Cass. Sez. III n. 50629 del 7 novembre 2017 (Ud 4 ott 2017)
Presidente: Ramacci Estensore: Scarcella Imputato: Valentini ed altro
Acque.Ruscellamento e disciplina applicabile
La disciplina delle acque è applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. Se presenta, invece, momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato, con conseguente violazione dell'art. 256, comma primo, d. Igs. n. 152 del 2006 (fattispecie relativa a sversamento dei reflui promananti da un depuratore comunale nell'area ad esso circostante e da cui "ruscellavano" invadendo e ristagnando sul fondo confinante)
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9.05.2016, depositata in data 12.07.2016, la Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Lecce, sez. dist. Galatina, del 19.11.2012, appellata dal Valentini e dal coimputato Verardi, qui non ricorrente, assolveva quest'ultimo dai reati ascrittigli per non aver commesso il fatto, sostituendo la pena inflitta al Valentini nella pena pecuniaria corrispondente di euro 15.000,00 di ammenda, eliminando le statuizioni civili e confermando, nel resto, l'appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 137, comma 11, d. Igs. n. 152 del 2006, contestato come commesso secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nel capo di imputazione, in relazione a fatti avvenuti tra il novembre 2008 ed il 12.02.2010.
2. Contro la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato Valentini, a mezzo dei difensori di fiducia, iscritti all'albo speciale ex art. 613 cod. proc. pen., deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c) ed e), c.p.p., sotto il profilo dell'erronea applicazione degli artt. 40, 41, 42 e 43 cod. pen. e degli artt. 192, 521 e 522 c.p.p., e correlato vizio motivazionale di manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento del fatto ed omessa valutazione delle doglianze esposte con l'atto di appello quanto al difetto di correlazione tra contestazione e sentenza nonché sul nesso di causalità ed all'impossibilità per il ricorrente di fermare l'impianto, con conseguente violazione degli artt. 51 e 52, c.p. e 4, legge n. 689 del 1981.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., sotto il profilo dell'erronea applicazione degli artt. 10, d. Igs. n. 163 del 2006 e degli artt. 10 e 273, d.P.R. n. 207 del 2010 nonché quanto alle procedure interne di AOP e correlato vizio di motivazione quanto al ruolo di garanzia del ricorrente nonché al travisamento del fatto quanto alla veste di responsabile del procedimento e direttore dei lavori ed alla natura del visto di "somma urgenza" di cui al verbale, con correlato difetto dell'elemento psicologico, nonché, infine, sull'applicazione delle predette procedure interne di AOP.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., sotto il profilo dell'erronea applicazione dell'art. 137, comma 11, d. Igs. n. 152 del 2 2006 e correlato vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla qualificazione di "scarico" del ruscellamento dei reflui in assenza di uno stabile collegamento e predisposto allo scopo con conseguente riqualificazione del reato in quello di cui all'art. 256, comma primo, d. 1gs. n. 152 del 2006 e correlato diritto del ricorrente di accedere all'oblazione; in ogni caso eccepisce l'errata qualificazione del reato per non essere il fatto previsto dalla legge come reato.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p., sotto il profilo dell'erronea applicazione dell'art. 157 cod. pen., in quanto la data di consumazione dovrebbe ritenersi quella del 19.03.2009, con conseguente decorrenza integrale del termine di prescrizione alla data del 19.03.2014.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), c.p.p., sotto il profilo dell'erronea applicazione dell'art. 157 cod. pen., in quanto comunque il reato sarebbe estinto per prescrizione alla data del 23.03.2016, con conseguente violazione dell'art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., con riferimento all'errato computo integrale del rinvio dell'udienza dal 25.01.2016 al 9.05.2016, che, invece, avrebbe dovuto essere contenuto in gg. 60, in quanto determinato da legittimo impedimento per gravi ragioni familiari del difensore.
3. Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 3.04.2017, la difesa del ricorrente in vista dell'udienza, originariamente fissata davanti alla Settima sezione penale di questa Corte per 1'11.05.2017, ha chiesto accogliersi il ricorso, insistendo, in particolare, sulla fondatezza del quarto e del quinto motivo di ricorso riguardanti l'estinzione per prescrizione, del terzo motivo sull'erronea qualificazione giuridica e sulla rilevanza penale del fatto; ancora, sul primo motivo, in ordine all'omessa motivazione e correlata violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. nonché, infine, sul secondo motivo, in particolare quanto alla natura del "visto" apposta sul verbale di "somma urgenza".
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è parzialmente fondato per le ragioni di seguito esposte, condividendo il Collegio l'ordinanza della Settima sezione penale che ha disposto l'assegnazione alla pubblica udienza del ricorso rilevando, nei limiti di cui si dirà oltre, la non manifesta infondatezza del ricorso.
5. Ed invero, osserva il Collegio, preliminare è la valutazione della censura esposta con il terzo motivo relativamente alla esatta qualificazione giuridica del reato; ed invero, la contestazione mossa al ricorrente è quella di aver, con la propria condotta, causato lo sversamento dei reflui promananti dal depuratore comunale nell'area ad esso circostante e da cui "ruscellavano" invadendo e ristagnando sul fondo confinante di proprietà di tale Antonio Cascone; è lo stesso riferimento al concetto di "ruscellamento" sul fondo altrui che consente di sostenere alla parte l'ipotizzabilità della violazione dell'art. 256, d. Igs. n. 152 del 2006, anziché del reato di cui all'art. 137, comma undicesimo, d. Igs. citato; il deflusso in questione, invero, dalle emergenze processuali risulterebbe essere stato causato dalla "tracimazione diretta", senza dunque il requisito del convogliamento del liquido tramite condotta, in conformità al disposto dell'art. 74, lett. ff), d. Igs. n. 152 del 2006.
Sul punto, infatti, deve qui essere ricordato come questa Sezione ha affermato che in materia di rifiuti, integra il reato previsto dall'art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, l'abbandono incontrollato di liquami, in quanto la diversa disciplina sugli scarichi trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento (Fattispecie relativa a reflui zootecnici raccolti in vasche e poi sversati in un terreno con successivo ruscellamento in un torrente: Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015 - dep. 21/04/2015, P.M. in proc. D'Aniello, Rv. 263354).
Sul punto, i giudici di appello, dopo aver elencato la disciplina astrattamente applicabile (v. pagg. 8/11 dell'impugnata sentenza), ritengono applicabile l'art. 137, co. 11, d. Igs. n. 162 del 2006 in quanto hanno ritenuto che l'imputato aveva provocato, per l'omessa esecuzione dei lavori necessari a rendere efficienti le trincee drenanti, lo sversamento delle acque del depuratore nei terreni circostanti, pervenendo all'affermazione che, correttamente, sarebbe stata contestata detta fattispecie contravvenzionale, non essendosi in presenza né di uno scarico in pubblica fognatura senza la prescritta autorizzazione, né di uno scarico conforme alle prescrizioni dettate dalla regione in materia, anche in tema di deviazione delle acque e di danneggiamento.
6. Detto questo, deve osservarsi che il fatto storico posto alla base della sentenza di condanna risulta puntualmente delineato e la Corte d'appello, a fronte della contestazione di cui all'art. 137, comma undicesimo, d. Igs. n. 152 del 2006, non era in alcun modo vincolato da tale indicazione, ben potendo/dovendo attribuire al fatto medesimo una diversa qualificazione giuridica, come correttamente osservato dalla difesa e più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha peraltro specificato come l'attribuzione in sentenza al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, l'imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla stessa (v., tra le tante: Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017 - dep. 13/03/2017, B, Rv. 269655).
Come emerge chiaramente dalla descrizione della condotta, questa non poteva essere correttamente inquadrata quale scarico di acque reflue, trattandosi, come risulta dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, di un abbandono di rifiuti liquidi. I giudici hanno infatti dato atto, nel provvedimento, che la condotta ascritta all'imputato era quella di aver causato lo sversamento dei reflui promananti dal depuratore comunale nell'area ad esso circostante e da cui "ruscellavano" invadendo e ristagnando sul fondo confinante di proprietà Cascone.
Tale descrizione, da cui emerge chiaramente che gli effluenti non defluivano direttamente in condotte di scarico e raggiungevano per "ruscellannento" il terreno, sul quale ristagnavano, indica chiaramente l'insussistenza dei presupposti per qualificare la condotta come scarico, affermazione del resto condivisa dalla stessa Corte d'appello.
7. I rapporti tra la normativa sulla tutela delle acque e quella in tema di rifiuti sono stati più volte presi in considerazione dalla giurisprudenza di questa Corte, anche sotto la vigenza di disposizioni ormai abrogate giungendo, per quel che concerne le disposizioni attualmente in vigore, a conclusioni univoche.
Con il D.Igs. n. 4 del 2008 è stato infatti delimitato in modo ancor più netto il confine tra scarichi e rifiuti, ripristinando, in sostanza, la situazione antecedente all'entrata in vigore del D.Igs. n. 152 del 2006.
L'attuale disciplina esclude invero, nell'art. 185, comma 2, lett. a), l'applicabilità della normativa sui rifiuti per "le acque di scarico", a condizione che siano disciplinate da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento. Per la nozione di scarico, l'art. 183, lettera hh) rinvia all'art. 74, comma 1, lett. ff), il quale definisce, appunto, lo scarico come "qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art. 114".
8. Ne consegue che la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. In tutti gli altri casi nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 45340 del 19/10/2011, Pananti, Rv. 251335; Sez. 3, n. 22036 del 13/04/2010, Chianura, Rv. 247627; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone, Rv. 244783).
Ad identiche conclusioni si è pervenuti anche con riferimento alla raccolta di liquami zootecnici in vasche (Sez. 3, n. 15652 del 16/3/2011, Nassivera, Rv. 250005; Sez. 3, n. 27071 del 20/5/2008, Cornalba e altro, Rv. 240264).
9. Dunque, se la condotta accertata corrisponde a quella descritta nella sentenza, non costituendo il deflusso del refluo dalle trincee drenanti uno scarico inteso come stabile sistema di collegamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore, avvenendo il deflusso in questione per tracimazione diretta (dunque senza il requisito del convogliamento del liquido tramite condotta in conformità alla definizione contenuta nell'art. 74, lett. ff), d. Igs. n. 152 del 2006), non era configurabile il reato di cui all'art. 137, comma undicesimo, d. Igs. n. 152 del 2006; in ogni caso, il percorso seguito dai reflui mancherebbe comunque di continuità, considerando che, secondo la contestazione del PM, i ripetuti fenomeni di tracimazione e ristagnamento dei reflui prodotti dal depuratore si erano verificati a causa del cattivo funzionamento delle trincee drenanti; dal flusso costante del liquido proveniente dal depuratore attraverso le trincee drenanti seguiva, per quanto è dato comprendere, la tracimazione, il ristagno ed il successivo ruscellamento sui terreni adiacenti al depuratore. Si tratta, invero, di una situazione che non è possibile qualificare come "scarico", in quanto, sebbene tale nozione non richieda la presenza di una "condotta" nel senso proprio del termine, costituita da tubazioni o altre specifiche attrezzature, vi è comunque la necessità di un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore (cfr. Sez. 3, n. 35888 del 3/10/2006, De Marco, non massimata).
È inoltre evidente che il concetto giuridico di scarico presuppone comunque che il collegamento tra insediamento e recapito finale sia stabile e predisposto proprio allo scopo di condurre i reflui dal luogo in cui vengono prodotti fino alla loro destinazione finale, senza interruzioni, ancorché determinate da casuali evenienze quali, ad esempio, la tracimazione dalle trincee drenanti, che abbiano consentito ai reflui un ulteriore percorso.
10. Deve conseguentemente ribadirsi che la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. Se presenta, invece, momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato, con conseguente violazione dell'art. 256, comma primo, d. Igs. n. 152 del 2006. Tale era l'esatta qualificazione giuridica da attribuirsi, non potendo rientrare la condotta nella previsione dell'art. 137, comma undicesimo, che, infatti, punisce "Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104". In entrambi i casi, infatti, si prevede un divieto (nel primo, di scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo; nel secondo, di scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo), che tuttavia presuppongono pur sempre che di "scarico" si tratti, ossia, per dirla con la definizione di cui all'art. 75, lett. ff), d. Igs. n. 152 del 2006, di "qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. (omissis)". Con la conseguenza che, difettando il requisito del collegamento senza soluzione di continuità tra ciclo di produzione del refluo e corpo ricettore (acque superficiali, suolo, sottosuolo e rete fognaria), non potendosi parlare di "scarico" in senso tecnico, il reato di cui all'art. 137, comma undicesimo, d. Igs. n. 152 del 2006, non può essere ritenuto sussistente, rientrando la fattispecie in quella di abbandono di rifiuti allo stato liquido, sanzionabile ex art. 256, comma primo, d. Igs. n. 152 del 2006.
14. La non manifesta infondatezza del predetto motivo di ricorso rende superfluo l'esame dei restanti motivi, atteso che il reato (quand'anche si ritenesse quale dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione quello indicato in sentenza, ossia il 12.02.2010) si sarebbe comunque estinto per prescrizione alla data del 16.06.2016, maturata nelle more della stesura della motivazione della sentenza d'appello, tenendo conto - come del resto si evince dalla stessa motivazione della sentenza impugnata a pag. 12 - delle sospensioni disposte in grado d'appello dall'udienza del 22.10.2014 a quella del 9.12.2015 e (ritenuto valutabile per intero il termine di rinvio, come pur contestato dalla difesa) dall'udienza del 25.01.2016 al 9.05.2016.
S'impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza per essere il residuo reato sub b) estinto per prescrizione.
P.O.M.
La Corte annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere il residuo reato di cui al capo b) estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 4 ottobre 2017