Cass. Sez. III n. 27862 del 2 luglio 2015 (Ud 21 mag 2015)
Pres. Fiale Est. Scarcella Ric. Molino ed altri
Ambiente in genere.Delega di funzioni

In materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all'istituto della delega di funzioni, tra i requisiti di cui è necessaria la compresenza non è più richiesto che il trasferimento delle funzioni delegate debba essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa (fattispecie nella quale la Corte, argomentando ex art. 16, d.lgs. n. 81 del 2008, rilevando l'asimmetria con la materia prevenzionistica dove non è più richiesto il requisito della necessità della delega, ha escluso che detto requisito sia necessario in materia ambientale)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 24/03/2014, depositata in data 4/04/2014, il tribunale di CUNEO assolveva MOLINO PIETRO, FERRANDO GIAMBATTISTA e CALONICO GIUSEPPE dal reato di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 29-quattuordecies, contestato come commesso fino al
27/10/2011), per insussistenza del fatto.
2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di CUNEO, impugnando la sentenza predetta, con cui deduce un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), sotto il profilo della violazione e falsa
applicazione dell'art. 40 c.p., comma 2 e violazione dell'art. 2392 c.c., comma 2, ed erroneo riconoscimento della delega di funzioni.
In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per aver il giudice di merito assolto gli imputati dal reato per insussistenza del fatto, ritenendo efficace la delega di funzioni convenuta tra gli amministratori della società; la delega in materia ambientale, sostiene il PM ricorrente, sarebbe giustificata solo nell'ambito di strutture plurisoggettive laddove, diversamente, come avvenuto nel caso in esame, si trattava di una struttura produttiva estremamente semplice, in quanto uno era lo stabilimento ed unica la sede aziendale; peraltro, si aggiunge la situazione di confusione gestionale era di macroscopica evidenza, discutendosi, nel caso in esame, dell'incapacità di osservare le prescrizioni dettata dall'A.I.A. e dal comune buon senso per la gestione dei rifiuti, che costituiva l'oggetto dell'attività aziendale della società; l'aver attribuito efficacia scriminante ad un accordo convenzionale tra soggetti che hanno scelto di svolgere l'attività di amministratori equivale a riconoscere efficacia ad un accordo privatistico sull'attribuzione di responsabilità penale; le criticità nella gestione dei rifiuti, infine, erano tali da necessitare l'intervento dei restanti amministratori a tutela della stessa società, trattandosi di profili di colpa e non di responsabilità di posizione come paventato nella sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
4. Ed invero, risulta dagli atti che il tribunale è pervenuto a giudizio assolutori nei confronti dei tre imputati (due dei quali, il Ferrando ed il Calonico, coamministratori della società ROSSO s.r.l. e, il terzo, il Molino, presidente del Consiglio di Amministrazione) dopo aver dato atto dell'intervenuta definizione del processo da parte del terzo coamministratore, il Siri, che, in base a quanto emerso nell'istruttoria dibattimentale (deposizione teste Massimino, funzionario ARPA) era risultato dotato di deleghe specifiche; si legge, peraltro, nella motivazione dell'impugnata sentenza che l'accusa mossa agli attuali imputati si fonda sul presupposto che gli stessi, consapevoli della disordinata conservazione dei rifiuti, avessero per ciò stesso omesso di intervenire, colposamente; detta ipotesi accusatoria, motiva il giudice, contrasta con il dato positivo per il quale esisteva un soggetto munito di specifica delega a curare gli adempimenti in azienda in materia ambientale e, dall'altro, dall'operatività in settori diversi (commerciale ed amministrativo) degli altri imputati, come dichiarato dai medesimi in sede di esame, e dal teste indotto dalla difesa, donde l'insussisstenza di elementi probatori a loro carico in ordine alla posizione di garanzia o specifico concorso attribuita agli imputati, sfociandosi diversamente in un'ipotesi di responsabilità oggettiva.
5. A fronte di tale quadro probatorio, il PM ricorrente evoca, da un lato, la carenza del requisito della necessità della delega e, dall'altro, l'esistenza di una posizione di garanzia cumulativa, pur in presenza di un soggetto espressamente delegato alla cura degli adempimenti in materia, trattandosi di carenze gestionali ed organizzative di macroscopica evidenza (fatto sulla cui materialità, si osservi, non vengono sollevate censura di sorta, essendo risultato pacifico), sicché sarebbe stato necessario un loro specifico intervento a tutela della stessa società.
La censura, pur suggestiva, non ha pregio.
Ed infatti, quanto al requisito della "necessità" della delega, è ben vero che lo stesso è richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento alle fattispecie di reati ambientali (v., ad es., Sez. 3, n. 6420 del 07/11/2007 - dep. 11/02/2008, Girolimetto, Rv. 238980, che condiziona la rilevanza penale all'istituto della delega di funzioni, alla compresenza di precisi requisiti, tra cui, in particolare il fatto che il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa), ma non può non rilevarsi da parte del Collegio l'asimmetria oggi rilevabile con l'omologo istituto della delega di funzioni in materia prevenzionistica.
6. Ed infatti, com'è noto, a seguito della normativizzazione dell'istituto della delega nel cd. Testo unico sulla sicurezza (D.Lgs. n. 81 del 2008), l'attuale art. 16 del citato T.U. non contempla più tra i requisiti richiesti per attribuire efficacia all'atto di delega proprio quello della sua "necessità", essendo oggi pacificamente ammissibile in campo prevenzionistico l'attribuzione delle funzioni delegate anche in realtà di modesta entità organizzativa. Ciò significa, pertanto, che il cd. requisito dimensionale, per espressa volontà legislativa (ove il legislatore avesse voluto, infatti, avrebbe espressamente incluso il requisito dimensionale tra quelli necessari, come ha fatto cristallizzando in previsioni di diritto positivo i principi giurisprudenziali elaborati in materia, pressocché integralmente recepiti nell'art. 16 citato), non costituisce più condizione o requisito di efficacia di una delega di funzioni nella materia della prevenzione infortuni sul lavoro. Non può, pertanto, non riconoscersi come la presenza di una volontà legislativa ben determinata (escludere il requisito della necessità della delega) nell'affine materia prevenzionistica, non esplichi i suoi effetti anche nella materia ambientale, considerando, del resto, gli inevitabili e naturali punti di contatto tra l'esercizio delle funzioni e gli adempimenti delegati nei due settori; a tacer d'altro, osserva il Collegio, il mantenimento del requisito dimensionale quale condicio sine qua non dell'efficacia della delega di funzioni in materia ambientale, determinerebbe un'illogica ed ingiustificabile disparità di trattamento (perdipiù fondata su una contraria esegesi giurisprudenziale, valevole solo per il settore ambientale e non più per quello prevenzionistico) tra chi è delegato agli adempimenti ambientali e chi è delegato agli adempimenti in materia antinfortunistica, con la paradossale conseguenza, ove le deleghe confluiscano nel medesimo soggetto, che l'osservanza della legge consentirebbe di ritenere efficace l'atto di delega in materia prevenzionistica, ma non quello conferito in materia ambientale. Ed invero, il necessario rispetto del principio di non contraddizione (in quanto sarebbe logicamente inconcepibile che l'ordinamento prima conceda un potere di agire e poi ne sanzioni penalmente l'esercizio), impone di rivisitare l'orientamento giurisprudenziale di legittimità formatosi con riferimento alla materia ambientale e ritenere, pertanto, non necessario anche in tale settore - per la necessaria influenza operata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, - il requisito della necessità della delega. Il
fondamento logico-giuridico, come anticipato, è dato proprio dal predetto principio di non contraddizione, per cui uno stesso ordinamento non può, nella sua unitarietà, imporre o consentire (in materia prevenzionistica), ad un tempo, vietare (in materia ambientale) il medesimo fatto (ossia il conferimento di una delega di funzioni nelle modeste realtà organizzative) senza rinnegare se stesso della sua politica di attuazione. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: "In materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all'istituto della delega di funzioni, tra i requisiti di cui è necessaria la compresenza non è più richiesto che il trasferimento delle funzioni delegate debba essere giustificato in base alle dimensioni dell'impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa (Fattispecie nella quale la Corte, argomentando D.Lgs. n. 81 del 2008, ex art. 16, rilevando l'asimmetria con la materia prevenzionistica dove non è più richiesto il requisito della necessità della delega, ha escluso che detto requisito sia necessario in materia ambientale)". 7. Quanto, poi, all'obiezione del PM ricorrente secondo cui sarebbe illegittima l'attribuzione dell'efficacia scriminante ad un accordo convenzionale (ossia, l'atto di delega) tra soggetti che hanno scelto di svolgere l'attività di amministratori o tra costoro ed un dipendente, è sufficiente rilevare come richiedendo normalmente un'impresa organizzata - specie se a struttura associata - per la produzione di beni materiali una ripartizione dei compiti e delle relative responsabilità tra coloro che collaborano con l'imprenditore, in virtù di attribuzioni preventivamente conferite nell'organizzazioni tecniche dell'impresa, nelle società di capitali la responsabilità penale per l'inosservanza e la violazione delle norme ambientali e per le relative conseguenze dannose non può essere fatta risalire alle persone (amministratori, consigliere o amministratore delegato) preposte ai vertici dell'organizzazione, della gestione e dell'amministrazione della impresa, ma deve essere individuata, per ciascuno dei soggetti della produzione, con riferimento ai compiti attribuiti ed alle mansioni svolte in concreto nella gestione dell'impresa, limitatamente ai settori di specifica competenza. Solo ove tale ripartizione manchi (circostanza, invece, esclusa dal giudice di merito nel caso in esame, essendo emersa l'attribuzione di una delega ad uno degli amministratori, nonché ritenuto provato che gli altri amministratori ed il Presidente del C.d.A. si occupassero di incombenze diverse), gli amministratori di una società non possono esonerarsi dalla responsabilità penale assumendo di non svolgere mansioni tecniche in seno alla società;
giacché, per le loro qualità di organi preposti alla gestione ed all'amministrazione della società, e, quindi, quali persone fisiche rappresentative della società imprenditrice, si identificano con i soggetti primari destinatari delle norme poste a garanzia del bene ambiente, e penalmente responsabili in conseguenza delle loro violazioni (v., per un'analoga applicazione in materia antinfortunistica, Sez. 2, n. 12335 del 02/02/1976 - dep. 25/11/1976, Lebole, Rv. 134855).
8. Ne consegue, conclusivamente, il rigetto del ricorso del PM. Deve, tuttavia, rilevarsi l'errore di diritto in cui è incorso il giudice, non determinante l'annullamento della sentenza, in quanto la formula assolutoria, in base al ragionamento logico - giuridico svolto, e tenuto conto della circostanza che il fatto, nella sua materialità è stato riconosciuto come sussistente, la formula assolutoria avrebbe dovuto essere quella legata all'estraneità degli imputati rispetto al reato commesso e, quindi, per non aver commesso il fatto. Trattasi di errore di diritto emendabile da questa Corte ex art. 619 cod. proc. pen. (v., per un caso analogo: Sez. 1, n. 4899 del
13/12/1991 - dep. 21/01/1992, P.M. in proc. Sassola ed altri, Rv. 188964).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso del PM e rettifica il dispositivo dell'impugnata sentenza nel senso che l'assoluzione deve ritenersi pronunciata "per non aver commesso il fatto".
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 21 maggio 2015. Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2015