L’ultimo condono edilizio pare un ricordo lontano, anche se i disastri causati sono sotto gli occhi di tutti.
I tribunali continuano a dichiarare estinti “per condono” i reati edilizi, i comuni trattano stancamente le relative pratiche. La Corte Costituzionale ha anche chiarito alcune incertezze riguardanti certi termini fissati dalla legge.
Insomma, la solita Italia.
Sarebbe però importante sostituire la ordinaria rassegnazione con una più attenta vigilanza sull’atto finale del condono. Il più devastante.
I veri beneficiari di questo penoso espediente dello stato per racimolare qualche soldo non sono infatti, come si vuole far credere, i poveri cittadini bisognosi di un tetto ma i palazzinari e gli speculatori.
Rimasti nell’ombra nella prima fase, cominciano ora ad uscire allo scoperto utilizzando un sistema abbastanza semplice.
Il condono, come si sa, consente di sanare costruzioni che, altrimenti, non potrebbero esistere. Il trucco consiste nell’aver richiesto, per tempo e con tutti i documenti necessari, di condonare baracche, vecchi ruderi, stalle, depositi o capannoni dichiarando, però, che l’originaria destinazione d’uso era già stata modificata in “residenziale”, allegando qualche foto con improbabili interni, arredati come ogni appartamento degno di questo nome.
Il condono, rilasciato da distratti tecnici comunali, legittima così l’esistenza di un manufatto residenziale in una zona dove non potrebbe mai esistere perché indicata nel piano regolatore come “agricola” o “verde pubblico”.
Ottenuto il pezzo di carta, si richiede al comune, sempre con tutti i documenti del caso, di procedere alla ristrutturazione del manufatto mediante demolizione (che cancella ogni prova dell’inghippo) e ricostruzione, che dovrebbe avvenire a certe condizioni ma che, se nessuno se ne accorge, non rappresenta un problema.
E così, sul terreno agricolo, ecco spuntare la bella palazzina con il cartello “vendesi” prima ancora che sia finita.

Luca RAMACCI