occupazione del suolo demaniale.
Si evidenzia, inoltre, l’illegittimità di una s.c.i.a. presentata in data 7 maggio 2012 con riguardo a variazioni essenziali sulla struttura del chiosco-bar, incompatibili con la natura amovibile della stessa (che, al momento dei lavori, si sarebbe dovuta rimuovere alla scadenza di quell’anno) e con le prescrizioni del titolo in allora formalmente vigente, posto che venivano aumentate superficie coperta e volumetria e si realizzavano nuove opere.
Da ultimo, l’ordinanza (pagg. 7 e  8) elenca i numerosi manufatti non oggetto di alcun titolo concessorio (neppure illegittimamente rilasciato), abusivamente realizzati sul suolo demaniale quantomeno già al giugno 2014 (tra cui diverse strutture coperte, una delle quali giunta ad occupare una superficie coperta di mq. 375, integrante anche volumetria non autorizzata per essere stata interamente chiusa perimetralmente con pannelli coibentati). Trattandosi di opere mai autorizzate e/o sanate, anche per tale ulteriore ragione erano da ritenersi illegittimi i provvedimenti di proroga del titolo concessorio rilasciati dal 2015, non essendo comunque consentita la proroga in caso di realizzazione di innovazioni abusive.

2. Alla luce dei richiamati principi di diritto e della ricostruzione operata nell’ordinanza di cui si è appena dato conto, il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
2.1. Quanto al primo aspetto, il ricorso è generico perché non si confronta  con la ricostruzione sopra brevemente riepilogata, che attesta non soltanto la palese invalidità dei titoli concessori originari – peraltro, si aggiunge, rilasciati ad altro soggetto e soltanto successivamente fatti oggetto di licenza di subingresso alla società ricorrente – e delle relative proroghe, ma anche le plurime condotte di ulteriore abusiva occupazione ed installazione di manufatti commesse in assenza di qualsiasi, anche solo formale, copertura amministrativa, circostanza, quest’ultima, che per ciò solo indubbiamente integra il fumus del reato contestato senza che venga al proposito in rilievo l’unica doglianza sulla dedotta illegittimità della disapplicazione degli atti amministrativi svolta in ricorso.
2.2. Quanto a quest’ultima circostanza, la tesi interpretativa argomentata in ricorso è comunque manifestamente infondata poiché, contrariamente a quanto apoditticamente allega la società ricorrente, senza in alcun modo confrontarsi con i consolidati orientamenti interpretativi di questa Corte, per accertare la sussistenza del reato cui all’art. 1161 cod. nav., quando l’imputato invochi la liceità dell’occupazione di suolo demaniale in forza di provvedimenti concessori ottenuti, il giudice penale ben può affermare l’arbitrarietà della condotta ritenendo l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi, essendo a ciò impedito soltanto quando la legittimità dell’atto sia stata affermata da una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo (cfr., su quest’ultimo punto, Sez. 3, n. 44077 del 18/07/2014, Scotto Di Clemente, Rv. 260612,  ove si aggiunge che tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa). Quest’operazione, peraltro, non comporta la disapplicazione dell’atto illegittimo nel senso di cui all’art. 5 l. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E (legge abolitrice del contenzioso amministrativo, di seguito, l.a.c.a.), istituto correttamente non evocato – né formalmente, né sostanzialmente – dall’ordinanza impugnata, che, facendo buon governo dei principi di diritto richiamati supra, sub §. 1.1., e di quelli di cui di seguito subito si dirà, reputa sussistente il fumus del reato previsto dall’art. 1161 cod. nav. ritenendo l’occupazione non giustificata da validi titoli amministrativi (e, dunque, “arbitraria” nel senso richiesto dalla norma incriminatrice).
Del resto, come noto, di disapplicazione dell’atto amministrativo effettuata dal giudice penale si continua, talvolta, a parlare soltanto con riguardo a fattispecie di reato strutturate quale violazione di un atto amministrativo che dev’essere legalmente dato (è il caso, ad es., dell’art. 650 cod. pen.: cfr., di recente, Sez. 1, n. 54841 del 17/01/2018, Sciara, Rv. 274555). Quando, invece, l’affermazione di responsabilità prevede una condotta realizzata in mancanza di un necessario atto amministrativo, la riconosciuta illegittimità dell’atto eventualmente rilasciato per farne discendere la sussistenza del reato non ne postula una “disapplicazione” nel senso indicato dalla ricorrente e disciplinato dall’art. 5 l.a.c.a.
Con particolare riguardo al reato urbanistico di costruzione sine titulo di cui all’art. 44, comma 1, d.P.R. 380/2001, a proposito del quale si è sviluppato un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale che nel tempo ha fatto registrare posizioni non sempre coincidenti, in sede di legittimità può infatti dirsi oggi consolidato l’orientamento giusta il quale la contravvenzione sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico - edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565; Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra Srl, Rv. 275850, massimata su altri punti; Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno, non mass.). In tali decisioni – alle cui diffuse motivazioni in questa sede si rimanda e che sono state successivamente richiamate da numerose pronunce conformi di questa Corte (si vedano, ad es.: Sez. 4, n. 2324 del 29/11/2022, dep. 2023, Elefante, n.m.; Sez. 3, n. 39753 del 16/9/2021, Strafella e a., n.m.; Sez. 3, n. 22832 del 23/04/2021, Schirinzi e a, n.m.) – si è argomentato come la giurisprudenza di legittimità si sia in progresso di tempo attestata sulla posizione che l'attività svolta dal giudice penale in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della pubblica amministrazione (per l’affermazione di questo principio, cfr. anche, ex multis, in motivazione: Sez. 3, n. 50500 del 23/11/2023, Vacchi, Rv. 285625; Sez. 3, n. 3577 del 01/10/2020, dep. 2021, Fabbrocino, n.m.;  Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga, Rv. 273218). In sostanza, può dirsi da tempo consolidato l’orientamento secondo cui, in tema di reati edilizi, il rilascio del permesso di costruire non esclude l'affermazione della penale responsabilità per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove emerga una difformità tra la normativa urbanistica ed edilizia e l'intervento realizzato, né impone l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo, limitandosi il giudice ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, prescindendo da qualunque giudizio su detto atto amministrativo (Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi, Rv. 270644; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, Faiola, Rv. 265034; Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo e a., Rv. 234469). Allo stesso modo, sul piano del giudizio circa l’eventuale estinzione del reato (o ai fini della revoca dell’ordine di demolizione delle opere abusive successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna), il giudice penale può verificare in via incidentale l'illegittimità del permesso di costruire in sanatoria che lo rende privo di validi effetti, in quanto contrastante con le previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, dovendosi escludere che il mero dato formale dell'esistenza di tale permesso precluda al giudice ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato o con riguardo al perfezionamento di una sanatoria che rende comunque ineseguibile l’ordine di demolizione (cfr. Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170; Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, Impagliazzo, Rv. 277668).
 2.3. Se, dunque, nel caso in cui il giudice penale, in presenza di un provvedimento amministrativo non conforme alla normativa che ne regola l'emanazione o alle disposizioni di settore, è tenuto a valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie di reato che punisca condotte tenute in assenza del prescritto provvedimento abilitativo, senza che sia necessario disapplicare l'atto amministrativo illegittimo o effettuare valutazioni rimesse alla pubblica amministrazione (in questo senso, con riguardo alla gestione non autorizzata di rifiuti, v. Sez. 3 , n. 27148 del 17/05/2023, Burato, Rv. 284735-03), a fortiori non può parlarsi di “disapplicazione” nel caso in cui, come accade per l’art. 1161 cod. nav., la fattispecie incriminatrice neppure contenga il riferimento ad un provvedimento amministrativo, ma si limiti a punire condotte “arbitrarie”.
Né la conclusione muta quando il provvedimento in questione abbia natura concessoria piuttosto che autorizzatoria e sono del tutto generiche ed in alcun modo sviluppate le contestazioni mosse in ricorso circa il fatto che la concessione demaniale, avendo natura complessa che la renderebbe assimilabile ad un contratto dal quale nascono diritti soggettivi, non potrebbe essere trattata come un provvedimento amministrativo di unilaterale provenienza della pubblica amministrazione. In disparte il fatto che, a norma dell’art. 133, lett. b), cod. proc. amm., spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, sicché non v’è dubbio che anche sul provvedimento concessorio sia consentito l’ordinario sindacato generale di legittimità, compresa l’azione di annullamento di cui all’art. 29 cod. proc. amm., come si è detto il descritto sindacato incidentale che compete al giudice penale ai fini del giudizio sull’integrazione dei reati in alcun modo incide, nemmeno in termini di disapplicazione, sul provvedimento concessorio.

3. Il secondo motivo di ricorso, rispetto al quale il Procuratore generale ha richiesto l’accoglimento del ricorso, ad avviso del Collegio è infondato.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, con riguardo al requisito della arbitrarietà che deve connotare la condotta illecita, occorre la precisa consapevolezza di occupare abusivamente uno spazio demaniale (Sez. 3, n. 37165 del 06/05/2014, Parisi e a., Rv. 260179) e non vale ad escluderlo la eventuale acquiescenza degli organi preposti e il conseguente consenso dell'avente diritto, configurandosi anche in tale ipotesi il reato di cui all'art. 1161 cod. nav. (Sez. 3, n. 3672 del 30/11/2005, dep. 2006, Malatesta, Rv. 233288).
3.2. In disparte quanto osservato più sopra sulla non pertinenza del richiamo all’istituto della disapplicazione, non v’è dubbio che anche nel reato in esame possa rilevare il rilascio del provvedimento concessorio, che, come detto, se legittimamente ottenuto, esclude in radice l’arbitrarietà dell’occupazione del suolo demaniale avvenuta in conformità alla concessione. In simili casi, per affermare la penale responsabilità, ove non ci si trovi di fronte ad una macroscopica illegittimità del titolo abilitativo, il giudice di merito deve procedere, stante la presenza di un atto autorizzativo della pubblica amministrazione, ad un accertamento più approfondito dell'elemento soggettivo del reato, dandone conto adeguatamente in motivazione, soprattutto nel caso in cui l'imputato alleghi circostanze dirette a rivendicare la propria buona fede e un affidamento incolpevole (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra Srl, Rv. 275850-01). Per contro, la macroscopica illegittimità del provvedimento, pur non costituendo una condizione essenziale perché sia integrato il reato sul piano oggettivo, rappresenta un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito (Sez. 3, n. 37475 del 13/06/2019, Meola, Rv. 277672; Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565).
3.3. Secondo il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, tuttavia, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato, sicché, se è pur vero che la delibazione deve riguardare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, compreso quello soggettivo, è al proposito sufficiente dare atto dei dati di fatto che non permettono di escludere ictu oculi la sussistenza di tale elemento (Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015; Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896).
3.4. Nel caso di specie, dalla ricostruzione del fatto più sopra riepilogata si ricava come l’ordinanza impugnata abbia espressamente attestato la “palese” illegittimità dei provvedimenti amministrativi sui quali la società ricorrente pretende di fondare l’occupazione non arbitraria del suolo demaniale (v., espressamente, pag. 5 dell’ordinanza) ed inoltre – ciò che sarebbe di per sé sufficiente a rivelare l’infondatezza della doglianza – di plurime condotte di innovazione ed occupazione anche formalmente abusive, sicché non v’è dubbio che la struttura argomentativa dell’ordinanza escluda una ictu oculi evidente insussistenza dell’elemento soggettivo, peraltro bastevole nella forma della mera colpa. Non può dunque affermarsi, sul punto, l’inesistenza della motivazione.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la motivazione è soltanto apparente, ciò che integra gli estremi della violazione di legge di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. deducibile anche nel ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali, quando si tratti di un vizio tanto radicale da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza che consentano di rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e a., Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296; Sez.  6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893), come pure quando sia fondata su argomentazioni che non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314).

4. Il ricorso, nel complesso infondato, va pertanto rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29 febbraio 2024.