Sez. 3, Sentenza n. 3712 del 20/12/2004 Ud. (dep. 03/02/2005 ) Rv. 230671
Presidente: Savignano G. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: Gramellini. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Forli', 2 Maggio 2002)
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - PRODOTTI ALIMENTARI (IN GENERE) - REATI - IN GENERE - Reato di cui all'art. 5 lett d) legge n. 283 del 1962 - Prodotti confezionati - Importati dall'estero - Responsabilità dell'importatore - Configurabilità - Fondamento.
Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di disciplina dei prodotti alimentari, anche l'importatore di prodotti in confezioni originali risponde del reato di cui all'art. 5 lett. d) della legge 30 aprile 1962 n. 283 (commercializzazione di sostanze alimentari insudiciate, in stato di alterazione o comunque nocive), atteso che l'esimente prevista dall'art 19 della citata legge n. 283 per i prodotti alimentari commercializzati in confezioni originali non si applica quando il prodotto sia stato confezionato all'estero, sussistendo in tal caso sull'importatore l'obbligo di porre in essere ogni opportuna precauzione idonea ad evitare l'immissione sul mercato di prodotti comunque dannosi a non conformi alle disposizioni nazionali.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 20/12/2004
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 2383
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 28288/2002
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRAMELLINI Pietro, n. a Forlì il 18.4.1941;
avverso la sentenza 2.5.2002 del Tribunale monocratico di Forlì;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. PASSACANTANDO Guglielmo che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 2.5.2002 il Tribunale di Forlì, in composizione monocratica, affermava la penale responsabilità di Gramellini Pietro in ordine al reato di cui:
- all'art. 5, lett. d), legge 30.4.1962, n. 283 (poiché, quale rappresentante legale della s.p.a. "F.lli Gramellini", con deposito per il commercio all'ingrosso di prodotti alimentari, deteneva per la vendita una partita di Kg. 440 di fusi di pollo congelati, importati dall'Ungheria, contaminati da "salmonella infantis" - acc. in Forlì, il 5.7.2000) e lo condannava alla pena di euro 30.000,00 di ammenda. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Gramellini, il quale lamenta:
a) violazione dell'art. 19 della legge n. 283/1962, in quanto i fusi di pollo congelati erano stati importati dall'Ungheria (dal macello H. 112 di Kiswarda) in scatole di cartone originali, chiuse con regette plastificate dal produttore ungherese, e dovevano essere considerati come prodotti nei Paesi della Comunità Europea, essendo state estesa all'Ungheria, con apposita convenzione, la normativa europea ai fini della produzione e della commercializzazione di tali prodotti e dovendo il macello di Kiswarda, identificato con la sigla H. 112, considerarsi equiparato, a tutti gli effetti, ad un macello operante nei Paesi europei;
b) violazione dell'art. 72 del D.P.R. n. 327/1980, sostituito dall'art. 11 del D.P.R. n. 254/1985, che non sarebbe applicabile ai Paesi equiparati, per convenzione, ai Paesi membri della Comunità Europea;
c) violazione dell'art. 5 della legge n. 283/1962, poiché i fusi di pollo congelati in oggetto erano provvisti di bolla doganale attestante che essi erano stati ritualmente sottoposti a controllo sanitario presso la dogana, all'atto dell'avvenuta importazione. Le stesse carni, inoltre, erano state analizzate - sempre con esito negativo - dal laboratorio Vegezio di Cesena, sicché nessuna negligenza potrebbe ipotizzarsi.
Con memoria depositata il 9.10.2004, il difensore ha poi prospettato l'insussistenza del reato, sul presupposto la norma di cui all'art. 5 della legge n. 283/1962 sarebbe stata depenalizzata dalla legge il 205/1999 e che, in ogni caso, i prodotti alimentari in oggetto erano destinati ad essere utilizzati previa cottura laddove proprio la cottura eliminerebbe il germe patogeno in essi riscontrato. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché le doglianze anzidette sono infondate.
1. Nella fattispecie in esame è stato accertato, in punto di fatto, che:
- il macello ungherese H. 112 di Kiswarda, in seguito ad ispezioni e controlli comunitari, è stato autorizzato ad esportare in Paesi dell'Unione Europea;
- la partita di fusi di pollo in oggetto (in un campione della quale la presenza di salmonella venne accertata il 5 luglio 2000) era stata importata il 14 aprile 1999, munita di certificato sanitario del luogo di origine, ed assoggettata al prescritto controllo sanitario doganale;
- ricerche di salmonella, con risultato negativo, erano state effettuate, a campione, il 23.11.1999 ed il 31.1.2000;
- non risultano effettuati specifici controlli successivi. 2. L'art. 12 della legge 30.4.1962, n. 283 dispone, al 1^ comma, che "è vietata l'introduzione nel territorio della Repubblica di qualsiasi sostanza destinata all'alimentazione non rispondente ai requisiti prescritti dalla presente legge" ed al 2^ comma prevede che "i contravventori sono puniti con le pene previste dal precedente art. 6 se le sostanze sono destinate al commercio".
Viene affermata così l'illiceità dell'introduzione sul territorio nazionale, a fine di commercio, di prodotti alimentari confezionati all'estero e che si rivelino difformi dai requisiti prescritti dalla normativa di cui alla legge n. 283/1962.
Gli obblighi dell'importatore sono sostanzialmente parificati a quelli che gravano sui produttori nazionali e, quindi, sono decisamente più "consistenti" di quelli gravanti sui rivenditori. In tate prospettiva l'art. 72 del Regolamento di esecuzione (D.P.R. 20.1980, n. 327), come sostituito dall'art. 11 del D.P.R. 8.5.1985, n. 254, dispone, a sua volta, che "gli importatori di sostanze alimentari sono responsabili della natura, del tipo, della quantità, dell'omogeneità, dell'origine dei prodotti presentati all'importazione nonché della rispondenza dei requisiti igienico- sanitari previsti dalle vigenti disposizioni in materia di sostanze alimentari", facendo salva "l'osservanza delle modalità prescritte da altre leggi o regolamenti speciali nonché da convenzioni internazionali concernenti particolari sostanze alimentari". L'importatore, pertanto, ha l'obbligo di introdurre in Italia solo sostanze destinate all'alimentazione rispondenti ai requisiti igienico-sanitari previsti dalle vigenti disposizioni in materia e dall'inottemperanza a siffatto dovere deriva una responsabilità dello stesso a titolo di colpa, configurabile ancora prima dell'effettiva messa in commercio del prodotto alimentare sul territorio nazionale.
Trattasi di un obbligo di particolare peso, per l'osservanza del quale la legge pone indubbiamente a carico dell'importatore l'assunzione di cautele e di controlli di rilevante difficoltà connessi ad una pregnante verifica delle caratteristiche intrinseche degli alimenti La giurisprudenza di merito, però, non ha mancato di rilevare, in proposito, che non può in alcun modo parlarsi di responsabilità oggettiva, poiché l'importatore, conoscendo a priori siffatto rigoroso dovere, non può non assumersi i rischi derivanti dallo svolgimento delle sua attività. Ciò comporta che l'importatore, se non è in grado di garantire la conformità del prodotto estero alla normativa sanitaria nazionale, deve rinunziare ad importarlo.
Quando si tratta di prodotti alimentari confezionati in Paesi dell'Unione Europea, vige il principio della "libera circolazione delle merci", che dal 1^ gennaio 1993 è pienamente operante nel settore dei prodotti alimentari e che prevede la liceità del prodotto alimentare sul territorio di un Paese membro, a condizione che sia rispondente alle prescrizioni che per quella determinata sostanza aumentare sono in vigore nel Paese di produzione. Tale principio si correla a quello del "mutuo riconoscimento", fondato in sostanza sulla fiducia nella capacità degli altri Stati membri di fabbricare e produrre merci destinate a circolare liberamente in tutta l'Unione.
Un limite a tale libertà di circolazione dei prodotti alimentari resta pur sempre desumibile, in ogni caso, dalle prescrizioni poste, nei singoli Paesi a salvaguardia della salute pubblica, secondo quanto espressamente stabilito dall'art. 30 (già art. 36) del Trattato dell'Unione Europea (in tal senso è orientata la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, a partire dalla sentenza 20.2.1979, causa 120/78, Rewe).
È opportuno evidenziare, comunque, che - nella specie - il ricorrente non è stato ritenuto responsabile della contravvenzione di cui all'art. 12 della legge n. 283/1962, bensì di una violazione al precedente art. 5, la quale ben può configurarsi anche in relazione ad un prodotto aumentare comunitario.
3. L'art. 19 della legge 30.4.1962, n. 283 stabilisce che le sanzioni previste da quella legge "non si applicano al commerciante che vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinseci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione, o la confezione originale non presenti segni di alterazione".
Va ribadita, però, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo la quale tale esimente speciale non opera quando il prodotto alimentare sia stato confezionato all'estero, provenga cioè da un produttore straniero il quale non sia obbligato ad osservare tutte le prescrizioni imposte dalla legge italiana per prevenire il pericolo di frode o di danno alla salute del consumatore: in tale ipotesi, infatti, colui che commercia il prodotto sul territorio nazionale non può ritenersi legittimato a presumere l'adempimento di obblighi giuridicamente inesistenti a carico del produttore (vedi Cass., Sez. 3^: 26.3.1999, n. 6323 e 30.7.1997, n. 7700). L'importatore-commerciante all'ingrosso o al dettaglio che opera sul territorio nazionale è tenuto a verificare, pertanto, la conformità del prodotto o dei componenti di esso alla normativa sanitaria con controlli tali da garantire la qualità del prodotto anche se importato in confezioni originali (vedi Cass., Sez. 3^, 17.6.1998, n. 7214).
Il terzo comma, lett. b), dell'art. 8 del Regolamento CEE n. 1906/90 del 26 giugno 1990 (Norme di commercializzazione delle carni di pollame) prevede il controllo obbligatorio di "un campione rappresentativo delle carni di pollame, in sede di sdoganamento delle carni di pollame importate da Paesi terzi", ma tale prescrizione non esclude la necessità di esperire successivamente adeguate verifiche di laboratorio allo scopo di evitare la messa in commercio di prodotti alimentari comunque nocivi.
Nella specie, proprio il controllo doganale effettuato in concreto ai fini salutari smentisce la tesi difensiva della perfetta equiparazione delle merci in oggetto a quelle prodotte da Paesi membri e tale pretesa equiparazione delle merci in oggetto a quelle prodotte da Paesi membri e tale pretesa equiparazione legittimamente è stata considerata non desumibile dalla sola autorizzazione all'importazione in ambito comunitario.
4. Il D. L.G.S. 26.5.1997, n. 155 (Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti alimentari) stabilisce le norme generali di igiene dei prodotti alimentari e le modalità di verifica dell'osservanza di tali norme. Tale testo normativo, all'art. 3, fissa - nei confronti degli operatori del settore alimentare - il principio di autocontrollo e stabilisce (con disposizione immediatamente precettiva e non soggetta alla disciplina transitoria di cui al successivo art. 9) che "il responsabile dell'industria alimentare deve garantire che la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendila o la fornitura, compresa la somministrazione, dei prodotti alimentari siano effettuati in modo igienico", prescrivendo altresì che "Qualora, a seguito dell'autocontrollo di cui al comma 2, il responsabile dell'industria alimentare constati che i prodotti possono presentare un rischio immediato per la salute provvede al ritiro dal commercio dei prodotti in questione e di quelli ottenuti in condizioni tecnologiche simili, informando le autorità competenti sulla natura del rischio e fornendo le informazioni relative al ritiro degli stessi". Per "industria alimentare", inoltre, l'art. 2 prevede che debba intendersi "ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che esercita una o più delle seguenti attività: la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari".
L'operatore del settore alimentare, pertanto, non solo è responsabile della salubrità e della sicurezza del prodotto, ma deve altresì garantire i mezzi di controllo messi in atto a tal fine. Anche quanto alle carni di pollame importate, dunque, l'esistenza di controlli sanitari all'atto della presentazione in dogana, non sottrae l'importatore al generale dovere di porre in essere ogni opportuna precauzione idonea ad evitare l'immissione sul mercato di prodotti dannosi o non conformi alla legge.
I doveri di diligenza ad esso imposti riguardano tempi successivi a quello del controllo doganale e - nella specie - anche l'addotto affidamento in un controllo a campione effettuato oltre cinque mesi prima non integra uno stato di buonafede, vertendosi in una situazione in cui l'imputato non ha comunque fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per adeguare la propria condotta ai precetti normativi.
5. Il reato di cui all'art. 5, lett. d), della legge n. 283/1962 - che non è stato depenalizzato dalla legge n. 205/1999, con cui è stato solo modificato il relativo regime sanzionatorio - è reato di pericolo, per la cui integrazione deve ritenersi irrilevante ogni considerazione riferita all'effettività del danneggiamento della salute pubblica.
Un prodotto alimentare contaminato da salmonella, pertanto, è senza dubbio caratterizzato dall'attitudine concreta e già immanente a provocare un danno alla salute (con motivazione razionale il giudice del merito ha evidenziato, al riguardo, le possibilità di diffusione del batterio per manipolazione delle carni crude e contatto, sia diretto sia attraverso attrezzi di cucina, con alimenti destinati ad essere consumati crudi), non esistendo - tra l'altro - alcun codificato limite di tolleranza per la presenza di batteri del genere salmonella nelle carni di pollame.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2005