Il mese scorso ho fatto cenno alle difficoltà che quotidianamente si incontrano nel trattare questa materia promettendo di parlarne.
Lo faccio spesso non certo per cercare comprensione o valorizzare il mio lavoro. In definitiva i rischi sono gli stessi e il lavoro di indagine è più o meno simile a quello per tutti gli altri reati, salvo qualche difficoltà tecnica dovuta alla particolarità di certe forme di aggressione del territorio.
Ne parlo, invece, perché mi sembra evidente che non sempre si tiene conto degli interessi milionari (parliamo di euro) che ruotano intorno a queste vicende.
Lo ricordo sempre ai miei collaboratori, raccomandandogli attenzione ed invitandoli a riflettere su quanti fatti di sangue dobbiamo trattare per vicende che coinvolgono poche manciate di soldi e su che cosa può essere capace di fare chi si vede bloccata una attività economica per reati ambientali che, nel sentire comune, vengono considerati di poco conto o, addirittura, un contentino che lo Stato da’ a quei rompiscatole degli ambientalisti.
Per il delinquente di professione il processo è solo il rischio del mestiere, come la martellata sul dito per il falegname. L’inquinatore si sente invece un pilastro della società, uno che da’ lavoro agli altri, che ha buone amicizie e che non può essere vessato da queste “formalità burocratiche” che lo portano davanti ad un giudice.
Anche la politica lo difende, perché certe inchieste… rovinano l’economia del paese.
E così, per processi che, quando non finiscono con la prescrizione, portano a condanne solo simboliche, si assiste ai miracoli: politici di partiti che non dovrebbero nemmeno rivolgersi la parola che si trovano concordi nel lamentare le vessazioni della Procura, sindacalisti che si preoccupano dei posti di lavoro giurando sulla regolarità degli impianti, manifestazioni “spontanee” di cittadini per impedire la demolizione di immobili abusivi.
E questo è solo quello che si può raccontare….

Luca RAMACCI