Sez. 3, Sentenza n. 11567 del 08/03/2006 Ud. (dep. 31/03/2006 ) Rv. 233567
Presidente: Papadia U. Estensore: De Maio G. Relatore: De Maio G. Imputato: Di Cosimo. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Latina, 8 Aprile 2004)
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - PRODOTTI ALIMENTARI (IN GENERE) - CAMPIONI (PRELIEVO E ANALISI) - Avviso del risultato delle analisi - Mancanza - Violazione del diritto di difesa - Esclusione - Fondamento.

In materia alimentare, il mancato invio dell'avviso del risultato delle analisi effettuate sul campione di sostanza alimentare non integra una violazione del diritto di difesa, atteso che tale comunicazione rileva al solo fine della decorrenza del termine per la presentazione dell'istanza di revisione, decorrente, in assenza del predetto avviso, dall'atto successivo avente valore equipollente.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 08/03/2006
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 00416
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 044575/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) DI COSIMO ANTONIO N. IL 16/04/1958;
avverso SENTENZA del 08/04/2004 TRIBUNALE di LATINA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PASSACANTANDO G. che ha concluso: rigetto del ricorso.
MOTIVAZIONE
Con sentenza in data 8.4.2004 del Giudice monocratico del Tribunale di Latina, Di Cosimo Antonio fu condannato alla pena di giustizia perché riconosciuto colpevole del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. d), ("per avere, nella qualità di legale rappresentante della ditta Bonoil s.r.l., prodotto, detenuto e commercializzato una partita di olio di sansa di oliva contenente I.P.A. superiori ai limiti previsti nell'ordinanza del 18.9.2001 del Ministero della Salute, in Cisterna di Latina in epoca antecedente al 31.1.2002").
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, il quale denuncia con il primo motivo erronea applicazione dell'art. 8 c.p.p. e vizio di motivazione per avere il primo Giudice, sull'eccezione di incompetenza territoriale ritualmente prospettata dalla difesa, ritenuto la propria competenza in relazione al luogo di commercializzazione del prodotto, individuato in Cisterna di Latina, laddove: "a) il prelievo di campione è stato effettuato in Roma; b) sull'etichetta ... vi era la seguente dicitura: olio di sansa di oliva. Oleificio Luciano di Paolo ..."; c) il primo Giudice ha utilizzato, richiamandola in sentenza, una fattura allegata all'atto di costituzione di parte civile, estromessa per eccezioni sollevate dalla difesa, e che pertanto andava ... espunta dal fascicolo processuale ...". La censura - che, così come prospettata, ha una duplice valenza: processuale, nella prospettiva della determinazione della competenza per territorio; sostanziale, ai fini della riferibilità del fatto alla società dell'attuale ricorrente - non merita accoglimento. Va rilevato, sotto il profilo processuale, che l'individuazione del locus commissi delicti era avvenuta, indipendentemente dalla fattura in questione e ben prima della costituzione di parte civile, sulla base delle dichiarazioni rese dal Di Paolo già all'atto del prelevamento del campione (v. il relativo verbale) e della procedura dei relativi accertamenti pre-processuali;
sotto il profilo sostanziale, che l'eventuale questione di merito in ordine alla riferibilità del fatto alla Bonoil s.r.l. andava prospettata ex professo (il che non è stata fatto) e, in conseguenza di tale omissione, deve ritenersi che la questione della competenza sia stata esattamente risolta, sulla base degli atti indicati e ab initio acquisiti al processo, individuando, in aderenza alla norma incriminatrice, in Cisterna di Latina, sede della società produttrice, il luogo in cui l'olio era stato detenuto per la vendita e commercializzato con la fornitura al Di Paolo. Su tale basi stesse esattamente sono stati ritenuti irrilevanti, sempre ai fini della competenza territoriale, il luogo del prelevamento del campione e l'etichetta apposta sulla cisterna.
Con il secondo motivo viene denunciata erronea applicazione della L. n. 283 del 1962, art. 1 e D.P.R. n. 327 del 1980, art. 18 in comb. disp. con l'art. 223 disp. att. c.p.p., comma 3, e vizio di motivazione sul punto, non essendovi, contrariamente a quanto ritenuto dal primo Giudice, "alcuna prova che l'imputato abbia ricevuto gli avvisi prescritti (dell'analisi effettuata), in quanto vi è agli atti una cartolina non riferibile, con assoluta certezza, ad alcuna comunicazione" e, "peraltro, anche qualora l'avviso fosse stato ricevuto ... la comunicazione risulterebbe comunque carente della metodica seguita ai sensi del D.P.R. n. 327 del 1980, art. 18". La censura è infondata, in quanto è principio pacifico (tra le molte, Cass. sez. 3^, 20.5.2003 n. 22035, Scollo; 21.12.2001 n. 45551, rv. 220843) che il mancato invio a mezzo posta dell'avviso del risultato delle analisi effettuata sul campione della sostanza alimentare da parte della competente autorità sanitaria non costituisce violazione del diritto di difesa (con conseguente esclusione della nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c)), atteso che tale comunicazione rileva solo ai fini della decorrenza del termine per la presentazione dell'istanza di revisione, termine che in mancanza di tale invio, decorre dall'atto successivo avente valore equipollente. Comunque, in atti esiste la comunicazione in questione (prot. 15340/UD/7232) con allegato l'avviso di ricevimento di raccomandata. In base a un principio generalissimo, riaffermato nell'art. 54 disp. att. c.p.p., comma 2, avrebbe dovuto essere l'interessato a dare la prova rigorosa di aver ricevuto un atto diverso dall'originale acquisito agli atti. Quanto alla mancata indicazione, nella comunicazione stessa, della metodica utilizzata, risulta evidente che la stessa non determina nullità alcuna, così come l'uso da parte del laboratorio incaricato di metodi di analisi diversi da quelli ufficiali non costituisce causa di nullità dell'analisi medesima, salvo che non ne sia stata contestata l'esattezza scientifica (il che nella specie non è avvenuto). Con il terzo motivo viene denunciata erronea applicazione della L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. d) nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione, avendo la sentenza affermato che "l'accertamento dei valori IPA ... presenti nell'olio analizzato dalla USL consentono di ritenere accertati gli elementi del reato ascritto", mentre, ai fini della configurabilità del reato previsto dalla norma incriminatrice, "è necessaria l'attitudine delle sostanze nocive ad arrecare concreto pericolo alla salute dei consumatori". Tale motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e genericità, dal momento che la frase della sentenza sopra riportata in corsivo, è stata citata dal ricorrente in modo incompleto, contenendo, laddove sono stati inseriti i punti sospensivi, l'inciso secondo cui i valori IPA sono "relativi a prodotti chimici di idrocarburi aromatici notoriamente pericolosi per la salute, si pensi al benzene". Tale proposizione esprime la valutazione, compiuta dal primo Giudice in precisa correlazione con la contestazione del superamento dei valori-limite, della nocività della sostanza. In relazione a tale valutazione la censura manca della necessaria specificità, che avrebbe richiesto l'indicazione delle ragioni per le quali quei determinati "valori IPA" riscontrati non avrebbero dovuto essere ritenuti pericolosi per la salute. Deve, pertanto, concludersi che, essendo infondate le censure mosse, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2006