L’ENNESIMO PASTROCCHIO NORMATIVO IN CAMPO AMBIENTALE:I CRITERI DI ASSIMILAZIONE ALLE ACQUE REFLUE DOMESTICHE
a cura di Gianfranco Amendola
L’ultimo (per ora) pastrocchio normativo in campo ambientale è costituito dal DPR 19 ottobre 2011 n. 227 (“ Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell’art. 49, comma 4 quater, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122”).
Diciamo subito che esso trova la sua base legislativa nell’art. 49, comma 4- quater del Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), che lo legittima solo al fine di semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese.
Questo è esattamente quanto non avviene a proposito dei criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche previsti nell’art. 2 e nelle due tabelle dell’Allegato A del regolamento.
Si tratta, infatti, con tutta evidenza, di una norma che incide su aspetti certamente sostanziali e non meramente burocratici e nulla ha a che vedere con la semplificazione e l’informatizzazione degli adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese, nonché per la semplificazione dei relativi controlli, così come dettato dall’art. 49.
Se poi andiamo oltre il fondamento legislativo dell’art. 49, lo sconforto aumenta.
Come è noto, già da tempo la giurisprudenza, con riferimento alle definizioni dell’art. 74 D. Lgs 152/06 ha chiarito che, ai fini della classificazione di un’acqua reflua come industriale o domestica
“l’indicatore della provenienza dei reflui da attività domestiche è concetto chiaramente riferito alla convivenza e coabitazioni di persone ma non può prescindere, specie quando riguarda grandi comunità (alberghi, ospedali etc.), da una considerazione anche delle effettive caratteristiche chimiche e fisiche delle acque reflue, che devono essere corrispondenti non tanto per quantità, quanto per qualità a quelli derivanti dai comuni nuclei abitativi”1. Quindi, quello che conta, in ultima analisi, non è tanto la provenienza del refluo quanto la sua qualità; tanto è vero che, ai sensi dell’ art. 101, comma 7, lett. e) D. Lgs 152/06 (mantenuto espressamente “fermo” dal regolamento), anche un refluo proveniente da attività produttiva può essere assimilato ad un refluo domestico se ha “caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale”.
E’ in questo quadro che va valutato l’art. 2, comma 1, del regolamento in esame, il quale detta alcuni criteri di assimilazione che, ai sensi del secondo comma, “si applicano in assenza di disciplina regionale”.
Questo è veramente singolare. Già abbiamo detto che la norma in esame non trova alcun fondamento legislativo nell’art. 49. Ma basta leggere l’art. 101, comma 7, lett. e) (mantenuto “fermo”) per verificare che anche questa norma non attribuisce affatto allo Stato un potere di dettare criteri di assimilazione, ma attribuisce tale legittimazione solo alla disciplina regionale. Né, ovviamente, rimedia a tale carenza la previsione del regolamento che i criteri statali si applicano in assenza di disciplina regionale, proprio perché manca comunque una norma che preveda un possibile intervento dello Stato. E’ due volte illegittimo dunque!
Nel merito, se leggiamo le ipotesi di assimilazione previste dall’art. 2 del regolamento, vediamo che, in primo luogo, l’assimilazione riguarda “le acque che prima di ogni trattamento depurativo presentano le caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla tabella 1 dell'Allegato A”. Nella tabella 1 dell’Allegato A vengono specificati i valori limite di alcune sostanze che, evidentemente, si ritengono rappresentativi, come qualità, di scarichi attribuibili prevalentemente a metabolismo umano ed attività domestiche; e, quindi, si ritiene che un’acqua con queste caratteristiche analitiche, quale che sia la sua provenienza, abbia caratteristiche qualitative equivalenti (e debba essere considerata assimilata) ad un’acqua reflua domestica.
In secondo luogo, l’assimilazione riguarda “le acque reflue provenienti da insediamenti in cui si svolgono attività di produzione di beni e prestazione di servizi i cui scarichi terminali provengono esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense”, e cioè da metabolismo umano ed attività domestiche; e, quindi, ci si riconnette direttamente alla “qualità” di cui alla definizione legislativa.
Fino a qui, quindi, a parte la illegittimità base della norma, e a parte una verifica tecnica dei parametri indicati, non si nota un contrasto con la legge.
Ciò avviene, invece, quando si esamina il terzo tipo di assimilazione, e cioè “le acque reflue provenienti dalle categorie di attività elencate nella tabella 2 dell'Allegato A, con le limitazioni indicate nella stessa tabella”. Nella tabella 2 vengono, quindi, elencate una serie di “attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche”. Il che è sicuramente inaccettabile. Come si è visto, infatti, l’assimilazione si basa solo sulle caratteristiche qualitative equivalenti e prescinde dal tipo di attività che genera lo scarico. E se anche il regolamento ritiene che le attività di cui alla tabella 2 producano, di regola, acque qualitativamente equivalenti a quelle domestiche, va sottolineato con forza che il tipo di attività non può essere, comunque il parametro (o quanto meno l’unico parametro) di riferimento. Occorre, invece, sempre rifarsi, caso per caso, alla qualità dello scarico, così come, del resto, avviene per le altre due ipotesi di assimilazione già esaminate. Anzi, a questo punto, la tabella 2 appare solo fuorviante e pericolosa.
A riprova di ciò, si evidenzia che un attento tecnico del settore ha individuato, nell’elenco di cui alla tabella 2, con riferimento alla qualità dello scarico, ben 3 tipi di attività: quelle da cui si originano esclusivamente acque reflue da cucina, servizi igienici e mense (ad esempio, bar, palestre, call center ecc.), quelle le cui acque reflue hanno origini diverse rispetto a quelle di cucina, servizi igienici e mense (ad esempio laboratori artigianali per la produzione di dolciumi, gelati, pane, biscotti e prodotti alimentari freschi, con un consumo idrico giornaliero inferiore a 5 mc nel periodo di massima attività o macellerie); e quelle le cui acque reflue hanno anche un’ altra origine rispetto a cucina, servizi igienici e mense (ad esempio, piscine), evidenziando che “per queste due ultime tipologie di attività, per verificare se i reflui finali da esse prodotti siano equivalenti a quelli domestici, si dovrà verificare quanto influiscano, sulle caratteristiche degli stessi, i reflui parziali non derivanti da servizi igienici, cucine e mense, ma generati dalle specifiche operazioni svolte in quell’ insediamento”2. Verifica che il regolamento, invece, non prevede.
Torneremo presto ed approfonditamente su questo regolamento3. Ma già sin da ora la nostra conclusione sulle acque assimilate può essere così sintetizzata.
L’art. 2 del DPR 227 del 2011 in tema di acque assimilate costituisce l’ennesimo pastrocchio governativo. Trattasi di regolamentazione illegittima in quanto mancante di idonea “base legale”, e come tale annullabile dalla magistratura amministrativa e disapplicabile dalla magistratura ordinaria.
Nel merito, si pone in contrasto con la legge quando pretende di dettare criteri diversi da quelli previsti dall’art. 101, comma 7, lett. e) D. Lgs 152/06 che, nello stesso tempo, dichiara di voler tenere “fermo”.
Infine, crea una ingiustificata e pericolosa disparità di trattamento (con difficoltà di controllo) in quanto da un lato detta questi criteri solo per le piccole e medie imprese e non con valenza generale, e dall’altro non si applica se in una Regione vengano o siano stati emanati criteri diversi .
1 Cass. pen., sez. 3, 16 marzo 2011, n. 16446, Ciappi (in tema di scarico di reflui da mensa aziendale di ospedale con trituratore)
2 SANNA, Gli scarichi assimilabili agli abitativi ed il DPR 19 ottobre 2011, n. 227, in corso di pubblicazione su www.industrieambiente.it
3 Si rinvia al numero di maggio di Ambiente e sicurezza sul lavoro, in corso di pubblicazione